La Mediazione PedagogicaLiber Liber

La Rivista Pedagogica (1908-1939)
di  Marco Antonio D'Arcangeli

II  Origini, finalità e organigramma della Rivista

1. Ai soci ed ai lettori

Nel gennaio 1908 vide la luce il primo fascicolo della Rivista Pedagogica. Il direttore, Luigi Credaro, presentò la nuova pubblicazione in una breve nota Ai soci ed ai lettori[1], ripercorrendo anzitutto le vicende dalle quali era scaturita la sua fondazione. Nel 1907 l’Associazione pedagogico-professionale fra gl’insegnanti delle scuole Normali aveva deliberato, tramite referendum, di trasformarsi in Associazione Nazionale per gli Studi Pedagogici[2], e Credaro aveva accettato l’offerta di presiederla - rifiutata l’anno precedente per il carattere angustamente professionale implicato nella vecchia denominazione[3].

Parte integrante del programma della nuova Associazione fu la costituzione della Rivista[4], come “terreno dove le energie consociate potranno agire pei fini esclusivi dell’educazione della scuola”, essendo ormai doveroso uno sforzo maggiore di attività teoretica in campo pedagogico. Un “congresso pedagogico permanente”, dunque, per combattere “l’empirismo dilettante” favorito dalla “dissociazione”, e per dar modo “a tutte le opinioni di liberamente manifestarsi e difendersi”. Occorreva trarre fuori “la produzione pedagogica” dagli “scritti di cultura e discipline diverse” nei quali era “sperduta”; e questa esigenza di autonomia si saldava alla consapevolezza che “al presente di Pedagogia non” era possibile “trattare senza una solida base di cultura filosofica storico-sociologica naturalistica medica; cultura” - l’inciso va ritenuto decisivo - “cui” doveva “essere di continuo presidio la pratica scolastica”.

Il nuovo periodico si presentava certamente senza operare esclusioni selezioni settarie - ma, significativamente, animato dalla convinzione che “non dal dottrinarismo e dalla dialettica, ma dallo studio sperimentale, metodico e critico dei fatti educativi”, sarebbe nata “la scienza pedagogica”, indispensabile ausilio “per riordinare, su basi nuove” tutta l’istruzione nel nostro Paese. Un programma, dunque, di ampio respiro, accompagnato da un orizzonte tematico a tutti gli effetti sconfinato; la Rivista, infatti, specificava Credaro, intendeva occuparsi di “personalità di pedagogisti ed educatori; storia delle teorie ed istituzioni scolastiche; ordinamenti d’istituti nostrani e stranieri; problemi generali di educazione e di metodica; ricerche sperimentali sulla natura del fanciullo; quistioni di politica scolastica; riforme di leggi e regolamenti; movimento pedagogico delle grandi nazioni civili negli uffici amministrativi, nei parlamenti, nei congressi, nelle riviste e giornali scolastici, nei libri” - nella chiara intenzione di non lasciar fuori nessun aspetto della problematica educativa ed in evidente parallelismo e continuità con quella visuale a largo raggio della ricerca pedagogica che Credaro stesso aveva delineato nella sua prolusione a Roma del 1902. Una prospettiva, quella del Direttore della nuova pubblicazione, che evidentemente doveva poter contare su una larga fascia di consensi.

2. Il Comitato di Redazione della "Rivista"

2.1. La Redazione romana

Per documentare e sostanziare questa affermazione è opportuno soffermarsi sulla composizione del primo Comitato di Redazione della Rivista, nominato dall’Ufficio di Presidenza dell’A.N.S.P. nel luglio del 1908[5].

Spicca anzitutto la presenza di Bernardino Varisco (Chiari, Brescia, 1850-1933)[6], ordinario di Filosofia Teoretica all’Università di Roma dal 1906 al ‘25, che proprio in questi anni andava delineando il suo passaggio dalla giovanile impostazione positivistica (sempre, per altro, criticamente molto vigile) ad una intensa riflessione spiritualistica (coscienzialistica e pluralistica). Realizzata compiutamente questa svolta, e definite, fra il 1911 ed il ‘19, le linee di un nazionalismo (non soltanto) “morale”[7]ad essa intimamente connesso, il distacco dal gruppo della Rivista diverrà, come vedremo, inevitabile[8].

Accanto al suo, il nome di uno studioso di notevolissima levatura, quello del Prof. Sante De Sanctis (Parrano, Terni, 1862 - Roma, 1935), sempre dell’Ateneo capitolino, pioniere della neuropsichiatria infantile in Italia e sostenitore del metodo sperimentale in psicologia[9]. Nel 1899 istituì a Roma gli Asili-scuole per bambini deficienti ed anormali psichici[10]; nel 1901 ottenne dal Ministro Nasi - superando accanite resistenze, fra cui quella, in sede di Consiglio Superiore della P.I., di Carlo Cantoni - la libera docenza in Psicologia sperimentale presso la facoltà filosofica della Sapienza, iniziando una lunga battaglia per il definitivo riconoscimento in ambito accademico della nuova disciplina che si concluse vittoriosamente fra il 1906 ed il 1907[11]. La collaborazione di De Sanctis[12]alla Rivista e la sua attiva presenza nell’A.N.S.P. spingono ad ipotizzare uno stretto sodalizio personale ed intellettuale con Credaro. Non si può escludere che siano da far risalire alla frequentazione di un tale significativo interlocutore sul piano scientifico quelle valutazioni - da noi precedentemente documentate - sulle possibilità della psicologia fisiologica (senz’altro più ottimistiche rispetto agli anni di Lipsia) che il pedagogista valtellinese tese ad esprimere negli anni della maturità: è ricerca da svolgersi. Da De Sanctis (senza dimenticare Wundt e Külpe) Credaro potrebbe aver tratto non soltanto e non tanto nuovi “dati” nel suo approfondimento delle tematiche psicologiche in funzione didattico-pedagogica, ma un più compiuto concetto di questa scienza, delle sue finalità e dei suoi metodi.

Ancora dell’Università di Roma risultavano appartenere al Comitato il Prof. Luigi Ambrosi[13]  ed i due Liberi Docenti in Pedagogia Giacomo Tauro(Castellana Grotte, Bari, 1873-1951) e Raffaele Resta(Turi, Bari, 1876 - Roma, 1961)[14]: il primo, di formazione evoluzionistico-positivista, tese ad attribuire all’educazione intenzionale una funzione complementare nei confronti dell’opera educativa svolta spontaneamente dalla natura e dalla società; il secondo, collocato in genere nell’area dei neokantiani[15]definì successivamente la sua posizione nei termini di un realismo metafisico[16]che a partire dalla definizione della Divinità come principio primo d’ordine sia gnoseologico che teleologico giunse alla postulazione di un “regno dei valori e dei fini [...] obiettivamente valevole”[17]un’impostazione che condurrà il Resta ad una piena adesione all’ideologia fascista, quando il Regime, a seguito del Concordato ed alla ricerca di convergenze con la tradizione del pensiero cattolico, si dirigerà verso il realismo “sano” e “mediterraneo”[18]sconfessando e liquidando la precedente opzione per l’attualismo gentiliano. Quello del pedagogista pugliese (fra i principali protagonisti, come vedremo, della storia della Rivista) può definirsi, pur con le sue individuali peculiarità, un percorso dalle tappe e dagli esiti emblematici, da un punto di vista sia teorico che ideologico, per quanto concerne quelle generazioni ch’ebbero a “crescere”, sostanzialmente, nel periodico di Credaro

Ma nella composizione del Comitato i membri provenienti dall’insegnamento universitario non costituivano affatto la parte preponderante. Fra coloro dei quali è qui espressamente indicata la residenza in Roma (e che dovettero quindi costituire la redazione vera e propria del periodico, assieme a coloro che abbiamo appena citato - sempre domiciliati nella capitale) v’erano gl’insegnanti elementari Alfredo Bajoccoed Evaristo Marsili (strettamente legato, quest’ultimo, a Credaro, col quale collaborava nella Scuola Pedagogica, presente costantemente, anche con l’assunzione di posizioni di rilievo a livello redazionale nella storia della Rivista) e la maestra Maria Pia D’Ormea l’Ispettore Comunale (per le scuole elementari, dunque con ogni probabilità proveniente da tale corpo insegnante) Menotti Calcagni; la Prof.essa Maria Gazagne, insegnante di Pedagogia nella Scuola Normale Femminile “Vittoria Colonna” della capitale; la Prof.essa Bice Ravà, che insegnava Francese alla Scuola Pedagogica; ed infine A. De Angelis, Preside dell’Istituto “Galilei” e Tarquinio Armani, funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione, che come e più degli altri nominati in questo ultimo capoverso si può definire un protagonista - soprattutto riguardo alla quantità ed estensione della sua collaborazione, ma anche per avere assunto, sia pure per un breve periodo, l’incarico di Capo-Redattore - del primo decennio di vita del periodico.

2.2. I membri “esterni” del Comitato di Redazione

Il quadro del Comitato di Redazione era completato da cinque studiosi non residenti nella città capitolina.

Giulio Ferreri, Rettore dell’Istituto per Sordomuti di Milano, si distinse per numerosissimi studi di carattere psicologico e pedagogico-didattico concernenti il settore educativo nel quale operava, in uno sforzo d’approfondimento teorico e di miglioramento pratico rivolto ad un ramo della nostra istruzione che si presentava allora in una situazione decisamente deficitaria.

Guido Della Valle[19] (Napoli, 1884-1962), allora Prof. di Pedagogia alla Scuola normale di Matera [20], fu allievo di Filippo Masci, di cui reinterpretò la lezione speculativa in direzione realistica e monadologica, per giungere ad una Axiologia che si richiamava ampiamente alla Filosofia dei Valori della scuola del Baden[21]; su questa, e sulla sua psicologia (una disciplina di cui fu, soprattutto agli esordi della sua attività di ricerca, un appassionato cultore)[22], fondata sul concetto di lavoro mentale[23] egli articolò una pedagogia d’ispirazione herbartiana [24] che sarà oggetto, in seguito, di particolareggiato esame. Della Valle - precisando qui un discorso appena accennato a conclusione delle brevi note relative a Resta [25]  - va considerato nel novero di quel nucleo di giovani che saranno definiti gli “intellettuali organici” della Rivista - nel senso che in essa ebbero, se non a muovere i primi significativi passi della loro carriera scientifica, quantomeno a conseguire una definitiva consacrazione, mettendo a punto progressivamente la loro visuale filosofico-pedagogica proprio nei fascicoli della pubblicazione diretta da Credaro[26].

Nella stessa categoria in cui abbiamo poc’anzi collocato Della Valle - con una continuità d’apporto e di presenza nella Rivista che copre in pratica tutto il trentennio di esistenza del periodico, come fu per Resta[27] - va inserita l’altra componente del Comitato di Redazione Emilia Santamaria (1877-1971) [28], che insegnava in quel periodo Pedagogia alla Scuola normale di Bologna. Allieva di Credaro, la Santamaria era moglie dell’editore modenese Angelo Fortunato Formíggin (Colle Nogara, Modena, 1878 - Modena, 1938) che ebbe in gestione la Rivista (in precedenza amministrata direttamente dall’ A.N.S.P.) dal 1910 al ’12 [29]: anch’egli allievo del pedagogista valtellinese, legò il suo nome ad una serie di innovative iniziative editoriali[30], alle quali però, a causa degli ostacoli che incontrò nella discriminazione razziale promossa dall’ideologia del Regime, fu indotto via via a rinunziare. Dovendo abbandonare in seguito completamente, per gli stessi motivi, la sua attività, concluse tragicamente la sua esistenza togliendosi la vita.

Apparteneva inoltre al Comitato un altro più maturo intellettuale, che legherà il suo percorso a quello della Rivista (anche se non assurgerà mai in essa a posizioni direttive come avvenne nei casi fin qui menzionati): si tratta di Pietro Romano (1879-1946), allora insegnante alla Scuola Superiore di Educazione Fisica di Torino[31], allievo di Paolo Raffaele Trojano (Avellino, 1863 - Torino, 1909) [32], nel quale uno spiritualismo connotato in senso umanistico condusse al tentativo di una sistemazione dell’etica su basi empirico-psicologiche. Per Trojano il fine della volontà risiedeva nella liberazione dal dolore, conseguibile attraverso il sentimento della calma, in teso come sentimento d’armonia fra il piacere ed il suo opposto [33]. Concludeva il quadro del primo Comitato di Redazione della Rivista Giuseppe Tambara, Preside del Liceo “Ariosto” di Ferrara.

Il Comitato, dunque, risultava perlopiù composto da “emergenti”, dei quali, al fine di ipotizzare la tendenza che avrebbe potuto assumere la nuova pubblicazione, e di ricostruire quali fossero le componenti che in essa venivano a confluire, è stato per il momento importante determinare l’ambiente di formazione intellettuale; da rimarcare è in ogni caso il dato rappresentato dall’equa rappresentanza, in seno al Comitato stesso, garantita ad ogni ordine grado dell’insegnamento, ed a tutte le componenti del mondo scolastico, non escluso lo stesso Ministero. È questa una particolarità da tener presente, un elemento che si rivelerà caratterizzante - quest’indicazione sarà sviluppata progressivamente. Per riprendere invece il discorso sugli orientamenti ideali convergenti nel nuovo periodico, invece, e per approfondirlo, saranno esaminati ora degli ulteriori dati, atti a definire esaurientemente il quadro.



[1]   Tutte le citazioni del presente paragrafo sono tratte dalla nota programmatica di Credaro, Ai soci ed ai lettori, in Rivista Pedagogica (di qui in poi, Riv. Ped.), a. I, n. 1, gennaio 1908, pp. 1-2.

[2]   Che sarà indicata, nel testo, con la sigla A.N.S.P.

[3]  La “riconversione” della “professionale” Associazione nazionale fra gl’insegnanti delle scuole normali, attiva dal 1888, in un sodalizio di “studi” aperto a tutte le categorie di docenti, e del suo Bollettino in un periodico scientifico, era stata tentata dal gruppo dirigente della stessa (Giacomo Tauro, direttore della testata, Credaro e Paolo Vecchia, che ricoprivano incarichi di prestigio nell’Associazione, e altri) già nel 1905: ma la “base” volle mantenere il vecchio assetto (cfr. la scheda, firmata dallo scrivente, Bollettino dell’Associazione Pedagogica tra gl’insegnanti delle Scuole normali..., in G. Chiosso (a cura di), La stampa pedagogica e scolastica in Italia (1820-1943), Brescia, La Scuola, 1997, pp. 108-110). Questa circostanza, sinora poco nota, aiuta a comprendere l’“emergenza” e al tempo stesso l’“urgenza” della individuazione e costruzione di un “casa comune” e dell’approntamento di uno “strumento” di diffusione (e di battaglia) per il fronte antidealista

[4]  In riferimento alla pubblicazione fondata da Credaro sarà usata, nel testo, questa dicitura.

[5]  Cfr. Atti dell’Associazione Nazionale per gli Studi Pedagogici (di seguito, Atti dell’Associazione), in Riv. Ped., a. I, n. 7-8, luglio-agosto 1908, pp. 741-746.

[6]  Ricordiamo, di Bernardino Varisco, Scienza e opinioni (1901), I massimi problemi (1910), Conosci te stesso (1912) e l’opera postuma (1939) Dall’uomo a Dio.

[7]  Cfr. Il nazionalismo morale di Bernardino Varisco, in G. Chiosso, L’educazione nazionale..., cit., pp. 52-77.

[8]  Su Varisco v. Francesco Bonatelli, Roberto Ardigò, Giovanni Vailati, Erminio Juvalta, Giovanni Gentile, Francesco De Sarlo, Piero Martinetti e altri, Lettere a Bernardino Varisco (1867-1931). Materiali per lo studio della cultura filosofica italiana tra Ottocento e Novecento, a cura di Massimo Ferrar, Firenze, La Nuova Italia, 1982; e ancora .Bernardino Varisco e la cultura filosofica italiana tra positivismo e idealismo. Atti del convegno di Chiari (Brescia) 8-10 dicembre 1983, a cura di Massimo Ferrari, Chiari, Edizioni Fondazione Morcelli-Repossi, 1985.

[9]  Su De Sanctis v. Federico Bianchi di Castelbianco, Magda Di Renzo, Rosella Prestinenzi Parisi, Bruno Tagliacozzi, Sante de Sanctis. Conoscenza ed esperienza in una prospettiva psicologica, Roma, Edizioni Scientifiche MA.GI., 1998. Più in generale, sulle origini della psicologia italiana, vanno menzionati, oltre a, Lineamenti della psicologia italiana 1870-1945, Firenze, Giunti-Barbèra, 1981, i numerosi lavori di Giuseppe Mucciarelli (Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana , Bologna, Pitagora, 1982; Giuseppe Sergi nella storia della psicologia e dell’antropologia italiana, Bologna, Pitagora, 1987; Vittorio Benuss nella storia della psicologia italiana, Bologna, Pitagora, 1987, raccolte di atti di convegni, e ancora La psicologia italiana: fonti e documenti, in 2 voll., pubblicati sempre dalla Pitagora di Bologna dal 1982 all’84), e il recentissimo Giorgio Soro (a cura di), La psicologia in Italia: una storia in corso, Milano, Franco Angeli, 1999. I rapporti fra la nascente psicologia sperimentale italiana e la nostra coeva pedagogia, che furono fittissimi, sono ancora tutti da approfondire

[10] Cfr. La Rivista, Classi normali speciali e asili-scuola secondo il Prof. S. de Sanctis, in Riv. Ped., a. II, n. 2, novembre 1908, pp. 218-220.

[11] Nell’anno accademico 1906-07 De Sanctis poté infatti volgere nell’Ateneo della capitale il primo corso di Psicologia sperimentale dopo aver conseguito lo straordinariato (1° giugno 1906) vincendo un concorso indetto dall’allora Ministro della P.I. Leonardo Bianchi, illustre biologo il quale, assistendo al Congresso internazionale di Psicologia svoltosi a Roma nell’aprile 1905 (con lo studioso umbro, fra l’altro, fra i protagonisti) si era convinto della necessità di schiudere le porte dell’Università alla nuova disciplina (il concorso prevedeva l’istituzione della cattedra anche presso gli atenei di Napoli e Torino). De Sanctis ottenne anche, di lì a poco (R.D. 6 luglio 1907), il riconoscimento e l’istituzione per legge dei laboratori di Psicologia sperimentale. Questi ed altri interessanti dati si possono reperire in L’insegnamento della Psicologia Sperimentale nella R. Università di Roma, di Maria Antonietta Maccagno, in Riv. Ped., ottobre 1910, pp. 754-770 (le notizie qui riportate sono a pp. 759-760).

[12]  È da aggiungere che il suo I Sogni (1899) fu testo frequentemente citato ed ampiamente utilizzato da Sigmund Freud; altre opere di De Sanctis furono Educazione dei deficienti (1915), Trattato di psichiatria forense (in collaborazione con S. Ottolenghi, 1920), Trattato di psicologia sperimentale (1930).

[13]  Docente di Storia della Filosofia nei Licei e nell’Ateneo della capitale (cfr. Atti dell’Associazione..., in Riv. Ped., a. I, n. 7-8, luglio-agosto 1908, cit.).

[14] Tauro insegnò successivamente nelle Università di Cagliari, Bologna e Roma. Scrisse Introduzione alla pedagogia generale (1906), Il silenzio e l’educazione dello spirito (1922) e La pedagogia e la vita (1930). Resta fu, dal 1925, Prof. di Pedagogia all’Università di Messina e in seguito a quella di Genova. Di lui si ricordano I problemi fondamentali della pedagogia (1911), Trattato di pedagogia (1919), La filosofia dell’educazione (1942).

[15] Cfr. M. F. Sciacca, Il secolo XX, cit., pp. 207-212, e F. Cambi, L’educazione tra ragione e ideologia..., cit., pp. 37-39. Alla luce, però, degli sviluppi della riflessione teoretica del Resta, è probabile che la definizione di “neokantiano” proposta dagli interpreti alluda (e vada circoscritta, a nostro parere) alla formazione del pedagogista pugliese - riguardo alla quale i testi menzionati non forniscono alcuna informazione.

[16] Cfr. R. Resta, L’obiettività della scienza e la pedagogia, in Riv. Ped., ottobre-dicembre 1920, pp. 470-484.

[17] Cfr. Id., Il lavoro nel suo significato filosofico-religioso, in Riv. Ped., aprile 1928, pp. 249-263 (il brano citato è a p. 261).

[18] F. Cambi, L’educazione tra ragione e ideologia, cit., p. 38.

[19] Presente sin dal primo fascicolo della Rivista, con il suo Sulla periodicità dell’attività psichica durante l’anno scolastico (in Riv. Ped., a. I, n. 1, gennaio 1908, pp. 62-69). Notevole, del resto, il suo saggio, sempre nella prima annata del periodico, su La pedagogia sperimentale di Ernesto Meumann (ivi, a.I, n. 6, giugno 1908, pp. 528-538 e a. I, n. 7-8, luglio-agosto 1908, pp. 619-629) - caso non troppo frequente, nella pubblicazione, di approfondimento dell’opera uno studioso ancora in piena attività scientifica (in genere si privilegiò l’analisi di figure la cui parabola biografica, anche soltanto teoretica, poteva dirsi conclusa)

[20]  Conseguita, ancor giovanissimo, la cattedra di Pedagogia all’Università di Messina, Della Valle, dal 1919, fu ordinario di questa disciplina all’Università di Napoli (ove ebbe anche l’incarico di storia della filosofia).

[21] Guido Della Valle, Teoria generale e formale del Valore, come fondamento di una Pedagogia filosofica, vol. I, Le premesse dell’Axiologia pura, Torino, Paravia, 1916. Ma anche: La conoscenza come forma di valutazione, 1937.

[22] Seguì i corsi di Psicologia sperimentale di De Sarlo a Firenze e di Wundt a Lipsia. Nel 1905 pubblicò a Napoli Lo sviluppo della coscienza.

[23] Guido Della Valle, Le leggi del lavoro mentale, Torino, Paravia, 1910.

[24] Id., La pedagogia realistica come teoria dell’efficienza, Napoli 1925.

[25] Alludiamo all’individuazione di una particolare “generazione” nel novero degl’intellettuali che parteciparono all’esperienza della Rivista. Oltre al dato cronologico, essenziale per tale definizione è anche un certo nucleo teoretico-ideologico comune, che poi condusse le diverse parabole individuali a convergere in esiti a tutti gli effetti piuttosto ravvicinati: certamente non identici. Della Valle per esempio, assunse nei confronti del fascismo un atteggiamento ben diverso da quello che abbiamo poc’anzi riscontrato in Resta

[26] Una generazione che va collocata fra quella dei filosofi e pedagogisti in qualche modo “fondatori” della Rivista, che giunsero dunque a questa esperienza con un patrimonio teorico già chiaramente definito, e quella (che conosceremo in seguito) composta da intellettuali che propriamente “nacquero” nel periodico, svolgendo integralmente in esso il proprio percorso di ricerca.

[27] L’apporto di Della Valle, invece, che fu fino agli anni di guerra un protagonista della Rivista, si fece assai meno consistente nei decenni successivi.

[28] Insegnante di Pedagogia nelle Scuole normali e Libera Docente nell’Università di Roma.

[29]  A partire dall’anno seguente (1913) - e si rivelerà questo l’assetto definitivo, da tale punto di vista, della pubblicazione - sarà la Società Editrice “Dante Alighieri” di Albrighi, Segati & C. a farsi carico della stampa della Rivista.

[30]  Pubblicò dal 1909 al ‘22 la Rivista di filosofia.

[31] Insegnò successivamente pedagogia ed estetica nell’Istituto Superiore di Magistero di Torino, e, come libero docente, pedagogia nell’Università del capoluogo piemontese.

[32] Insegnò filosofia all’Università di Napoli, e successivamente (dal 1902 alla prematura scomparsa nel 1909) fu titolare della cattedra di Filosofia Morale all’Università di Torino. Vanno ricordati i suoi La filosofia morale e il suo problema fondamentale (1902) e Le basi dell’umanesimo (1907).

[33] Ritroveremo fra breve il nome del filosofo irpino in un contesto che inserendolo a pieno titolo nel discorso-Rivista giustificherà questa breve digressione concernente la sua impostazione etico-morale.

 

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