La Mediazione PedagogicaLiber Liber

La Rivista Pedagogica (1908-1939)
di  Marco Antonio D'Arcangeli

E fu questo Consiglio di Redazione, dopo l’invio di Credaro in Trentino[115], a gestire in pratica il periodico - anche se nominalmente il pedagogista valtellinese conservò il suo ruolo - fino a tutto il 1922. La Rivista aveva mantenuto, in tutti gli anni precedenti il conflitto, il carattere di mensile - solo occasionalmente essa era uscita con fascicoli doppi, cioè ogni due mesi. Ed è questo un chiaro sintomo di espansione e di solidità; la guerra creò in questo senso delle ovvie difficoltà, finché avremo, nel 1918, un fascicolo luglio-dicembre. Nel 1919 usciranno cinque fascicoli - e così fino a tutto il 1922; nel ’23, da luglio, sarà riassunto il carattere mensile, con l’unica eccezione per i mesi di agosto e settembre - nei quali era allora sospesa l’attività didattica - “ricompresi” in ottobre ( ma questa abitudine si ebbe in sostanza fin dalle prime annate del periodico, che mai uscì, propriamente, con 12 fascicoli annuali). Sarà così fino al 1927: nei due anni successivi si unificheranno però i numeri di giugno e luglio - istituzionalizzando una variante solo rarissimamente attuata in passato - mentre dall’aprile-maggio 1930 si tornerà, definitivamente, alla formula dei cinque fascicoli annuali (unica eccezione sarà costituita dal ‘35, annata in cui si ebbero soltanto 4 fascicoli, con i numeri maggio-settembre ed ottobre-dicembre). Questo breve excursus sulla frequenza di pubblicazione della Rivista non costituisce il soddisfacimento di una semplice curiosità erudita, ma un dato se vogliamo “quantitativo” che sommato ad altri di differente natura può indicarci la strada per iniziare a delineare le diverse “epoche” nella storia del periodico. Se lo stato di guerra può fornirci una scontata spiegazione delle difficoltà editoriali fra il ‘16 ed il ‘19, già la stentata ripresa che si protrae fino a tutto il 1922 induce a qualche riflessione. Ma quando Credaro riassunse l’effettiva direzione della pubblicazione, ecco in coincidenza un certo rilancio della Rivista, una fase di indubbia prosperità che riesce a raggiungere gli anni ‘30. Ed in anni difficili: la Riforma Gentile del ‘23 ed il Concordato del ‘29 rappresentarono due colpi durissimi per il modello pedagogico-politico ch’era portato avanti dal gruppo raccolto nel periodico di Credaro, mentre il progressivo consolidamento dello Stato autoritario fascista ridusse progressivamente quei margini di aperto e verace confronto di posizioni ch’era nutrimento essenziale per un periodico che di tale dialettica, in pratica e per una precisa scelta, aveva sempre vissuto e voluto vivere. Dopo il 1930, infatti, si evince dai nostri dati l’avviarsi di una fase di declino che condurrà, sul finire del decennio, alla scomparsa della pubblicazione. E si apre la questione della individuazione dei fattori che resero possibile la ”resistenza” negli anni ‘20, come ‘impone la necessità di cogliere quei successivi mutamen i che dovettero provocare il finale dissolvimento della Rivista. La definitiva effettiva riassunzione della Direzione del periodico da parte di Credaro si ebbe al principio del 1923 [116]. A quest’ultima occasione è legato un interessante episodio di crisi” - senz’altro l’unico, se mai ve ne furono altri, chiaramente documentabile - in seno alla direzione della Rivista. Sul declinare del 1922, infatti, R. Resta ed E. Formíggini-Santamaria rassegnarono le proprie dimissioni dal Consiglio di Redazione[117], determinate, precisarono rivolgendosi a Credaro, non soltanto [...] dalla doverosa correttezza di rimetterLe il mandato ricevuto, cessata la causa che lo ha suggerito (il pedagogista valtellinese, infatti, era stato estromesso dall’incarico in Trentino per cui poteva tornare a dirigere il periodico); ma, in verità principalmente, da un motivo più profondo [118]: in sostanza essi non condividevano più gran parte dell’impostazione che il Direttore aveva voluto imprimere al periodico sin dal 1908. La denunzia dell’intensificazione, col trascorrere degli anni, delle incompatibilità scientifiche in seno alla redazione del periodico, apre la contestazione, da parte della Formíggini Santamaria e del Resta, dell’“eclettismo”[119] della pubblicazione che, secondo la loro opinione, era divenuto un anacronismo di fronte alle modalità che andava assumendo il dibattito filosofico-pedagogico nel nostro Paese. Un pensiero, più ancora che ben delimitato [...] aggressivo e disdegnoso dei risultati conseguiti da studiosi non simpatizzanti colle proprie vedute (il riferimento all’attualismo gentiliano è evidentissimo), raccoltosi intorno a dei periodici più recenti [120], sottoponeva ormai la Rivista ad attacchi incessanti. La rinuncia alla larghezza di ospitalità che opportunamente si era voluta mantenere fino allora[121] si palesava, di fronte ad un simile atteggiamento esclusivistico, come inevitabile, secondo i due redattori dimissionari: ed era necessario che la pubblicazione assumesse un più determinato carattere filosofico - o meglio che esprimesse solo ed evidente quel carattere realistico che il suo Direttore aveva indicato nel programma iniziale [122]. Essi in sostanza proponevano che dalle ceneri della “vecchia” Rivista vedesse la luce un periodico che raccogliesse esclusivamente le file numerose di quegli studiosi che condividevano, con la concezione realistica del mondo, una concezione realistica della pedagogia [123]. Secondo la Formíggini Santamaria e Resta, del resto, la nascita di una pubblicazione a carattere schiettamente realistico costituiva esigenza oggettiva della nostra cultura e dunque la trasformazione in tal senso della Rivista si palesava come l’unica possibilità di rispondere in modo adeguato alle effettive necessità del momento. Ma Credaro, ne L’ultima tappa, rispose con un cortese diniego alle proposte dei suoi due allievi e collaboratori. La direzione della Rivista - precisò il pedagogista valtellinese - pur apprezzando il valore della “osservazione”[124]  dei “due [...] Redattori”, ritiene di non dovere “chiudere la porta in faccia a nessuno studioso serio e leale [...] Nulla è meno filosofico che il volere una filosofia sola; e nulla sarebbe meno realistico che far conoscere ai lettori nostri un indirizzo pedagogico unico”[125].

Risultava così riproposto il carattere di “libera tribuna” della pubblicazione: “qualche nube apparsa sull’orizzonte non può variare il nostro cammino[126]. Siamo di fronte ad una replica, per la verità, assai debole: l’analisi compiuta dalla Formíggini-Santamaria e da Resta è in pratica ignorata, ed alle loro conclusioni si oppongono considerazioni di maniera, che in ogni caso sembrano voler ostinatamente ignorare i pericoli insiti nell’atteggiamento aggressivo ed intollerante degli attualisti - che col Gentile Ministro del Governo Mussolini erano giunti, fra l’altro, “al potere”. L’espressione qualche nube apparsa sull’orizzonte, se riferita, come appare probabile[127], agli sconvolgimenti dell’assetto politico verificatisi nei mesi immediatamente precedenti, non appare, a dire la verità, espressione di un’esatta percezione dell’entità dell’accaduto (anche se questa sottovalutazione potrebbe essere volontaria, a mò di sfida). Una grossa delusione interiore doveva essersi abbattuta sull’animo di Credaro dopo i fatti trentini, una sorta di rifiuto della politica, a cui aveva dedicato tante energie[128] : ed è sintomatico ch’egli definisca questo suo ritorno al periodico come una definitiva, appunto, ultima tappa (vi fosse pure costretto dalla consapevolezza della piega che avrebbero preso successivamente gli avvenimenti - ma ciò sarebbe smentito dallo spirito battagliero con cui si mosse nel periodo immediatamente successivo). In effetti, nel breve volgersi di pochi mesi, egli dovette assistere allo smantellamento di tutto un mondo che aveva contribuito a costruire ed in cui aveva sempre fermamente creduto. E sul momento, forse, non seppe reperire le forze per reagire e battersi. Fatto sta ch’era insufficiente riproporre quelle parole del ‘16 con le quali si affermava che ogni ragionevole teoria, per quanto unilaterale, può recare frutti all’educazione; molto, quasi tutto, dipende dall’applicazione e dall’uso che si sa farne[129], in pratica invitando alla moderazione gl’idealisti; mentre aggiungere che la Rivista mantenne fede al suo programma liberale [130], scegliendo proprio quel termine, in quel cruciale momento della nostra vicenda istituzionale, per definire l’impostazione di estrema apertura alle diverse opinioni degli studiosi che aveva sempre caratterizzato il periodico, era veramente dire troppo poco, era pronunziare troppo vaga allusione ad una idealità che ‘intendeva ribadire e difendere - costituiva una presa di posizione eccessivamente velata di fronte all’emergenza della situazione politica. In effetti Resta e la Santamaria-Formíggini coglievano nel segno affermando che, di fronte ad un avversario ben serrato nelle sue fila, grazie anche ad un impianto teorico chiaro e perfettamente articolato, e che procedeva intenzionalmente nella direzione dell’annichilimento e dispersione delle posizioni contrastanti con la propria, era divenuto del tutto inutile rispondere invitandolo ad un congresso pedagogico permanente; sostanzialmente, poi, il loro era un richiamo ad una ormai indispensabile auto-chiarificazione teoretica e financo ideologica, che sola avrebbe consentito di opporsi efficacemente ai gentiliani. Credaro non ignorava senz’altro queste realtà: ma, cosciente della diversità delle impostazioni che convivevano nella Rivista, e per non minarne in modo irrimediabile la coesione, per evitare una dispersione delle forze, in un frangente così delicato, ritenne di dover respingere l’idea dell’assunzione di un’univoca posizione teoretica; del resto nulla era più distante dalla sua mentalità che il settarismo, di qualsiasi connotazione o colore, e procedere nel senso indicato dai due Redattori dovette apparirgli come un porsi sul piano degli avversari, ch’egli risolutamente rifiutava. L’assunzione di impostazioni rigidamente esclusiviste era all’origine, secondo Credaro, di quel vezzo della polemica astiosa e faziosa, condotta nei confronti della persona anziché sulle idee da questa espresse, che costituiva a suo parere il limite e il difetto peggiore della nostra cultura; egli rifiutava programmaticamente di impegnarsi in confronti di questo genere, che per il modo stesso in cui erano concepiti e condotti, risultavano privi, secondo lui, di qualsiasi valore e funzionalità scientifica.Al di là però della negativa risposta opposta alla specifica proposta presentata dai due redattori dimissionari (i quali fra l’altro l’anno successivo, il 1924, tornarono a collaborare con la Rivista), Credaro (superato quello scoramento, quel momento di estremo abbattimento cui accennavamo poco sopra) ed anche sostanzialmente tutto il “suo” gruppo ne colsero, in pratica, gli spunti: col suo ritorno alla effettiva Direzione, dal ’23, il periodico mostrò un netto salto di qualità, nei temi affrontati come nella caratura dei personaggi che proponevano i loro contributi; e questo che ormai giocoforza veniva a definirsi come un fronte anti-idealista, pur nelle sue interne differenziazioni, compì in effetti proprio nel prosieguo degli anni ‘20 il suo massimo sforzo teoretico, anche in direzione della possibile definizione di una piattaforma comune (anche se dal progressivo sviluppo delle impostazioni dei singoli scatur proprio la consapevolezza dell’impossibilità di raggiungerla). Al di là della riaffermazione programmatica della libera tribuna, anche spintovi dall’incalzante ed iconoclasta polemica attualistica, il periodico in effetti nel periodo immediatamente successivo dovette prendere posizione, e lo fece, sebbene non in nome di una unitaria ed esclusiva impostazione teoretica, con nettezza, rigettando la negazione dell’autonomia della pedagogia, e della sua scientificità in senso sperimentale, oltre a quelle risoluzioni meramente dialettiche delle antinomie presenti nel fatto educativo, che erano caratteristiche dell’attualismo gentiliano. Altro discorso è che poi, tutto sommato - e di ciò Resta e la Santamaria-Formíggini non erano affatto consapevoli, e forse un pò di più, sia pure istintivamente, poteva esserlo e lo fu, tutto sommato, Credaro, con la sua avversione alla ”metafisica” - ‘erano compromissioni a monte con l’avversario, e una dipendenza innegabile da presupposti comuni che poi - se vogliamo per un attimo considerare il problema nel suo aspetto più generale - definivano in modo assai limitante il possibile sviluppo del confronto teoretico nel nostro ambiente filosofico; e dunque, a parte i limiti delle capacità speculative dei singoli, questo approfondimento in seno al “gruppo” in sostanza, a seconda dei casi, o condusse in braccio allo stesso idealismo, o al ritorno allo spiritualismo, o ad assoluti ”realismi” altrettanto anacronistici e lontani dai temi della contemporanea filosofia continentale. In fondo, era la medesima “aria” quella che si respirava - solo che le soluzioni della parte avversa si rivelarono senza ombra di dubbio più chiare, coerenti ed approfondite.Nel primo Fascicolo del 1924 apparve Il XVII anno della Rivista Pedagogica  [131]che fu poi, in sostanza, un appello di Credaro ai lettori affinché continuassero a sostenere la pubblicazione, impegnata nel serrato sforzo (di cui era pratica testimonianza il ritorno alla formula del mensile, come qui è esplicitamente sottolineato) di difesa del proprio modello pedagogico che sembrava dover essere travolto dall’affermazione anche di carattere “politico” dell’attualismo, con l’approvazione della Riforma delle nostre istituzioni scolastiche elaborata dal Ministro Gentile. Fra l’altro, in calce al contributo del pedagogista valtellinese, venne pubblicato l’elenco completo dei collaboratori della Rivista a partire dal 1908 [132]quasi a “tirare le fila” ed a ribadire - anche a sé stessi - i “titoli” e la legittimità di una tradizione culturale ed intellettuale. Nei confronti della Riforma Gentile l’opposizione della Rivista fu molto vivace: lo testimonia la nota di Credaro nel fascicolo di luglio dello stesso 1924, Presentazione[133] - fra l’altro siamo di fronte all’unico caso in cui il Direttore faccia sentire la sua voce con questo tipo d’interventi a così breve distanza di tempo, e ciò indica di per sé la delicatezza del momento. Con una nota ironica il pedagogista valtellinese definisce qui movimentato [134]  l’anno scolastico che si era appena concluso, con allusione evidente agli sconvolgimenti prodottisi nelle strutture educative in seguito all’attuazione immediata che Gentile aveva fermamente voluto fosse data ai suoi provvedimenti. Gli avvenimenti, parmi, ancora una volta, hanno dato ragione al nostro realismo pedagogico [135](un ”realismo”, dunque, sebbene non metafisico, dovette comunque sostenere Credaro - ma lo aveva, in pratica, sempre fatto); mentre gli studi che noi veniamo pubblicando, in questa vecchia ma sempre vigorosa Rivista, sono una conferma della nostra antica convinzione: che il realismo pedagogico (notiamo l’insistenza su questo termine) inspirato e sostenuto da un grande amore di patria, nutrito di dottrina scientifica e di esperienza sociale, sempre disposato al buon senso e al consenso degl’insegnanti e delle famiglie, è il solo che possa mantenere nel giusto binario la fantasia riformistica e farci evitare gli errori, dai quali non basterebbero a salvarci la grande fede, l’alto ingegno, la vasta cultura[136]. Il realismo che Credaro consapevolmente assume e difende è definito qui nel riferimento all’esperienza, intesa in senso molto ampio (in essa rientra senz’altro il collettivo consenso) come punto di partenza e banco ineludibile di prova di qualsiasi teorizzazione pedagogica. Una direzione di marcia che sembra definirsi in maniera ancor più netta in Ai collaboratori e ai lettori, nel Fascicolo 28 gennaio 1926 [137]era stata la sostanziale sconfitta nella battaglia condotta contro la Riforma gentiliana, ma non c’è traccia di cedimento sotto il profilo ideale, anzi è qui sottolineato come la Rivista Pedagogica vada sempre più orientandosi verso la ricerca scientifica e storico-sociologica, pur conservando immutato il suo programma due volte decennale (e cioè la sua caratteristica di congresso pedagogico permanente) e viva la sua fede nell’avvenire dell’educazione nazionale italiana, che è tanta e tanto feconda parte della educazione umana[138] (un riconoscimento alieno però da ogni nazionalistico primato). Di tono maggiormente auto-celebrativo è invece Il ventesimo anno[139] anche se vi si accenna ad uno sforzo per produrre di più e di meglio per il progresso della scienza dell’educazione[140] (un termine che, come sappiamo, Credaro mutuava dal Rein e non usava a caso, intendendo specificamente un’impostazione scientifico-sperimentale delle problematiche educative). Rilevato quest’accento posto dal Direttore della Rivista sul “realismo scientifico” in ambito pedagogico, sarà da verificare se, ed in quale misura, ad esso corrisponda un tangibile riscontro sui fascicoli del periodico - rilevare se, ed in che modo, fu tradotto in pratica dallo stesso Credaro, e chi, eventualmente, lo condivise con lui per saggiare, in sostanza, tenendo conto della diversità delle impostazioni che convivevano nella pubblicazione, quanto concretamente incise sull’andamento della Rivista. Ma non sarà male anticipare come nella seconda metà degli anni ‘20 un consistente numero di pedagogisti legati al periodico iniziasse a percorrere sentieri se non diametralmente opposti, quantomeno ben diversi da quello indicato dal Direttore della pubblicazione. Significativa può essere anche un’assenza: e che la solita nota, programmatica, polemica, o celebrativa che fosse, di Credaro [141], non appaia nel 1937, quando la sua Rivista entra nel trentesimo anno di vita, è fatto singolare che induce a riflettere ricercandone le cause [142]. Certamente il Direttore, pur se in misura molto ridotta, continuava a fornire suoi contributi alla pubblicazione. In quello stesso anno apparvero Pedagogia coloniale inglese [143] ed un paio di recensioni, di cui una però piuttosto “sospetta”, visti i toni alquanto elogiativi, al libro di A. Cammarata  Pedagogia di Mussolini [144]. Per quanto dunque l’età avanzata del Direttore sia un dato di fatto incontrovertibile, altrettanto chiaro è che questi fosse senz’altro in grado di redigere il suo tipico contributo. Ma non lo fece, e vien da pensare che non volle. Vi sono indubbiamente molti punti controversi nella esatta definizione del suo rapporto col Fascismo in questi ultimi anni della sua esistenza: ma questo tema, che abbiamo introdotto con la citazione effettuata poco sopra, e che riveste per noi particolare significato soprattutto in quanto è la ricostruzione della vicenda biografica ed intellettuale del pedagogista valtellinese il fine primario della nostra indagine[145] sarà da noi sviluppato, ovviamente, soltanto in seguito, per quanto a tutti gli effetti sembri esservi una certa relazione fra la sua risoluzione e una delucidazione del problema di cui qui andiamo facendo specifico esame. Ed in effetti, secondo la nostra interpretazione, il rapporto fra le due questioni c’è, ma va invertito, ed è sulla portata dell’eventuale adesione del pedagogista valtellinese al Regime che l’assenza della nota può dare delle indicazioni. Un Credaro (a 77 anni) fascista “convinto” non si vede perché avrebbe dovuto ritenere opportuno non stendere il suo solito contributo. Avrebbe potuto, in sostanza, scrivere, come fece il suo allievo e collaboratore R. Resta - che nel Regime si identificava pienamente, da tempo - all’indomani della scomparsa del pedagogista valtellinese, sull’unico fascicolo uscito nel 1939, che la Rivista Pedagogica avrebbe continuato la sua vita (cosa che poi non si verificò) ma rinnovata nella sua direzione e fatta, sempre più attivamente, interprete del rivolgimento spirituale operato nella Patria dal Fascismo e tradotto nella Carta della Scuola da G. Bottai, con radicale riforma di principi pedagogici e d’istituti scolastici[146]. L’illusorietà e l’aleatorietà del “programma” di Resta fu presto dimostrata dagli eventi: ne fosse in qualche modo consapevole, o meno, egli in pratica stava pronunziando l’atto di auto-dissoluzione della Rivista, che una volta appiattitasi totalmente sulle posizioni del Regime, avrebbe perso qualsiasi ragion d’essere, di fronte a consimili periodici che a tale funzione di fiancheggiamento e di cassa di risonanza propagandistica già si dedicavano attivamente da tempo. In ogni caso soltanto “in morte” di Luigi Credaro [147] si ebbe l’esplicita formulazione di questi intenti di “rinnovamento” del periodico. D’altro canto, è pur vero che, come vedremo a suo tempo, la pubblicazione, in particolare dal 1935 in poi, si era via via sempre più compromessa con l’ideologia dominante, per cui si può anche affermare che Resta venisse a sanzionare una realtà di fatto, effettuando la sua “svolta”. Che fu letale, come sappiamo: ma l’esistenza del periodico, da anni, si era fatta precaria [148], e ridotta la sua contenenza, in quantità e qualità, con eccezioni sempre più sporadiche, per non dire di un senso di “stanchezza” che nelle pagine della Rivista chiaramente si avverte, soprattutto, di nuovo, dopo il 1935 - che possiamo meglio definire come uno smarrimento, tutto sommato, del senso del proprio operato.Dunque è da ipotizzare che Credaro, si fosse anche avvicinato al Fascismo, non vi ader al punto da perdere la consapevolezza che in ogni caso il proprio “programma” (non soltanto pedagogico, evidentemente) e quello del Regime non coincidevano affatto; senz’altro tentò poi, fino all’ultimo, di conservare una sorta di autonomia al suo periodico, anche perché, probabilmente, si rese conto che soltanto in questa maniera la pubblicazione avrebbe potuto, al limite, sopravvivere - magari confidando nell’avvento di tempi migliori. Ma restano da chiarire i motivi per i quali non venne comunque ribadita la tradizionale impostazione della Rivista. Egli, nei fatti, aveva perso irrevocabilmente - e non è da credere che non se ne rendesse conto, di fronte al declino del periodico a cui aveva assistito negli anni precedenti, ch’era tramonto di tutto un patrimonio ideale, auto-dissoltosi, in pratica, disperdendosi nelle impostazioni che aveva sempre avversato: Credaro non poteva ignorare che con lui sarebbe finita la Rivista e tutto ciò che essa aveva significato. Come del resto è da ipotizzare l’affacciarsi in lui della consapevolezza che la propria sconfitta non fosse da attribuire a mera fatalità, o a fattori comunque “esterni”, ma che, al contrario, le sue cause andassero ricercate proprio all’interno di quel patrimonio d’idee che aveva da sempre caratterizzato il pensiero e diretto l’azione del pedagogista valtellinese. Di fronte all’evidenza dei fatti, Credaro poté quantomeno constatare l’illusorietà e l’inadeguatezza di certe prese di posizione, teoretiche e pratiche: e rendersi conto di non aver valutato a dovere, nell’assumerle, il loro reale significato in termini di presupposti e conseguenze. Pensiamo, per esempio, a quella sua concezione della pedagogia di derivazione “herbartiana”, che vedeva in fondo l’educazione passivamente e acriticamente atteggiata nei confronti dei valori imposti dal contesto storico-sociale, e per questo pronta a farsi strumento oppressivo (tanto più efficace quanto più ”scientificamente” organizzata) al servizio di qualsiasi autoritario regime - tutto questo ora gli saltava agli occhi; alludiamo alla sua stessa “tolleranza” teoretica, in ogni caso troppo spesso adoperata a sproposito - al punto d’irritarci, è quasi - tutto sommato, poi, sublimazione di un’inconfessabile impossibilità di definire in un senso più chiaro le proprie impostazioni senza trovarsi di fronte ad insolubili antinomie - lo sfaldamento del “fronte”, i rinnovati voli verso i cieli metafisici testimoniavano chiaramente questa verità; ci riferiamo a quel suo moderatismo attendistico sul terreno politico, espressione delle “paure” di natura ideologica che facevano ritrarre con sgomento di fronte alle conseguenze che sarebbero potute derivare dall’assunzione di atteggiamenti più netti e radicali in favore delle rivendicazioni delle masse popolari - esitazioni e timori le cui conseguenze poteva, ora, facilmente verificare. “Herbartismo”, “tolleranza” e ”attendismo” che avevano del resto il loro comune denominatore in quel suo fiducioso ottimismo evoluzionistico, per il quale tutto si sarebbe svolto in direzione dell’accrescimento delle energie intellettuali e morali dell’umanità, che gli si mostrava a questo punto in tutta la sua ingenuità, drasticamente smentito com’era dal mondo che lo circondava (per questo tende a farsi fatalismo), ma anche, forse, nel suo intrinseco carattere auto-illusorio, visione a tutti gli effetti (ed è discorso di carattere generale) “compensativa” di una ideologica incapacità di cogliere le reali radici degli eventi, nascondiglio dal quale non giungevano alla vista quelle contraddizioni reali ed ideali della propria epoca che non permettevano affatto vie intermedie o soluzioni conciliative. Del resto era rimasto solo, visto che anche i suoi più intimi collaboratori altro non desideravano che celebrare i fasti del Regime. Uomo ispirato da un severo concetto di dignità personale, riposta in un’estrema franchezza nei confronti di sé stesso che del resto implicava una valutazione spassionata dell’opportunità delle proprie azioni, Credaro non volle, in quel lontano 1937, cadere, tutto sommato, nel “ridicolo” della riproposizione (che poi sarebbe stata soltanto malinconica) di un “programma” sconfitto irrevocabilmente dalla storia, perché intrinsecamente debole ed insufficiente, ed al quale soprattutto, a parte le compromissioni, gli abbandoni e i “tradimenti” degli altri, non credeva più nemmeno lui stesso.



[115]  Cfr. nota a firma La Redazione, in Riv. Ped., luglio-settembre 1919, p. 364.

[116]  L. Credaro, L’ultima tappa, in Riv. Ped., gennaio-febbraio 1923, pp. 1-2

[117]  Emilia Formíggini-Santamaria - Raffaele Resta, All’onorevole Direttore della Rivista Pedagogica, in Riv. Ped., ottobre-dicembre 1922, p. 385-386.

[118]  Ivi, p. 385.

[119] L’uso di questo termine non era, affatto, casuale. Esso va riferito ad una serrata polemica condotta, l’anno precedente, dai periodici della pedagogia attualistica nei confronti della pubblicazione fondata da Credaro. Ne sono testimonianza due brevi interventi, a firma La Redazione, titolati, entrambi, Piccole polemiche - il secondo con l’aggiunta (n. 2), apparsi sulla Rivista Pedagogica nei fascicoli del marzo-aprile (pp. 168-169) e del luglio-settembre (pp. 402-403) del 1921. Nel primo è contenuta una vibrante replica all’Educazione nazionale secondo la quale la Rivista era “destinata [...] a sparire” in quanto si poneva “fuori dall’idealismo” (cfr. cit., p. 168); nel secondo, invece, si fronteggiava l’accusa di “eclettismo” che G.L.R. (ovverosia Giuseppe Lombardo-Radice) aveva rivolto alla pubblicazione dal suo Nuovi Doveri. I redattori della Rivista, con fermezza, precisarono che in essa mai si era sostenuto un pensiero eclettico, ma soltanto “l’utilità [...] della collaborazione di studiosi appartenenti a indirizzi diversi”, i quali indirizzi, del resto, “non avendo ciascuno un proprio organo” avevano “opportunamente collaborato in una stessa rivista”; l’eclettismo della Rivista era dunque da intendersi, per gli estensori della nota, unicamente nel senso di questa collaborazione (cfr. cit., p. 403). Ma, come stiamo per vedere, l’attacco di Lombardo-Radice lasciò il segno, ed anche di quella “utilità” non si ebbe più, da parte di alcuni, in seguito, la medesima certezza.

[120]  E. Formíggini Santamaria - R. Resta, All’onorevole Direttore..., cit., p. 385.

[121]  Ibidem

[122] Ibidem

[123] Ivi, p. 386.

[124]  Credaro si riferisce all’unico brano della “lettera aperta” inviatagli dai due Redattori da lui riportato ne L’ultima tappa: quello a cui fa riferimento la nota precedente, e che è riportato nel testo con varianti assolutamente inessenziali.

[125]  L. Credaro, L’ultima tappa, cit., p. 2.

[126]  Ibidem. Corsivo nostro.

[127]  Volutamente, forse, Credaro maschera il preciso riferimento di questa espressione, preceduta nel testo dal generico “La Rivista continuerà, serena e tranquilla, nella via tracciatasi al suo nascere, quindici anni orsono”. Di seguito viene la citazione della lettera dei due Redattori, e la risposta del pedagogista valtellinese; in precedenza, invece, dopo che erano stati esaltati i progressi della “scienza pedagogica [...] negli Stati più ricchi e civili” a riprova della validità del “programma” del 1908, è citato un brano del suo Seguitando, 1916, di cui ci occuperemo fra breve - che sembra “fatto apposta” per moderare gli eccessi dei neoidealisti; ma al capoverso successivo - a ridosso dell’espressione che c’interessa - segue La Rivista mantenne fede al suo programma liberale, con l’uso un po’ insolito di quel termine, prettamente politico, per designare un programma pedagogico; il che ci fa propendere per l’interpretazione della “nube” come riferentesi al colpo di Stato del 28 ottobre 1922.

[128]  Affermiamo questo in base ad una serie di elementi che comprovano un progressivo ma netto mutamento, a partire da questo periodo , del giudizio di Credaro sul significato ed il valore dell’attività politica. Non va ignorato, fra l’altro, che Gentile in quei mesi si diede a smantellare gran parte della legislazione in materia di Pubblica Istruzione che il pedagogista valtellinese aveva promosso o direttamente legato al suo nome. È senz’altro questo un momento particolare : stanchezza, incertezza, sfiducia, si abbattono sull’uomo-Credaro. Nondimeno saprà riprendersi, come vedremo: ed ingaggerà battaglia anche sul terreno politico, superando questo momento d’istintiva repulsione.

[129]  L. Credaro, L’ultima tappa, cit., p. 2.

[130]  Ibidem.

[131]  L. Credaro, Il XVII anno della “Rivista Pedagogica””, in Riv. Ped., gennaio 1924, pp. 1-4.

[132]  Ivi, pp. 3-4.

[133]  L. Credaro, Presentazione, in Riv. Ped., n. 25 luglio 1924, pp. 505-506. La Presentazione di Credaro fu occasionata dalla peculiarità del fascicolo, nel quale vennero pubblicati congiuntamente i contributi presentati da alcuni pedagogisti della Rivista (esattamente Della Valle, Colozza, Maresca, Tauro, Vidari) al Congresso Internazionale di filosofia, tenutosi a Napoli nel maggio 1924. L’intestazione del n. 25 luglio 1924 fu, infatti, La pedagogia italiana al Congresso Internazionale di filosofia a Napoli (maggio 1924).

[134]  L. Credaro, Presentazione, cit., p. 506. Corsivo nel testo.

[135]  Ibidem.

[136]  Ibidem.

[137] L. Credaro, Ai collaboratori e ai lettori, in Riv. Ped., 28 gennaio 1926, p. 1.

[138]  Ibidem.

[139]  L. Credaro , Il ventesimo anno, in Riv. Ped., gennaio 1927, pp. 1-2.

[140]  Ivi,p. 2.

[141]  Che nel 1935, ricordiamo, aveva dovuto abbandonare, per raggiunti limiti d’età, la sua cattedra di Pedagogia all’Università di Roma. Cfr. I Redattori della Rivista, L’ultima lezione di Luigi Credaro. Discorsi di G. Gentile, V. Brunelli Benetti e R. Resta, in Riv. Ped., a. XXVIII, n. 3-4, maggio-settembre 1935, pp. 518-533.

[142]  Vi sarà, per così dire in sostituzione, un lungo saggio di Lelio CAPPIELLO, avvocato sorrentino, intitolato Il trentennio della Rivista Pedagogica. Il fondatore (Riv. Ped., n. gennaio-febbraio 1937, pp. 1-34) quasi una anticipata commemorazione di Credaro, un bilancio definitivo su una parabola che si dava, comunque, già per conclusa. Questi saggi sui grandi protagonisti della Rivista costituirono, per così dire, la “specialità“ di Cappiello, come vedremo.

[143]  L. Credaro , Pedagogia coloniale inglese, in Riv. Ped., n. luglio-ottobre 1937, pp. 377-79.

[144]  A. Cammarata , Pedagogia di Mussolini, Palermo, Trimarchi, 2a ediz. rifatta. La recensione (a firma l.c., come spesso fu uso del Credaro, soprattutto nelle ultime annate della Rivista - e comunque si evince chiaramente dai contenuti e dello stile che il lavoro va attribuito al pedagogista valtellinese) è in Riv. Ped., n. gennaio-febbraio 1937 - significativo anche ciò, pensando all’assenza della ”nota programmatica” - nella rubrica Recensioni, p. 118.

[145]  Anche se, come più volte specificato, l’occhio nostro è sempre contemporaneamente rivolto alla sua possibile “tipicità“ nell’alveo dello schieramento “neokantiano” (ed affini), e sarà in effetti interessante verificare se anche riguardo ai rapporti col Regime il suo peculiare percorso evidenzi elementi - ancor meglio se “inconsci” - da poter giudicare di significato e pregnanza “generazionale”.

[146]  Raffaele Resta, Luigi Credaro e la sua vita, in Riv. Ped., n. gennaio-febbraio 1939, pp. 1-3. Nello stesso fascicolo il Resta precisa e sviluppa il suo “programma” - di piena adesione all’impostazione del problema educativo da parte del Regime - con La pedagogia in Italia, pp. 87-92, analizzato da Cambi in L’educazione tra ragione e ideologia..., cit., a p. 38 e 71.

[147]  Cfr. C. Graziani, op. cit., p. 82. In verità Graziani afferma che soltanto scomparso il Credaro tale programma poteva essere formulato. Noi, ciò, lo dobbiamo ancora pienamente dimostrare: prendiamo a prestito la sua efficace espressione per evidenziare quello che fu, in ogni caso, un dato di fatto – cioè che prima della morte del pedagogista valtellinese un’esternazione di questo tipo non si ebbe.

[148]  Nel 1937 v’è un avviso contenuto in un foglio accluso al primo fascicolo dell’annata: Si rivolge un vivo appello ai fedeli abbonati perché vogliano sollecitamente rinnovare l’abbonamento per l’anno 1937 e si prega di voler raccomandare la Rivista Pedagogica ad amici e conoscenti.

 

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