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Brevi considerazioni sul III rapporto sulla formazione nella Pubblica Amministrazione 1999: maggiore attenzione ai contenuti dei programmi
di  Renzo Remotti

1. Riforme amministrative e formazione

Nel Maggio del 2000 è stato pubblicato il III Rapporto sulla formazione nella pubblica amministrazione a cura del Dipartimento per la Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. [1] Si tratta di un documento molto importante per conoscere le ormai molteplici ed eterogenee iniziative in questo settore cruciale per l'innovazione e il mutamento dei servizi pubblici sempre più numerosi e incisivi per la vita democratica di uno Stato. L'esigenza di offrire una costante formazione ai dipendenti della pubblica amministrazione è sempre stata sentita come indispensabile politica destinata ad aggiornare il personale all'evoluzione dell'ordinamento giuridico e delle scienze che, in un modo o in un altro, rientrano nei compiti delle varie amministrazioni centrali o locali. Tuttavia con l'entrata in vigore della legge 241\90 sulla trasparenza dell'amministrazione e le riforme Bassanini anche il processo formativo deve necessariamente mutare. Per una pubblica amministrazione che deve adeguare continuamente la propria azione ai vari ed eterogenei bisogni, che vanno emergendo nel tempo è evidente che la formazione non può mirare solo all'aggiornamento o alla riqualificazione, ma piuttosto a insegnare a coloro che operano negli uffici i diversi modelli organizzativi che sono necessari a nuove e sempre mutevoli attività. Secondo il citato Rapporto la nascita di nuove professionalità anche in seno al settore pubblico è un fenomeno frequente: Si registra infatti una diffusa percezione della necessità di un’evoluzione delle professionalità attualmente disponibili. Quello che si desume dai dati raccolti è l’ampiezza del fenomeno: i nuovi profili di cui, con più urgenza, viene segnalata la necessità, non sono pochi; la domanda di nuove professionalità, assolutamente carenti, va dai profili informatici alla valutazione e monitoraggio di progetti, all’analisi dei costi/ benefici, a tutta la gamma dei controlli, al supporto alla gestione del cambiamento. Si tratta di una domanda che solo in parte può essere soddisfatta con nuove immissioni di personale e che quindi richiede vaste operazioni di riqualificazione delle risorse esistenti, attraverso percorsi di formazione selettivi e di qualità. Il nuovo ordinamento professionale ha creato le premesse per una complessiva operazione di valorizzazione delle prestazioni lavorative dei dipendenti. Anche se cresciuta per effetto della contrattazione collettiva, la domanda di riqualificazione rappresenta però solo una parte della crescente domanda di formazione. Questa è strettamente collegata all’attuazione delle riforme, cioè alla necessità di ripensare modelli organizzativi, svolgere nuove funzioni, applicare nuovi strumenti gestionali. Non si tratta solo di assicurare l’aggiornamento del personale, ma di accompagnare i processi con azioni di assistenza tecnica e di sperimentazione, di passare cioè ad una formazione che supera e integra le tradizionali forme di erogazione." [2] Non si può non notare con soddisfazione l'introduzione del termine "sperimentazione" che può aprire la via a progetti di grande mutamento nell'organizzazione amministrazione. Tutto ciò a patto, naturalmente, che vengano formati gruppi di studio attivi in direzione di questo obiettivo in seno alle diverse pubbliche amministrazioni. Secondo il rapporto la formazione costante dovrebbe garantire una migliore razionalità nell'organizzazione degli uffici e in generale di tutta l'attività pubblica. Non mancano nel documento, tuttavia, elementi di vaghezza.

La lacuna principale riguarda i contenuti che dovrebbe offrire questa nuova formula formativa. Anzi questo aspetto viene addirittura considerato di secondaria importanza: "L’analisi di queste iniziative (che coprono variabilmente dal 10 – per le Regioni – al 30 per cento – per le PA Centrali – del tempo formativo globale) non presenta in questa sede particolare interesse di dettaglio. Si tratta in generale di azioni multidisciplinari tese a creare professionalità atte al migliore inserimento nell’amministrazione riformata con attenzione ai parametri manageriali e tecnici più avanzati. Lo sforzo più importante in quest’area come risulta dalle esperienze più qualificate – il corso concorso della Scuola Superiore, il corso concorso dell’Istituto Tagliacarne e il progetto Ripam gestito dal Formez – è quello di arricchire e aggiornare il curriculum formativo, incentivando i processi di responsabilizzazione gestionale e di attrezzaggio tecnologico e combinando la formazione d’aula con l’esperienza diretta nei contesto lavorativo cui i formandi sono destinati." [3] Questo è un grave limite della relazione. Come si può valutare l'attività formativa della didattica, se non si da un giudizio sul contenuto dei programmi e soprattutto sulla loro utilità? In questo modo c'è il rischio di sottolineare eccessivamente gli aspetti quantitativi, piuttosto che quelli qualitativi. L'estrema velocità del mutamento sociale impone la formazione permanente, ma è necessario fugare il rischio di organizzare una molteplicità eccessiva di corsi con povero contenuto informativo se non, in alcuni casi, di scarso interesse per le persone a cui si rivolgono. Il danno non sarebbe soltanto economico - inefficiente allocazione di grandi risorse economiche - , ma, aspetto più preoccupante per chi si occupa di problematiche educative, il moltiplicarsi di informazioni scarsamente impiegabili nelle varie attività professionali può generare nei fruitori dei corsi una sorta di rifiuto generico per l'attività formativa. I redattori del rapporto, comunque, sono consapevoli di questo limite: "L’aspetto quantitativo da solo non dà l’esatta misura di quello che accade realmente, tuttavia è una spia attendibile del grado di interesse che le amministrazioni riservano a temi, quale quello della riqualificazione delle risorse umane, spesso trascurati. " [4] Nel documento si trova solo una tabella con l'indicazione di dati aggregati, divisi per grandi aree tematiche (Giuridica, organizzazione del personale etc.) Sarebbe utile in un prossimo rapporto conoscere in modo più dettagliato le varie forme di formazione, disaggregando i dati. Un errore molto frequente negli studi di scienza dell'amministrazione è pensare al settore pubblico come un oggetto unico. Ciò non corrisponde alla realtà. Ogni Ente, pur fondato su principi pubblicisti comuni, ha una propria individualità, propri servizi, ed, elemento tutt'altro che secondario, una propria storia e cultura. Se, allora, sociologicamente esistono più pubbliche amministrazioni, la didattica deve essere uniforme per tutta la pubblica amministrazione ovvero, più appropriatamente, differenziata sulla base delle diverse amministrazioni, a cui si rivolge? Se differenziata, quali criteri bisogna seguire per fissare i programmi? La formazione sarà tanto più efficace quanto più aderisce alla realtà amministrativa, a cui si rivolge. Se per esempio si deve organizzare un corso per un ufficio per le relazioni con il pubblico il primo obiettivo da raggiungere è la comprensibilità delle informazioni che vengono fornite. Di conseguenza il personale dell'ufficio dovrà imparare a usare un linguaggio semplice, povero di tecnicismi, pur nel rispetto del rigore, e, soprattutto, esperto delle prassi amministrative vigenti nel luogo ove l'ufficio opera. In altre parole i responsabili dell'ufficio dovranno sapere con esattezza l'iter che una pratica amministrativa seguirà. Solo dopo aver fissato questi obiettivi si potrà fissare il contenuto dei corsi. Per altro a nessuno sfugge che è' sempre illusorio creare dei "pacchetti" preconfezionati, che possono essere offerti indifferentemente a chiunque usufruisca della formazione. E' importante quindi fin dall'inizio dare l'impressione che i corsi sono strettamente funzionali alla professione che si sta svolgendo. Lo stesso rapporto stabilisce alcuni principi generali: "Si tratta quindi di consolidare e sviluppare ulteriormente il cambiamento culturale in atto, tenendo conto che - le pubbliche amministrazioni devono assumere un ruolo di promozione dello sviluppo, modificando radicalmente quelle situazioni in cui esse rallentano lo sviluppo stesso, ostacolando l’avvio di iniziative imprenditoriali o il rafforzamento e il consolidamento di quelle esistenti
- sul piano locale, dove le potenzialità di sviluppo sono chiamate ad esprimersi, le pubbliche amministrazioni locali divengono elementi rilevanti della competizione tra sistemi territoriali, che tende sempre più a caratterizzare l’economia;
- le risorse umane di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni sono essenziali per lo sviluppo del paese, non diversamente dai lavoratori e dagli imprenditori del settore privato; la valorizzazione, la crescita professionale, la motivazione dei funzionari delle pubbliche amministrazioni, e l’inserimento di nuove risorse ad elevata potenzialità costituiscono elementi essenziali di una politica per lo sviluppo economico e sociale del paese, ed in particolare per le aree depresse, dove il ruolo strategico, e spesso anche la rilevanza occupazionale delle pubbliche amministrazioni, sono più significative;
- il cambiamento e l’innovazione costituiscono ormai, anche per le pubbliche amministrazioni, una realtà costante e non eludibile: il processo di cambiamento e adeguamento non si arresterà certo con la “messa a regime” delle recenti innovazioni normative." [5]

Ci sono altri problemi che devono essere affrontati. Con l'attuazione delle riforme amministrative si sono introdotte categorie economiche (efficienza, efficacia, programmazione etc.) nel linguaggio giuridico. Non si deve, tuttavia, dimenticare che l'amministrazione pubblica non potrà essere equiparata mai completamente a un'azienda senza che venga meno il suo fine primario che consiste nella realizzazione dell'interesse pubblico. Come si può, allora, predisporre una formazione in grado di far interiorizzare questi due valori all'apparenza tanto diversi e, almeno per una parte della dottrina giuridica, quasi opposti? Un altro aspetto deve essere preso in considerazione. La pubblica amministrazione è stata investita da un profondo mutamento con l'introduzione dell'informatica. La diffusione dei personal computer ha creato una serie di aspettative che non possono essere tradite a causa di un deficit formativo. Del resto sarebbe anche una grave perdita di un'opportunità non utilizzare tutti i vantaggi di questo mezzo. Spesso il computer viene visto solo come un aiuto a diminuire la fatica e la noia dell'attività ripetitiva. Non viene invece utilizzato come gestore di informazioni. Infatti la memorizzazione dei dati è solo un aspetto dell'informatizzazione. L'informatica è invece un mezzo molto potente di gestione dell'informazione. Lo scopo dell'informatizzazione è piuttosto favorire lo scambio di dati attraverso reti aperte, creando spazi pubblici di discussi e mutevole aiuto tra le varie amministrazioni locali e centrali. Pensare di realizzare progetti tanto ambiziosi senza un'adeguata formazione è illusorio.

Non vi può essere alcun dubbio che nella pubblica amministrazione oggi, anche dopo un ulteriore tornata di riforme, siano ancora valide queste considerazioni: "Quello che è strano in tutto questo è che a ben pochi sia venuto in mente il fatto che non esiste alcun motivo reale per cui la pubblica amministrazione non possa essere, anche nel suo nucleo centrale, "agile ed efficiente" o almeno molto più agile ed efficiente in quanto non lo sia oggi e, se è vero quanto siamo venuti via via affermando, il primo passo in tale direzione dovrebbe consistere nell'abbandonare la concezione della pubblica amministrazione come mera esecutrice della legge per vederla invece come produttrice di beni e servizi nell'ambito della legge. La differenza appare piccola e addirittura trascurabile, ma l'adottarla aprirebbe spazi enormi di miglioramento che oggi appaiono preclusi. Ma, ovviamente i mutamenti di natura simbolica, quelli che alterano concezioni profondamente radicate nella cultura di un Paese, sono quelli più difficile da conseguire […]" [6] Il problema che dovrà affrontare nei prossimi anni la formazione è esattamente come creare questa nuova cultura volta all'efficienza ed efficacia dei servizi pubblici. Tutti questi aspetti problematici della formazione nel rapporto sono un po' sorvolati.

Ma allora qual è l'approccio teorico migliore per pianificare un programma completo per la formazione nella pubblica amministrazione? Certamente la teoria del curriculum offre un utile ausilio in tal senso. L'idea del curriculum, infatti, ha il vantaggio di mettere in primo piano prima di tutto gli obiettivi da raggiungere e poi, in stretto collegamento con questi ultimi, i contenuti dei programmi. Si potrà così, attraverso un ordine quasi assiomatico, predisporre un curriculum generale per ciascun tipo di pubblica amministrazione (Enti culturali, previdenziali etc.), un curriculum medio rivolto a ciascun profilo professionale operante in seno a ciascun Ente (Dirigenza, Direttivi etc.) e, infine, un curriculum individuale, che dovrà rappresentare la storia individuale di ciascun operatore amministrativo. Al termine si potrà predisporre un'attività di formazione dinamica e aderente alla realtà eterogenea della pubblica amministrazione. E' naturale, inoltre, che un tale processo di programmazione, se è finalizzato a rispettare i reali bisogni formativi, non potrà prescindere da un ampio dibattito, in seno a cui dovranno essere coinvolti tutti i soggetti operanti nel settore pubblico. [7]

Tutto ciò può rappresentare un notevole miglioramento per programmi, che in re ipsa sono rivolti a persone adulte con un proprio bagaglio culturale.

2. Per un percorso curriculare

Senza dubbio non è facile costruire un percorso curricolare, adatto per gli adulti. Come è noto nel 1918 F. Bobbit, con il testo The curriculum, ha introdotto la definizione di curricolo, che ancora oggi è valida per molte ricerche in questa particolare area della ricerca pedagogica. Secondo l'autore per curriculum bisogna intendere una successione intenzionalmente strutturata delle azioni didattiche o formative che la scuola adotta esplicitamente per completare e perfezionare lo sviluppo delle abilità di un soggetto." La caratteristica, pertanto, principale di ogni curriculum è la struttura, ovvero l'idea che ciascuna unità si ricollega a tutte le altre per formare un'unica unità.

Il vantaggio di tale strumento è allora costituita dall'offrire all'insegnante o meglio all'intero ente didattico (scuola etc.) uno strumento-guida, capace di orientare la didattica verso ben precisi obiettivi.

Il curriculum pertanto non è tanto uno strumento di analisi di efficacia del prodotto didattico, quanto mezzo di programmazione e pianificazione. Perciò l'idea di curriculum è particolarmente utile da utilizzare per costruire il processo didattico dei nuovi burocrati. L'obiettivo dovrà essere formare i burocrati in direzione di questa nuova cultura volta alla realizzazione razionale del servizio pubblico nel rispetto del principio della legalità.

L'altro aspetto che è interessante sottolineare nella definizione del Bobbit è l'intenzionalità dell'elaborazione curricolare. Il curriculum è un processo artificiale, costruito da esperti per pianificare un'azione didattica a beneficio di una realtà preesistente. Lungi dall'essere tale processo elaborativo privo di vincoli chi predispone il curriculum deve conoscere molto approfonditamente la realtà, a cui si rivolge. In ciò consiste l'intenzionalità. Programmare un processo educativo consiste in buona sostanza iniziare dalla realtà dell'amministrazione con tutte le sue manchevolezze e punti di forza e, soltanto in un secondo momento, tentarne un mutamento verso determinati obiettivi.

A questo punto emerge il problema principale delle riforme amministrative in relazione al processo didattico, problema che non è affrontato dal rapporto. Spesso il riformatore immagina la pubblica amministrazione come un oggetto manipolabile. Secondo questa concezione ingenua è sufficiente modificare una legge per modificare il comportamento amministrativo. Si nega così la cultura di ciascun ufficio. Conseguentemente il processo di formazione potrebbe risultare alla fine inadeguato se non controproducente.

3. Considerazioni conclusive

Il curricolo, in sintesi, come processo organizzato, integrato e complesso, di apprendimento e di insegnamento insieme, implica la responsabilità e la decisionalità di tutti gli operatori su:
    a) l'individualizzazione degli obiettivi educativi e didattici, diventando perciò particolarmente adatto per la didattica degli adulti, che in questo senso possono essere coinvolti nell'elaborazione dei curricula;
   b) l'articolazione dei metodi e delle procedure di insegnamento;
   c) la selezione dei materiali, dei testi e dei sussidi e il loro adattamento alla situazione didattica specifica;
   d) l'osservazione dei livelli di apprendimento in entrata degli studenti, relativamente a conoscenze, atteggiamenti, interessi; la partecipazione all'organizzazione didattica generale e alle dinamiche psico-sociali delle istituzioni formative;
   e) la ponderazione delle norme, dei valori, delle attese dei protagonisti rispetto all'insegnamento, alla valutazione, all'innovazione educativa e didattica;
   f) la correzione degli obiettivi, revisione delle procedure, allargamento del consenso all'interno della comunità amministrativa interessata alla pianificazione del curricolo;

E' naturale che tale approccio è solo una proposta e molte altre potrebbero essere elaborate. Tuttavia si ritiene che l'adozione della tecnica curricolare possa rappresentare un importante strumento di effettiva attuazione del coordinamento affidato alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione dall'art. 3, comma 3, lettera d) del Decreto Legislativo 30 - 7 - 1999, n. 287, qui in appendice riportato.

[1]  Il documento può essere liberamente reperito on line all'indirizzo www.sspa.it;

[2] III Rapporto sulla formazione nella pubblica amministrazione 1999, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, Maggio 2000;

[3] Ibidem;

[4] Ibidem;

[5] Ibidem;

[6]  Freddi G. (a cura di), Scienza dell'amministrazione e politiche pubbliche, NIS, 1996, p. 120;

[7]  A questo proposito si veda: Apel K. -O., Etica della comunicazione, Jaca Book, 1992.

 

 

 

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