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Ruolo e funzioni del tutor nei processi formativi e nel
reinserimento sociale di persone svantaggiate (in particolare tossicodipendenti che
partecipano a programmi riabilitativi)
di Simonetta Ferri |
1. Introduzione
1.1 Origine ed evoluzione del termine tutor
Il
termine "tutor", comunemente associato alla tradizione scolastica britannica, è
di origine latina. Deriva da tutor (tutari), intensivo del verbo tueor. Significa proteggere,
difendere, custodire e in ambito giuridico era usato per indicare il soggetto che si
prendeva cura di individui deboli fisicamente o socialmente e di cui svolgeva le funzioni
di patria potestà in assenza dei suoi depositari naturali. In questo senso, ancora oggi,
a livello legislativo il termine tutore riveste un significato analogo, sia
riferito alle persone fisiche a cui è affidata la tutela di un minore o di un incapace
sia ad unistituzione; ad esempio, un ente tutorio è un organo della pubblica
amministrazione che esercita funzioni di vigilanza e di controllo sugli atti di enti
pubblici.
Per sottolineare il suo significato simbolico, in botanica, il tutore è il sostegno
fornito alle giovani piante per garantirne ed indirizzarne la crescita, e in medicina è
il dispositivo di sostegno di un arto che si trova in stato di menomazione.
In
ambito educativo, il termine tutor, come rivela un recente studio,
ha avuto nel tempo unevoluzione di significato e di uso contestuale. Compare per la
prima volta nel 1974 nel Thesauro Eric dellEducational Resuorces Information Centre
degli Stati Uniti dAmerica, con la descrizione di persone che spesso
privatamente sono incaricate di insegnare una particolare materia a singoli individui o a
gruppi di piccole dimensioni. Il Thesauro multilingue della formazione
professionale del CEDEFOP del 1990 individua la funzione del tutoraggio
correlata alla formazione personalizzata allapprendimento e ai metodi
dellapprendimento ed il Thesauro europeo delleducazione del 1991 la definisce
come assistenza educativa che, sviluppandosi nellambito del rapporto
personalizzato, mira ad aiutare lallievo ad assumersi la responsabilità della
propria formazione. Nellarea delle Professioni ed impieghi,
questultimo Thesauro denota lesistenza di una figura professionale per il
tutoraggio incaricata di seguire lo sviluppo della formazione dei giovani, autonoma
dallinsegnante titolare; questo sta a significare quanto il ruolo sia diventato
funzionale e necessario al rapporto formativo, al punto da giustificarne una propria
specificità. Inoltre, rispetto al concetto di formazione, si può vedere come nel tempo
lottica si sia evoluta centrandosi sullautonomia e responsabilità del
discente.
In
ambito multimediale, lenciclopedia Microsoft Encarta parla del tutoring
come unattività introdotta da una legge
del 1990 sugli ordinamenti didattici, finalizzata a fornire durante il corso di studi
assistenza agli studenti, per favorirne linserimento nellambiente
universitario, la frequenza più efficace ai corsi di studio ed un migliore apprendimento.
Questa, come vedremo più avanti, è luso della funzione tutoriale nelle università
italiane. In riferimento allambito educativo, accennerò alla storia di questa
figura ed elencherò brevemente i contesti dove opera in Italia e in alcuni paesi esteri.
1.2 Il tutor come figura educativa
Nel
sistema pedagogico anglosassone, il ruolo del tutor nasce nel contesto educativo della
pastoral care
e si riferisce alla funzione di guida e supporto alleducazione dello studente. La
pastoral care si sviluppa nel diciannovesimo secolo in Inghilterra fino
ad arrivare ai giorni nostri, dove permane come idea di fondo delleducazione in Gran
Bretagna e nei paesi con analoghe origini culturali come gli Stati Uniti dAmerica,
lAustralia ed alcuni paesi in via di sviluppo. Allorigine di questa concezione
cè il significato etico e religioso dato alleducazione che, oltre
allaspetto cognitivo, è orientata a curare anche la formazione della personalità.
Il benessere dello studente, lo sviluppo del suo sistema valoriale e delle sue capacità
cognitive ed interpersonali, quali lautostima, lautonomia, la tolleranza, la
responsabilità sociale, entrano a far parte della formazione, insieme
allacquisizione di contenuti. Lindividuo viene considerato come un unicum.
Si tratta di un approccio globale alla persona, che include anche le dinamiche affettive,
relazionali e sociali insite nel processo di apprendimento.
In
un sistema educativo improntato a questi princìpi, è stato logico e naturale lo
svilupparsi nel tempo di curricoli scolastici che includessero anche moduli riguardanti
questa area e che facilitassero la formazione armonica della personalità e, di
conseguenza, anche la legittimazione e la formazione di figure professionali adatte a
questo scopo. Nascono così, in ambiente anglofono, varie figure adatte a questo tipo di
compito che nel tempo assumeranno ruoli con sfumature e sfaccettature diverse.
Il Mentor,
che trae lorigine del suo nome dallamico di Ulisse, divenuto maestro e guida
di Telemaco in assenza del padre, che ha assunto nel tempo una funzione di guida più
nella sfera affettiva che cognitiva: viene usata in molti contesti come figura di supporto
affettivo, una presenza rassicurante come può essere quella di un amico anche più grande
di età.
Il Peer
tutor, tutor alla pari, ossia uno studente più anziano che si prende cura di un altro
alle prime armi.
Il Counselor,
che prende il termine dal latino consulo (che significa anche qui
prendersi cura di, provvedere a), molto diffuso negli Stati Uniti
dAmerica: è uno specialista che segue individualmente gli alunni per quanto
riguarda lorientamento, disponibile anche per consulenze su problematiche
strettamente personali.
Il tutor
che, essendo presente in tutto il percorso formativo della persona, dimostra come,
ancora oggi, la pastoral care sia diffusa in senso evolutivo. Infatti,
seppure in modi differenti, questa figura è pensata per fornire sostegno per la crescita,
aiuto a comprendere lorganizzazione scolastica ed a superare eventuali difficoltà
personali, di apprendimento o relazionali. È, insomma, linsegnante maggiormente
responsabile del percorso educativo del discente. Le sue funzioni sono anche relative a
monitorare i progressi dellalunno, registrarne le difficoltà ed individuare gli
strumenti per risolverle, fornire ai colleghi informazioni al fine di operare scelte
didattiche più idonee agli studenti, stabilire contatti con le famiglie. Il tutorato è
considerato parte integrante del profilo professionale dei docenti, una competenza
aggiuntiva a quelle disciplinari.
Ritornando
negli Stati Uniti dAmerica, invece, la figura del tutor è presente piuttosto in
ambito socioriabilitativo con interventi individualizzati mirati alla costruzione di
progetti individuali di lavoro, con funzioni di incoraggiamento e recupero della
motivazione in soggetti svantaggiati.
Nel
nostro paese, troviamo il tutor in diversi contesti con funzioni che cambiano a seconda
delle circostanze, anche se con caratteristiche comuni.
1.3 Nelle università italiane
il
servizio di tutorato è stato introdotto ufficialmente dalla Legge 19 novembre 1990 n.341,
sulla Riforma degli ordinamenti didattici universitari. I soggetti deputati a
questa funzione sono i docenti che si assumono il compito di assistere gli studenti
durante il processo formativo, curando linserimento nellambiente universitario
e lefficacia della frequenza ai corsi. Altri contesti dove il tutor è presente ed
opera con efficacia sono listruzione a distanza, la scuola secondaria,
la formazione professionale e la formazione aziendale.
Spesso si tratta di una figura innovativa come nella scuola secondaria, oppure di una vera
e propria professionalità consolidata come nel caso della formazione aziendale o
dellistruzione a distanza.
1.4 La realtà del reinserimento sociale
Nelle
comunità terapeutiche, ed in generale, in tutte le strutture socio-riabilitative, il
momento del reinserimento è considerato quello più delicato.
Lindividuo che esce da un periodo di trattamento, nel quale ha avuto modo di
conoscere se stesso, di intraprendere relazioni significative, di evolvere in un percorso
di autonomia, comincia a confrontarsi con la società, senza quel contenimento forte,
tipico della comunità residenziale. È il momento della verifica, del contatto diretto
con le problematiche lasciate in sospeso e spesso, con persone e luoghi ricchi di vissuti
drammatici e negativi. La persone che entra in questa fase, assomiglia ad un bambino che
inizia a muovere i primi passi, si regge su un equilibrio molto precario e, naturalmente,
ha paura. È proprio per questo che spesso si parla in questa fase di una vera e propria
regressione: egli ritorna alle vecchie dinamiche interne e familiari, ed è quanto mai
bisognoso di un sostegno concreto. Si può dire che qui si gioca tutto il cammino
terapeutico: è il momento propizio per il cambiamento tanto preparato ed aspettato.
Uno
dei problemi pratici da affrontare è quello del lavoro. Questo aspetto, per molti
si connette direttamente alla problematica della dipendenza dalla famiglia di origine, ed
in generale per tutti diventa una modo di inserirsi pienamente nella società e di avere
una prospettiva di autonomia e di senso per gli anni a venire. Un vero e proprio
passaporto per linclusione sociale.
A
livello istituzionale, ci sono stati molti dibattiti, negli ultimi anni, sul reinserimento
delle categorie svantaggiate nel mondo del lavoro. Per altri versi, la
questione del lavoro viene percepita come problematica per tutti e si tende a penalizzare le categorie di individui che per
diversi motivi hanno meno opportunità di essere competitivi ed efficienti.
Dallaltra parte, si avverte il rischio di creare, per gli svantaggiati, delle oasi
di assistenza senza tempo, nelle quali il soggetto non è spinto allautonomia e alla
realizzazione, ma resta preso in carico dalla società, con pesanti risvolti psicologici e
sociali.
Già
dal 1993, il dibattito europeo e nazionale in merito, tende
ad accreditare l'idea che le nuove frontiere dellinvestimento pubblico, in politiche
sociali a carattere preventivo, siano rappresentate dalla formazione diffusa e permanente
intesa come condizione essenziale per la definizione di pari opportunità. Le azioni
individuate sono essenzialmente riconducibili a tre: orientamento, formazione e misure di
accompagnamento; creazione, quindi, di momenti di protezione finalizzati però al
reinserimento effettivo dei soggetti in difficoltà: le zone assistite possono
essere una fase di passaggio essenziale per recuperare un certo ritmo, ma poi lo scopo è
che le persone vengano inserite nel mondo del lavoro vero e proprio a tutti gli effetti.
Per
orientamento si intende un intervento di rimotivazione e la possibilità di conoscere le
opportunità offerte dal mondo della formazione e del lavoro; per formazione si intende un
processo orientato prevalentemente alla persona, a migliorare le sue competenze quali
lesercizio di un sapere professionale unitario fatto di conoscenza, capacità,
esperienza, perizia in contesti professionali specifici; le misure di accompagnamento
possono andare dallaiuto finanziario al datore di lavoro per ammortizzare
limproduttività di un rapporto di lavoro iniziale, ad azioni di orientamento ed
accompagnamento del soggetto durante linserimento lavorativo. Purtroppo, come gli
atti di questi convegni spesso denunciano, le difficoltà nella realizzazione delle linee
programmatiche sono spesso insormontabili, e rimane compito del singolo intraprendere
azioni efficaci per un proficuo inserimento. Dal versante delle strutture di accoglienza
ed assistenza, che spesso hanno privilegiato laspetto lavorativo come vero e proprio
strumento terapeutico, si muovono azioni diverse che sono accomunate da principi simili di
fondo. Sia don Mario Picchi che Castagna, operatore della formazione professionale
dellEnaip Acli, puntano laccento sulla formazione umana della persona, cioè
sul creare quelle competenze trasversali e personali che sostengono il processo di
crescita e di autonomia personale degli individui. È da questi presupposti
che, in vari centri di accoglienza ed assistenza, sono nate delle esperienze di formazione
che mirano a realizzare quelle competenze trasversali di formazione umana che tanto
necessitano alle categorie svantaggiate.
1.5 I motivi della presenza del tutor
Già
nel citato rapporto ISFOL sulle politiche di integrazione lavorativa delle persone
svantaggiate, si avvertiva lesigenza di creare delle figure di riferimento che
accompagnassero lindividuo nel corso del processo formativo e nellambito
dellinserimento lavorativo. Una figura di supporto e di accompagnamento nel
mondo lavorativo, che sappia tenere in considerazione il passato e valorizzare il presente
dellallievo/utente. Tutto questo in
un'ottica di formazione professionale intesa come funzione di mediazione educativa che
dovrebbe concentrarsi più sulle competenze trasversali e personali che
sostengono il processo di crescita personale o professionale delle persone in difficoltà;
su quelle competenze che hanno a che fare con lautonomia delle persone, con
lautonomia progettuale, con la loro capacità di dare un senso, un progetto alla
loro vita. Il tutor,
quindi, si presenta come una figura innovativa e necessaria. Innovativa perché è
inserita in un contesto diverso da quello delle comunità residenziali, che affianca e fa
da supporto alla cosiddetta terapia socioriabilitativa, ossia i corsi di formazione
professionale, e perché svolge delle funzioni diverse da quelle delloperatore della
comunità relative alla gestione dei processi di apprendimento. Necessaria per esercitare
una mediazione con la realtà lavorativa al fine di rimuovere quegli ostacoli che si
frappongono tra il soggetto svantaggiato ed il suo pieno reinserimento nella società.
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