La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Ruolo e funzioni del tutor nei processi formativi e nel reinserimento sociale di persone svantaggiate (in particolare tossicodipendenti che partecipano a programmi riabilitativi)
di  Simonetta Ferri

3.1 Il tutor in aula durante i gruppi di studio

Il contesto dei gruppi di studio, che presenta una modalità didattica centrata maggiormente sui processi di apprendimento che sui contenuti, assume caratteristiche diverse dalla precedente rispetto alla strutturazione del metodo. Mentre, infatti, la modalità delle lezioni teoriche è svolta in modo logico ed ordinato secondo una sequenza strutturata per far compiere un certo percorso di apprendimento, nel gruppo di studio avviene una sorta di destrutturazione delle modalità didattiche per costruirle in itinere ed adattarle al “qui ed ora” del gruppo. Ciò che rimane strutturato sono i confini spazio-temporali (l’aula, il gruppo, la durata dell’incontro)[36]

Le attività didattiche previste devono portare ad attribuire, da parte del gruppo, un nuovo significato alle esperienze: questo comporta una ristrutturazione delle capacità e del­le personalità dei singoli; così il processo di apprendimento diventa parte integrante dell’apprendimento avvenuto e si crea un forte legame tra le metodologie didattiche e gli obiettivi raggiunti[37].

Garante dell’organizzazione del gruppo di studio: funzione che si esplica nel garantire lo svolgimento tecnico e temporale del gruppo di studio.

Garante del processo di apprendimento rispetto all’ac­qui­si­zione dei contenuti formativi: funzione che si esplica nelle seguenti modalità:
· ricerca e discussione intorno ai metodi di studio efficaci;
· stimolo alla spiegazione reciproca dei concetti non chiari e alla integrazione delle capacità e competenze presenti nel gruppo;
· spiegazione dei concetti non chiari a tutto il gruppo: “quando gli studenti pasticciano con qualcosa che stanno cercando di imparare, hanno bisogno di essere aiutati a riconoscere: quali oggetti o eventi stanno osservando, quali concetti possiedono già in relazione a quegli eventi o oggetti, quali dati vale la pena di registrare[38];

· stimolo ad usare un linguaggio appropriato;

· stimolo alla ripetizione e memorizzazione dei concetti fondamentali;

· stimolo della capacità di creare collegamenti tra i con­cetti generali;

· creazione di collegamenti tra i contenuti formativi e le esperienze concrete dell’individuo: lo scopo è di favorire quel­la centratura sul soggetto, citata in precedenza, che si realizza attraverso l’avvicinamento dei contenuti alle situazioni reali consentendo l’acquisizione di competenza trasversali e lo sviluppo parallelo delle tra aree del lavoro, del ruolo e del sé[39];

· creazione di materiale per valutare il processo di apprendimento sia a livello didattico che emotivo/rela­zionale.

Garante del processo di apprendimento rispetto alle dinamiche relazionali: funzione che si esplica facilitando le dinamiche relazionali che si creano tenendo in considerazione l’obiettivo formativo, facendo parte del gruppo e curando l’aspetto affettivo degli individui, stimolando la discussione relativa ad esperienze personali collegate ai contenuti delle materie studiate, sviluppando e sostenendo la mo­tivazione.

Bisogna tenere presente che, in qualche caso, le tecniche per migliorare l’apprendimento, se non tengono conto della relazione interpersonale, possono erigere barriere anziché rimuoverle[40]. Questo ci porta a considerare l’importanza dell’affettività nella nascita e nello sviluppo del pensiero e in ogni azione formativa. L’apprendimento si verifica sempre all’interno di un rapporto di dipendenza nei confronti di un'altra persona o di altre persone: “è la qualità di questo rapporto che influenza profondamente le speranza necessaria per mantenere la curiosità e l’apertura verso nuove esperienze, la capacità di percepire le connessioni e di scoprire il loro significato. Aspetti affettivi e cognitivi dell’appren­dimento sono, quindi, strettamente connessi tra loro e interdipendenti[41].

L’attenzione alle emozioni ed al legame affettivo può aiutare il tutor a riconoscere qual è l’azione più adeguata da intraprendere. Spesso, all’inizio del percorso formativo, che, come ogni nuovo inizio, è portatore di fantasmi e paure che derivano dal passato, risulta efficace aiutare gli alunni ad esprimere e condividere le ansie, ad accettare che la condizione negativa di non sapere è un pre-requisito indispensabile per apprendere e conoscere[42]; questo processo può concorrere a creare una situazione vissuta positivamente e una forte coesione di gruppo[43]. È importante avere consapevolezza del proprio ruolo affettivo, anche per evitare un investimento eccessivo da parte degli studenti: “chi conduce l’intervento formativo ha, infatti, una posizione importante nella vita mentale dei partecipanti, i quali hanno più o meno presente il desiderio di avere un formatore che sappia tutto: sono quasi sempre alla ricerca di un “oracolo ideale” nel tentativo di sfuggire al fatto che il mondo è complesso e che scoprire ed imparare vuol dire anche sperimentare disorientamento, confusione e ansia[44].

Bisogna ricordare, inoltre, come già analizzato a proposito del contesto formativo nel quale opera questo tutor, che il tipo di utenza richiede una consapevolezza ed una capacità di gestione di questi fattori più esplicita che in altri casi. Ogni formatore, a prescindere dal contesto nel quale si trova ad operare, deve essere in grado di gestire e di avere coscienza di questi aspetti. Ciò che rende particolare questo tipo di situazione è che ci si trova di fronte a persone immerse in un percorso che rimette in discussione il loro vissuto affettivo. Un vissuto affettivo che ha contribuito a generare percorsi di vita difficili e problematici, per il quale è necessario avere uno sguardo attento e rispettoso. Quindi, la dimensione relazionale ed affettiva costituisce, in questo caso, un passaggio obbligato ed un aspetto privilegiato del processo di apprendimento.

Per non cadere nel rischio, già dichiarato in precedenza, di fare la “terapia” invece della formazione, cedendo alla trappola del parlare sempre di sentimenti e relazioni, può essere utile usare il “linguaggio delle cose concrete come strategia per incontrarsi[45], decentrando l’attenzione sulla relazione e portandola sugli obiettivi reali della didattica e della formazione. Anche perché “non è sufficiente sapersi riconoscere nel rapporto con l’altro per progettare didattiche relazionali[46], ma bisogna anche saper progettare ed intervenire tenendo presente l’obiettivo educativo globale.

3.2 Il tutor fuori dall’aula

Il contesto qui è diversificato sia per spazi che per modalità di operare. Si va dalle comunicazioni date nei corridoi fuori dalle aule alle riunioni di équipe, dai colloqui informali o strutturati con i colleghi o con i referenti terapeutici ai contatti telefonici con gli imprenditori per l’organizzazione degli stage.

Feedback[47] con i docenti: funzione che si esplica nel comunicare e discutere con i docenti rispetto all’andamento delle lezioni, alle difficoltà incontrate dagli alunni, al clima che si instaura nella classe e quant’altro si presenta rispetto all’apprendimento della materie.

Feedback con l’équipe pedagogica e riunioni di équipe: funzioni che si esplicano nel discutere con i referenti dei tutor e con i colleghi di tutto ciò che avviene nel percorso formativo:

· concordando gli interventi nei gruppi;

· progettando e valutando le metodologie didattiche;

· creando insieme strumenti valutativi del percorso for­ma­tivo;

· elaborando i vissuti personali rispetto al lavoro di tutoring;

· cercando di integrare le competenze reciproche al fine di creare una modalità educativa comune all’équipe il più pos­sibile priva di elementi contraddittori;

· affrontando tutto quello che emerge dal lavoro nella formazione.

Superfluo affermare che, in questo contesto, il far parte di un’équipe costituisce uno strumento fondamentale per essere tutelati dai rischi che il lavoro comporta. Per ricordare quelli più pericolosi: la “sindrome da burn-out” ed il senso di onnipotenza che pervade molti operatori[48]. Da questo punto di vista, il tutor, entrando in relazione con una tipologia di soggetti problematici, assume le caratteristiche proprie degli operatori che operano nel recupero della tossicodipendenza, ed ha perciò il dovere di tutelare se stesso e gli utenti.

Feedback con i referenti del percorso terapeutico: funzione che si esplica nel passaggio di informazioni e di comunicazioni, relative agli utenti del corso, al fine di creare quel collegamento auspicato tra il tutor ed il progetto educativo globale nel quale è coinvolto l’utente. È questa una funzione importante per evitare che, nel percorso di recupero e di reinserimento, il soggetto trovi del­le contraddizioni rispetto ai messaggi educativi, che, seppur devono essere eterogenei per fornire all’utente il maggior numero di stimoli e di possibilità, non dovrebbero mai differire nelle linee e nei principi fondamentali.

Gestione degli stage nelle aziende: funzione che si esplica nella programmazione delle esperienze da compiere in azienda, nell’accompagnamento dell’utente nel corso dello stage, nel fare da mediazione tra il soggetto in formazione e l’azienda, nella verifica dei risultati conseguiti e nell’integra­zione di questi nel processo formativo. Questa funzione consente agli utenti una facilitazione nel­l’utilizzare il contesto lavorativo come una risorsa fondamentale del processo formativo, che contribuisce a favorire e sostenere l’inserimento nella realtà produttiva. È la possibilità di sperimentare le competenze tecnico/operative in un contesto di lavoro, interagendo con il sistema di relazioni proprie del mondo produttivo[49]. Un’occasione importante e delicata per i soggetti svantaggiati, che porta con sé aspettative, ansie, paure e bisogni da elaborare e da gestire, e dove il tutor dovrà assumere quel ruolo di forte punto di riferimento e di supporto psicologico descritto precedentemente.

3.3 Le competenze

Dopo aver esaminato le funzioni in dettaglio, bisogna delineare le competenze necessarie allo svolgimento delle stesse. Nella realtà è molto difficile trovare ed inserire persone con queste caratteristiche. Spesso è la pratica stessa a formare le competenze necessarie sulla pelle dei neo tutor e degli utenti che capitano nelle loro mani. Per far fronte ai danni che possono derivare da questa situazione, sarebbe auspicabile una maggiore attenzione rispetto alla selezione dei tutor e alla formazione specifica da prevedere all’inizio di ogni esperienza, tenendo anche conto, nella formazione di un’équipe allargata, della possibilità di un’integrazione fruttuosa del­le capacità di ognuno. L’ordine delle competenze è puramente casuale: tutte concorrono all’efficienza e alla funzionalità del tutor.

Come competenza essenziale per curare con efficacia l’apprendimento dei contenuti, indicherei una buona cultura generale ed una permanenza sufficientemente lunga nei contesti formativi. Faccio riferimento non tanto al conseguimento di una laurea, anche se questo costituirebbe un titolo preferenziale, quanto ad una maturazione personale nella ricerca e nell’utilizzo di un metodo di studio e nel processo di apprendimento. Questo consentirebbe di avere una certa disponibilità a comprendere e ad indirizzare la ricerca dei metodi di studio efficaci per gli studenti. Inoltre, una buona cultura generale di base farebbe comprendere al tutor anche i contenuti che non fanno parte della sua formazione specifica, per far fronte alle difficoltà di comprensione degli utenti.

Rispetto alle competenze di base del formatore indicate da Bruscaglioni, indicherei utili per il tutor la “competenza di campo” e la “competenza di processo[50].

La competenza di campo si riferisce alla conoscenza dell’ambiente in cui l’apprendimento viene esercitato, questione fondamentale dato il progetto educativo alla base del percorso degli utenti dei corsi di formazione.

La competenza di processo, invece si riferisce alla conoscenza del come avviene l’appren­dimento all’interno dell’in­dividuo, dei fattori che lo favoriscono o che lo inibiscono, avendo consapevolezza che l’apprendere opera non solo un’aggiunta ma una modifica del campo psicologico cognitivo precedente.

Un’altra delle competenze utili è quella del saper lavorare in équipe. Considerando, in questo contesto, l’importanza dell’équipe, già ampiamente analizzata, vorrei sottolineare che il tutor non dovrebbe lavorare da solo.

Vengono poi le competenze di conoscenza e di gestione delle dinamiche relative alla formazione e allo sviluppo dei gruppi di persone, e di conoscenza degli aspetti affettivi implicati nel processo di apprendimento, sulla cui importanza mi sono già ampiamente soffermata.

Una della capacità fondamentali del formatore, delineate da Quaglino, e pertinenti a questo tutor, è la “sensibilità pedagogica” descritta come “capacità di capire/sentire/essere consapevoli di tutto ciò che costituisce evento potenziale in ogni situazione di apprendimento: significa cioè capacità di ascolto e comprensione del complesso campo di fenomeni attivato dal setting educativo sia con riferimento ai processi di apprendimento sollecitati in ciascuno dei soggetti-utenti sia ai più vari processi di relazione interpersonale stimolati dal gruppo classe. Ma significa anche capacità di intervento equilibrato, bilanciato, appropriato[51].

E da questa competenza viene logico passare a definire la consapevolezza di sé come la sintesi di competenze più specifiche relative alla piena conoscenza delle proprie motivazioni, dei propri valori e delle proprie istanze, elementi che incidono sulla presenza del tutor e sulle relazioni educative che questi intraprende nel percorso formativo[52].

Costituisce poi una competenza importante, anche se non vincolante, l’aver avuto esperienze di contesti riabilitativi per le tossicodipendenze, che permetterebbe il compimento di una migliore integrazione tra il progetto educativo inerente al soggetto e le funzioni del tutor.

3.4 Conclusioni

Come abbiamo visto, molte cose sono state dichiarate e realizzate nell’ambito della formazione professionale e del reinserimento delle categorie svantaggiate.

Il tutor si pone, quindi, come figura chiave nella realizzazione di quell’integrazione sociale tanto auspicata dai capi di Stato e di governo dell’Unione Europea e tanto desiderata da noi tutti nell’ottica di un miglioramento delle condizioni sociali. Inoltre, questa figura, che può entrare a pieno titolo tra i formatori, si pone come portatore di nuove competenze nell’am­biente della formazione, e può arricchire con la sua esperienza e la sua professionalità numerosi contesti educativi. A volte, i confini professionali dell’ope­ratore sociale e del tutor, sembrano sfumati, ed in alcuni casi, sovrapponibili. Di fondo rimane una diversità fonda­mentale, che consiste nell’oggetto della relazione tra tutor e corsista e tra operatore ed utente: il tutor ha come oggetto della relazione il perseguimento di obiettivi tangibili, affronta un cammino di formazione, aiuta ad acquisire competenze, a sviluppare la capacità di apprendere, a porsi come soggetto autonomo nella realtà sociale; il secondo esplora le dinamiche intrapsichiche personali, i rapporti con la famiglia, con il gruppo dei pari, lo scioglimento dalle forme di dipendenza. La formazione professionale è un cammino diverso da quello riabilitativo, anche se queste due realtà si pongono in una dialettica di continuo confronto e scambio di vissuti e di esperienze, dialettica che pone il soggetto al centro come protagonista del proprio processo di autonomia.

 

 

[36] Cfr. op. cit. Quaglino Gian Piero, Fare formazione.

[37] Cfr. Bisio Carlo, Costruzione della realtà e formazione: prospettiva psicosociale e sistemica sui processi di apprendimento, Milano, Franco Angeli, 1998.

[38] Op. cit. Novak D. Joseph, Gowin D. Bob, Imparando ad imparare, pag. 23.

[39] Cfr. op. cit. Quaglino Gian Piero, Fare formazione. Op. cit. AA.VV., Labor: Formazione all’autoimprenditorialità, L’esperienza del CeIS di Roma.

[40] Cfr. op. cit. Morelli Ugo, Weber Carla, Passione e apprendimento.

[41] Salzberger-Wittenberg Isca, Henry-Polacco Gianna, Osborne Elsie, The emotional exeperience of learning an Teaching, s.l., Routledge e Kegan Paul, s.d., Traduzione italiana di Emanuela Quagliata, L’esperienza emotiva nei processi di insegnamento e di apprendimento, Napoli, Liguori, 1987, pag. 13.

[42] Cfr. ibidem.

[43] Cfr. op. cit. Morelli Ugo, Weber Carla, Passione e apprendimento.

[44] Ibidem, pag. 141.

[45] Op. cit. Bertolini Piero, Caronia Letizia, Ragazzi difficili, pag. 156.

[46] Gaspari Patrizia, L’educatore professionale, Roma, Anicia, 1995, pag. 84.

[47] Il termine feedback, che letteralmente significa retroazione, viene usato in questo contesto per indicare tutte le attività di comunicazione, confronto e relazione delle attività svolte, che si hanno tra le persone ap­partenenti all’équipe educativa.

[48] Cfr. Op. cit. Gaspari Patrizia, L’educatore professionale, Roma, Anicia, 1995. Bimbo Antonio, Emanciparsi dalle dipendenze: strategie d’inter­vento per operatori ed educatori, Milano, Franco angeli, 1997. Santerini Milena, L’educatore: tra professionalità pedagogica e responsabilità sociale, Brescia, La scuola, 1998. Op. cit. Maurizio Coletti, “Il problema delle emozioni nella psicoterapia delle tossicodipendenze: quelle dell’ope­rato­re”, Op. cit. Zerbetto Riccardo, “La formazione professionale per gli operatori di comunità terapeutiche”. Op. cit. Bertolini Piero, Caronia Letizia, Ragazzi difficili.

[49] Cfr. Manfredda Federico, Porzio Giuseppe , “Il coordinatore di stage: un percorso formativo”, Professionalità, n.1, gennaio-febbraio 1991.

[50] Bruscaglioni Massimo, “Identità professionale del formatore”, Professionalità, n.2, marzo 1991.

[51] Op. cit. Quaglino Gian Piero, Fare formazione, pag. 190.

[52] Ibidem, pag. 191.

 

 

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