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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

CAPITOLO I: IL DARWINISMO DI JOHN DEWEY

1.2 NOTA CONCLUSIVA

L’accettazione della teoria darwiniana e la sua applicazione alla filosofia ha un’influenza rivoluzionaria primariamente sulla considerazione dei rapporti che intercorrono fra l’individuo e il mondo e, di conseguenza, sulla teoria della conoscenza. Infatti, assumendo un punto di vista evoluzionista, si rende necessario ripensare e riformulare il rapporto che sussiste tra l’organismo e il suo ambiente, sia in termini strettamente biologici, sia in termini sociali e culturali.

In primo luogo, si fa chiaro che anche l’uomo, al pari degli altri esseri viventi, vive nel mondo naturale, interagisce con il proprio ambiente ed è quindi immerso nel corso dei mutamenti di cui cerca incessantemente le origini.

In secondo luogo, si fa evidente che va abbandonata la pretesa di conoscere le cause assolute degli eventi e le essenze reali degli oggetti, e va rifiutata la concezione, da sempre imperante, di una conoscenza come pura contemplazione. La conoscenza, infatti, deve essere considerata, come avremo modo di vedere più avanti, come un momento dell’interazione tra l’uomo e l’ambiente circostante, ambiente che, a differenza di quello proprio degli animali, si compone non solo di elementi fisici e naturali, ma anche e soprattutto di aspetti sociali e culturali.

Il rifiuto della teoria dell’intelligenza puramente contemplativa, l’abbandono della pretesa di ricercare le origini ultime e le cause assolute per accontentarsi più modestamente di esplorare le specifiche condizioni che generano i fenomeni, la coscienza che anche noi siamo implicati e coinvolti nei mutamenti, determina la consapevolezza che la conoscenza: a) è un momento dell’interazione tra organismo e ambiente, o meglio un tipo di interazione, b) si occupa esclusivamente di tali mutamenti e interviene attivamente su di essi producendone una trasformazione, c) ricerca le cause e le condizioni delle interazioni per poterle controllare[27].

Inoltre, e con ciò anticipiamo alcuni degli argomenti che tratteremo nei capitoli successivi, l’applicazione della teoria evoluzionista ai processi riflessivi conduce Dewey:

1) ad interpretare la riflessione come momento di crisi nel rapporto individuo-ambiente;

2) a fornire al pensiero una dimensione temporale e storica, e a considerarlo come uno strumento, o meglio lo strumento, che consente all’uomo di ristabilire l’equilibrio e conseguire l’adattamento alle condizioni ambientali necessario alla sua sopravvivenza;

3) ad elaborare una logica genetica e funzionale che spiega il processo del pensiero, l’attività della ricerca e dell’indagine e gli atti di giudizio come risposte agli stimoli ambientali nel tentativo continuo di ristabilire gli equilibri turbati.

Delineato in modo esaustivo il quadro concettuale della rivoluzione darwiniana, è possibile ora considerare in modo diretto le conseguenze che essa ha per la teoria della biografia.

In primo luogo va sottolineato che l’affermazione della logica genetico-sperimentale comporta necessariamente una profonda rivalutazione delle storie di vita. Mentre, infatti, nella filosofia tradizionale il generale e l’immutabile godevano di un primato assoluto, nella filosofia proposta da Dewey i valori sono capovolti: ciò che conta, ciò che realmente importa è l’individuale e il mutevole.

Occorre sottolineare, però, che nell’avvento della nuova logica, insieme alla rivalutazione delle storie di vita, è implicita anche una precisa concezione della biografia. Cerchiamo di delinearla.

Come si è detto, la nuova filosofia deve incentrarsi sull’individuale e il particolare. Le essenze formali, le definizioni generali sono, nel migliore dei casi, delle vuote generalizzazioni prive di contenuto. In questo senso il termine “specie”, inteso come forma astratta-immutabile-trascendente, in ultima analisi metafisica, va del tutto rigettato.

D’altra parte Dewey è ben conscio che vi è anche un significato positivo di questo termine, che è appunto quello portato in luce dal darwinismo connesso con il termine “origine”. L’universale, quindi, è un concetto valido ed utile se lo si considera, come vuole Dewey, quale spiegazione specifica relativa ad un insieme di fenomeni particolari. La nuova logica, incentrata sull’individuale, non cessa di riferirsi costitutivamente all’universale, pensato però in maniera completamente riformulata.

La ricostruzione biografica, allora, centrata per sua natura sul singolare, al pari della nuova logica, non può mai abbandonare il momento dell’universalità, rappresentato nel suo caso da quelle strutture sociali e culturali a partire da cui la vita del singolo prende forma.

La biografia può definirsi, quindi, sulla scorta delle concezioni deweyane, come la ricostruzione della vita del singolo che lasci emergere la sua individualità irripetibile collocandola sullo sfondo di categorie sociali e culturali storicamente universali[28].

 

[27] Mario Alcaro, John Dewey. Scienza prassi democrazia, Bari, Laterza, 1997, p. 61.

[28] Sulla linea di quanto sin qui emerso, conviene sin da ora anticipare che proprio sul rapporto tra il momento singolare e quello universale si gioca la possibilità di una ricostruzione biografica. D’altra parte, questa relazione è fondamentale non solo per la biografia, ma in generale per tutte le scienze della cultura. Ciò è perfettamente visibile, ad esempio, nella riflessione metodologica compiuta dallo storicismo tedesco contemporaneo. Tutti i rappresentanti di tale indirizzo filosofico, infatti, cercarono di dar conto della differenza tra le scienze della natura e quelle dello spirito richiamandosi, ciascuno a suo modo, alla distinzione tra atteggiamento generalizzante, proprio delle prime, e atteggiamento individualizzante, tipico delle seconde.

In virtù della comunanza di alcuni motivi essenziali di fondo tra il pensiero di Dilthey e quello di Dewey, può essere utile in questa sede indicare i temi a partire dai quali possono essere sviluppate tali connessioni.

1) Nella riflessione di Dilthey le scienze dello spirito si distinguono da quelle della natura in quanto il loro orientamento è individualizzante. Esse, cioè, rendono conto dei fenomeni a cui si riferiscono non inserendoli in un sistema di leggi generali, così come invece fanno le scienze della natura, ma piuttosto portandone in luce la specifica individualità.

Ciò tuttavia non implica che le scienze dello spirito svolgano il loro compito prescindendo dalla ricerca di uniformità. Anzi, il rinvenimento dell’individualità dei fenomeni storico-sociali è possibile solo alla luce di generalizzazioni relative a modi di comportamento tipici. In questo senso Dilthey afferma che la ricerca storiografica deve necessariamente far suo il contributo delle discipline generalizzanti quali la psicologia e l’antropologia da un lato, e le scienze dei sistemi di cultura e quelle dell’organizzazione esterna della società dall’altro.

Resta fermo, però, che tali generalizzazioni devono essere realizzate solo in vista della conoscenza del singolare. Questo, infatti, costituisce il fine ultimo e lo scopo autentico delle scienze dello spirito.

Ritroviamo, dunque, nella riflessione di Dilthey quella stessa relazione tra il singolare e l’universale che abbiamo rintracciato nella teoria della biografia di Dewey, di modo che, come si è visto, se l’individuale può emergere solo sul fondamento del generale, è esso a costituire il compito decisivo della ricerca.

2) Sulla linea di questa conclusione è opportuno mettere in chiaro un altro aspetto essenziale in cui il pensiero dei due filosofi coincide. La rivalutazione dell’individuale da essi realizzata, infatti, è possibile solo a patto che il concetto tradizionale di soggetto venga preliminarmente abbandonato. Sia Dewey sia Dilthey compiono questo passo fondamentale.

In particolare, la “critica della ragione storica” non è semplicemente un’indagine critica condotta sui fondamenti delle scienze dello spirito. Essa è anche e soprattutto la teorizzazione di un nuovo soggetto, completamente trasformato rispetto al soggetto delineato dal neokantismo. Viene abbandonata, infatti, la concezione mistificante dell’uomo ridotto a mero essere pensante e rinchiuso nell’apriorità delle sue funzioni conoscitive. Egli, piuttosto, viene riconsegnato all’interezza della sua vita, che non è solo pensiero teoretico, ma anche volontà e sentimento. Accanto a ciò, viene finalmente riconosciuta la dimensione di socialità in cui esso, sin dalla sua nascita, si trova a vivere. Infine, viene dato conto del carattere storico della sua esistenza.

Questo stesso ripensamento verrà compiuto da Dewey. L’uomo così come egli lo pensa è una totalità unitaria inserita in un contesto culturale e permanentemente socializzata. Su tale ripensamento si tornerà, però, più diffusamente, nel capitolo III.

3) Sulla scorta della riforma del concetto di soggetto conviene sottolineare un ultimo aspetto che lega il pensiero di Dilthey e quello di Dewey. Per entrambi, infatti, la storicità dell’esistenza umana comporta necessariamente che ogni tipo di conoscenza raggiunta dall’uomo sia essenzialmente condizionata, vale a dire intrinsecamente connessa ad una precisa situazione storica che la fa sorgere e ne consente l’elaborazione.

Sempre restando all’interno dello storicismo tedesco contemporaneo è inevitabile notare come un altro grande pensatore quale Max Weber raggiunga la stessa conclusione a proposito della condizionatezza della conoscenza umana. Da ciò discende, sia per Weber sia per Dewey, che la scientificità delle scienze umane non può affatto consistere in un’indagine condotta “oggettivamente”, vale a dire realizzando un’impossibile negazione del proprio sé, ma deve coicidere con lo sforzo permanente dello storico di esplicitare i presupposti che informano la sua ricerca e, per quanto possibile, i pregiudizi che la influenzano.

Peraltro, anche in relazione al problema del rapporto tra componente universale e componente individuale all’interno delle scienze storico-sociali Weber propone una soluzione simile a quella di Dilthey e di Dewey. Anche per lui, infatti, le scienze umane non possono far a meno del sapere nomologico, costituito da un complesso organizzato di tipi-ideali, il quale, tuttavia, lungi dall’avere un valore in se stesso, ricopre una funzione meramente strumentale.

 

 

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