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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

2. CAPITOLO II: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN COME PENSIAMO

2.1 NOTA INTRODUTTIVA

John Dewey viene abitualmente accostato a quel filone di pensiero che viene definito pragmatismo; egli, però, pur non avendo simpatia per gli “ismi”[1], preferisce denominare la sua originale riflessione filosofica strumentalismo[2].

In realtà, i suoi studi universitari lo conducono ad abbracciare inizialmente una posizione kantiano-idealistica che caratterizza le sue prime opere filosofiche e psicologiche, la più importante delle quali è Psychology, pubblicata nel 1887. Tuttavia, la svolta intellettuale arriva dopo pochi anni: già gli Outlines of Ethics del 1891 segnano «una radicale conversione verso quel naturalismo umanistico, accentuante il carattere strumentale e sociale del pensiero», che costituisce la base comune della cosiddetta “scuola di Chicago”[3].

La prima esposizione sistematica di questa nuova concezione strumentalista del pensiero appare, però, solo circa vent’anni dopo, nel 1910, con la pubblicazione di uno dei testi più importanti e significativi del filosofo, Come pensiamo, lavoro che, come recita il sottotitolo, vuole essere “Una riformulazione del rapporto fra il pensiero riflessivo e l’educazione”. Il volume, tuttavia, non si limita ad affrontare argomenti relativi all’educazione e alla pedagogia. In esso, infatti, l’autore espone la propria innovativa concezione filosofica, anticipando alcuni dei concetti che verranno sviluppati più tardi in modo tematico e puntuale nelle opere di taglio più teoretico (ci riferiamo in particolare a Esperienza e natura del 1925, Logica, teoria dell’indagine del 1938, Conoscenza e transazione del 1949).

Sempre con l’intento di tracciare un panorama il più possibile completo sui vari punti di vista da cui si sviluppa la riflessione deweyana relativa al rapporto tra l’individuo e l’ambiente, prendiamo ora direttamente in considerazione Come pensiamo.

 

[1] Cfr. John Dewey, Conoscenza e transazione [Knowing and the Known, 1946], traduz. di E. Mistretta, presentaz. di M. Dal Pra, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 82 nota n. 15. «Non siamo più comportamentisti che mentalisti, rinnegando come facciamo, per ipotesi, ogni sorta di “ismi” e di “isti”».

[2] Cfr. Dall’assolutismo allo sperimentalismo, in AA.VV. Filosofi americani contemporanei [From Absolutism to Experimentalism, in Contemporary American Philosophy, 1930], traduz. di C. Coardi, a cura di J.H. Muirhead, Milano, Bompiani, 1939, p. 129. «Questa opinione ha contribuito, molto più che gran parte delle ragioni che i miei critici hanno messo innanzi, allo sviluppo di ciò che ho, in mancanza di una parola più conveniente, chiamato “istrumentalismo”». E, ancora, cfr. John Dewey, Conoscenza e transazione, cit., p. 375. «Mi pare venga a proposito, a questo punto, mio caro A-, accennare a quell’aspetto della mia teoria della conoscenza cui ho dato il nome di “strumentalismo”».

[3] A. Visalberghi, Il filosofo dello spirito scientifico in Logica, teoria dell’indagine (1949) [Logic, the Theory of Inquiry, 1938], traduz. di A. Visalberghi, Torino, Einaudi, 1974, p. XI. Cfr. anche Dall’assolutismo allo sperimentalismo, cit. In questo scritto autobiografico Dewey ripercorre in modo puntuale le varie tappe del cambiamento esponendone anche le motivazioni intellettuali ed esistenziali.

 

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