La Mediazione PedagogicaLiber Liber

IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

2. CAPITOLO II: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN COME PENSIAMO

2.2 DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI “PENSIERO RIFLESSIVO”

L’oggetto fondamentale dell’opera del 1910 è il pensiero riflessivo, del quale Dewey fa un’analisi molto dettagliata, esponendone le singole fasi e le varie funzioni. Il pensiero riflessivo è, secondo Dewey, «il miglior modo di pensare» ed è «quel tipo di pensiero che consiste nel ripiegarsi mentalmente su un soggetto e nel rivolgere ad esso una seria e continuata considerazione»[4]. In tal modo l’autore fornisce, già dalle prime pagine dell’opera, una prima definizione del pensiero, anche se piuttosto generica e parziale; definizione che verrà, poi, ampliata e completata nel corso dell’analisi stessa.

I primi elementi che ad essa vanno aggiunti, emergono, per contrapposizione, da un confronto del pensiero riflessivo con altri tipi di processi mentali che vengono definiti comunemente “pensiero”. In particolare, Dewey prende in considerazione tre di questi, comparandone gli aspetti peculiari con quelli del pensiero riflessivo.

Il primo tipo è il cosiddetto “flusso di coscienza” (che il traduttore del testo in italiano traduce, malamente a nostro parere, con “corrente della coscienza”) e consiste in un «corso non controllato di idee», «automatico e privo di regola», in un «inconseguente trastullarsi con figurazioni mentali, reminiscenze casuali, speranze gradevoli ma senza fondamento, impressioni rapide e appena abbozzate»[5]. Si tratta di una successione più o meno lunga di idee priva di un ordine particolare, nel corso della quale le singole idee sono sì collegate l’una all’altra, ma senza seguire un principio unificatore che fornisca un criterio alla sequenza.

Il pensiero riflessivo, a differenza del flusso di coscienza, non consiste in una disordinata sequenza di idee, ma è una “conseguenza” di idee, un ordine consecutivo siffatto che ognuna di esse determina la successiva come il proprio risultato e, a sua volta, ciascun risultato si appoggia o si riferisce a quelli che lo precedono[6].

Il pensiero riflessivo è «una serie ordinata o una catena» in cui, però, sia possibile un controllo sulla sequenza, in grado di trasformare questa in una successione ordinata che conduca a «una conclusione contenente in sé la forza intellettuale delle idee precedenti»[7].

Il secondo significato di pensiero viene ridotto alle «cose non direttamente percepite o sentite, alle cose non viste, ascoltate, toccate, odorate, assaporate»[8]. In tal senso, «un pensiero o un’idea è una raffigurazione mentale di qualcosa non attualmente presente e il pensare è la successione di tali rappresentazioni»[9].

Il pensiero riflessivo, invece, mira ad una conclusione, nel senso che:

La catena dei pensieri deve dirigersi verso qualche punto; deve tendere ad una conclusione, che deve essere stabilita al di fuori del mero corso delle immagini. [...] Questo elemento di differenza è probabilmente meglio espresso dall’espressione corrente in inglese: “Think it out”, nel senso di ‘pensarci su’, di ‘risolvere’ una questione. La frase suggerisce un imbroglio in cui bisogna mettere in ordine, qualcosa di oscuro che deve essere chiarito attraverso l’applicazione del pensiero. Vi è un risultato da raggiungere e questa meta finale costituisce un compito che controlla la sequenza delle idee[10].

La terza definizione di pensiero è più ristretta rispetto alle due precedenti ed è assimilabile a quella di credenza. Questo tipo di “pensiero” è sostanzialmente un atto di fede:

Una credenza fa riferimento a qualcosa che va oltre di essa e che attesta il suo valore; asserisce qualcosa circa una data materia di fatto, o un dato principio, o una data legge. Essa sta a significare che uno specifico stato di fatto o una legge è accettata o respinta, che vi è qualcosa da affermare o almeno con cui consentire. [...] Essa riguarda tutte le faccende di cui non abbiamo una conoscenza sicura e con cui tuttavia abbiamo abbastanza confidenza per agire secondo esse; come pure quelle faccende che attualmente accettiamo come veramente vere o come conoscenze ma che nondimeno possono essere messe in dubbio nel futuro[11].

Il pensare come sinonimo di credere è un’operazione decisamente passiva: l’idea non viene accettata come valida dall’individuo dopo un processo di ragionamento composto da prove e confutazioni.

La sua è un’idea presa dagli altri ed accettata perché è un’idea generalmente corrente, non perché l’individuo ha esaminato la questione o perché la sua mente ha avuto una parte attiva nel raggiungere e concepire quella credenza[12].

Idee di questo tipo, definite comunemente pregiudizi, nel senso di giudizi prematuri, non raggiunti con l’osservazione e l’analisi dei dati, si insinuano nella mente e diventano senza che noi ce ne accorgiamo parte del nostro equipaggiamento mentale. Ne sono responsabili la tradizione, l’istruzione, l’imitazione, ognuna delle quali cose o dipende da una qualche autorevole fonte o fa appello ad un nostro personale vantaggio, o coincide con qualche nostra passione[13].

Il pensiero riflessivo, al contrario, consiste in un processo attivo, «comporta un esame, una ricerca attenta, un’indagine personale»[14], ed è costituito da una «attiva, costante e diligente considerazione di una credenza o di una forma ipotetica di conoscenza alla luce delle prove che la sorreggono e delle ulteriori conclusioni alle quali essa tende»[15].

Dewey giunge così ad una seconda, ma ancora parziale, definizione di ciò che egli intende per “pensiero riflessivo”, definizione che verrà delineata, con completezza e precisione, attraverso l’analisi dettagliata delle varie fasi del processo in cui si sviluppa il pensiero riflessivo e l’esame della funzione che esso assume nella vita dell’individuo. Volgiamoci, allora, allo studio di questi due aspetti.

Uno dei fattori fondamentali del pensiero, è il fatto che le cose con le quali si hanno dei contatti, in genere, non rimangono stimoli fini a se stessi, ma richiamano alla mente altre cose, conducono il pensiero ad altri oggetti. Infatti, afferma Dewey:

Niente nell’esperienza è assolutamente semplice, singolo e isolato. Qualsiasi cosa sperimentata ci giunge insieme a qualche altro oggetto, qualità o evento. Qualche oggetto è focale e più o meno distinto, ma esso tosto sfuma via in altre cose[16].

Questo processo viene definito “suggestione”: ogni cosa, ogni situazione che noi sperimentiamo, ne suggerisce un’altra; questa a sua volta ne suggerisce una ulteriore e così via. Ed è proprio grazie alle suggestioni che le idee “ci vengono in mente”.

Per esporre il funzionamento della suggestione, Dewey riporta l’esempio, piuttosto banale, ma in questo caso illuminante, di un bambino che osserva un uccello: una simile esperienza può sembrare, ad un’analisi superficiale, una singola sensazione priva di ulteriori connessioni e conseguenze. In realtà la semplice contemplazione dell’uccello implica tanti altri elementi, come per esempio le cose che circondano immediatamente l’uccello, o le azioni dell’uccello stesso. Considerato ciò, tale osservazione risulta essere non più una sensazione isolata, ma un’esperienza complessa nella quale sono presenti diverse qualità in relazione.

Il bambino guarda l’uccello, osserva la situazione e penserà, con tutta probabilità, a qualcosa d’altro che non figura nella circostanza osservata.

Quella porzione della sua esperienza presente, cioè, che è simile a una esperienza precedente richiamerà o suggerirà qualche cosa o qualità connessa alla totalità della esperienza precedente; quella cosa o qualità a sua volta può suggerire qualche altra cosa in connessione con essa; e non soltanto può, ma farà effettivamente così, a meno che qualche nuovo oggetto di percezione non dia l’avvio ad un nuovo processo di suggestioni[17].

La mera suggestione, tuttavia, è qualcosa che semplicemente “accade”, manifestandosi come funzione della nostra esperienza passata; non è affatto un processo diretto ad una conclusione che l’individuo gestisce intenzionalmente e volontariamente. E’, spiega Dewey, come quando si guarda una nuvola e la si associa ad una figura, ad un oggetto o ad un volto umano: la forma della nuvola ricorda, richiama alla mente, suggerisce la forma di una certa altra cosa. Il processo, in tal caso, si ferma a questo punto, non si presentano ulteriori connessioni. La riflessione è assente.

Un ulteriore esempio, apparentemente simile, illustra il caso in cui nel processo di suggestione si affaccia, invece, il pensiero riflessivo. Una persona cammina in una calda giornata di pieno sole; improvvisamente si accorge del fatto che l’aria si è rinfrescata e le viene in mente che possa cominciare a piovere da un momento all’altro. Allora, alza lo sguardo al cielo, osserva che una nuvola ha coperto il sole e accelera il passo. Anche in questa circostanza, come in quella descritta dall’esempio precedente, la nuvola osservata suggerisce qualcosa.

Fino ad un certo punto la situazione è la stessa di chi, guardando una nuvola, si rammenta di una figura o di un volto umano. Il pensiero, nell’uno e nell’altro caso (il caso della credenza e della fantasticheria) implica il notare o il percepire un fatto, seguito da qualche altra cosa che non è osservata, ma che si presenta alla mente dietro il suggerimento della cosa vista[18].

Le analogie, però, terminano qui. Infatti, nel secondo caso ci si trova di fronte ad una serie di suggestioni che vengono governate dall’individuo che esperisce. Egli possiede il controllo delle condizioni che determinano il sorgere delle suggestioni e lo utilizza in modo da impadronirsi delle loro conseguenze. La persona in questione percepisce la sensazione di fresco; pensa alle nuvole; poi osserva il cielo e le vede; infine, pensa ad un qualcosa che al momento è assente, e cioè la pioggia. La possibilità suggerita è l’idea, il pensiero.

Dunque, confrontando con una certa attenzione i due casi esemplificati, oltre agli elementi comuni, si possono notare aspetti essenziali nettamente differenti. Nel primo caso, nell’osservare la nuvola, si ha un’impressione immediata, o una serie di impressioni, comunque prive di conseguenze e di implicazioni sulla realtà che si sta vivendo: la nuvola ricorda, somiglia, riporta alla mente un altro oggetto, e l’operazione si ferma qui.

Nel secondo caso, invece, il processo è di tipo diverso, o meglio, è simile al primo fino ad un certo punto, ma poi se ne differenzia in modo significativo: la presenza della nuvola, associata ad altre qualità della realtà, rappresenta la prova della possibilità del verificarsi, in un prossimo futuro, di un evento non ancora presente; la nuvola, associata al rinfrescarsi dell’aria, significa che probabilmente pioverà.

Noi non guardiamo alla nuvola come a qualcosa che significa o indica un volto, ma a qualcosa che lo suggerisce, mentre, invece, consideriamo che il fresco può significare pioggia. Nel primo caso, nel vedere un oggetto, ci capita, come appunto si suol dire, di pensare a qualcosa d’altro; nel secondo, noi consideriamo la possibilità e la natura della connessione tra l’oggetto visto e l’oggetto suggerito. La cosa vista è considerata in qualche modo come il fondamento o la base della credenza nella cosa suggerita; essa possiede la qualità dell’evidenza[19].

Come si era già anticipato:

Il fattore centrale, allora, di ogni pensiero riflessivo e specificatamente intellettuale è questa funzione per cui una cosa ne significa o indica un’altra, inducendo così ad esaminare fin dove l’una può essere considerata come garanzia della credenza dell’altra[20].

Tuttavia, la riflessione non si riduce semplicemente al fatto che una cosa ne richiama alla mente un’altra. Come abbiamo visto, infatti, anche la semplice suggestione può essere intesa in questo modo, pur non essendo affatto caratterizzata dalla presenza di un qualche tipo di pensiero riflessivo.

La riflessione si manifesta propriamente nel momento in cui si comincia ad indagare sul valore di una certa indicazione:

Quando ci sforziamo di vedere quali garanzie essa offre che i dati esistenti conducano realmente all’idea suggerita, in modo da giustificare l’accettazione di quest’ultima. La riflessione implica dunque che qualcosa sia accettata (o non accettata) non per se stessa, ma tramite qualcos’altro che sta come testimonianza, evidenza, prova, attestazione, garanzia; ossia, che sta come fondamento della credenza[21].

Ed ecco una definizione ulteriore del pensiero riflessivo fornita da Dewey, alla luce di questi nuovi elementi, che si aggiunge a quelle date precedentemente:

Il pensiero si può definire come quella operazione in cui i fatti presenti suggeriscono altri fatti (o verità) così da indurre la credenza in ciò che viene suggerito sulla base di una relazione realmente esistente tra le cose stesse, una relazione tra la cosa suggerita e quella che è fonte della suggestione[22].

E’ evidente che una simile operazione, per essere compiuta in modo corretto, necessita di una certa scorta di significati già acquisiti nel corso dell’esperienza passata (personale o riferita da altri) e relativamente stabili, dei quali ci si possa servire per valutare la situazione presente:

Una volta noi percepiamo effettivamente o sperimentiamo direttamente la pioggia; un’altra volta inferiamo che è piovuto, direttamente dall’aspetto dell’erba e degli alberi, o che sta per piovere, dalle condizioni dell’aria o dallo stato del barometro[23].

In questo senso l’esperienza assume un’importanza fondamentale per il pensiero riflessivo e, quindi, più in generale, per la vita dell’individuo. Le suggestioni, infatti, come punto di partenza del pensiero, nascono dall’esperienza passata e dal deposito di conoscenza che ogni individuo possiede.

Se in passato si è avuta una qualche familiarità con situazioni del genere, se si è avuto a che fare con materiali della stessa specie, suggestioni più o meno appropriate e capaci di venire in aiuto non mancheranno di presentarsi. Ma se non vi è stata una qualche esperienza analoga, la confusione rimane confusione[24].

Ammesso ciò, e considerando, inoltre, che ogni individuo possiede sicuramente un bagaglio di esperienze e di conoscenze diverso da quello di tutti gli altri individui, si può affermare che il tipo di suggestioni che si presenta varia da persona a persona. Allora, il tipo di suggestione dipende da due fattori: prima di tutto dall’esperienza personale dell’individuo, la quale è strettamente connessa alle condizioni culturali del tempo in cui l’individuo vive; in secondo luogo, e di conseguenza, aggiungeremmo noi, dagli interessi dell’individuo stesso.

L’inferenza avviene per mezzo e attraverso la suggestione che emerge da cose viste o ricordate. Ora, mentre tutte le suggestioni ci saltano spontaneamente in mente, il tipo di suggestione che affiora dipende dall’esperienza della persona. Questa, a sua volta, dipende dallo stato generale della cultura del tempo; per esempio, suggestioni che ai giorni nostri emergono spontaneamente non potrebbero affiorare nella mente di un selvaggio. In secondo luogo, le suggestioni dipendono dalle preferenze proprie di una persona, dai suoi desideri, dai suoi interessi, come dal suo immediato stato emotivo[25].

Eccoci dunque tornati al tema della nostra indagine, l’interrelazione tra l’individuo ed il proprio ambiente, considerato, però, questa volta, a partire dal modo in cui pensiamo, vale a dire in base alle modalità fondamentali attraverso cui si sviluppa la nostra esperienza conoscitiva: la suggestione e la riflessione.

Se dal punto di vista biologico si è già messa in chiaro la dipendenza dell’organismo dal suo ambiente fisico, da questo angolo visuale si fa evidente come l’individuo sia il prodotto del mondo storico-sociale in cui vive. Le sue esperienze, infatti, sono a tal punto marcate culturalmente che addirittura qualcosa di così immediato come le suggestioni ha le sue condizioni di possibilità nella cultura[26].

D’altra parte, così come si è fatto per la sfera più strettamente biologica, non si deve considerare solo un verso della relazione individuo-ambiente: se l’individuo è un prodotto storico del contesto culturale in cui vive, è del pari vero che il contesto culturale altro non è se non il prodotto dell’azione individuale[27].

Proprio la tematizzazione del pensiero riflessivo ci fa capire meglio questo punto. E’, infatti, in virtù della riflessione che l’individuo può controllare la validità delle inferenze che compie, non solo limitandosi a giudicare se esse siano conformi ai modelli di inferenza accettati, ma anche mettendo in questione la verità di questi stessi modelli. La riflessione, quindi, esercitata in prima istanza sui processi di pensiero del singolo, può coinvolgere paradigmi culturali che la rendono possibile, in parte o nella loro interezza.

Riprendiamo l’analisi che si stava svolgendo. Emerso il concetto di esperienza, conviene a questo punto anticipare due caratteristiche fondamentali che lo definiscono, la cui analisi verrà sviluppata estesamente in seguito, con la trattazione di altri argomenti e l’analisi di altre opere.

Il primo aspetto che va considerato è la continuità dell’esperienza o il continuum sperimentale, come viene definito da Dewey. Secondo questo principio la vera esperienza non è mai fine a se stessa, non è mai qualcosa di isolato dal resto. Ogni genuina esperienza deve essere, e di fatto è, strettamente legata sia all’esperienza precedente, sia all’esperienza futura: «ogni esperienza riceve qualcosa da quelle che l’hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno»[28].

In particolare, l’individuo deve basarsi sulle proprie esperienze passate, deve utilizzare queste come punto di partenza per affrontare le sue nuove esperienze. D’altra parte le esperienze presenti devono essere condotte in modo da risultare una “promessa per il futuro”, vanno, in altre parole, gestite in modo da produrre ulteriori esperienze educative, utili, a loro volta, per lo sviluppo delle esperienze successive.

Di qui la seconda caratteristica dell’esperienza: la cumulatività. L’esperienza, infatti, affiancata dal pensiero riflessivo, da una parte assume come punto di partenza i significati già acquisiti e stabilizzati; dall’altra si conclude con l’acquisizione di nuovi significati che serviranno poi, a loro volta, per condurre in modo proficuo le esperienze successive.

Scrive Dewey:

Questo è il costante movimento a spirale della conoscenza. L’aumento della nostra scorta di significati ci fa consapevoli di nuovi problemi, ma solo traducendo le nuove perplessità in ciò che è già piano e familiare, noi comprendiamo e risolviamo questi problemi. [...] Il nostro avanzamento in conoscenza genuina consiste sempre, da un lato, nello scoprire qualcosa non ancora compresa in ciò che in precedenza era considerato come scontato, ovvio, argomento di materia comune; e dall’altro, nel servirsi di significati direttamente compresi come strumenti per impadronirsi di significati oscuri e dubbi[29].

La cumulatività, naturalmente, funziona a livello personale per ogni individuo, apportando un aumento progressivo di conoscenza nel singolo, ma anche a livello collettivo per l’intera umanità, producendo il progresso intellettuale del genere umano.

Il grande vantaggio che proviene dall’esercitare la facoltà del pensiero, è che non vi sono limiti alla possibilità di portare negli oggetti e negli eventi della vita significati originalmente acquisiti mediante una analisi di pensiero, e quindi neppure limiti alla continua crescita di significato della vita umana. Un fanciullo può scoprire oggi nelle cose significati che rimasero nascosti a Tolomeo e Copernico, grazie ai risultati delle indagini riflessive che si sono verificate nel frattempo[30].

Posti in chiaro questi punti, analizziamo ora il meccanismo e le funzioni che Dewey attribuisce al pensiero riflessivo.

 

[4] J. Dewey, Come pensiamo (1961) [How We Think, 1910], introduz. E traduz. di Antonio Guccione Monroy, Firenze, La Nuova Italia, 1994, p. 61.

[5] Ivi, p. 62.

[6] Ivi, p. 63.

[7] Ivi, p. 112.

[8] Ivi, p. 63.

[9] Ivi, p. 64.

[10] Ivi, pp. 64-65.

[11] Ivi, p. 65.

[12] Ivi, p. 66.

[13] Ibidem.

[14] Ivi, p. 68.

[15] Ibidem.

[16] Ivi, p. 105.

[17] Ibidem.

Sul carattere di continuità dell’esperienza, per cui anche quella che appare come una sensazione puntuale in realtà è connessa con una totalità esperienziale, si veda la nostra analisi del concetto di situazione svolta nel capitolo IV, paragrafo 6, in cui si mette in chiaro che il singolo oggetto può apparire solo in un contesto complessivo.

Per il nostro tema della teoria della biografia è importante sottolineare che, come si vede nell’ultimo brano riportato, la continuità dell’esperienza si costituisce anche in virtù del fatto che l’esperienza presente richiami quella passata. Si fa chiaro, così, che l’esperienza attuale è possibile solo perché si costituisce sulla base dell’esperienza passata, di modo che l’individuo, così come è attualmente, risulta essere niente altro che il frutto delle sue esperienze passate. Cfr. anche il discorso sulla cumulatività dell’esperienza più avanti nota n. 30.

[18] Ivi, pp. 69-70.

[19] Ivi, p. 70.

[20] Ibidem.

[21] Ivi, p. 71.

[22] Ivi, p. 72.

[23] Ivi, p. 71.

[24] Ivi, p. 76.

[25] Ivi, pp. 166-167.

[26] «L’esperienza è naturalmente sociale, il pensiero è sociale, la scienza è sociale; ma v’ha di più: l’individuo stesso, la persona umana è in quanto persona, essenzialmente un prodotto della società» (A. Visalberghi, John Dewey, cit., p. 6).

Questo passo è estremamente significativo per la nostra ricerca. In esso, infatti, Visalberghi sottolinea in maniera molto forte come l’individuo, proprio in quanto persona (e quindi in tutta la sua dignità di unicum irripetibile e inimitabile), sia un prodotto sociale.

Sorge spontaneo, però, il seguente interrogativo: come può Dewey tenere insieme il sociale, vale a dire qualcosa di uniforme e standardizzato, e l’individuale, cioè, come si è detto, l’irripetibile?

Proprio con tale domanda fondamentale si deve confrontare la nostra ricerca, se vuole riuscire nel tentativo di esplicitare la teoria deweyana della biografia. Per ora, tuttavia, conviene lasciare sullo sfondo questo interrogativo, preparando la risposta attraverso l’analisi dei testi di Dewey. Per la discussione esplicita di questo fondamentale problema si veda capitolo IV, nota n. 55 e capitolo V, nota n. 24).

[27] A proposito di questo aspetto Dewey è molto chiaro nella Logica:

«L’individuo con le sue individuali particolarità, sia ereditarie che acquisite, partecipa attivamente alla formazione di idee e credenze» (Logica, cit., p. 62).

Che l’individuo, formulando nuove idee e credenze, agisca attivamente alla costituzione del suo ambiente culturale, è particolarmente importante per il tema della biografia. La biografia, infatti, dovrebbe avere tra i suoi compiti quello di mettere in luce il particolare angolo visuale da cui l’individuo ha guardato al suo mondo, ha recepito le idee più diffuse, le ha rifiutate, le ha rinnovate.

[28] J. Dewey, Esperienza e educazione (1949) [Experience and Education, 1938], traduz. e introduz. di E. Codignola, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 19.

[29] J. Dewey, Come pensiamo, cit., pp. 219-220. Cfr. anche J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione (1951) [The Sources of a Science of Education, 1929], traduz. di Mariuma Tioli Gabrielli e Luigi Borelli, Firenze, La Nuova Italia, 1996.

Sulla linea di quanto detto è d’uopo rilevare come la ricostruzione del processo esperienziale svolta da Dewey sia sorprendentemente simile a quella realizzata nell’ermeneutica di Heidegger e Gadamer. Cerchiamo allora di sviluppare schematicamente questa consonanza.

1) Sia per Dewey sia per l’ermeneutica contemporanea l’esperire ha la sua primaria condizione di possibilità nell’esperienza già compiuta. Se per il filosofo americano, infatti, le suggestioni possono sorgere solo a partire dal patrimonio culturale del singolo, per Heidegger e Gadamer nessuno può pretendere di rapportarsi all’esistente vergine da presupposti e pregiudizi, i quali, ben diversamente dalla mistificatoria svalutazione illuministica, rappresentano la trama di quella pre-comprensione che costituisce ontologicamente l’esserci (vale a dire: appartiene necessariamente all’uomo).

2) Sia per Dewey sia per l’ermeneutica contemporanea l’esperire è strutturato internamente a mo’ di progetto. Ciò significa che quando l’individuo tenta di comprendere nuovi significati non può farlo che formulando delle ipotesi (elaborate a partire dalla sua esperienza passata, dalla pre-comprensione) da mettere alla prova con i fatti.

«L’esperienza nella sua forma vitale è sperimentale, sforzo di cambiare il dato; è caratterizzata da una proiezione, da un protendersi verso il futuro. Il suo tratto saliente è la connessione con un futuro». J. Dewey, Intelligenza creativa [The Need for a Recovery of Philosophy in AA.VV., Creative Intelligence. Essays in the Pragmatic Attitude, 1917], traduz., introduz. e note di L. Borghi, Firenze, La Nuova Italia, 1976, p. 36.

«Chi si mette ad interpretare un testo, attua sempre un progetto. Sulla base del più immediato senso che il testo gli esibisce, egli abbozza preliminarmente un significato del tutto. E anche il senso più immediato il testo lo esibisce solo in quanto lo si legge con certe attese determinate. La comprensione di ciò che si dà da comprendere consiste tutta nell’elaborazione di questo progetto preliminare, che ovviamente viene continuamente ripetuto in base a ciò che risulta dall’ulteriore penetrazione del testo». Hans Georg Gadamer, Verità e metodo (1983) [Wahrheit und Methode, 1960], traduz. introduz. e cura di G. Vattimo, Milano, Bompiani, 1995, p. 314.

3) Sia in Dewey sia nell’ermeneutica contemporanea la motivazione profonda che determina il ruolo decisivo della pre-comprensione e della progettualità è la circolarità dell’esperire, a seguito di cui: «l’interpretazione, che è promotrice di nuova comprensione, deve aver già compreso l’interpretando». Martin Heidegger, Essere e tempo (1976) [Sein und Zeit, 1927], traduz. e introduz. di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1992, p. 193.

Resta da svolgere una ultima precisazione. Se l’ermeneutica parla di circolo, mentre Dewey parla di spirale della conoscenza, ciò non vuol dire affatto che per Heidegger il comprendere sia preso in un avvolgersi improduttivo su se stesso, né che per il filosofo americano l’esperire proceda in modo lineare e progressivo. Piuttosto, ciò indica che per entrambi il conoscere è intimamente legato con l’esperienza passata e quella futura, in una connessione che, realizzandosi di volta in volta in modo originale, produce sempre nuove forme esperienziali.

[30] Ivi, p. 83.

La caratteristica della cumulatività propria dell’esperienza ha un assoluto rilievo per la formulazione della teoria della biografia. Essa, infatti, mettendo in luce come l’esperienza dell’uomo si fondi su un processo continuo, in cui la fase precedente è la condizione di quella successiva, rende possibile sviluppare l’idea di biografia come ricerca eziologica. Secondo tale prospettiva, per comprendere un periodo di vita del singolo è necessario volgersi al processo che a tale periodo ha condotto, ripercorrendo la via che ha portato l’individuo ad assumere quei tratti che ora lo definiscono.

D’altra parte la cumulatività dell’esperienza e, insieme ad essa, il progetto di biografia come eziologia così come è stato esposto, trova piena conferma nella riflessione psicologica ed epistemologica contemporanea. Due grandi pensatori come Freud e Piaget, infatti, impostano le loro ricerche proprio sull’idea che lo sviluppo dell’individuo procede per fasi progressive in cui lo stadio precedente prepara il successivo.

«Come il bambino spiega in parte l’adulto, così possiamo affermare che ogni periodo di sviluppo giustifica in parte i successivi» (Jean Piaget, La psicologia del bambino, Torino, Einaudi, 1970, p. 13).

«Il progresso della conoscenza rese sempre più evidente la parte grandissima che spetta agli impulsi di desiderio sessuale nella vita psichica, e indusse ad approfondire l’indagine sulla natura e lo sviluppo della pulsione sessuale. Va detto però che ci imbattemmo anche in un altro risultato, meramente empirico, quando scoprimmo che le esperienze e i conflitti dei primi anni dell’infanzia hanno una parte la cui importanza non avremmo sospettato nello sviluppo dell’individuo e lasciano dietro di sé disposizioni incancellabili per il periodo della maturità» (Sigmund Freud, Voci di enciclopedia. Psicoanalisi e teoria della libido, Torino, Boringhieri, 1977, p. 57).

Per comprendere i processi psichici (Freud) e conoscitivi (Piaget) propri dell’età adulta è fondamentale ripercorrere la storia evolutiva dell’individuo. Così, per comprendere l’individualità del singolo è necessario ripercorrere le esperienze passate che lo hanno irrevocabilmente segnato, provocando il costituirsi di quelle caratteristiche inimitabili che lo contraddistinguono.

 

wpeD.jpg (2693 bytes)