La Mediazione PedagogicaLiber Liber

IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

2. CAPITOLO II: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN COME PENSIAMO

2.3 CONDIZIONI DI POSSIBILITA’, FUNZIONI E FASI DEL PENSIERO RIFLESSIVO

Abbiamo detto che il pensiero riflessivo:

- consiste nel concentrare la propria attenzione su un oggetto particolare;

- è una serie ordinata di idee;

- tende ad una conclusione, ad un fine, il quale regola il corso e la sequenza del pensiero stesso;

- spinge ad un’indagine, ad un’operazione di ricerca, comporta un esame;

- consiste nel valutare una credenza prendendo in considerazione le prove che la confermano e le conclusioni che essa propone;

- è l’operazione nel corso della quale la garanzia della credenza viene posta in una relazione oggettiva tra le cose esistenti, in particolare nella connessione tra la cosa suggerita e la cosa che è fonte della suggestione.

Ora passiamo ad analizzare le condizioni in cui il pensiero riflessivo nasce, il modo in cui esso si svolge concretamente e la sua funzione precipua.

Innanzi tutto, il pensiero riflessivo ha origine sempre da una situazione direttamente esperita. Le idee, il pensiero non possono sorgere dal nulla; quando si “pensa” indipendentemente dalla situazione reale, si fantastica, si immagina, si desidera, ma non si riflette, non si mette in atto un tipo di pensiero che possa essere definito riflessivo. Per avviare e regolare il pensiero riflessivo è necessaria la presenza di una situazione reale. Tuttavia, non tutto ciò che si sperimenta evoca la riflessione: la situazione da cui ha origine il pensiero riflessivo è caratterizzata da uno stato di dubbio e di incertezza; è una situazione che viene da Dewey definita cruciale, e che va in qualche modo risolta o chiarita per poter proseguire oltre.

E’ come se ci si trovasse, camminando in un posto che non si conosce, di fronte ad un bivio e si dovesse decidere quale strada prendere. In un simile caso ci si trova, appunto, in una situazione problematica, alla quale è necessario fornire una soluzione: la strada giusta da percorrere. A meno di non voler proseguire il cammino in modo arbitrario, confidando nella fortuna (ma allora le probabilità di imboccare la strada sbagliata eguagliano le probabilità di scegliere quella giusta), l’unica azione ragionevole da intraprendere è quella di cercare e mettere insieme una serie di elementi che provino che una delle due strade, piuttosto che l’altra, è quella giusta. A questo punto è necessaria una pausa, un momento di sospensione dell’azione. Pensare significa allora sospendere il giudizio e indagare su una serie di fatti forniti dalla memoria (si possono cercare tutti i riferimenti all’esperienza passata) e dall’osservazione diretta (si possono cercare delle indicazioni andando avanti in questa o in quella direzione; ci si può arrampicare su un albero per avere una visuale maggiore).

Il pensare ha origine in una situazione che può abbastanza bene essere chiamata cruciale, una situazione così ambigua da presentare un dilemma o proporre delle alternative. Finché la nostra attività scivola via senza ostacoli da una cosa all’altra o finché noi permettiamo alla nostra immaginazione di intrattenersi a suo piacimento in fantasticherie, non vi è posto per la riflessione. Una difficoltà od uno ostacolo nella via del raggiungimento di una credenza ci costringe, tuttavia, ad una pausa. Nello stato di sospensione determinato dall’incertezza, noi metaforicamente saliamo sempre su un albero; ci sforziamo di trovare un punto di vista dal quale esaminare nuovi fatti e dal quale, una volta raggiunta una veduta che ci faccia meglio dominare la situazione, decidere come stiano i fatti nella loro relazione reciproca[31].

Il pensiero riflessivo è, allora, un’operazione di indagine attraverso la quale si ricercano gli strumenti adatti a risolvere lo stato di dubbio e di perplessità e si tenta di fornire la soluzione al problema sorto dalla situazione cruciale.

Riprendiamo l’esempio della pioggia annunciata dalla nuvola. L’esperienza vissuta dalla persona che passeggia comporta un mutamento improvviso, la diminuzione di temperatura, che, come tale, pone un problema, anche se si tratta di un problema alquanto trascurabile e banale. L’uomo, una volta presa coscienza del problema, formula una sorta di ipotesi sul motivo del cambiamento (potrebbe piovere) e poi compie delle azioni al fine di acquisire un fondamento oggettivo ed evidente sul quale basare la sua credenza. Nello specifico, egli alza lo sguardo e osserva le condizioni del cielo: una nuvola copre il sole, allora probabilmente pioverà. Questo, anche se apparentemente eccessivamente semplificato e banalizzato[32], è un esempio di pensiero riflessivo.

La funzione del pensiero riflessivo è quindi quella di trasformare una situazione in cui si è fatta esperienza di un’oscurità, un dubbio, un conflitto, o un disturbo di qualche sorta, in una situazione chiara, coerente, risolta, armoniosa[33].

L’attività riflessiva, quindi, consente il passaggio da una situazione presente, direttamente esperita, a delle conclusioni che riguardano un’altra situazione non ancora presente. Questa operazione costituisce ciò che Dewey chiama inferenza. L’inferenza comporta allora un salto da ciò che si conosce, o che comunque si sperimenta direttamente, ad un qualcosa di non ancora accertato con sicurezza e che non si domina ancora del tutto.

In ogni caso di attività riflessiva, una persona si trova di fronte ad una data situazione presente, da cui perviene, o conclude, a qualche altra cosa non ancora presente. Questo processo di arrivare all’idea di ciò che è assente sulla base di ciò che è presente costituisce l’inferenza. Ciò che è presente porta o conduce la mente all’idea prima, all’accettazione in ultimo, di qualche altra cosa. [...] In quanto va oltre i fatti accertati e conosciuti, dati sia dall’osservazione che dal ricordo di conoscenze precedenti, qualsiasi inferenza comporta un salto dal noto all’ignoto, un salto al di là di ciò che è dato e già stabilito[34].

L’inferenza, come si è già visto, nasce direttamente dalle suggestioni, la qualità delle quali dipende dall’esperienza della persona, dallo stato di cultura del tempo, dalle preferenze e dagli interessi dell’individuo stesso. Inoltre, portando a qualcosa di ancora sconosciuto, essa va provata, o comunque controllata, per conoscerne il valore e la plausibilità. Una volta provata l’inferenza si può dire che la credenza, su di essa fondata, è più o meno valida. La prova va effettuata prima di tutto nel pensiero, per verificare la coerenza tra i singoli aspetti delle suggestioni, e, in seguito, le suggestioni accettate vanno provate tramite l’azione, al fine di verificare le conseguenze che esse producono.

L’importante è che ogni inferenza sia un’inferenza controllata; oppure (dato che questo non è sempre possibile) che noi facciamo una discriminazione tra le credenze che sono fondate sull’evidenza e quelle che non lo sono, e di conseguenza stiamo in guardia per quel che riguarda la specie od il grado di assenso o di credenza giustificati. [...] Le inferenze suggerite vanno anzitutto provate nel pensiero, per vedere se i diversi elementi della suggestione si accordano l’uno con l’altro. Inoltre, una volta adottate, sono sottoposte ad ulteriore controllo mediante l’azione, per vedere se le conseguenze anticipate nel pensiero si verificano nei fatti[35].

L’inferenza, e quindi il processo del pensiero riflessivo, si compiono e si concludono con successo nel momento in cui si effettua il passaggio suddetto dalla situazione di dubbio e di incertezza ad una situazione nuova nella quale il dubbio è stato risolto, dalla situazione problematica ad una situazione nella quale le difficoltà si sono appianate e il problema ha ricevuto la sua soluzione. E’ naturale che, come già si è messo in luce, in seguito a delle operazioni del genere, sia l’individuo, sia il contesto in cui egli si trova, subiscano dei mutamenti significativi, più o meno profondi a seconda del tipo di situazione.

Non v’è modo migliore per decidere se una genuina inferenza ha avuto luogo che il chiedersi se essa si è conclusa con la sostituzione di una situazione chiara, ordinata e soddisfacente ad una confusa, discordante e piena di dubbi. Il pensiero unilaterale ed inefficace finisce sempre con conclusioni che sono, sì, formalmente corrette, ma che non portano nessuna differenza nell’immediata esperienza personale. Una inferenza vitale lascia sempre chi la fa in un mondo che è sperimentato differente sotto qualche rispetto, giacché qualche suo oggetto ha ottenuto una nuova chiarezza e una nuova sistemazione. In breve, il pensiero genuino si conclude con l’apprezzamento di nuovi valori[36].

Ciò che è interessante sottolineare è che da questo passo si evince come per Dewey il mondo non sia affatto un’entità separata dal soggetto conoscente, sussistente in sé e per sé e data una volta per tutte. Al contrario, tutt’altro che a se stante, il mondo si definisce solo in relazione al soggetto conoscente. Le esperienze vitali del soggetto, infatti, costituiscono di volta in volta un mondo diverso sotto qualche rispetto.

D’altra parte, sempre per mantenere viva la dialettica tra i due poli della relazione individuo-ambiente, va anche ricordato che il soggetto non esperisce a suo piacimento, ma è inserito piuttosto in un continuum esperienziale in cui le esperienze passate, che costituiscono la base delle esperienze future, hanno la loro origine nella forma di vita in cui il soggetto è radicato.

Rivolgiamoci ancora all’analisi del processo della riflessione.

Per illustrare le caratteristiche del pensiero riflessivo, Dewey riporta tre esempi tipici di inferenza a vari livelli, che formano una serie che parte da casi rudimentali e arriva a casi più complessi ed elaborati[37].

Il primo esempio di inferenza è un caso abbastanza banale e rudimentale di riflessione, un tipo di pensiero a cui tutti noi ricorriamo, continuamente e quotidianamente, nel compiere le azioni più consuete. Un simile esempio, infatti, viene esposto per dimostrare prima di tutto che il pensiero riflessivo può caratterizzare non solo le operazioni di indagine più strettamente scientifiche o tecniche, ma anche, e soprattutto, le operazioni ordinarie che vanno a comporre la vita quotidiana di ogni persona. In secondo luogo, esso mostra che il pensiero riflessivo ha origine, in genere, dalla composizione di stimoli interni ed esterni all’individuo stesso e, in particolare, dall’insorgere di necessità pratiche e di problemi concreti a cui l’individuo deve fornire delle soluzioni.

Sono le circostanze, sia esterne che interne, ad evocare e dirigere in una certa misura il pensiero del tipo riflessivo. Bisogni pratici, in connessione con le condizioni naturali e sociali esistenti, evocano e dirigono il pensiero[38].

Il terzo caso esemplifica una situazione in cui la riflessione è possibile solo per una persona che possieda un certo tipo di conoscenza scientifica. Ciò a dimostrazione del fatto che «quando una mente è già esercitata in argomenti scientifici, la ricerca ha origine da problemi intellettuali»[39].

Il secondo esempio di inferenza rappresenta un caso di transizione tra gli altri due, nel senso che non è un argomento che cade nel campo delle conoscenze scientifiche, ma fa parte comunque dell’esperienza quotidiana di ogni individuo. Tuttavia, il problema che sorge da una simile situazione fa appello ad un interesse imparziale e teorico e presuppone, ai fini di una sua risoluzione, un insieme di conoscenze di un certo livello tecnico. Inoltre, un esempio del genere mostra come la curiosità, che Dewey annovera tra le risorse native del pensiero[40], costituisca una forte spinta dall’interno per l’origine e la direzione del processo della riflessione.

Considerato che Dewey attribuisce ad esso tanta importanza, conviene soffermarsi brevemente sul concetto di curiosità.

La curiosità, spiega Dewey, è la spinta che tutti noi abbiamo verso il mondo che ci circonda, verso gli oggetti, verso gli eventi. In particolare, essa costituisce lo stimolo che ci permette di stabilire continuamente nuovi contatti con l’ambiente, e che consente, quindi, l’ampliamento della nostra esperienza individuale. Come tutti gli esseri umani, infatti:

Possediamo anche delle tendenze che sono protese in avanti e all’esterno, che ci spingono a stabilire nuovi contatti, che si sforzano di mutare gli oggetti vecchi, che gioiscono, per così dire, di esperienze fini a se stesse e sono così incessantemente attive nello estendere il campo dell’esperienza. Queste varie tendenze si riassumono in una parola: curiosità. [...] Essa è il fattore fondamentale nell’allargamento dell’esperienza e quindi il primo ingrediente nei germi che devono essere sviluppati in pensiero riflessivo[41].

La curiosità attraversa, durante lo sviluppo mentale dell’individuo, tre stadii o livelli. Il primo grado coincide con una semplice esuberanza fisica, una sorta di «trasporto vitale», una tendenza casuale all’esplorazione, priva ancora di attività intellettuale. Il secondo stadio è quello che si sviluppa sotto l’influenza degli stimoli sociali, e implica, in casi di necessità, la presenza e l’intervento di altre persone. Il bambino che chiede «Cos’è questo?» oppure «Perché?» non necessita di una spiegazione scientifica; ma, allo stesso tempo, la sua richiesta va oltre il mero desiderio di accumulare informazione, è una richiesta che mira all’acquisizione di una più ampia conoscenza del mondo che lo circonda, e contiene, perciò, il «germe della curiosità intellettuale». Il terzo ed ultimo livello è quello che si può definire della curiosità intellettuale, e consiste nell’interesse a risolvere autonomamente le questioni che sorgono dal contatto continuo con l’ambiente circostante e con le persone e le cose che ne fanno parte.

Proprio nel grado in cui un fine distante controlla una serie di ricerche e di osservazioni e le collega assieme come mezzi ad un fine, la curiosità assume definitivamente un carattere intellettuale[42].

Torniamo ora ai tre esempi esposti dall’autore. Essi, pur rappresentando situazioni completamente differenti fra loro, hanno alcuni aspetti fondamentali in comune. In primo luogo, tutti e tre i casi illustrati mostrano le condizioni in cui ha origine e il modo in cui si sviluppa un’inferenza, la quale, come abbiamo già detto, rappresenta il nucleo di ogni attività riflessiva. In secondo luogo, le tre situazioni presentate chiariscono ulteriormente come il pensiero riflessivo consista in uno strumento necessario per trasformare una situazione problematica in una situazione ben definita e risolta. Infine, esse illustrano in modo chiaro e semplice le fasi che caratterizzano ogni tipo di pensiero riflessivo.

Volgiamoci, dunque, all’esame delle fasi della riflessione. Si è già visto che essa sorge in una situazione problematica e dubbia, ed approda ad una situazione risolta e definita. Dewey definisce tali situazioni rispettivamente pre-riflessiva e post-riflessiva: la prima pone il problema che necessita di essere risolto attraverso il processo della riflessione; nella seconda il problema ha trovato risposta, il dubbio è stato risolto e «ciò che ne risulta è una esperienza diretta di padronanza, soddisfazione, godimento»[43]. Questi sono i due estremi che delimitano l’attività riflessiva. All’interno di questi due poli si sviluppano le varie fasi del pensiero riflessivo, le quali possono essere sintetizzate e schematizzate in cinque punti[44]:

1. La suggestione: nel momento in cui si presenta una situazione confusa e problematica, l’azione è costretta a fermarsi momentaneamente, almeno fino a che il problema non è stato in qualche modo risolto. Nonostante la pausa, però, esiste una tendenza a proseguire l’azione che si manifesta, anziché come azione diretta, come idea o suggestione. Se la suggestione che “viene in mente” è unica, questa verrà accettata e si agirà in conformità con essa; ma, nel caso in cui si dovessero presentare due o più suggestioni, queste entrerebbero in contrasto tra loro, provocando una confusione maggiore, e ponendo così la necessità di una ulteriore indagine.

2. L’intellettualizzazione: il problema posto dalla situazione esperita può essere identificato e definito solo nel momento in cui si intravede la via per la sua soluzione, o per una delle sue possibili soluzioni, e ci si impegna a risolverlo. Fino ad un certo punto, infatti, la comprensione del problema rimane piuttosto vaga e indeterminata. La suggestione, o le suggestioni, ci costringono ad osservare attentamente le condizioni che caratterizzano la situazione, che costituiscono la difficoltà e che bloccano l’azione diretta. In questo modo il problema diventa un vero problema, un problema intellettuale.

3. L’idea come guida, o ipotesi: le suggestioni, come abbiamo visto, accadono, vengono in mente automaticamente. L’uso che si fa, poi, delle suggestioni costituisce l’elemento intellettuale. Attraverso l’osservazione delle condizioni della situazione presente, oltre a definire il problema, si comincia via via a delineare in misura sempre maggiore anche la sua soluzione. La suggestione si trasforma, così, in una vera e propria ipotesi, in una idea-guida per l’azione.

4. Il ragionamento: una volta venute in mente, le suggestioni sono suscettibili di notevole sviluppo da parte della mente stessa. Se la suggestione emerge in una mente «ricca di esperienza» e «bene informata», essa verrà elaborata in modo che si abbia, alla fine, un’idea completamente diversa da quella di partenza.
Abbiamo già visto che il tipo di suggestioni che vengono alla mente dipende dalle esperienze e dalle conoscenze pregresse dell’individuo, oltre che dalla cultura del tempo in cui egli vive. Ma anche la capacità di rielaborare in modo fecondo le idee dipende direttamente da questi aspetti. E’ importante, quindi, l’influenza dell’ambiente strettamente individuale, caratterizzato dalle esperienze personali, ed è importante anche l’influenza dell’ambiente in senso più ampio, caratterizzato dalle esperienze e dalle conoscenze collettive, patrimonio dell’umanità intera, che vengono trasmesse all’individuo, a partire dal suo ingresso nel mondo, attraverso l’educazione e l’istruzione.
L’estensione dei collegamenti che il ragionamento porta alla luce dipende, naturalmente, dalla scorta di conoscenze che la mente già possiede. E questa dipende non solo dall’esperienza precedente e dalla particolare educazione dell’individuo che conduce l’indagine, ma anche dallo stato della cultura e dalle condizioni della scienza dell’epoca e del luogo. Il ragionamento aiuta ad ampliare le conoscenze, ma nello stesso tempo dipende da ciò che già si conosce e dalla facilità che esiste nella comunicazione delle conoscenze e nella possibilità di farne una risorsa pubblica e aperta a tutti[45].
Il ragionamento permette di sviluppare le suggestioni in modo da trasformarle in idee feconde e appropriate. Oltre a ciò, aiuta a recuperare elementi nuovi o intermedi che uniscono in un tutto coerente termini che in partenza sembravano in contrasto fra loro, perché portavano la mente ad inferenze opposte.

5. Il controllo dell’ipotesi mediante l’azione: inizialmente l’idea, l’ipotesi, viene controllata o verificata in via esclusivamente teorica. Attraverso il ragionamento si può prevedere che, accettando quella determinata ipotesi, si potrebbero ottenere certe conseguenze. Tuttavia, le conclusioni, a questo punto, sono ancora ipotetiche e condizionali. L’idea va corroborata anche attraverso l’azione (che si riduce ad una osservazione diretta nei casi più banali, o si trasforma in esperimento nelle situazioni più complesse) mettendo in atto l’ipotesi formulata e osservandone i risultati. Se le conclusioni sperimentali coincidono con quelle teoriche, l’ipotesi viene accettata come valida e viene definita come significato o come concetto[46]. Sotto questa forma potrà poi essere utilizzata come strumento per le esperienze e per le riflessioni future e, quindi, per l’acquisizione di nuove conoscenze.

 

[31] J. Dewey, Come pensiamo, cit., pp. 74-75.

[32] Dewey tuttavia afferma esplicitamente che un simile esempio non è una banalizzazione, dato il tentativo che si fa di applicare il processo della riflessione non solo alle operazioni tecniche, ma anche agli atti più comuni e ordinari. Cfr. J. Dewey, Come pensiamo, cit., p. 73.

[33] Ivi, p. 172.

[34] Ivi, pp. 165-166.

[35] Ivi, pp. 167-168.

[36] Ivi, p. 173.

[37] Cfr. ivi, pp. 161-164.

[38] Ivi, p. 161,

[39] Ibidem.

[40] Cfr. ivi, pp. 98-120.

[41] Ivi, pp. 99-100.

[42] Ivi, p. 103.

[43] Ivi, p. 179.

[44] Non sarebbe possibile né utile esporre, in questa sede, in modo particolareggiato e analitico, le singole fasi del pensiero riflessivo. Si è pensato di fornirne qui una breve sintesi per questioni di completezza. Tuttavia, l’esposizione delle cinque fasi viene ripresa da Dewey in diverse opere; in particolare un’analisi molto dettagliata viene compiuta in Logica, teoria dell’indagine, a cui si rimanda per ulteriori precisazioni ed approfondimenti. Cfr. Logica, teoria dell’indagine, cit., pp. 131-153.

[45] J. Dewey, Come pensiamo, cit., p. 185.

[46] Cfr. J. Dewey, Come pensiamo, cit., pp. 210-248.

 

wpeD.jpg (2693 bytes)