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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

2. CAPITOLO II: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN COME PENSIAMO

2.4 NOTA CONCLUSIVA

A questo punto l’analisi di Come pensiamo, in relazione ai fini della nostra indagine, può considerarsi terminata. Da essa sono emersi alcuni aspetti fondamentali per il nostro lavoro. In particolare si può concludere che la concezione del pensiero delineata da Dewey e, quindi, la sua teoria della conoscenza implicano:

1. Un’interazione continua tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda. L’individuo, infatti, fin dal momento della sua nascita, istituisce, grazie al possesso dei cinque sensi, un rapporto costante e diretto con gli oggetti e le persone che si trova ad avere intorno.
Ogni creatura vivente, mentre è sveglia, è in interazione costante con il suo ambiente. E’ impegnata in un processo consistente nel dare e prendere, nell’agire in qualche modo sugli oggetti che la circondano e nel ricevere qualcosa da essi - impressioni, stimoli. Questo processo di interazione costituisce la trama dell’esperienza[47].

2. Il ruolo fondamentale dell’esperienza individuale, in particolar modo di quella passata. Nel processo della riflessione, infatti, c’è sempre un riferimento al passato, che ci permette di utilizzare in qualche modo le esperienze pregresse per risolvere situazioni presenti. Le idee che saltano alla mente e la loro elaborazione, come abbiamo visto, dipendono esclusivamente dalle esperienze passate compiute dall’individuo stesso o riferitegli da altri. Non solo, ma anche il modo in cui viene condotto il processo del pensiero riflessivo, e quindi la sua fecondità e capacità di acquisire sempre nuove conoscenze, dipende dagli «abiti di pensiero» del singolo individuo, che sono stati appresi proprio tramite l’esperienza passata e l’educazione e quindi, appunto, attraverso il contatto con l’ambiente circostante.

3. Il ruolo fondamentale del contesto, in particolar modo di quello culturale. Esso ci permette di usufruire di un complesso enorme di significati e di concetti già acquisiti e stabilizzati.
Anni, secoli, generazioni di progetti ed invenzioni, possono aver condotto allo sviluppo delle azioni e delle occupazioni dell’adulto che circondano il fanciullo. Ma quelle attività sono per lui stimoli diretti, parti del suo ambiente naturale[48].

4. Una visione strumentalista che considera il pensiero come strumento necessario per il passaggio da situazioni problematiche, cause di squilibrio nei rapporti tra l’individuo e il proprio ambiente, a situazioni risolte in cui è ristabilito l’equilibrio disturbato.

Fin dalla prima infanzia l’individuo si trova in condizione di dover acquistare la padronanza del proprio corpo per poter utilizzare al meglio le sue funzioni, al fine di raggiungere un buon rapporto di equilibrio con l’ambiente, composto di oggetti e di persone, in cui si trova immerso:

Il problema principale dell’infante è quello di raggiungere la padronanza del proprio corpo come di un mezzo atto ad assicurargli un confortevole ed efficiente adattamento all’ambiente, fisico e sociale. L’infante deve imparare a fare quasi tutto: a vedere, ascoltare, prendere, maneggiare, mantenere il corpo in equilibrio, strisciare, camminare, e così via. [...] La padronanza definitiva richiede l’osservazione e la selezione dei movimenti appropriati ed il loro ordinamento in vista di un fine. Queste operazioni di selezione e di adattamento consapevole costituiscono il pensiero, sebbene di un tipo rudimentale. [...] Lo sviluppo del controllo fisico non è una realizzazione fisica, ma intellettuale[49] .

Questo per quel che riguarda l’ambiente strettamente fisico; ma anche gli adattamenti sociali sono fondamentali per lo sviluppo dell’individuo. Infatti, il rapporto del bambino con gli oggetti del suo ambiente è mediato dalle persone che gli stanno intorno. Il linguaggio, come forma di comunicazione universale, diventa così lo strumento di ogni adattamento sociale.

Con lo sviluppo del linguaggio (che avviene di solito nel secondo anno) l’adattamento delle attività del bambino a quelle e con quelle delle altre persone è la nota dominante della sua vita mentale. La schiera delle sue possibili attività viene infinitamente ampliata nella misura in cui egli sorveglia ciò che fanno gli altri, e si sforza di capire e di fare ciò che gli altri lo incoraggiano a fare[50].

Il passaggio da una condizione di squilibrio nel rapporto individuo-ambiente a una condizione di equilibrio, e l’alternanza di squilibri ed equilibri nell’esistenza di un individuo, è proprio ciò che in campo biologico viene definito “adattamento”. La concezione del pensiero di Dewey può essere considerata, dunque, una trasposizione del concetto di adattamento da un ambito strettamente biologico, che rende conto delle sole funzioni organiche, all’ambito sociale e culturale proprio dell’uomo, che prende in considerazione invece il funzionamento del pensiero e il meccanismo dell’acquisizione e della trasmissione della conoscenza.

Lo strumentalismo deweyano, cioè la sua concezione operazionale ma non immediatamente utilitaristica del pensiero, è una concezione essenzialmente darwiniana, che dà conto dei modi di strumentazione a livello culturale avanzato dei processi di adattamento, ormai “socializzati”, dell’umanità[51].

 

[47] Cfr. J. Dewey, Come pensiamo, cit., pp. 210-248.

[48] Ivi, p. 289.

[49] Ivi, pp. 295-297.

[50] Ivi, pp. 297-298.

[51] A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, cit., p. 91.

 

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