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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di Giordana Szpunar |
3 CAPITOLO III: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN INTELLIGENZA CREATIVA
3.2 SUL CONCETTO DI ESPERIENZA
Il
concetto tradizionale di esperienza, fondato sulla contrapposizione tra soggetto e
oggetto, comune agli empiristi e ai loro avversari, risulta, ormai, «del tutto
insostenibile alla luce della scienza e della prassi sociale».
Dewey rinviene cinque caratteristiche essenziali che definiscono tale concetto e,
assumendo un punto di vista biologico, in particolare evoluzionista, mette in luce la
fallacia di ciascuna di esse.
Esponiamo
allora brevemente questi punti.
1.
Lesperienza non va considerata come un fatto primariamente conoscitivo. Essa appare,
piuttosto, come manifestazione di uninterazione dellorganismo con
lambiente circostante ed è evidentemente «un fatto del rapporto tra un essere
vivente e il suo ambiente naturale e sociale».
2.
Lesperienza non è un evento esclusivamente psichico pervaso di soggettività. Si
tratta, al contrario, di «un mondo genuinamente oggettivo che entra nelle azioni e nelle
passioni degli uomini e che subisce modificazioni attraverso le loro risposte».
3.
Lesperienza non consiste in una mera registrazione di ciò che è avvenuto, degli
eventi passati, non si riduce al riferimento a un precedente. Diversamente,
«lesperienza nella sua forma vitale è sperimentale, sforzo di cambiare il dato»,
quindi essa è definita da una proiezione nel futuro.
4.
Lempirismo è legato al «particolarismo» e considera lesperienza come priva
di continuità. Al contrario, rappresentando uno sforzo per dominare in nuove direzioni
lambiente al quale è subordinata, lesperienza è feconda di nessi e di
continuità.
5.
Lesperienza e il pensiero non sono termini antitetici; lesperienza non è
separata dal pensiero. Essa non solo è in modo evidente ricca di inferenze, ma si può
affermare addirittura che «non esiste allevidenza nessuna esperienza cosciente
senza inferenza».
Dewey
critica, quindi, allo stesso modo lempirismo, il razionalismo e il kantismo,
dottrine che portano avanti definizioni di esperienza che sono ormai divenute
improponibili e inaccettabili. Così, secondo lautore, tutte le interpretazioni del
concetto di esperienza successive a Kant «non sono state empiriche», ma sono state
«deduzioni, da premesse innominate, di ciò che lesperienza deve essere»,
in cui non sono stati presi in considerazione gli importanti risultati raggiunti
attraverso lo sviluppo delle scienze, in particolare di quelle biologiche.
Il
soggetto conoscente, definito dalle diverse dottrine anima, io, mente, spirito, coscienza,
non ha trovato un sostituto empirico finché i progressi in campo scientifico non hanno
dimostrato che «i cambiamenti fisici sono correlazioni funzionali di energie e che
luomo è continuo colle altre forme della vita». Ora, dunque, non è più
possibile mantenere la figura del soggetto tradizionale e tralasciare la lezione
biologica. Si rende necessario, piuttosto, assumere come punto di partenza le conquiste
delle scienze della natura, per ottenere finalmente una definizione empirica, e quindi
corretta e legittima, dellesperienza.
Se
si assume come valida la teoria dellevoluzione organica, e quindi si ammette la
dottrina della continuità biologica, luomo va considerato come un organismo
«almeno continuo» con le altre forme di vita e con i processi chimici e fisici che
caratterizzano le attività organiche.
Se
si accetta lo sviluppo biologico, il soggetto dellesperienza è almeno un animale
continuo colle altre forme organiche in un processo di organizzazione più complessa. E a
sua volta un animale è per lo meno continuo coi processi chimico-fisici che, nelle cose
viventi, sono organizzati in modo da costituire realmente le attività della vita con
tutti i caratteri che li definiscono.
Dati
questi presupposti, è possibile fornire alcuni elementi alla nuova definizione di
esperienza alla quale Dewey tenta di arrivare. Lesperienza si raccoglie sempre
intorno ad un centro, ad un organismo vivente. Da un punto di vista biologico,
lesperienza può essere legittimamente ridotta alla vita: essa risulta essere
linsieme di tutti gli eventi che riguardano un organismo dalla nascita alla morte.
La vita daltra parte, e questo è evidente a tutti, non si svolge nel vuoto, ma
necessita di un ambiente, di un «mezzo ambiente», caratterizzato da alcune condizioni
che ne permettano lo sviluppo. E chiaro allora che il vivere, e quindi
lesperienza di ogni essere vivente, consiste in un legame ininterrotto tra
lorganismo ed il proprio ambiente.
Ogni
trattazione dellesperienza deve oggi accordarsi colla considerazione che
esperimentare significa vivere, e che il vivere procede dentro e a causa di un mezzo
ambiente, e non nel vuoto. Dove cè esperienza cè un essere vivente. Dove
cè vita, cè un doppio nesso mantenuto collambiente.
Tuttavia,
il nesso che lega lorganismo al proprio ambiente non funziona esclusivamente in
termini positivi. E vero che la vita è resa possibile solo allinterno di un
ambiente e grazie alla presenza di determinate energie ambientali che alimentano lo
sviluppo di certe funzioni organiche; ma è anche vero che lambiente non fornisce
solo elementi utili allo sviluppo delle funzioni vitali. Le energie ambientali, infatti,
agiscono tanto a vantaggio quanto a svantaggio dellorganismo vivente.
In
parte le energie ambientali costituiscono le funzioni organiche; vi penetrano. La vita non
è possibile senza un tale appoggio diretto da parte dellambiente. Ma mentre tutti i
cambiamenti organici dipendono dalle energie naturali dellambiente per la loro
origine e produzione, le energie naturali talvolta portano avanti con successo le funzioni
organiche e talvolta agiscono contro la loro continuazione. Crescenza e decadenza, sanità
e malattia, sono ugualmente continue colle attività dellambiente naturale. La
differenza sta nella portata di ciò che accade sulla futura attività vitale.
Lorganismo,
a sua volta, non subisce passivamente le influenze dellambiente e la sua vita non è
una semplice emanazione di esso. Lessere vivente, infatti, ha il potere di agire sul
proprio ambiente e di modificare la direzione degli eventi naturali. Lazione
dellorganismo sullambiente viene intrapresa, da una parte, al fine di
perpetuare le circostanze favorevoli e rendere maggiormente collaborative quelle neutre,
dallaltra, per evitare linfluenza di quelle sfavorevoli. In altre parole,
lanimale (inteso in senso biologico e quindi comprendente anche luomo)
necessita delle risorse ambientali per la propria esistenza, ma esercita, allo stesso
tempo, uninfluenza su di esse per garantire il proseguimento della propria
sopravvivenza.
Le
riuscite attività dellorganismo, quelle entro le quali si incorpora
lassistenza dellambiente, reagiscono sullambiente per produrre delle
modificazioni favorevoli al loro stesso avvenire. E in potere delluomo di
rispondere a ciò che accade attorno a lui in modo che questi cambiamenti prendano una
direzione piuttosto che unaltra, che prendano, cioè, quella che è richiesta dal
suo funzionamento ulteriore. Ma mentre la vita delluomo è in parte sostenuta
dallambiente, essa è tuttaltro una pacifica emanazione di questo. Essa è
costretta a lottare, vale a dire a impiegare lappoggio diretto dato
dallambiente per effettuare indirettamente dei cambiamenti che altrimenti non
accadrebbero. In questo senso la vita procede mediante il dominio dellambiente. Le
sue attività devono modificare i cambiamenti che hanno luogo attorno ad essa; devono
neutralizzare gli eventi ostili e devono trasformare quelli neutri in fattori cooperativi
o in unefflorescenza di nuovi tratti.
Questo
è ciò che si definisce, generalmente, adattamento. Spesso ladattamento
viene considerato semplicemente come un processo messo in atto dallorganismo al fine
di rendersi conforme al proprio ambiente. In realtà, come si è già visto,
ladattamento non è semplice accoglimento passivo da parte dellindividuo
dellambiente in cui si trova immerso. Lessere vivente, infatti, oltre a subire
i cambiamenti dellambiente, a sua volta agisce in modo che questi prendano certe
direzioni piuttosto che altre, vale a dire, spinge i mutamenti ambientali in direzioni
maggiormente favorevoli alla propria sopravvivenza.
Come
la vita esige che lambiente sia adatto alle funzioni organiche, così
ladattamento allambiente significa non accettazione passiva di questo, ma
unattività tale per la quale i mutamenti ambientali prendano una certa direzione.
Inoltre,
è necessario precisare che il tipo di adattamento dipende dalla complessità
dellessere vivente che si prende in considerazione. Più la forma di vita è
complessa, e si arriva fino al punto più alto rappresentato dallessere umano, più
ladattamento risulta essere un processo reciproco di adeguamento dellorganismo
allambiente e dellambiente allorganismo. Man mano che si scende lungo la
scala evolutiva ladattamento assume sempre più la forma di un adeguamento ad un
ambiente dato.
Quanto
più alto è il tipo di vita, tanto più ladattamento prende
laspetto di un adeguamento reciproco dei fattori ambientali nellinteresse
della vita; mentre quanto minore è limportanza dellessere vivente, tanto più
ladattamento si configura come adattamento a un ambiente dato, fino a che alla base
della scala le differenze fra vivente e non vivente scompaiono.
Infine,
spesso si pensa, erroneamente, che il processo di adattamento costituisca
unoperazione compiuta una volta per tutte. Si crede, in altre parole, che
lorganismo, messo nelle condizioni di vivere, cerchi di conformare le proprie
funzioni alle caratteristiche dellambiente che lo circonda, bloccando il processo
una volta raggiunto un adeguamento accettabile. Secondo una simile visione
ladattamento consisterebbe in unevoluzione con un inizio ed una fine. Al
contrario, ladattamento è «un processo continuo», e ciò perché lambiente
non è qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte. Piuttosto esso non smette di
ricostituirsi, sia per motivi intrinseci, sia per lazione stessa che
lorganismo, nel suo processo adattivo, vi esercita.
Ladattamento
non è uno stato senza tempo; è un processo continuo. [
] Ladattamento
dellorganismo allambiente prende del tempo nel senso pregnante che ogni passo
nel processo è condizionato dal suo riferimento a ulteriori cambiamenti da esso prodotti.
Ciò che si verifica nellambiente, e non ciò che è già lì in forma
compiuta e finita, interessa lorganismo. Nella misura in cui il risultato di ciò
che accade può essere influenzato dallintervento dellorganismo, levento
in moto è una sfida che spinge lagente-paziente ad affrontare quel che sta venendo.
A
questo punto, esposto ed assunto il punto di vista biologico evoluzionista, e le sue
implicazioni riguardanti il rapporto organismo-ambiente, è possibile elaborare un nuovo
concetto di esperienza e formulare una relativa definizione.
Lesperienza
può essere considerata anzitutto «un processo di subire», nel corso del quale
lorganismo sopporta tanto lazione dellambiente quanto le conseguenze
delle proprie azioni. Allora non è, come afferma gran parte della filosofia tradizionale,
la coscienza personale che produce lesperienza, ma, al contrario, è
lesperienza che determina, come uno dei suoi risultati occasionali, la coscienza
individuale.
Essa
[lesperienza] è primariamente un processo di subire; un processo di sopportare
qualcosa; di sofferenza e di passione, nel senso letterale di questi termini.
Lorganismo deve sopportare, subire le conseguenze delle sue azioni.
Lesperienza non è uno scivolare lungo un sentiero fissato dalla coscienza interna.
La coscienza individuale è il risultato accidentale di unesperienza vitale ed
oggettiva; non ne è la sorgente.
Tuttavia,
prosegue Dewey, chi subisce, sopporta, patisce non è mai solo paziente, bensì è anche,
e sempre, agente. Anche la decisione di non agire, che viene considerata generalmente come
pura passività, è un fare qualcosa, è in qualche modo un essere attivi.
E
tuttavia il subire non è mai mera passività. Il più paziente dei pazienti è qualcosa
di più di un ricevente. Esso è uno che agisce e reagisce, che tenta esperimenti, che si
preoccupa di subire in un modo che possa influenzare ciò che ancora deve accadere. E in
fondo il puro durare, le evasioni diversive, sono dei modi di trattare lambiente
avendo di mira ciò che un tale trattamento effettuerà. Anche se noi ci chiudiamo in noi
stessi come ostriche, facciamo qualcosa. La nostra passività è un atteggiamento attivo,
non il venir meno della risposta. Allo stesso modo che non esiste unazione
assertiva, un attacco aggressivo verso le cose che sia tutto azione, del pari non esiste
un subire che per parte nostra non sia anche un procedere e un perseverare.
Lesperienza,
quindi, può essere considerata come una serie di azioni e di passioni che si susseguono e
si alternano continuamente per tutta la vita dellindividuo. Azioni intraprese
dallindividuo nei confronti dellambiente; passioni subite dallo stesso
individuo a causa dei mutamenti che avvengono allinterno dellambiente e a
causa delle proprie azioni su tali mutamenti. Si tratta, in altri termini, di una profonda
e continua interrelazione reciproca tra lessere vivente ed il proprio ambiente
naturale, sociale e culturale. La continuità del processo è garantita dal fatto che
lorganismo non raggiunge mai un equilibrio con il proprio ambiente che sia perfetto
e definitivo. Poiché, infatti, nelle condizioni ambientali si verificano dei cambiamenti
continui, gli equilibri vanno incessantemente ripristinati. Ladattamento è, quindi,
sempre precario e temporaneo.
Lesperienza
è questione di simultanee azioni e passioni. Quelli che noi subiamo sono
esperimenti nel cambiamento del corso degli eventi. I nostri tentativi attivi sono saggi e
prove di noi stessi. Questa duplicità dellesperienza si mostra nella nostra
felicità e infelicità, nei nostri successi e nelle nostre sconfitte. I trionfi sono
pericolosi quando si indugia su di essi e di essi si vive. I successi consumano se stessi.
Ogni conseguito equilibrio di adattamento allambiente è precario perché noi non
possiamo andare di pari passo coi cambiamenti dellambiente. Essi hanno direzioni
così contrarie che noi dobbiamo scegliere. Dobbiamo assumerci il rischio di legare la
nostra sorte con un movimento o collaltro. Nulla può eliminare ogni rischio, ogni
avventura; ciò solo che è votato allinsuccesso è il tentativo di tenersi alla
pari con tutto lambiente insieme, vale a dire di conservare il momento felice quando
tutto va a nostro favore.
Daltra
parte, è necessario anche dire che i mutamenti che avvengono nellambiente possono
avere una duplice natura e risultare, quindi, per la tranquillità dellorganismo,
avversi o vantaggiosi. Non è detto, però, che ciò che risulta essere sfavorevole per la
continuità dellessere vivente abbia, alfine, una valenza del tutto negativa.
Infatti, le influenze ostili stimolano lindividuo allazione tanto quanto, se
non in misura maggiore, quelle propizie. Entrambe spingono lorganismo al progresso e
allo sviluppo delle proprie capacità e delle condizioni circostanti.
Gli
ostacoli che ci vengono incontro sono stimoli alla variazione, a nuove risposte, e quindi
occasioni di progresso. Se un favore fattoci dallambiente cela una minaccia, la sua
avversità è un mezzo potenziale di modi finora non esperimentati di successo. Il
trattare linfelicità come tuttaltra cosa da questa, come, ad es., una
felicità travestita o un fattore necessario di bene, è poco schietta apologetica. Ma
laffermare che il progresso umano è stato stimolato dai mali subiti e che gli
uomini sono stati mossi da ciò che soffrono a ricercare nuove e migliori vie di azione,
è parlare veracemente.
Lesperienza
consiste in azioni e passioni ed è parte integrante del tentativo continuo
dellorganismo di adattarsi al proprio ambiente. Le azioni dellindividuo, come
i cambiamenti dellambiente, si svolgono nel presente, ma hanno fondamentalmente a
che fare con quello che accadrà, con il futuro. Infatti, laspetto importante di
ogni singola azione o di ogni singolo mutamento non è levento in sé, ma ciò che
esso arriverà a produrre, le sue conseguenze future. Ammesso ciò, si può dire che
lesperienza ha a che fare, senza dubbio, con il presente e con il passato, ma,
primariamente, con il futuro. Essa rappresenta la promessa di un nuovo ordine di cose.
Che
lesperienza sia impegnata con le cose che stanno venendo (che stanno ora venendo,
non semplicemente con cose da venire) è ovvio a chiunque abbia un interesse empirico
nellesperienza. Poiché noi viviamo in avanti; poiché viviamo in un mondo dove
hanno luogo cambiamenti il cui esito significa il nostro bene o il nostro male; poiché
ogni nostro atto modifica questi cambiamenti ed è perciò carico di promesse o di energie
ostili, che cosaltro sarebbe lesperienza se non un futuro implicito in un
presente?.
E
ancora:
Perciò
più primaria del ricordo è lanticipazione; la proiezione piuttosto che
ladunamento del passato; la prospettiva piuttosto che la retrospettiva. Dato un
mondo come quello nel quale noi viviamo, un mondo nel quale i cangiamenti ambientali sono
in parte favorevoli e in parte crudamente indifferenti, lesperienza non può mancare
di avere una portata prospettica, poiché ogni dominio conseguibile da parte della
creatura vivente dipende da quello che si fa per mutare lo stato delle cose. Il successo e
la sconfitta sono le categorie primarie della vita; il cui supremo interesse
consiste nel conseguire il bene e nellallontanare il male. La speranza e
lansietà (che sono non conclusi stati di sentimento, ma atteggiamenti attivi di
accoglimento e di cautela) sono qualità dominanti dellesperienza. La previsione
immaginosa del futuro è tale qualità anticipatoria della condotta resa disponibile come
guida nel presente.
Tuttavia,
nonostante il futuro e la prospettiva assumano un ruolo significativo nel processo
esperienziale, anche il passato conserva la propria importanza. Infatti, come abbiamo già
visto nellanalisi di Come pensiamo, e come
Dewey ripete in questa sede, il passato ha, allinterno dellesperienza, una
funzione strumentale. La presa di coscienza del passato è necessaria per riuscire a
valutare tutti i fattori implicati nella situazione presente, e così intraprendere
unazione il più possibile efficace per arrivare allo scopo prefissato.
Lerrore
di molti sta nel considerare il passato come fine in sé e nel ridurre ad esso ciò che si
definisce conoscenza. Secondo Dewey, infatti, la conoscenza non consiste in un accumulo di
cose che fanno parte del passato, ma essa deriva direttamente dallazione e nasce
perché lazione stessa abbia la possibilità di svilupparsi in modo positivo.
La
riconquista immaginativa del passato è indispensabile per una riuscita invasione
dellavvenire, ma la sua condizione è quella di uno strumento. Ignorarne
limportanza è segno di un attore non disciplinato; ma isolare il passato,
indugiarsi su di esso come fine in sé e dare a questo il nome eulogistico di conoscenza,
significa sostituire il ricordo della vecchiaia allintelligenza effettiva.
Considerando
valide le caratteristiche proprie dellesperienza ora elencate, si arriva ad un
ulteriore interessante aspetto per la nostra indagine.
Lesperienza,
come abbiamo avuto modo di vedere, si raccoglie attorno ad un centro organico.
Lorganismo, durante tutta la sua vita, si trova ad interagire in modo profondo e
continuativo con il proprio ambiente per assicurarsi la sopravvivenza, la conservazione e
unesistenza il più vantaggiosa possibile. Lessere vivente è costretto a
lottare incessantemente, da una parte per eliminare e neutralizzare le influenze ostili
che lambiente propone, dallaltra per rendere maggiormente feconde quelle già
di per sé favorevoli. Ciò vuol dire che lesperienza non avviene nel vuoto, non è
un processo astratto o interno allorganismo e isolato dal resto. Lindividuo
che esperisce è necessariamente connesso a tutte le cose che fanno parte del suo mondo.
Le azioni che egli compie, gli eventi che egli subisce, lo costringono a rimanere
indissolubilmente legato al proprio ambiente e a tutte le sue manifestazioni.
Lesperienza
di un essere vivente, che lotta per conservarsi e per aprirsi la strada in un ambiente
naturale e sociale che in parte seconda e in parte ostacola le sue azioni, è costituita
per necessità di legami e connessioni, di influenze e impieghi. Laspetto essenziale
dellesperienza, per dir così, è che essa non ha luogo nel vuoto; il suo
agente-paziente invece di essere isolato e sconnesso è legato al movimento delle cose dai
vincoli più intimi e penetranti. Soltanto perché lorganismo è nel mondo e del
mondo e le sue attività sono correlate a quelle delle altre cose in maniere molteplici,
esso è capace di subire delle cose e di cercar di ridurre gli oggetti a mezzi per
assicurarsi il proprio successo.
I
nessi che legano lindividuo al proprio ambiente possono essere diversi fra loro per
natura e per intensità. Ciò si rende evidente anche solo osservando i risultati empirici
delle azioni che lindividuo compie. La vita di ogni essere vivente, infatti, è
caratterizzata dal continuo alternarsi di aiuti e disturbi, di successi e sconfitte, che
dimostrano leterogeneità delle connessioni.
Che
queste connessioni siano di diverso tipo è provato inconfutabilmente dalle fluttuazioni
che hanno luogo nella sua carriera. Aiuto e ostacolo, stimolo e inibizione, successo e
sconfitta stanno a indicare specificamente modi diversi di correlazione. Benché le azioni
delle cose nel mondo abbiano luogo in un tratto continuo di esistenza, vi sono infinite
forme di specifiche affinità e repulsioni e di relative indifferenze. [
]
Lesperienza mostra ogni specie di connessione, dalla più intima a una
giustapposizione puramente esterna. Empiricamente quindi lesistenza è
caratterizzata da legami attivi o continuità di ogni specie e insieme da statiche
discontinuità.
Lesperienza
individuale, lo ripetiamo, consiste nellincessante dialettica tra eventi che si
subiscono e azioni che si intraprendono per ottenere determinate conseguenze. Il
significato di tali eventi e di tali azioni va ricercato non nella loro forma finita,
data, completata, ma va individuato nelle loro conseguenze oggettive e nella loro
influenza sulle esperienze ulteriori.
Lindividuo
ha la possibilità di gestire il proprio futuro facendo in modo di eliminare le
circostanze avverse e di favorire quelle ostili. Il suo successo o il suo fallimento
dipendono dal modo in cui la sua reazione, e quindi le sue azioni, influiscono sui
mutamenti che si realizzano allinterno dellambiente e, conseguentemente, dal
modo in cui questi mutamenti, una volta modificati dallazione dellorganismo,
influiscono a loro volta sullindividuo.
In
altre parole, lambiente produce dei mutamenti che vanno ad agire
sullorganismo, lo modificano e lo spingono allazione. Lindividuo, per
convogliare i cambiamenti in una direzione che proceda a suo favore, intraprende delle
azioni che possono influenzare anche profondamente le condizioni ambientali e quindi, per
conseguenza, la propria condotta.
Il
solo potere che lorganismo possiede per controllare il proprio avvenire dipende dal
modo con cui le risposte attuali modificano i cambiamenti che stanno avvenendo nel suo
ambiente. Un essere vivente può essere relativamente impotente o libero. E tutta
questione del modo in cui le sue reazioni attuali alle cose influiscono sulle future
reazioni delle cose su di esso. Indipendentemente dal suo desiderio o dalla sua
intenzione, ogni atto che esso compie apporta delle differenze nellambiente. Il
cambiamento può essere di poco conto riguardo alla sua carriera e alla sua sorte. Ma può
anche essere di importanza incalcolabile. Può significare danno, distruzione, o procurare
benessere.
Il
potere di controllare il proprio avvenire consiste quindi nella capacità di prevedere
ciò che accadrà nellambiente e, di conseguenza, in se stessi mettendo in atto
determinate azioni. In altre parole, si tratta di riuscire ad anticipare gli eventi futuri
attraverso lanalisi dei fatti presenti; si tratta cioè di compiere delle inferenze.
Lestensione
della capacità di inferenza posseduta da un agente, la sua capacità di impiegare un
fatto presente come un segno di qualcosa che ancora non è dato, misura lestensione
della sua capacità di allargare sistematicamente il suo controllo sullavvenire.
Questa
capacità, è necessaria per la sopravvivenza dellorganismo. Infatti, le risposte
organiche, consistendo nel tentativo di favorire i cambiamenti vantaggiosi, e di evitare
le conseguenze di quelli ostili, procedono in modo cieco finché lindividuo non
acquisti labilità di presentire le conseguenze dei fatti presenti. Il successo
delle reazioni individuali è quindi subordinato alla capacità di produrre inferenze, di
concepire idee. Questa capacità viene definita anche comunemente intelligenza.
Un
essere capace di usare fatti e dati finiti come segni di cose avvenire, capace di assumere
cose date come prove di cose assenti, è in grado, in quella misura, di predire
lavvenire; può formarsi delle aspettazioni ragionevoli. E capace di
conseguire idee; è in possesso dellintelligenza. Infatti, luso del dato o del
finito per anticipare le conseguenze di processi in atto è precisamente ciò che si
intende per idee, o per intelligenza.
E
ancora:
Nella
misura in cui è capace di leggere i risultati futuri negli accadimenti presenti, la sua
scelta responsiva, la sua parzialità verso questa o quella condizione, divengono
intelligenti, la sua prevenzione diviene ragionevole ed esso è in grado di partecipare
deliberatamente e intenzionalmente alla direzione del corso delle cose. La sua previsione
di diversi futuri che risultano secondo che questo o quel fattore presente predomina nel
foggiare gli eventi, gli consente di prendere parte intelligentemente invece che
ciecamente e fatalmente alle conseguenze alle quali danno origine le sue reazioni.
Arriviamo
così, attraverso una definizione sempre più precisa dellesperienza, anche alla
concezione deweyana della conoscenza.
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