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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di Giordana Szpunar |
3 CAPITOLO III: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN INTELLIGENZA CREATIVA
3.3 SUL CONCETTO DI CONOSCENZA
Il
pensiero, la capacità di inferire che abbiamo appena descritto, «equivale precisamente
allimpiego degli accadimenti naturali per la scoperta e la determinazione delle
conseguenze per la formazione di nuove connessioni dinamiche che costituisce
la conoscenza».
Quindi conoscere può anche essere definito come «un modo dellesperire».
La capacità di inferire le cose assenti a partire dai dati presenti costituisce ciò che
viene comunemente chiamato pensiero. Il pensiero, come si è già messo in rilievo
nellanalisi condotta su Come pensiamo, è lo strumento di adattamento
delluomo allambiente e di riadattamento dellambiente alluomo.
La
funzione della conoscenza, così, non è quella di copiare e registrare gli oggetti
dellambiente, ma è quella di rendere possibile il proseguimento favorevole
dellazione, tenendo conto del modo in cui si possano continuare a stabilire rapporti
sempre più proficui con gli oggetti stessi.
Ripercorriamo
analiticamente le argomentazioni che Dewey utilizza per giungere ad una simile concezione
della conoscenza.
La
diffusione dellidea della contrapposizione soggetto-oggetto e la conseguente
assunzione che lesperienza si raccoglie attorno a, o procede da, un soggetto opposto
al corso dellesistenza naturale, sarebbe dovuta, secondo Dewey, alle preoccupazioni
religiose degli uomini. Queste sono state, per secoli, soprannaturali e oltremondane, ed
hanno condotto la riflessione filosofica a considerare la conoscenza come prodotto di un
potere extra-naturale e opposto al mondo che deve essere conosciuto.
Il
problema teologico di conseguire la conoscenza di Dio come realtà ultima fu difatti
trasformato nel problema filosofico circa la possibilità di conseguire la conoscenza
della realtà.
Il
problema della conoscenza diventa, nella riflessione epistemologica, il problema della
conoscenza in generale (überhaupt), il problema della «possibilità,
estensione e validità della conoscenza in generale». Secondo Dewey, invece,
pur essendo possibile compiere affermazioni generali sul conoscere, il problema della
conoscenza in generale non esiste, o meglio, esiste nella misura in cui viene considerato
come valido il presupposto, di cui abbiamo parlato in precedenza, di un soggetto
conoscente in generale esterno ed antitetico alloggetto del conoscere.
Il
problema della conoscenza überhaupt esiste perché si assume che vi sia un
conoscente in generale, che è fuori del mondo che si vuol conoscere, e che è definito in
termini antitetici ai caratteri del mondo.
Assumendo
un presupposto del genere, continua Dewey, si potrebbe discutere anche del problema della
digestione in generale; sarebbe sufficiente, a tal fine, considerare lo stomaco e il cibo
che viene ingerito come esistenti in due mondi diversi e contrapposti. La discussione
riguarderebbe così il problema della «possibilità, estensione e validità» della
digestione in generale, cioè delle transazioni fra il cibo e lo stomaco.
Tuttavia, un problema della digestione in generale apparirebbe, ai nostri occhi, alquanto
assurdo; questo perché siamo abituati a considerare lo stomaco e il cibo come elementi
caratterizzati da una certa continuità e, quindi, esistenti nel medesimo mondo: il
problema della digestione ci si presenta, così, in tutti i suoi aspetti particolari.
Con
presupposti analoghi noi potremmo inventare e discutere un problema della digestione in
generale. Occorrerebbe soltanto che si concepisse lo stomaco e il cibo come risiedenti in
mondi diversi. Unipotesi simile ci porrebbe il problema della possibilità,
estensione, natura e genuinità di ogni transazione fra lo stomaco e il cibo.
Ma
poiché lo stomaco e il cibo hanno dimora in un ordine continuo di esistenza, poiché la
digestione non è che una correlazione di atteggiamenti diversi di uno stesso mondo, i
problemi della digestione sono specifici e molteplici: Quali sono le correlazioni
particolari che lo costituiscono? Come esso procede in situazioni differenti? Che cosa è
favorevole, e che cosa non lo è, al suo funzionamento migliore? E così via.
Se
però, nel considerare il problema della conoscenza, venisse adottato, come nel caso
dellanalisi del processo digestivo, il punto di vista biologico contemporaneo, che
implica il concetto di evoluzione e di continuità biologica, i termini della questione
cambierebbero. Il soggetto e loggetto non verrebbero più considerati come esistenti
in due mondi diversi e separati, ma come entità facenti parte dello stesso mondo. La
conoscenza, di conseguenza, potrebbe essere considerata come un modo di interazione tra le
diverse energie naturali. Il problema della conoscenza si ridurrebbe, infine, alla ricerca
delle condizioni specifiche nelle quali il processo della conoscenza avviene.
Si
può negare che se noi prendessimo il nostro spunto dallattuale situazione empirica,
che include il concetto scientifico di evoluzione (continuità biologica) e le arti
attuali di controllo sulla natura, il soggetto e loggetto verrebbero trattati come
occupanti il medesimo mondo naturale nella stessa maniera scevra da esitazioni come quando
supponiamo la connessione naturale tra un animale e il suo cibo? Non seguirebbe da ciò
che la conoscenza è un modo di collaborazione tra le energie naturali? E qual problema vi
sarebbe eccetto quello di scoprire la struttura particolare di questa collaborazione, le
condizioni alle quali essa avviene col risultato migliore, e le conseguenze che derivano
dal suo verificarsi.
Una
delle argomentazioni più frequentemente utilizzata dai sostenitori di una simile
posizione, per dimostrare la differenza fra un oggetto reale e lapparenza, è il
fenomeno della relatività della percezione. Coloro che sostengono una posizione simile a
quella sopra delineata, che assumono, cioè, come dato di fatto la contrapposizione di
soggetto ed oggetto, affermano che i sogni, le allucinazioni e gli errori non sono altro
che il risultato della cambiamento che il soggetto apporta alloggetto reale
nellatto del conoscere. Ciò dimostrerebbe che il soggetto conoscente è separato
dalloggetto che vuole conoscere e, perciò, ha la possibilità di modificarlo, di
contagiarlo di soggettività.
Vi
sono molti, per esempio, che ritengono che i sogni, le allucinazioni e gli errori non
possano venire spiegati affatto se non sulla base della teoria che un io (o
coscienza) eserciti uninfluenza modificatrice sulloggetto reale.
Il presupposto logico è che la coscienza è al di fuori delloggetto reale, che è
qualcosa di diverso, e che perciò ha il potere di trasformare la realtà in
apparenza, di introdurre delle relatività nelle cose comesse sono in se
stesse, in breve di infettare di soggettività le cose reali.
Lesempio
di relatività della percezione che Dewey riporta, per poi contestarne le conseguenze
teoriche cui abbiamo appena accennato, è il caso di un oggetto sferico che a due
osservatori appare rispettivamente come un cerchio e come una superficie ellittica.
Loggetto osservato è unico, mentre i soggetti sono due e losservazione ha
come risultato due immagini diverse. Un caso simile sembrerebbe essere, allora, la
dimostrazione del fatto che il soggetto che osserva compie, nel corso
dellosservazione, qualche genere di modifica sulloggetto reale.
Questa
situazione offre la prova empirica, così si argomenta, della differenza fra un oggetto
reale e la pura apparenza: Poiché non cè che un solo oggetto, lesistenza di
due soggetti è il solo fattore differenziatore. Perciò le due manifestazioni
dellunico oggetto reale sono prova dellintervento di unazione
deformatrice da parte del soggetto.
Dewey
critica in modo analitico questo punto di vista cercando di mantenersi «aderente ai fatti
empirici». Noi esponiamo le sue obiezioni in modo schematico.
1.
Il fatto che dallosservazione dello stesso oggetto da parte di due soggetti distinti
risultino due immagini diverse, è fisicamente necessario. Date le leggi della rifrazione
della luce, infatti, uno stesso oggetto, osservato in condizioni differenti, deve fornire
inevitabilmente risultati differenti fra loro. Se così non fosse ci sarebbe una
«discrepanza irrimediabilmente inconciliabile nel comportamento dellenergia
naturale».
2.
Questo fenomeno e il fatto che il suo risultato sia naturale, può essere dimostrato
dalluso della macchina fotografica, la quale va considerata come unesistenza
naturale tanto quanto la sfera in questione. Se loggetto viene fotografato dai due
osservatori, ciò che ne risulta, e cioè le fotografie, mostrano le stesse immagini,
diverse fra loro, che si ottengono per mezzo dellosservazione diretta.
3.
«Lepistemologo convinto», prosegue Dewey, non si lascia scalfire da questi fatti;
la sua argomentazione è che se si considera lorganismo come la causa del fatto che
la sfera osservata viene vista come circolare o come ellittica secondo la posizione
assunta, la tesi secondo cui il soggetto modifica loggetto nellosservarlo
risulta valida. Egli, tuttavia, non spiega in nessun modo il motivo per cui tutto ciò non
è applicabile alla macchina fotografica.
4.
Una simile argomentazione parte da un presupposto che va esaminato e cioè che «le
presunte modificazioni delloggetto reale sono casi di conoscenza e
quindi attribuibili allinfluenza di un conoscente».
Questa assunzione si riferisce in genere allorgano percepente, allocchio, ma,
afferma Dewey, ciò è palesemente assurdo. E evidente a tutti che non vi è nulla
di conoscitivo nei meccanismi dellapparato ottico. Il processo della visione si
costituisce attraverso linterazione dinamica tra due elementi fisici, nel nostro
caso tra locchio e la sfera, per produrre un terzo elemento, limmagine.
Dovrebbe essere evidente che lintervento dellapparato ottico dellocchio
è cosa puramente non conoscitiva. La relazione in questione non è tra una sfera e un
presunto suo conoscente, condannato sfortunatamente dalla natura dellapparato
conoscitivo ad alterare la cosa che vorrebbe conoscere; si tratta della dinamica
interazione di due agenti fisici nel produrre una terza cosa, un effetto; operazione che
è dello stesso preciso tipo di ogni congiunta azione fisica, come loperazione
dellidrogeno e dellossigeno nella produzione dellacqua.
Locchio è da considerarsi unesistenza fisica al pari della macchina
fotografica, perciò attribuire una funzione conoscitiva allapparato ottico è tanto
assurdo quanto assegnarla ad un apparecchio fotografico. Il processo conoscitivo accade
soltanto successivamente alla percezione delle immagini, e non entra in nessun modo nel
meccanismo di produzione delle immagini stesse.
Considerare locchio come primariamente un conoscente, un osservatore di cose, è
altrettanto grossolano come assegnare quella funzione alla macchina fotografica. Ma a meno
che locchio (o lapparato ottico, o il cervello, o lorganismo) venga
considerato in questo modo, non cè assolutamente nessun problema di osservazione o
di conoscenza nel caso del verificarsi delle superfici ellittiche o circolari. La
conoscenza non entra nella questione in alcun modo se non dopo che queste forme di
luce rifratta sono state prodotte. Non cè nulla di irreale. La luce è realmente,
fisicamente, esistenzialmente rifratta in queste forme. [...] Perché parlare
delloggetto reale in rapporto con un conoscente quando quello che è
dato è una cosa reale in connessione dinamica con unaltra cosa reale?.
5.
Lobiezione che in genere viene posta a questo tipo di discorso è che entrambe le
posizioni, quella data sopra e quella del soggettivismo, giungono alle stesse conclusioni:
lorganismo, o io, o soggetto, o come si voglia chiamare, compie, nellosservare
un oggetto, unattività che modifica loggetto stesso. Che poi il cambiamento
avvenga durante o dopo il processo conoscitivo, è un particolare di poca rilevanza. Ciò
che è importante, invece, è che loggetto, nellessere conosciuto, viene
«soggettivizzato».
Secondo
Dewey «ogni evento del mondo caratterizza una differenza effettuata ad una esistenza in
congiunzione attiva con qualche altra esistenza». Il problema sta nel senso
in cui si parla di soggetto e di oggetto. Se si parla di «un oggetto reale» e se
è vero che nel corso dellattività dellocchio si presenta un cambiamento di un
oggetto, è anche vero che un mutamento del genere può essere assimilato al tipo di
cambiamento che si produce utilizzando uno strumento fisico come la macchina fotografica.
Inoltre,
se il termine soggettivo viene utilizzato semplicemente per indicare
«lattività specifica di unesistenza particolare, paragonabile, ad esempio,
al termine ferino applicato a una tigre», il suo uso diventa
legittimo e corretto, ma anche tautologico e, quindi, di poca utilità. Tuttavia,
luso che in genere se ne fa è del tutto diverso da questo: per
soggettivo si intende spesso un qualcosa di estraneo e contrapposto a ciò che
viene indicato con il termine oggettivo, presupponendo con ciò lassenza
di modificazioni sulloggetto da parte del soggetto. In tal modo si riaffaccia la
concezione che vede il soggetto come parte di un mondo che è totalmente estraneo al mondo
in cui è situato loggetto e, quindi, al mondo nel quale sussistono tutte le altre
esistenze naturali.
Il
termine soggettivo è consacrato talmente ad altri usi, che di solito
implicano un invidioso contrasto colloggettività (laddove soggettivo nel senso ora
suggerito significa modo specifico di oggettività), che è difficile conservare
questo senso innocente. Il suo uso in qualsiasi modo dispregiativo nella situazione che ci
sta davanti - in qualsiasi senso che implica un contrasto con un oggetto reale - suppone
che lorganismo non dovrebbe recare alcuna differenza quando opera in congiunzione
con altre cose. Così arriviamo di nuovo allassunto che il soggetto è eterogeneo da
ogni altra esistenza naturale; e che deve essere lunica cosa oziosa e inattiva in un
mondo che si muove; il nostro vecchio presupposto dellio come al di fuori delle cose.
Lo
stesso discorso viene fatto in relazione ai sogni ed alle allucinazioni. Anche queste
singolari manifestazioni vengono considerate come una prova evidente dellazione
modificatrice delloggetto reale da parte del soggetto. Il presupposto teorico di
tale posizione consiste nellassumere lesistenza di un soggetto, di una
coscienza esterna alloggetto, e diversa da questo, che introduce la soggettività e
la relatività nelle cose reali, trasformandole in apparenze. I sogni, gli errori, le
allucinazioni, vengono allora considerati come fenomeni inerenti esclusivamente al
soggetto, o comunque come eventi che sottintendono una trasformazione delloggetto
reale.
Il
modo epistemologico di concepire i sogni, gli errori, le relatività, ecc.
dipende dallisolamento della mente dallintima partecipazione cogli altri
cambiamenti nello stesso nesso continuo.
In
realtà, afferma Dewey, non solo è sbagliata linterpretazione che viene data di
questi eventi, ma è errata soprattutto la concezione che la sorregge e la implica.
Infatti, coloro che continuano a fare propria lassunzione della contrapposizione tra
soggetto e oggetto non tengono minimamente conto della «lezione dellevoluzione
nella sua applicazione agli avvenimenti che ci stanno davanti».
La
conoscenza, nel caso delle sfere, non consiste, come Dewey ha dimostrato, nella produzione
di immagini diverse dello stesso oggetto. Le forme di luce che danno come risultato
superfici ellittiche e circolari costituiscono, infatti, eventi naturali e possono o meno
entrare nella conoscenza a seconda dei casi. Molti fenomeni di questo tipo accadono senza
che noi ce ne accorgiamo e, in relazione alle necessità o agli interessi individuali e,
quindi, a seconda del contesto specifico, essi determinano indagini diverse fra loro.
Cè chi può essere interessato alle particolarità strutturali delle forme stesse;
chi al meccanismo della loro produzione; chi agli aspetti geometrici; chi a quelli
artistici.
Inoltre:
Le
forme possono essere obiettivi di conoscenza di esame riflessivo oppure
mezzi per conoscere qualcosaltro. Può accadere, come accade in alcune circostanze,
che lobiettivo dellindagine sia la natura di una forma geometrica che, quando
rifrange la luce, dà luogo a queste altre forme. In questo caso la sfera è la cosa
conosciuta, le forme della luce sono i segni o la prova della conclusione che deve trarsi.
Questi
fatti possono legittimamente apparire banali a qualsiasi lettore, ma sono anche fatti che,
data lesistenza del problema epistemologico e del relativo dibattito, è necessario
esporre. Essi, in particolare, confermano due asserti che hanno una certa rilevanza per il
nostro discorso:
Negativamente,
una nozione presupposta e non empirica dellio è la fonte della credenza dominante
che lesperienza come tale è primariamente conoscitiva, una questione di conoscenza;
positivamente, la conoscenza è sempre questione delluso che si fa degli eventi
naturali sperimentali, uso nel quale le cose date sono trattate come indici di ciò
che verrà sperimentato in condizioni differenti.
A
tal proposito Dewey riporta un ulteriore illuminante esempio, quello della conoscenza
dellacqua.
Loggetto
che deve essere conosciuto, nel nostro caso lacqua, non si presenta inizialmente
come una questione di conoscenza. Generalmente non ci si pone il problema di conoscere un
oggetto prima di aver avuto con esso qualche tipo di contatto. I primi contatti
significativi con un oggetto sorgono come stimoli allazione, come fatti rispetto ai
quali lindividuo si trova costretto a reagire. Non solo, ma loggetto è spesso
qualcosa che reagisce, a sua volta, in modi inaspettati alle reazioni dellindividuo.
Così lacqua «è qualcosa a cui si deve reagire, col bere, col lavarsi, collo
spegnere il fuoco», ed è, allo stesso tempo, qualcosa «che ci fa soffrire malattia,
soffocamento, annegamento».
In
questi modi lacqua entra a far parte dellesperienza individuale. Tuttavia, è
necessario precisare che la «presenza-nellesperienza» non è affatto riducibile
alla «presenza-nella-conoscenza». Questi due tipi di presenza sono radicalmente diversi
fra loro e, proprio in questa disparità, nascono gli stimoli allacquisto della
conoscenza. Lerrore di gran parte della filosofia fin dai tempi di Socrate è stato
quello di lasciarsi condizionare fuori misura dal fatto che «il trasformare la
presenza-nellesperienza in presenza-in-una-esperienza-di-conoscenza è il solo modo
che dà il dominio della natura». Questo lha condotta a
considerare, erroneamente, lesperienza come un modo di conoscere.
In
questo doppio modo lacqua, al pari di ogni altra cosa, entra nellesperienza.
Tale presenza nellesperienza non ha di per sé nulla a che fare colla conoscenza o
colla coscienza; niente, nel senso di dipendere da esse, benché abbia tutto a che fare
colla conoscenza e colla coscienza nel senso che questa dipende da unesperienza
precedente di questa specie non conoscitiva. Lesperienza delluomo è quello
che è, perché la sua risposta alle cose (anche una risposta riuscita) e le reazioni
delle cose alla sua vita sono così radicalmente differenti dalla conoscenza.
Finché
si perpetuano determinate condizioni, finché, in altre parole, loggetto continua ad
operare semplicemente come stimolo ad una risposta, come stimolo diretto e sensoriale,
esso non entra in nessun modo nella conoscenza. Il processo conoscitivo si attiva nel
momento in cui la presenza della cosa comincia ad implicare unanticipazione delle
conseguenze che si manifesteranno quando si reagirà allo stimolo. Nella fase di
sospensione della risposta lo stimolo diretto si trasforma in un segno di
qualcosaltro e, quindi, in materia di conoscenza.
Quando
lacqua è uno stimolo adeguato allazione o quando le sue reazioni ci opprimono
e ci sopraffanno, essa resta al di fuori dellambito della conoscenza. Ma quando la
pura presenza della cosa (ad esempio come stimolo ottico) cessa di operare direttamente
come stimolo a una risposta e comincia a operare in connessione con una previsione delle
conseguenze che produrrà quando ad esso si reagisca, essa comincia a acquistare
significato, ad essere conosciuta, ad essere un oggetto. Essa è notata come qualcosa che
è umida, fluida, che placa la sete, il malessere, ecc. [
] Finché lo stimolo visivo
opera come stimolo per proprio conto, non cè affatto apprensione, o notazione, di
colore o di luce. Alla maggior parte degli stimoli sensoriali noi reagiamo proprio in
questo modo totalmente non conoscitivo. Nellatteggiamento di risposta sospesa in cui
vengono anticipate le conseguenze, lo stimolo diretto diventa un segno o indice di
qualcosaltro e quindi materia di notazione, apprensione, conoscenza o come
altrimenti si voglia chiamare. Questa differenza (insieme, naturalmente, alle conseguenze
che laccompagnano) è quella che levento naturale del conoscere introduce
nellevento naturale di diretta stimolazione organica.
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