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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

4 CAPITOLO IV: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN LOGICA, TEORIA DELL’INDAGINE

4.1 NOTA INTRODUTTIVA

L’opera Logica, teoria dell’indagine viene pubblicata in America nel 1938 e rappresenta il testo più importante ed imponente della produzione filosofica deweyana. Quando viene pubblicato, il suo autore ha settantanove anni, ma, nonostante ciò, l’opera non può essere considerata ancora la conclusione della «parabola produttiva del suo pensiero». Com’è noto, infatti, undici anni dopo il filosofo elaborerà, con la collaborazione di Arthur B. Bentley, il volume intitolato Conoscenza e transazione, testo di fondamentale importanza, non tanto per l’originalità delle posizioni esposte, quanto per la nuova scelta terminologica proposta.

La Logica non consiste, come può apparire dalla lettura del titolo, in un trattato di logica simbolica[1], bensì si tratta, come precisa il sottotitolo Teoria dell’indagine, del tentativo di sviluppare una metodologia della ricerca all’interno della quale, come avremo modo di vedere, la logica assume una funzione strumentale. La Logica è, come sottolinea lo stesso autore nella Prefazione, «la presentazione di un punto di vista e di un metodo per affrontare i problemi»[2].

L’importanza dell’opera, inoltre, non si riduce alla presentazione di qualche teoria innovativa rispetto alle posizioni sostenute e presentate dall’autore nelle opere precedenti. Al contrario, la sua forza risiede, in primo luogo, nello sviluppo di tali posizioni e, in secondo luogo, nell’esposizione sistematica e completa della filosofia strumentalista che le sottende.

Questo libro è uno sviluppo delle idee, sulla natura della teoria logica, che vennero dapprima presentate, circa quaranta anni fa, negli Studies in Logical Theory, che vennero poi alquanto ampliate negli Essays in Experimental Logic e alfine brevemente compendiate, con speciale riferimento all’educazione, nel volume How We Think. […] Il presente lavoro è caratterizzato, in particolare, dall’applicazione delle mie idee precedenti all’interpretazione delle forme e delle relazioni formali che costituiscono il materiale tipico della tradizione logica. Tale interpretazione ha comportato uno sviluppo particolareggiato, critico e costruttivo, del punto di vista generale e delle idee che ne sono alla base[3].

Lo scopo che Dewey si propone di raggiungere con la stesura di questo testo è quello di formulare un’ipotesi fondata circa l’oggetto ultimo della logica.

L’assunto dal quale si sviluppa la posizione sostenuta nell’opera è il seguente:

Tutte le forme logiche (con le loro proprietà caratteristiche) nascono attraverso il lavoro d’indagine e concernono il controllo dell’indagine in vista dell’attendibilità delle asserzioni prodotte[4].

Ciò vuol dire non solo che le forme logiche si esplicitano durante la riflessione sui processi di indagine in uso, ma anche, e soprattutto, che esse «hanno origine nelle operazioni di ricerca»[5].

Apparentemente può sembrare che l’argomento trattato in questo volume non abbia molto a che vedere con la nostra discussione relativa al tema della biografia. In realtà non è così. I “processi di indagine” o le “operazioni di ricerca” cui Dewey fa riferimento nella Logica non sono altro che i processi e le operazioni che caratterizzano quel tipo di pensiero, il pensiero riflessivo, all’analisi del quale viene dedicato l’intero volume del 1910 Come pensiamo. Lo stesso Dewey afferma esplicitamente:

O la parola “pensiero” non ha niente a che fare con la logica oppure essa è semplicemente sinonimo di “indagine” e il suo significato è fissato da ciò che assodiamo circa quest’ultima. L’alternativa che sembra più ragionevole è la seconda[6].

Così, si può affermare che il termine “indagine” non si riferisce soltanto al tipo di ricerca che si intraprende nel campo scientifico, ma assume un significato ben più ampio. Esso comprende, infatti, tutte le forme di investigazione che caratterizzano ogni attività umana, o almeno qualsiasi attività cosciente, “pensante”, riflessiva.

La ricerca è la linfa vitale di ogni scienza e di continuo la si intraprende in ogni arte, attività e professione[7].

In altre parole, per indagine Dewey intende sia l’indagine scientifica, sia l’indagine che egli considera propria del “senso comune”, la quale, come vedremo più avanti[8], si occupa delle «ordinarie faccende della vita».

Dunque, eccoci tornati al tema precipuo della nostra ricerca, il rapporto individuo-ambiente: la logica, così come la intende Dewey, quale struttura del pensiero, o meglio quale autostrutturazione di esso nel corso del suo svolgersi, non è relativa ad un solo settore dell’esistenza dell’uomo, ma definisce la modalità specifica con cui l’individuo si rapporta al suo ambiente circostante. Anzi, in senso più forte, si può affermare che essa definisce l’unico modo in cui per l’uomo un ambiente può darsi[9].

Fatta questa rapida premessa, torniamo ora all’argomento principale del volume.

E’ comunemente accettato che qualsiasi indagine che miri al conseguimento di conclusioni valide, sia costretta a soddisfare una serie di requisiti logici. Abitualmente si pensa, inoltre, che questi requisiti vengano in qualche modo imposti ai metodi di indagine dall’esterno e che la logica abbia il compito di fornire i criteri per valutare e criticare i metodi e le indagini.

Il problema, secondo Dewey, è «di stabilire se l’indagine possa sviluppare nel corso del suo stesso svolgimento i criteri logici e le forme alle quali l’ulteriore ricerca debba esser sottoposta»[10]. Questa, come abbiamo già visto, è l’ipotesi che l’autore intende dimostrare con la stesura dell’opera, ma si può preliminarmente rispondere alla questione anche in modo empirico, attraverso l’osservazione della storia della scienza.

Nel corso dell’indagine[11] i metodi esistenti vengono sperimentati e messi alla prova. Alcuni di essi risultano adeguati agli scopi prefissati, altri invece presentano delle mancanze e vanno o riformulati o sostituiti. In tal modo si ottengono metodi nuovi che, da una parte sono più efficaci nel raggiungere risultati in grado di resistere alla prova dell’indagine successiva, dall’altra, sono capaci di autocontrollo ed autocorrezione.

Lo sviluppo della scienza ci presenta così una critica interna dei metodi precedentemente tentati. Di essi alcuni si dimostrarono manchevoli sotto qualche aspetto importante. In seguito a tale manchevolezza, essi vennero modificati onde assicurare risultati più congrui. I vecchi metodi portavano a conclusioni che non reggevano alla prova dell’ulteriore investigazione. Non si trattava soltanto del fatto che le conclusioni si trovavan ad essere inadeguate o false, ma della constatazione che esse eran tali a causa dei metodi impiegati. Invece altri metodi di indagine risultavan tali che il persistere nell’usarli non soltanto portava a risultati che reggevano alla prova dell’ulteriore indagine, ma permetteva la loro autorettifica. Eran questi i metodi che si affermarono con l’uso e per suo mezzo[12].

Lo stesso discorso vale per lo sviluppo delle arti pratiche:

Può essere istruttivo il paragone fra il progresso dei metodi scientifici nel corso dell’indagine e il progresso che ha avuto luogo con il perfezionarsi delle arti pratiche. V’è forse ragione di supporre che i miglioramenti nell’arte della metallurgia siano da ricollegarsi all’applicazione di un criterio ad essa esterno? Le “norme” in uso attualmente si sono sviluppate dai processi con cui i materiali metallici venivano anticamente trattati. C’erano necessità da soddisfare, mete da raggiungere. Quando furon raggiunte, nuove necessità e nuove possibilità si presentarono e i vecchi processi vennero ripetuti a tal fine. In breve, alcuni procedimenti funzionarono ed ebbero successo nel raggiungimento dei fini proposti; altri fallirono allo scopo. I secondi vennero eliminati, i primi conservati e sviluppati[13].

E’ necessario precisare che, anche se i progressi delle arti pratiche e della tecnologia sono dovuti per lo più agli sviluppi delle scienze, ciò non vuol dire che le conquiste raggiunte in campo scientifico rappresentino per le arti dei criteri esterni da seguire necessariamente. I progressi della conoscenza scientifica forniscono degli strumenti che vengono usati dalle arti, ed è proprio attraverso l’uso e il conseguente fallimento o successo nel raggiungimento dei risultati che si ottiene «il criterio finale per giudicare del valore dei principi scientifici»[14] .

Il processo descritto sia nelle scienze sia nelle arti, se non fornisce una prova inconfutabile dell’ipotesi deweyana relativa allo statuto della logica, offre certamente dei validi motivi per prenderla in seria considerazione. Seguiamo, perciò, le argomentazioni che Dewey sviluppa per dimostrare la legittimità e la validità della propria posizione.



[1] L’assenza di ogni tentativo di formulazione simbolica rende l’opera differente da tutti i trattati moderni dedicati alla stessa disciplina. Dewey tiene a precisare nella Prefazione che «quest’assenza non è dovuta ad avversione per tali formulazioni. Al contrario, io sono convinto che l’accettazione dei principi generali sopra accennati metterà in grado di elaborare un complesso di simbolizzazioni più completo e coerente di quanto non esista ora. L’assenza di simbolizzazione è dovuta, in primo luogo, a un argomento cui si accenna nel testo, la necessità di sviluppare anzitutto una teoria generale del linguaggio in cui forma e materia non siano separate; e, in secondo luogo, al fatto che un adeguato complesso di simboli poggia sull’elaborazione preliminare di solide idee circa i concetti e le relazioni che vengono simboleggiati» (J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., pp. 4-5).

[2] Ivi, p. 6.

[3] Ivi, p. 3.

[4] Ivi, p. 12.

[5] Ibidem.

[6] Ivi, p. 34.

[7] Ivi, p. 13.

[8] Al concetto di “senso comune”, che sarà oggetto della nostra analisi alla fine di questo capitolo, Dewey dedica il IV capitolo del volume, approfondendo in particolare le differenze esistenti tra indagine di senso comune ed indagine scientifica. Cfr. J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., pp. 81-105.

[9] Conviene sottolineare che, come si è già messo in luce nelle parti precedenti, per pensiero non si deve intendere esclusivamente la conoscenza teorica. Una tale lettura, infatti, ridurrebbe l’individuo a mero sguardo contemplativo sul mondo, fraintendendo così l’interpretazione deweyana, in cui l’uomo è più che mai un uomo “in carne ed ossa”.

Ciò vuol dire che per il filosofo l’individuo è il risultato di determinate esperienze passate che lo hanno segnato irrevocabilmente, è immerso in un particolare contesto storico che lo tiene avvinto, è preso da situazioni problematiche che lo coinvolgono intellettualmente ed emotivamente. Insomma si tratta di una persona unica ed irripetibile che vive un insieme di esperienze imprevedibili ed inimitabili.

E’ evidente allora che la teorizzazione della ricerca biografica deve necessariamente partire dal riconoscimento che l’oggetto di ogni ricostruzione biografica è il singolo, vale a dire un’individualità concreta e inoggettivabile.

Da ciò discende un’importante conseguenza metodologica. Volgersi allo studio del singolo attraverso categorie universali, rigide e precostituite non può evitare di sfociare in una mistificazione che, in nome di una presunta superiorità del generale sul particolare, produca standardizzazioni prive di un reale riscontro nella realtà.

[10] J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., p. 14.

[11] Dewey qui si riferisce esplicitamente all’indagine scientifica, ma lo stesso principio va applicato anche a tutti gli altri tipi di indagine.

[12] Ivi, p. 15.

[13] Ibidem.

[14] Ivi, p. 16.

 

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