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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

4 CAPITOLO IV: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN LOGICA, TEORIA DELL’INDAGINE

4.2 L’INDAGINE E I SUOI PRINCIPI-GUIDA

L’indagine, come abbiamo già messo in luce nella sezione dedicata all’analisi di Come pensiamo, ha inizio con un dubbio, con una situazione incerta, problematica, e si conclude con la risoluzione del dubbio, con l’apparire di una situazione risolta e tranquilla.

Lo stadio finale del processo di ricerca può essere definito credenza, a patto che, con questo termine, si intenda il raggiungimento di una condizione sistemata e ordinata, dalla quale si possa partire per effettuare le nuove indagini.

In questo senso, il risultato dell’indagine è una condizione obiettiva delle cose bene ordinata, in modo che noi si possa agire su di esse, effettivamente o nell’immaginazione. Credenza indica qui una situazione ordinata della materia oggettiva, unitamente all’attitudine ad agire in un modo determinato quando, se e in quanto tale materia ci sia di fronte[15].

Il termine credenza, tuttavia, ha un significato ambiguo, poiché nell’uso popolare indica qualcosa di personale, qualcosa che il singolo individuo pensa e di cui è convinto. In questo senso la parola ha assunto, soprattutto per influenza della psicologia, l’accezione di uno stato mentale o psichico del tutto soggettivo. L’uso di questo termine risulta così, data l’ambiguità che lo caratterizza, inadeguato in questa sede.

La fase conclusiva della ricerca può altresì essere designata con il termine conoscenza, se con questa parola si intende esclusivamente «ciò che conclude soddisfacentemente un’indagine», ovvero l’obiettivo e la conclusione della ricerca. La conoscenza va definita, quindi, quasi tautologicamente, come «la conclusione di un’indagine appropriata e controllata»[16] o, ancora, come «il prodotto di una ricerca appropriata»[17]. Anche questo termine, tuttavia, non possiede un significato determinato e comunemente accettato. Molti ritengono che:

La conoscenza particolare possa esser stabilita prescindendo dalla sua natura di conclusione della ricerca, e che la conoscenza in generale possa esser definita senza riferimento ad essa. […] Le diverse varietà di realismo, idealismo e dualismo concepiscono diversamente la reale natura della “conoscenza”[18].

L’indeterminatezza del significato della parola conoscenza fa sì che in esso possa trovare posto qualsiasi contenuto. Secondo Dewey si pone, dunque, la necessità di elaborare un nuovo termine per designare lo stadio conclusivo del processo di indagine, un termine che sia funzionale alla posizione assunta e alle argomentazioni esposte nel corso dell’opera.

La definizione di conoscenza come risultato della ricerca mette in evidenza una caratteristica fondamentale del processo di indagine: «la ricerca è un processo continuativo in ogni campo nel quale venga esplicata»[19]. Ciò significa, in altre parole, che la situazione ordinata cui accennavamo sopra, quale stadio finale dell’indagine, non viene stabilita ed accettata una volta per tutte. La condizione sistemata, con cui si conclude una ricerca particolare, è sempre suscettibile di ulteriori ricerche. In tal modo la conoscenza, costitutivamente aperta, si sviluppa progressivamente attraverso i risultati cumulativi dell’indagine continuativa.

La “sistemazione” di una particolare situazione mediante una particolare ricerca non garantisce che tale conclusione sistemata sia destinata a rimanere tale. Il conseguimento di credenze ben ordinate non si verifica che progressivamente; non v’è opinione tanto elaborata da non esser suscettibile di ulteriore indagine. E’ soltanto la risultante convergente e cumulativa di un’indagine continuativa quella che definisce il termine conoscenza nella sua accezione generale[20].

Incontriamo di nuovo, così, le caratteristiche della continuità e della cumulatività dell’esperienza. Proprio fondandosi su di esse, Dewey preferisce sostituire i termini credenza e conoscenza con l’espressione «asserzione giustificata». L’uso della nuova espressione, infatti, oltre a eliminare le ambiguità suddette, implica un riferimento all’indagine come a ciò che giustifica l’asserzione stessa.

L’uso di un termine che designa piuttosto una virtualità che un’attualità implica il riconoscimento che tutte le conclusioni specifiche di ricerche particolari fan parte di un’unica intrapresa che viene di continuo rinnovata, ovvero costituiscono un qualcosa in fieri[21].

I criteri che affiorano dai processi di indagine continuativa sono insieme empirici e razionali. Empirici nella misura in cui hanno origine nel corso della ricerca, nascono cioè «dalle esperienze dell’indagine in atto»[22]. Razionali in quanto hanno a che fare con la relazione fra mezzi o metodi impiegati e fini o conclusioni raggiunti.

L’esposizione descrittiva dei metodi che forniscono progressivamente credenze stabili, o una asseribilità giustificata, è anche un’esposizione razionale, purché sia veramente accertata la relazione fra essi come mezzi e l’asseribilità come risultato[23].

Tuttavia, continua Dewey, nel pensiero filosofico tradizionale la razionalità «ha subìto un processo d’ipostatizzazione»[24]. Infatti, la teoria logica tradizionale ritiene che il metodo scientifico dipenda da forme logiche preesistenti ed imposte all’indagine dall’esterno e, quindi, che la ragione sia una «facoltà che apprende intuitivamente a priori certi primi fondamentali principi»[25].

Dewey sostiene, invece, una posizione ben diversa. Lungi dal negare la necessità di principi logici fondamentali, egli ritiene che tali principi non siano dati a priori, ma abbiano origine nel corso dell’indagine continuativa.

Per chiarire questo snodo decisivo, Dewey si richiama esplicitamente al concetto di «principi-guida» o «direttivi» elaborato da Peirce[26].

Secondo tale concezione la formulazione di qualsiasi inferenza implica l’esistenza di un «abito mentale». L’abito, che, come precisa Peirce, può essere «costituzionale» o «acquisito», è il fattore che spinge l’individuo a trarre da certe premesse un’inferenza piuttosto che un’altra.

Ogni conclusione illazionale formulata comporta un abito (così nel modo di esprimerla come in quello di avviare il ragionamento) nel senso organico della parola, poiché la vita sarebbe impossibile senza modi d’azione sufficientemente generali per poter essere propriamente chiamati abiti[27].

Inizialmente l’abito agisce ad un livello meramente biologico. L’individuo, in altre parole, non è cosciente di ciò che fa e delle conseguenze particolari del suo fare. Solo in un secondo momento egli acquista la consapevolezza del modo in cui opera.

Da principio l’abito che produce un’illazione è puramente biologico. Esso opera senza che se ne abbia coscienza. Siamo coscienti al massimo di atti particolari e particolari risultati. Più tardi ci rendiamo consapevoli non solo di ciò che è fatto di tanto in tanto ma di come è fatto. L’attenzione al modo di fare è, inoltre, indispensabile per il controllo di ciò che si fa[28].

Il particolare abito che dirige una particolare inferenza può essere formulato in una proposizione, la cui verità dipende dalla validità delle inferenze che l’abito stesso determina. Questa formulazione è ciò che Peirce definisce «principio-guida di inferenza».

Da principio tali illazioni vengon compiute senza che venga formulato un principio. […] Ma quando si trova che vi sono abiti insiti di ogni illazione, malgrado la disparità della materia trattata, e quando tali abiti vengono osservati e determinati, allora tali formulazioni costituiscono dei principi guida o direttivi[29].

A tal proposito Dewey riporta un semplice esempio che può essere generalizzato ed applicato ad ogni tipo di ragionamento: nel fare il proprio mestiere l’artigiano impara che, data la presenza di determinate condizioni, se egli agisce in un modo particolare, il fine prefissato si produrrà con una certa sicurezza. Lo stesso principio vale per qualsiasi operazione di inferenza: nel ripresentarsi di condizioni simili a quelle di una situazione problematica già risolta, se i ragionamenti vengono condotti secondo i criteri già applicati, si perverrà a conclusioni sicure.

La validità dei principi-guida, che nascono dalla generalizzazione di certi modi d’azione, non è determinata dall’efficacia dei risultati particolari ottenuti in situazioni specifiche, bensì da quanto le conclusioni raggiunte possano essere conservate e sviluppate nell’indagine ulteriore.

Ogni abito è una via o un modo d’azione, non un atto particolare. La sua formulazione costituisce, in quanto accettata, una regola, o più in generale, un principio o una “legge” d’azione. Difficilmente può negarsi che esistono abiti d’illazione e che essi posson esser formulati in forma di regole o principi. Se esistono poi abiti tali da riuscir necessari alla condotta di ogni feconda indagine illazionale, deve ben dirsi che le formulazioni che le esprimono costituiscono principi logici di tutte le indagini. In questa affermazione fecondo significa capace di operare in modo tale da portare alla lunga, ossia nella continuità della ricerca, a risultati suscettibili di conferma nell’ulteriore ricerca o di rettifica mediante l’uso degli stessi procedimenti[30].

Dunque i principi-guida sono:

Condizioni che devono essere rispettate in quanto la loro conoscenza fornisce un principio di direzione e di prova. Sono formulazioni dei modi di trattare una materia, che si son trovate capaci di portare a determinare così bene, per il passato, conclusioni corrette, da essere assunte a regolare l’ulteriore indagine[31].

Poste le premesse del discorso Dewey passa ad elencare una serie di caratteristiche peculiari della teoria logica. Per la nostra discussione sono due gli aspetti importanti da considerare:

1. La logica è una teoria naturalistica. Ciò significa, secondo l’interpretazione deweyana, che le operazioni di indagine si sviluppano, senza soluzione di continuità, a partire dalle operazioni biologiche. Le operazioni organiche cui qui ci si riferisce consistono in ciò che, all’interno dell’azione, può essere definito il processo di adattamento dei mezzi usati alle conseguenze ottenute, anche senza la presenza di un proposito intenzionale e consapevole. Questo tipo di operazioni, come abbiamo avuto modo di vedere, appartengono tanto agli animali (compresi gli organismi più semplici) quanto all’uomo.
L’essere umano, tuttavia, si distingue da tutti gli altri esseri viventi per due aspetti fondamentali. Prima di tutto, l’uomo, a partire dai processi biologici naturali, arriva progressivamente ad elaborare dei processi di adattamento deliberato ed intenzionale. In secondo luogo, se inizialmente i propositi da seguire sono legati a situazioni particolari, gradualmente questi obiettivi vengono generalizzati, cosicché le relative operazioni di indagine, cessando di essere subordinate a circostanze specifiche, finiscono per assumere un valore universale.
Il termine “naturalistico” ha diversi significati. Qui è usato, da un lato, nel senso che non vi è soluzione di continuità fra le operazioni d’indagine e quelle biologiche e fisiche. “Continuità”, d’altro lato, significa che le operazioni razionali si sviluppano da attività organiche, pur senza identificarsi con ciò da cui sorgono. V’è sempre un adattamento di certi mezzi a certe conseguenze nelle attività delle creature viventi, pur senza la guida di un deliberato proposito. Gli esseri umani, attraverso i comuni o “naturali” processi vitali giungono a compiere questi adattamenti deliberatamente, con obiettivi limitati dapprima a situazioni locali via via che si presentano. Col passare del tempo (per ripetere un principio già enunciato) l’intento vien talmente generalizzandosi che l’indagine cessa d’esser limitata a speciali circostanze[32].

2. La logica è una disciplina sociale. L’essere umano vive, oltre che immerso in un ambiente naturale e strettamente fisico, circondato anche, e soprattutto, da un ambiente sociale e culturale. Da ciò deriva che, se da una parte la ricerca è un tipo di attività che influisce sulla cultura, dall’altra essa è, allo stesso tempo, profondamente condizionata dalla cultura stessa. Ogni ricerca, dunque, si sviluppa in un contesto socio-culturale ben preciso e definito e viene da questo influenzata; l’indagine, inoltre, si conclude con un cambiamento di qualche sorta nelle condizioni dalle quali ha avuto origine.

L’uomo è naturalmente un essere che vive associato con altri in comunità che hanno un linguaggio, e perciò godono di una cultura trasmessa. L’indagine è una forma di attività che è socialmente condizionata e che influisce sulla cultura. […] La conseguenza più ampia la si ritrova nel fatto che ogni indagine si sviluppa da un certo humus culturale e si concreta in una maggior o minor modificazione delle condizioni da cui sorge. Soltanto i contatti fisici accadono in un ambiente puramente fisico. Ma in ogni interazione che comporti una direzione intelligente, l’ambiente fisico è parte di un ambiente sociale e culturale più comprensivo. […] Né l’indagine né il complesso più astrattamente formale di simboli può prescindere dalla matrice culturale in cui vive, si muove ed ha il suo essere[33].

Secondo una concezione naturalistica, che può dirsi anche «naturalismo culturale», la matrice esistenziale dell’indagine si articola su due livelli, non distinti ma profondamente e radicalmente intrecciati, che vengono definiti da Dewey rispettivamente matrice biologica e matrice culturale. Passiamo ora all’analisi delle due matrici che, costituendo il fondamento della ricerca, rappresentano anche il presupposto di qualsiasi azione riflessiva e, quindi, la base del comportamento umano in generale.

 

 

[15] Ivi, pp. 16-17.

[16] Ivi, p. 17.

[17] Ivi, p. 18.

[18] Ivi, pp. 17-18.

[19] Ivi, p. 18.

[20] Ibidem.

[21] Ivi, p. 19.

[22] Ibidem.

Si noti perciò che “empirico”, nel senso appena esposto, non vuole affatto dire “non razionale”.

[23] Ivi, p. 20.

[24] Ibidem.

[25] Ibidem.

[26] Per la traduzione italiana cfr. C. S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi, traduz. Di M. A. Bonfantini, R. Grazia, G. Proni, Milano, 1984.

[27] J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., p. 22.

[28] Ivi, pp. 22-23.

[29] Ivi, p. 23.

[30] Ivi, p. 24.

[31] Ibidem.

[32] Ivi, p. 31.

[33] Ivi, pp. 31-33.

Che la logica sia da intendersi come disciplina sociale, in quanto ogni forma di indagine è socialmente condizionata poiché emerge da un determinato ambiente culturale, è una scoperta concettuale decisiva per la teoria della biografia. Da essa deriva, infatti, che l’uomo, in ogni forma della sua attività, agisce all’interno di un contesto storicamente determinato, di modo che le sue azioni sono interpretabili solo alla luce delle categorie storico-culturali che costituiscono il mondo cui appartiene.

D’altra parte è anche vero, tuttavia, che tali categorie, a loro volta, possono essere comprese solo in relazione all’azione dei singoli, in quanto queste ultime sono le uniche depositarie delle strutture culturali e sociali.

Siamo di fronte, insomma, al tema dell’individuo che, nella sua singolarità, si fa specchio dell’universale. Per ora, però, conviene rimandare l’approfondimento di questo aspetto a quando l’analisi dello scritto deweyano sarà stata sviluppata con maggior cura. (Cfr. capitolo IV, nota n. 55).

 

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