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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

4 CAPITOLO IV: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN LOGICA, TEORIA DELL’INDAGINE

4.4 LA MATRICE CULTURALE DELL’INDAGINE

L’uomo, come affermava Aristotele, è un animale sociale. Egli agisce e si muove in un ambiente culturalmente trasmesso.

Le situazioni problematiche da cui hanno origine i suoi processi di indagine non nascono più soltanto da esigenze organiche, ma anche e soprattutto dai rapporti che l’individuo intrattiene con gli altri «esseri sociali». Tali rapporti sono governati più che da strutture organiche, come l’occhio e l’orecchio, dalle significazioni che, come vedremo più avanti, possiedono una capacità rappresentativa e vengono determinate convenzionalmente attraverso l’accordo nell’azione dei membri di una comunità[51].

Tutto ciò che l’uomo compie, i modi in cui risponde ai problemi che continuamente gli si presentano risultano costitutivamente condizionati dall’eredità culturale.

L’ambiente in cui vivono, agiscono e investigano gli esseri umani non è soltanto fisico. Esso è anche culturale. Problemi che provocano indagine nascono dalle relazioni reciproche di esseri sociali, e gli organi per coltivare tali relazioni non sono soltanto l’occhio e l’orecchio, ma le significazioni sviluppatesi nel corso della vita, assieme ai modi di formazione e trasmissione della cultura con tutti i suoi elementi di ritrovati strumentali, arti, istituzioni, tradizioni e credenze abituali[52].

E ancora:

L’uomo, come notava Aristotele, è un animale sociale. Questo fatto lo pone in situazioni e genera problemi e modi di risolverli che non hanno precedente alcuno al livello organico biologico. Infatti l’uomo è sociale in altro senso che non l’ape e la formica, perché le sue attività s’inseriscono in un ambiente culturalmente trasmesso, di modo che ciò ch’egli fa e il modo in cui agisce non è determinato da strutture organiche ed eredità fisiche soltanto, ma dall’influenza di un’eredità culturale incanalata in tradizioni, istituzioni, costumi e nelle finalità e credenze che quelle comportano ed ispirano[53].

Il comportamento dell’uomo, dunque, risulta radicalmente dominato dall’ambiente culturale in cui si trova a vivere. Per capire quanto questa influenza sia profonda basterebbe osservare la condotta di un individuo particolare per un intervallo limitato di tempo. Il risultato dell’osservazione dimostrerebbe chiaramente come qualsiasi tipo di azione sia condizionata e dominata da fattori culturali.

Anche il modo in cui l’uomo reagisce alle condizioni meramente fisiche è quasi sempre determinato da elementi culturali[54]. In tal modo si può affermare che, nel caso specifico dell’essere umano, l’ambiente fisico e naturale è «incorporato» in quello sociale e culturale, e le interazioni con il primo sono condizionate dagli aspetti del secondo.

Per delineare il campo d’azione della determinazione culturale della condotta della vita occorrerebbe seguire per lo spazio di un giorno almeno il comportamento di un individuo, sia quello di un lavoratore a giornata, di un professionista, di un artista o di uno scienziato o sia anche quello di un bambino che cresce o di un genitore. Ne risulterebbe infatti quanto il comportamento sia completamente permeato di condizioni d’origine e importanza culturale[55].

Tuttavia, l’influenza dell’ambiente culturale risulta ancora più profonda di quanto non si possa immaginare. Infatti, anche le strutture neuro-muscolari subiscono, attraverso l’azione dell’ambiente culturale, modifiche sostanziali. Solo in virtù della mediazione culturale l’individuo diviene capace di utilizzare in senso proprio l’apparato vocale di cui è fisicamente dotato, a tal punto che parlare diviene qualcosa di “naturale”.

Persino le strutture neuro-muscolari degli individui vengon modificate attraverso l’influenza dell’ambiente culturale sulle attività esercitate. L’acquisizione e l’intelligenza del linguaggio insieme col progresso nelle arti (cose ignote agli altri animali all’infuori dell’uomo) rappresentano un’intima fusione degli effetti di condizioni culturali con le strutture fisiche dell’essere umano, una permeazione così profonda che le attività che ne risultano sono altrettanto direttamente “naturali” all’apparenza quanto le prime reazioni di un neonato. Il parlare, il leggere, l’esercitare qualche industria, qualche attività artistica e politica, sono esempi di modificazioni operate nell’organismo biologico dall’ambiente culturale[56].

4.5 IL LINGUAGGIO

Non è un caso che nell’ultimo brano riportato Dewey citi il linguaggio[57]. Esso, infatti, non solo fornisce l’esempio più evidente della fusione che nelle attività umane avviene tra strutture fisiche e aspetti culturali, ma soprattutto costituisce quell’elemento che consente all’uomo di elevarsi dalla sfera naturale a quella culturale, trasformando il comportamento organico in culturale. E’ l’evoluzione del linguaggio che «rappresenta, nel suo rapporto con più ampie forze culturali, la chiave di questa trasformazione»[58].

Proprio a seguito della sua importanza decisiva, Dewey compie nella Logica un’attenta analisi del linguaggio, che qui conviene ripercorrere in forma schematica.

1. Il linguaggio è anzitutto una istituzione culturale, ma non può essere considerato, come invece abitualmente si fa, una semplice istituzione fra le altre poiché:

a) costituisce il mezzo di comunicazione, lo strumento tramite il quale vengono trasmesse tutte le altre istituzioni e tutti gli altri abiti acquisiti; in questo senso esso è la condizione necessaria e sufficiente della trasmissione e del perpetuarsi delle attività umane.

b) «permea così le forme come i contenuti di tutte le altre attività culturali»[59].

2. Il linguaggio si compone di elementi fisici che possono operare come agenti linguistici grazie alla loro capacità rappresentativa. I singoli elementi fisici dotati di significazione vengono determinati dalla società in modo convenzionale, attraverso «un accordo nell’azione»[60]. Dunque, il linguaggio ha il potere di conferire alle cose reali «la loro capacità di significanza o evidenziale»[61].

3. Il linguaggio nasce come strumento di comunicazione atto a rendere possibile e a favorire «la cooperazione e la competizione ponderata»[62]. Esso spinge l’individuo ad osservare la realtà mettendo da parte il proprio punto di vista, che è strettamente personale, per assumere un punto di vista comune agli altri individui che sia, quindi, un punto di vista generale.

E’ necessario precisare, però, che non è il linguaggio che dà origine all’associazione, poiché questa è caratteristica non solo di tutti gli organismi viventi, ma anche di elettroni, atomi e molecole. Tuttavia, quando si presenta come sviluppo naturale di modi precedenti di comportamento organico «esso reagisce sì da trasformare le forme ed i modi anteriori di comportamento associato in modo tale da porci innanzi ad una sorta di nuova dimensione»[63].

Possiamo ora presentare, secondo lo schema fornito da Dewey, le modifiche che il linguaggio apporta nei modi di attività biologica, le quali costituiscono le condizioni necessarie al passaggio dal comportamento organico a quello intellettuale.

1. Il linguaggio produce la cultura, nel senso che esso è l’unico strumento che permette di trasmettere da un individuo all’altro, da una generazione all’altra, tutto il materiale acquisito, le abilità, le conoscenze e gli abiti appresi nel corso della vita[64].

2. Il linguaggio modifica l’aspetto, la forma e i contenuti delle naturali attività organiche:

Il consumare cibo diventa festeggiamento e celebrazione del gruppo; il procurarselo, l’arte dell’agricoltura e del commercio; l’accoppiamento si trasforma nell’istituzione della famiglia[65].

3. Il linguaggio e il suo sistema di simboli permette di ritenere i risultati delle esperienze passate e quindi:

Rende possibile il ricordo intenzionale e l’aspettazione, e per loro tramite il prodursi di nuove combinazioni d’elementi selezionati d’esperienze aventi una dimensione intellettuale[66].

Il sistema di simboli di cui è costituito il linguaggio rende dunque possibile anche il discorso ordinato o ragionamento.

4. L’esistenza di simboli elimina l’irreparabilità che caratterizza le attività biologiche. Con la rappresentazione simbolica di un’azione e delle sue conseguenze diventa possibile omettere l’attività manifesta nel caso in cui se ne vogliano evitare i risultati.

4.6 IL SENSO COMUNE

Abbiamo ripetuto più volte che a livello biologico l’organismo è costretto continuamente a reagire alle condizioni ambientali per mantenere un certo equilibrio nelle sue relazioni con l’ambiente che lo circonda e preservare così le proprie funzioni vitali. Questo processo di adattamento reciproco è continuo e dura per tutta l’esistenza dell’organismo stesso.

La vita può essere davvero considerata come un continuo alternarsi di squilibri e di ristabilimenti d’equilibrio[67].

Naturalmente, anche per l’organismo umano vale lo stesso principio. La grande differenza sta nel fatto che, come si è messo in luce, l’uomo è immerso in un ambiente sociale e culturale nel quale le condizioni fisiche vengono inglobate in un complesso sistema di tradizioni, credenze, costumi.

Dewey sceglie di designare

L’ambiente in cui gli esseri umani sono direttamente coinvolti come ambiente di senso comune o “mondo”, e le indagini che vi hanno luogo nell’effettuare le richieste rettifiche di comportamento come indagini di senso comune[68].

Elaborando il concetto di “senso comune” il filosofo ha cercato di rendere conto di tutta una classe di problemi che hanno origine dalla «connessione diretta» dell’uomo con «l’ambiente immediato», e di spiegare tutta una categoria di modi di indagine, legata a tale ordine di problemi, che si differenzia dall’insieme di indagini che ha per fine l’acquisizione di conoscenza.

Tali sono quelle indagini che si presentano continuamente nella condotta della vita e nell’ordinario comportamento quotidiano. Di tal genere sono le difficoltà cui vanno costantemente incontro i giovani nel loro sviluppo quando si studiano di farsi strada nell’ambiente fisico e culturale in cui vivono; esse occorrono e ricorrono nelle attività della vita di ogni adulto, sia esso un agricoltore, un artigiano, un professionista, un legislatore, un giudice; sia esso un cittadino di uno stato, marito, moglie o genitore. Per la loro stessa effettiva configurazione esse esigono d’esser distinte dalle indagini propriamente scientifiche, o che tendono ad appurare fatti, “leggi” e teorie comprovati[69].

Dewey riporta due diverse definizioni del termine “senso comune”.

Secondo la prima definizione senso comune significa capacità di discernimento nelle «ordinarie faccende della vita» o, in altre parole, abilità nel riconoscere i fattori importanti in una situazione specifica e nel giudicare cosa sia meglio fare o non fare.

Secondo un’altra definizione, invece, senso comune si identifica con l’insieme di concezioni e di credenze che sono comunemente accettate dai membri di un particolare gruppo o dall’umanità intera e che assumono, per il singolo individuo, una funzione regolativa e normativa.

Questi due significati di “senso comune” presentano delle differenze, dal momento che uno riguarda «i momenti e gli aspetti di speciali situazioni pratiche osservate, indagate ed esaminate in rapporto con ciò che si può o si dovrebbe fare in un determinato momento e luogo»[70], e l’altro invece concerne «le regole e i precetti che si accettano senz’altro per validi nel raggiungimento di qualsiasi conclusione e nella determinazione di ogni sorta di comportamento socialmente corretto»[71].

Tuttavia, ad un’attenta analisi, emergono anche due importanti elementi di forte comunanza. Entrambi i significati, infatti, comportano: 1) una connessione della condotta della vita ad un ambiente reale, concreto; 2) un riferimento alle «ordinarie faccende della vita», al vissuto quotidiano[72].

Chiarito cosa Dewey intenda con l’uso del termine “senso comune”, passiamo ora ad esaminare il modo in cui egli concepisce il concetto di “indagine di senso comune” che, come abbiamo già anticipato, consiste sostanzialmente nel modo specifico di risposta e di adattamento dell’essere umano al proprio ambiente direttamente circostante.

1. I modi in cui l’organismo umano interagisce e si mette in contatto diretto con il proprio «mondo» possono essere definiti con i concetti di “uso” e di “fruizione”. Di conseguenza, si può affermare che il campo dell’indagine di senso comune viene esaurito dall’insieme dei problemi che sorgono in relazione all’uso dei materiali che fanno parte dell’ambiente circostante e al godimento che da tale uso deriva.
Questioni di cibo, di riparo, di protezione, di difesa, ecc., sono questioni che riguardano l’uso da farsi dei materiali dell’ambiente e le attitudini da assumersi praticamente verso i membri dello stesso gruppo e verso gli altri gruppi presi come unità. L’uso, a sua volta, si fa in vista di qualche soddisfacimento o fruizione[73].

2. Le operazioni e le risposte che hanno origine dall’uso e dalla fruizione delle situazioni concrete sono di tipo qualitativo. L’indagine di senso comune riguarda, perciò, oggetti ed operazioni qualitative, e ciò comporta:

a) una differenza fra problemi e modi di indagine appartenenti a stadi diversi di cultura. I contenuti e i procedimenti del senso comune, infatti, non sono costanti, ma variano nel tempo tanto nei particolari quanto nell’assetto generale.

b) Una differenza fra materia e metodi dell’indagine di senso comune e materia e metodi della ricerca scientifica. Mentre nel caso del senso comune segni e significazioni vengono determinati «in rapporto ad applicazioni reali dirette», e cioè nell’uso e fruizione qualitativi dell’ambiente, nel caso della scienza segni e significazioni vengono stabiliti «sulla base delle loro sistematiche relazioni reciproche di coerenza e congruenza», vale a dire nel campo del non qualitativo[74].

Per meglio chiarire le caratteristiche proprie dell’indagine del senso comune conviene far riferimento al concetto di “situazione”.

La situazione può essere definita come il contesto complessivo in cui eventi ed oggetti si connettono nel corso dell’esperienza effettiva.

L’uomo vive ed agisce all’interno di un mondo reale, a contatto con una realtà complessa, colma di connessioni. Nel percepire questa realtà egli non esperisce mai un singolo oggetto o un evento isolato dal resto. Piuttosto «un oggetto od evento è sempre una parte, un momento o un aspetto speciale di un mondo ambientale esperito, cioè di una situazione»[75].

E’ vero che nel corso dell’esperienza un oggetto o un evento particolari possono assumere un ruolo cruciale in virtù della posizione che occupano nella soluzione del problema che si sta affrontando, cosicché si può essere indotti a pensare che si stia osservando quell’oggetto o quell’evento. Tuttavia, è anche vero che l’osservazione avviene sempre in un contesto, in un campo. In particolare, essa viene compiuta «allo scopo di trovare ciò che quel campo rappresenta in rapporto a qualche attiva risposta d’adattamento con cui far procedere un corso di comportamento»[76].

L’indagine di senso comune, in altre parole, consiste nel tentativo di determinare ciò che l’oggetto o l’evento particolare rappresenta in relazione al modo in cui la situazione generale può essere gestita.

L’oggetto o l’evento in questione sono percepiti come parte di un mondo ambientale, non in sé e per se stessi; essi sono rettamente (validamente) percepiti se ed in quanto costituiscano il filo conduttore e la guida nell’uso-fruizione[77].

E’ necessario aggiungere, inoltre, che la situazione non è un oggetto del ragionamento. Al contrario, essa viene sentita, viene avvertita come «un tutto qualitativo».

Il carattere qualitativo onnipervadente è non solo ciò che lega tutti i costituenti in un complesso ma è anche unitario; esso fa di ogni situazione una situazione individuale, indivisibile e senza duplicati[78].

Ciò che di una situazione specifica possiede la facoltà di ripetersi in innumerevoli situazioni successive sono le relazioni e le distinzioni che vengono istituite, attraverso le operazioni di ragionamento, all’interno della situazione stessa.

Il ragionamento, come abbiamo già visto, deve essere controllato, in ogni caso, attraverso il riferimento ad una situazione reale, concreta. In altre parole:

Un universo di esperienza è condizione preliminare di un universo di ragionamento. […] L’universo di esperienza circonda e regola l’universo di ragionamento, ma non appare mai come tale nell’interno di quest’ultimo[79].

Ciò vuol dire semplicemente che per formulare ed enunciare un problema è necessario prima sentirlo (nel senso che abbiamo inteso sopra), poiché solo avendo presente in modo immediato «la qualità unitaria della situazione» si ha la possibilità di valutare «i fatti osservati ed il loro disporsi in un ordine concettuale»[80].

In conclusione, si può affermare allora che «la ricerca è un tutto, è un universo di esperienza nel cui interno va articolandosi un universo di discorso»[81].



[51] Più avanti nel testo Dewey fornisce una spiegazione del concetto di significazione e della differenza tra “significazione” e “significanza”. Cfr. J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., pp. 70-76.

[52] Ivi, p. 59.

[53] Ivi, p. 60.

[54] Dewey a tal proposito riporta l’esempio del fuoco. Il fuoco è un fatto fisico, ma il modo in cui l’uomo reagisce alla sua presenza è fisico solo in casi rari (uno di questi può essere il ritrarre la mano quando ci si scotta). Ma le attività specificamente umane riguardano piuttosto l’uso del fuoco al fine di raggiungere un certo risultato (riscaldarsi, cucinare ecc.). Questi tipi di attività derivano evidentemente da aspetti culturali.

[55] Ivi, p. 60.

Questo paragrafo, con le citazioni riprese dalla Logica, rappresenta il punto più importante della nostra ricerca relativa al tema della biografia. Nei brani riportati, infatti, Dewey, pur se non parla direttamente della biografia, fornisce una serie di indicazioni che basta esplicitare e raccogliere insieme per delineare i tratti essenziali della sua teoria della biografia.

Iniziamo col fare riferimento alle prime due citazioni.

Come si è visto, in esse Dewey afferma che l’uomo è un animale sociale in quanto vive all’interno di un ambiente culturalmente trasmesso. Ciò, stando sempre alla lettera del testo, va inteso in senso forte: tutto quanto l’uomo fa è determinato dall’eredità culturale trasmessa.

Da questa posizione deriva che ogni individuo risulta comprensibile solo se viene collocato nel contesto storico, sociale e culturale in cui vive. Dunque, perché sia possibile una ricostruzione biografica, il compito costante di tale ricerca deve essere il continuo inserimento della vita del singolo nello sfondo generale in cui egli si è mosso.

Con questa conclusione, però, abbiamo raggiunto un solo polo della teoria della biografia deweyana. Infatti, a ben vedere, nella ragione per cui l’individuale va ricondotto al generale, vale a dire nell’idea secondo cui l’individuo è determinato dall’ambiente sociale e culturale, si cela una sorta di paradosso che lascia riemergere l’individuale nella sua singolarità: proprio perché determinato dal contesto, il singolo ha in sé depositato tutto il mondo storico-sociale in cui vive.

Nella terza citazione riportata nel paragrafo Dewey afferma che, seguendo per un solo giorno un individuo qualsiasi, si scoprirebbe che il suo comportamento è completamente penetrato dai condizionamenti d’origine. Dunque, seguendo tale individuo si perverrebbe al tempo stesso al rinvenimento dei condizionamenti culturali che lo determinano.

Tre sono i punti chiave della teoria della biografia di Dewey.

1. Tra l’individuale e il generale vi è una profonda continuità, di modo che il microcosmo individuale non è altro che lo specchio in cui prende forma il macrocosmo generale. Questo a ragione di una sorta di corto circuito tra l’idiografico e il nomotetico, per cui ciò che rientra nella sfera generale del normativo non può che costituirsi attraverso le invarianti strutturali proprie della sfera dell’individuale.

Insomma, per Dewey, l’individuo interiorizza il sociale, lo fa suo, lo personalizza e lo ripropone dal suo punto di vista, costituendosi come la singolarizzazione dell’universalità delle strutture sociali.

2. La biografia di un individuo è realizzabile solo se il comportamento del singolo viene costantemente riferito al contesto generale che lo sottende e lo rende possibile. Senza tale operazione, infatti, ogni concezione individuale sarebbe semplicemente incomprensibile.

3. Oltre che restituire l’individualità del singolo, le ricostruzioni biografiche, mediate e integrate con ricerche di natura generale, rappresentano strumenti utilissimi ed insostituibili per la conoscenza dei vari mondi storici.

Per la conferma dei punti esposti in questa nota, si veda capitolo V, nota n. 24.

[56] J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., p. 60.

[57] E’ necessario precisare che quando Dewey parla di “linguaggio” non si riferisce solo al discorso orale e scritto, ma utilizza il termine nel suo senso più ampio, in cui sono comprese «la mimica, ma anche riti, cerimonie, monumenti ed i prodotti artigiani ed artistici» (J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., pp. 63-64).

[58] Ivi, p. 61.

[59] Ivi, p. 63.

[60] Ivi, p. 65.

[61] Ivi, p. 76.

[62] Ibidem.

[63] Ivi, p. 77.

Il tema del linguaggio ha un’importanza centrale anche per l’argomento della nostra ricerca, la teoria della biografia deweyana.

Come si è messo in luce il linguaggio per Dewey è fondamentale. Esso consente la comunicazione, rende possibile la trasmissione culturale, fa vivere tutte le istituzioni culturali, di cui inoltre influenza le forme e i contenuti. Insomma, per il filosofo, l’uomo ha sempre a che fare con il linguaggio, in ogni atto della sua vita.

La ricostruzione biografica non fa eccezione a questa situazione: il medium in cui essa si sviluppa è sempre e necessariamente il linguaggio. Ciò è del tutto evidente quando il materiale utilizzato per le ricostruzioni è di natura scritta. Lo stesso vale, però, anche quando si tratta di lavorare su testimonianze orali. Ad esempio, le interviste sul campo dei sociologi e degli antropologi non sono altro, infatti, che un confronto con il linguaggio altrui, con il linguaggio degli intervistati.

[64] Dewey precisa che la cultura è contemporaneamente prodotto e condizione del linguaggio: prodotto nel senso che abbiamo spiegato nel testo; condizione in quanto i sistemi di significazioni differiscono nei diversi gruppi culturali. Cfr. J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., p. 77.

[65] Ivi, p. 77.

[66] Ibidem.

[67] Ivi, p. 41.

[68] Ivi, pp. 81-82.

[69] Ivi, p. 82.

[70] Ivi, p. 85.

[71] Ibidem.

[72] Nel quadro teorico delineato da Dewey il concetto di senso comune, inteso come ambiente immediato in cui l’uomo è direttamente coinvolto, è fondamentale. Esso viene introdotto per superare finalmente quella unilaterale ipostatizzazione operata dalla filosofia tradizionale secondo cui l’uomo viene fatto coincidere con un soggetto conoscente delineato come mero sguardo contemplativo teorizzante. Questa radicale riformulazione realizzata da Dewey ha un impatto fondamentale nel campo della storia. A partire da essa, infatti, tutta la sfera costituita dalle “ordinarie faccende della vita” acquisisce un pieno riconoscimento e assurge a nuova dignità. La storia, così, non può più essere considerata solo la storia dei grandi eventi e dei grandi personaggi, ma deve divenire anche la storia della concreta realtà della vita quotidiana. In questo senso si può certamente vedere in Dewey un anticipatore dei concetti di fondo di quel filone di ricerca chiamato “la nuova storia”.

[73] J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., p. 85.

[74] In realtà quest’ultima differenza è relativa, nel senso che non separa le due materie in ambiti totalmente distinti fra loro. Esiste, infatti, una «relazione genetica e funzionale» fra la materia scientifica e quella del senso comune. «1) La materia ed i procedimenti scientifici nascono dai problemi e dai metodi diretti del senso comune, adatti ad usi e fruizioni pratici, e 2) reagiscono sui secondi in modo da raffinare, ampliare e rendere enormemente più agili i contenuti e le possibilità d’azione di cui dispone il senso comune» (J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, cit., p. 88).

[75] Ivi, p. 89.

[76] Ibidem.

[77] Ivi, p. 90.

[78] Ivi, p. 91.

[79] Ibidem.

[80] Ivi, p. 94.

[81] A. Visalberghi, Esperienza e valutazione, cit., p. 7.

 

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