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IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE NELL'OPERA DI JOHN DEWEY
di  Giordana Szpunar

5. CAPITOLO V: IL RAPPORTO INDIVIDUO-AMBIENTE IN CONOSCENZA E TRANSAZIONE

5.1 IL CONCETTO DI TRANSAZIONE

Il testo di Dewey a cui sarà dedicata la parte finale della nostra analisi è Conoscenza e transazione. Il volume, scritto a quattro mani con il collega Arthur F. Bentley, viene pubblicato nel 1949 e rappresenta l’ultimo grande lavoro del filosofo, prima della sua scomparsa, avvenuta nel 1952.

Appare necessario premettere che l’esame di questo testo tralascerà le questioni strettamente logiche ed i problemi terminologici, e verterà principalmente sulla formulazione e sulla definizione del concetto di “transazione”, che, come vedremo, assume un ruolo di estrema importanza per la nostra ricerca.

Il punto di vista transazionale permea tutto il pensiero deweyano, e ne troviamo i primi segni[1] già nel famoso scritto del 1896 The Reflex Arc Concept in Psychology.

La formulazione deweyana del concetto di transazione non rappresenta, dunque, né l’esposizione di una nuova posizione filosofica, né la presentazione di una metodologia originale. Il volume è piuttosto l’espressione di una precisa scelta terminologica, che risponde al tentativo di trovare un termine che sposti l’attenzione sull’intero sistema organismo-ambiente, anziché su uno dei suoi singoli elementi (così come fa invece, ad avviso di Dewey il termine “interazione”).

Prima di impegnarsi nella spiegazione della transazione e dell’uso che se ne è fatto, in modo particolare in campo scientifico, il filosofo ne fornisce una prima generale definizione, dichiarando esplicitamente di assumerla come punto di vista nel proprio procedimento di indagine.

Il lettore ricorderà che, nel nostro procedimento di indagine, osservato e osservatore non vengono affatto separati radicalmente così come invece si fa di solito tanto in epistemologia quanto nelle varie psicologie e teorie psicologiche; al contrario, osservatore e osservato vengono considerati tali da formare un unico organismo. […] Il nostro punto di vista consiste semplicemente in questo: dal momento che l’uomo, in quanto organismo, si è evoluto fra altri organismi in una evoluzione cosiddetta “naturale”, ci proponiamo di considerare per ipotesi tutti i suoi comportamenti, compresi i suoi conoscere più avanzati, non come attività esclusivamente sue, o anche solo principalmente sue, ma come processi della situazione organismo-ambiente nel suo complesso; situazione che consideriamo sia come inclusa nel campo delle nostre conoscenze, sia come quella da cui le conoscenze stesse hanno origine[2].

E’ importante sottolineare la radicalità della citata formulazione della transazione. In essa Dewey afferma esplicitamente che l’organismo e il suo ambiente formano a tal punto un tutto unico che ogni comportamento dell’uomo, compresa anche la sua attività conoscitiva, non va intesa come opera del soggetto, ma è un processo che appartiene all’intero sistema organismo-ambiente. In questo senso gli stati interni dell’individuo, siano essi stati conoscitivi o emozionali, non sono altro che stati relazionali vigenti fra il singolo e il suo ambiente. Tali stati specificano il modo in cui l’individuo risponde alle sollecitazioni ambientali.

Fatte queste premesse Dewey, al fine di mostrare la crescente affermazione del punto di vista transazionale nelle scienze, espone sinteticamente «tre livelli di organizzazione e di configurazione dell’indagine». Questi livelli, definiti rispettivamente Auto-azione, Inter-azione e Trans-azione, costituiscono i modi in cui storicamente l’uomo si è rapportato al mondo e i modi in cui il mondo stesso è stato rappresentato dall’uomo.

Ecco la descrizione che il filosofo dà di ognuno dei tre livelli:
Auto-azione: quando si considerano le cose come se agissero per proprio potere.
Inter-azione: quando ad ogni cosa se ne contrappone un’altra in rapporto di reciproca connessione causale.
Trans-azione: quando si impiegano sistemi di descrizione e di denominazione per trattare aspetti o fasi di azione, senza riferirsi alla fine ad “elementi” o ad altre presunte “entità”, “essenze”, o “realtà” individuabili o indipendenti, e senza che si isolino, da tali individuabili “elementi”, delle presunte “relazioni” individuabili[3].

Fornite queste definizioni generali, Dewey passa a considerare i modi in cui le tre diverse prospettive sono state utilizzate nelle indagini scientifiche ed i risultati cui esse hanno condotto.

La prima disciplina scientifica che viene esaminata, dato l’uso sempre maggiore che essa fa della transazione, è la fisica. L’esame che Dewey conduce sui vari punti di vista a partire dai quali sono state svolte le indagini in campo fisico ha lo scopo di mostrare come il criterio transazionale, che egli si propone di impiegare per la sua ricerca su conoscere e conosciuti, «sia già stato ampiamente sviluppato dalla più autorevole delle scienze»[4].

L’esempio più eclatante dell’applicazione del punto di vista autoazionale è la fisica aristotelica. Secondo Aristotele le cose si mantengono in movimento per loro intrinseco potere, e tutto il resto, cioè le cose che non possiedono questa caratteristica, viene considerato come un Essere difettoso.

La disfatta dall’autoazione si rende possibile grazie all’opera di Galileo. Egli fa cadere la concezione secondo cui il movimento di una massa dipende dalla costante spinta di un “attore” e introduce il principio di inerzia, secondo il quale una massa in moto continua a muoversi di moto rettilineo uniforme se non incontra nessun tipo di ostacolo. In tal modo, vengono poste le basi sulle quali si svilupperà la prospettiva interazionale.

Con la formulazione newtoniana delle tre leggi del moto, e la definizione del mondo come sistema chiuso in quanto processo di «forze semplici agenti fra particelle inalterabili», si giunge «alla fondazione di tutto il sistema inter-azionale della meccanica»[5].

Solo con Einstein, infine, si arriva all’applicazione del criterio transazionale in fisica, poiché solo con la sua ricerca il tempo e lo spazio, che prima venivano considerati come la cornice esterna, fissa ed assoluta dei fenomeni, vengono sottoposti ad analisi «come alcuni fra gli altri eventi studiati»[6].

Tutti questi passi in avanti [cioè quelli compiuti da Einstein] rientravano senza dubbio in una concezione transazionale: quella per cui si vedono in congiunzione, dove la ricerca lo richieda, quelle cose che prima si vedevano separate e si mantenevano nettamente distinte[7].

Dopo aver ripercorso a grandi linee la storia dei tre livelli di indagine nel campo della fisica, Dewey passa a compiere un’operazione simile in relazione al campo della fisiologia e a quello della biologia. In questo caso, però, lo scopo dell’analisi è diverso. Esso consiste nel tentativo di creare la base per poter poi discutere l’importanza della transazione «per l’indagine comportamentale sottolineando l’impellente esigenza di impiegarla nelle indagini sui conoscere e sui conosciuti in quanto comportamenti umani, se tali indagini vogliono raggiungere qualche successo»[8].

Per ciò che riguarda la fisiologia, Dewey tralascia un’esposizione dettagliata degli «arcaici stadi dell’auto-azione», spostando piuttosto l’attenzione sulle differenze che sussistono tra interazione e transazione. A tal proposito, egli traccia una serie di distinzioni, ognuna delle quali viene formulata a partire da un certo punto di vista e in relazione a termini particolari. La distinzione che a noi più interessa è quella tracciata prestando attenzione al caso dell’organismo e dell’ambiente.

Mentre una prospettiva interazionale considera l’organismo e l’ambiente come esistenti l’uno indipendentemente dall’altro, e l’interazione come un terzo elemento che interviene tra i primi due, un punto di vista transazionale presuppone che i tre elementi vadano considerati ed osservati come parti di un unico sistema.

Se l’interazione suppone che l’organismo e gli oggetti del suo ambiente siano presenti come esistenze o forme di esistenza essenzialmente separate, antecedenti al loro sottoporsi congiuntamente ad esame, allora:

la Transazione non ritiene adeguata alcuna pre-conoscenza né del solo organismo né del solo ambiente, neppure per quanto concerne la natura fondamentale delle distinzioni convenzionali ordinarie fra di essi, ma esige che essi si accettino prima di tutto in un sistema comune, riservando piena libertà al loro esame in sviluppo[9].

Per ciò che riguarda, invece, il campo di ricerca biologica «l’antico e antiquato punto di vista auto-azionale è stato in gran parte, ma non del tutto, abbandonato»[10].

Un esempio della prospettiva auto-azionale è il “principio vitale”[11], al quale si oppone la “teoria cellulare” che invece rappresenta l’applicazione di un criterio di tipo interazionale. I punti di vista denominati “organismici” consistono, invece, in un «trattamento transazionale in un quadro intra-dermico»[12]. Infine, lo sviluppo di questi punti di vista, che è stato previsto e in parte compiuto dal lavoro delle ecologie, permetterà l’assunzione di una prospettiva completamente transazionale, vale a dire l’adozione di un «trattamento transazionale di tipo transdermico»[13].

Ripercorrendo la storia della cellula si ha un esempio concreto dei passaggi che abbiamo appena descritto in senso generale.

Per molto tempo dopo la sua scoperta, la cellula è stata considerata, in una prospettiva auto-azionale, l’unità prima della vita. Oggi il quadro in cui si inserisce questo tipo di studio è prevalentemente interazionale, poiché la cellula viene vista «quale essa è, entro il suo concreto ambiente di tessuti»[14], e viene esaminata spesso nella sua interazione con le altre cellule.

Tuttavia, se per alcuni tipi di indagine è sufficiente un trattamento di questo tipo, a volte il criterio interazionale risulta non adeguato allo scopo che si deve raggiungere. In questi casi si rende allora conveniente «una esposizione di maggiore ampiezza e di forma pienamente transazionale per garantirsi quella più ampia comunicazione di informazioni che si dimostra necessaria»[15].

Così, a seconda del tipo di ricerca che si intende intraprendere e dei fini da raggiungere, si può analizzare la cellula presa isolatamente, oppure intesa come componente degli organi, seguendo una prospettiva prevalentemente interazionale o pienamente transazionale; nello stesso modo, si possono studiare gli organi in relazione fra loro (prospettiva interazionale), o come componenti degli organismi (prospettiva transazionale).

Ogni tipo di indagine, sia quella che si muove su un piano più individuale, sia quella che si sviluppa in chiave interazionale, sia quella che applica un punto di vista pienamente transazionale, ha la sua legittimità e ragion d’essere finché risulta adeguata, finché, cioè, si mostra utile nel far conoscere in modo più completo il proprio campo di ricerca.

In relazione al tema dei vari punti di vista da cui l’indagine scientifica può essere condotta, Dewey cita il caso del «trattamento biografico (corsivo nostro) dell’organismo».

Un trattamento biografico dell’“organismo nel suo insieme” può e può anche non essere vantaggioso. Se non lo è, ciò dipende non tanto dal fatto che esso non riesce ad andare abbastanza in profondità in uno studio particolareggiato delle cellule e degli organi, ma soprattutto dal fatto che esso non riesce ad ampliare sufficientemente la strutturazione e il sistema di descrizione organico-ambientali. Il suo difetto sta proprio nel fatto che esso si accentra troppo decisamente sull’“individuo” così che, sia da un punto di vista più puntualizzato che da un punto di vista più ampio, l’“individuo” ha una posizione precaria nella conoscenza, tranne che quando una qualche reminiscenza di un antico status auto-azionale vi scivoli dentro a rinvigorirlo, ovviamente per coloro che accettano un tipo di rinvigorimento del genere[16].

La cellula, gli organi, gli organismi in generale, possono essere fatti oggetto di uno studio biografico[17]. Tale ricerca può essere condotta dai tre punti di vista che si sono elencati. I primi due, però, possono correre il rischio di accentrarsi unilateralmente sull’individuo. Ciò accade nel caso in cui essi mettano da parte il terzo punto di vista, quello fondamentale, la prospettiva transazionale.

Solo quest’ultima, infatti, se così si può dire, rappresenta la verità delle cose. In questo senso essa deve costituire lo sfondo teorico su cui gli altri due punti di vista devono necessariamente collocarsi nel caso in cui vogliano svilupparsi in maniera metodologicamente corretta, senza ricadere in mistificanti posizioni autoazionali.

Dewey, infatti, torna a sottolineare, questa volta a partire da un livello strettamente biologico e organico, che l’organismo e l’ambiente non possono in nessun modo essere considerati separatamente l’uno dall’altro, ma vanno necessariamente intesi nella loro connessione e interazione reciproca. In questa sede la concezione deweyana sembra assumere una posizione ancora più netta. L’autore, infatti, afferma:

Gli organismi non vivono senza aria e senza acqua, né senza ingerire cibo e senza radiazioni. Essi vivono, cioè, tanto in processi a contatto con e “attraverso” la cute quanto in processi “interni” alla cute. Voler studiare un organismo in completa separazione dal suo ambiente sarebbe come cercare di studiare un orologio elettrico appeso ad una parete trascurando il filo della corrente che lo alimenta[18].

E, ancora:

Oggi riscontriamo che procedimenti sia transazionali che interazionali vengono adoperati nei particolari dalla indagine fisiologica e biologica; ma per le formulazioni generali non troviamo molto di più che degli approcci preliminari al transazionale. Il che si vede su grande scala nella separazione di carattere decisamente teorico che si continua a porre fra organismo e ambiente e nell’attribuzione di varie attività al primo, inteso in una sua presunta indipendenza dal secondo[19].

Tuttavia, le indicazioni che Dewey propone vanno ben intese. Esse non hanno la pretesa di diventare norme per l’indagine. La questione consiste non tanto nell’operare una scelta fra i due criteri da applicare al processo di indagine, quello interazionale e quello transazionale, quanto piuttosto nell’abbattere il predominio che l’interazione ha avuto in quasi tutto il campo della ricerca e garantirsi «la libertà per una più ampia visione globale».

Dewey afferma esplicitamente:

Noi rivendichiamo, allo stesso tempo, tanto il diritto di poter considerare come unito ciò che di volta in volta risulti importante considerare in tal modo, quanto quello di poter distinguere lì dove risulti importante farlo[20].

Da questo punto di vista, la differenza fra la prospettiva interazionale e quella transazionale diventa la seguente:

Se la presentazione inter-azionale, sulla base dei suoi successi particolari raggiunti in campi particolari, si afferma dogmaticamente, o pretende di stabilire il suo procedimento come l’unico valido contro tutti i suoi rivali, allora:

l’Osservazione transazionale è il frutto dell’affermazione del diritto di procedere liberamente a scegliere e considerare tutte le materie di indagine nel modo, qualunque esso sia, che appaia opportuno in base ad un’ipotesi ragionevole, dimenticando le antiche pretese avanzate da parte delle menti o dei meccanismi materiali, o di qualunque surrogato delle une o degli altri[21].

Dunque, rivendicando l’avvento della prospettiva transazionale, Dewey mira a garantire il conseguimento di due risultati. Prima di tutto, il superamento delle unilaterali impostazioni teoriche della scienza del passato. In secondo luogo, la libertà di assumere, in un quadro teorico fondato sull’idea di transazione, i punti di vista più convenienti e proficui nel processo di ricerca.

In tal modo, l’affermarsi della prospettiva transazionale non chiude, come avveniva invece per la scienza del passato, l’indagine in un angusto angolo visuale ipostatizzato a criterio universale. Piuttosto la apre alla possibilità di svolgersi in vari modi, che, ispirati e sorretti dalla prospettiva transazionale di fondo, cessano di essere unilaterali.

La rivendicazione dell’avvento della prospettiva transazionale non è relativa solo al campo delle scienze fisiche e a quello delle scienze naturali. Essa vale anche, e soprattutto, nel caso di «quei vasti campi del vivere adattamentale chiamati comportamenti, in cui comprendiamo tutto ciò che è psicologico e tutto ciò che è sociologico negli esseri umani»[22].

Se è vero, infatti, che nelle ricerche fisiologiche, al fine di raggiungere risultati utili, l’analisi delle interazioni fra i vari processi dell’essere vivente all’interno della cute va sostituita con un esame transazionale inizialmente di tipo intradermico e poi possibilmente transdermico, «allora, e a maggior ragione», afferma Dewey, ci si può attendere che anche le indagini sul comportamento assumano una prospettiva «transazionale di tipo transdermico».

Occorre tuttavia svolgere una precisazione. Come nel caso della biologia e della fisiologia, non si può negare che l’oggetto di analisi proprio dell’indagine comportamentale si componga tanto dell’organismo quanto degli elementi dell’ambiente che lo circonda e con i quali esso si trova ad essere in continua e reciproca interazione.

E’ ovvio che la materia trattata dalle indagini comportamentali comprende sia l’organismo che gli oggetti ambientali ad ogni istante del loro presentarsi ed in ogni punto dello spazio da essi occupato[23].

Tuttavia, nel campo del comportamentale l’applicazione di un criterio transazionale alla ricerca è più urgente che negli altri campi già presi in considerazione. Ciò a motivo dell’assoluta peculiarità di tale ambito. Infatti, mentre in fisiologia spesso si rende necessario abbandonare momentaneamente l’esposizione transazionale per condurre indagini particolari, nelle indagini psicologiche e sociologiche, al contrario, l’allontanamento da una prospettiva transazionale comporterebbe, e di fatto ha comportato, oltre che la mancanza di risoluzione dei problemi, delle grandi difficoltà e dei macroscopici errori di interpretazione.

La configurazione fisiologica di tali materie di indagine, anche se rimane sempre di carattere transazionalmente organico-ambientale, cede frequentemente il campo a ricerche specializzate che abbandonano momentaneamente l’esposizione transazionale. Le indagini comportamentali, al contrario, entrano in difficoltà nello stesso momento in cui si allontanano dal transazionale, tranne che quando lo fanno per finalità decisamente circoscritte e secondarie; i loro tradizionali problemi insoluti sono in verità il risultato del loro respingere il punto di vista transazionale ogni qual volta esso si è proposto, e nel non esser riuscite quasi affatto a tenerne conto in nessuna delle loro costruzioni di più ampio respiro[24].

In questo brano Dewey si riferisce in particolare al fatto che alle indagini comportamentali, fin dall’antichità, è stata applicata una logica di tipo auto-azionale che, considerando il comportamento come un qualcosa che viene prodotto all’interno dell’organismo per opera di un “attore”, ha conseguito il solo risultato, peraltro inutile, di “raddoppiare” l’organismo.

Nonostante la sua evidente fallacia e la sua incapacità di spiegare in modo esauriente i fenomeni intellettuali e i problemi della conoscenza, questo punto di vista è stato mantenuto fino ad oggi, e l’“anima” medioevale è diventata la “mente” «ancora usata oggi nelle psicologie e nelle sociologie»[25]. Inoltre, l’adozione del criterio interazionale al posto di quello autoazionale ha solo permesso successi di una certa rilevanza, senza produrre, tuttavia, «costruzioni di validità generale»[26].

Quando si consideravano le azioni come separate dal loro attore, mentre l’attore veniva considerato come separato dalle sue azioni, il risultato, tanto in particolare quanto in generale, era che si veniva a conferire una posizione di autorità alla “essenza”. Il lavoro di Galileo, Newton e Darwin, continuamente, a poco a poco, ha distrutto questo tipo di osservazione; e gli sviluppi futuri completeranno quest’opera per quanto riguarda le attività comportamentali umane più complesse. Rovesceranno i vecchi processi e daranno alle transazioni una organizzazione descrittiva più completa senza più porre dietro di esse potenze auto-azionali, o “particelle inalterabili” interazionali[27].

Dunque, solo considerando «i comportamenti come biologici in un senso ampio del termine»[28], ed assumendo così una prospettiva transazionale, i raddoppiamenti e le confusioni verranno meno e ci si troverà di fronte ad un quadro concettuale coerente e funzionale.

 

[1] Cfr. J. Dewey, Conoscenza e transazione, cit., p. 130 nota n. 8.

[2] Ivi, p. 124.

E’ opportuno svolgere a margine del brano riportato una considerazione di primaria importanza relativa alla teoria della biografia. Come punto di partenza si può utilizzare l’incipit della citazione, in cui ci viene ricordato che fra l’osservatore e l’osservato non intercorre nessuna separazione. Ebbene, anche se questo ormai è un concetto ben noto, l’uso dei termini “osservatore” ed “osservato” ci mette sulla buona strada per compiere un ulteriore approfondimento del nostro tema. Nelle categorie generali dell’osservatore e dell’osservato, che con altri nomi si possono anche definire come le categorie dell’interpretante e dell’interpretato, rientrano infatti anche il biografo e il soggetto intorno a cui si scrive. Dunque, il concetto di transazione è decisivo anche nel caso della ricostruzione biografica. D’altra parte non sarebbe potuto essere che così: la transazione infatti è universale, vale per ogni organismo e per ogni rapporto dell’organismo con il suo ambiente.

Vediamo, allora, le conseguenze che l’applicazione della prospettiva transazionale provoca nella teoria della biografia, ottenendo così un ulteriore tassello nell’opera di ricostruzione che stiamo svolgendo.

Che la transazione non riguardi solo l’individuo oggetto della biografia, ma anche colui che scrive intorno ad un soggetto vuol dire propriamente che anche costui è inserito e coinvolto nel proprio ambiente. In questo senso la sua opera di ricostruzione biografica non può che intendersi come una sorta di fusione che egli deve operare tra il proprio mondo e quello del soggetto intorno a cui scrive. In tal modo si viene a configurare una situazione in cui l’osservatore non è più distinto dall’oggetto osservato, ma viene a sua volta implicato in un ambito che li unisce insieme.

Concretamente ciò vuol dire che colui che compone una biografia, pur votandosi completamente ai valori di oggettività ed onestà intellettuale, non potrà fare a meno di leggere la vita del soggetto intorno a cui scrive in base a dei fini precisi che si è posto e in relazione a degli interessi determinati che, più o meno consapevolmente, lo muovono. Così, del pari, la sua ricostruzione non potrà che essere il frutto della sua conoscenza, la quale, per natura, è necessariamente parziale e circoscritta. Oltre a ciò, occorre tenere in considerazione che, probabilmente, la sua ricerca sarà condizionata da quei pregiudizi individuali e collettivi di cui nessuno può mai liberarsi.

Proprio a motivo di queste caratteristiche della ricostruzione biografica, si può affermare allora che nessuna biografia, per quanto minuziosamente documentata e il più possibile attenta a tutte le sfaccettature, potrà mai dirsi definitivamente completa. Insomma, lo scrivere intorno allo stesso soggetto non avrà mai fine.

[3] Ivi, p. 130.

[4] Ivi, p. 138.

[5] Ivi, p. 136.

[6] Ibidem.

[7] Ivi, p. 137.

[8] Ivi, p. 141.

[9] Ivi, p. 146.

[10] Ivi, p. 148.

[11] Qui Dewey si riferisce probabilmente ai vitalismi in generale. Si può citare, a tal proposito, la biologia aristotelica, che considera le funzioni vitali come un principio intrinseco alla natura e alla forma del vivente; o anche le dottrine che nella seconda metà del XVIII secolo si opposero al meccanicismo ipostatizzando, per spiegare la vita, un principio formativo che agisce come causa finale.

[12] Ivi, pp. 149-150.

[13] Ivi, p. 150.

[14] Ivi, p. 151.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Dewey utilizza la locuzione “trattamento biografico” per definire la ricerca scientifica che indaghi sulla vita di un elemento, che può essere situato a vari livelli. Tale trattamento biografico si distingue dalla ricostruzione biografica propria della sfera umana poiché, a differenza di quest’ultima, mira a studiare il singolo come mero esempio dell’universale. Per una discussione più approfondita di questo punto si veda capitolo IV, nota n. 48.

[18] Ivi, p. 153.

[19] Ivi, p. 149.

[20] Ivi, p. 137.

[21] Ivi, p. 147.

[22] Ivi, p. 157.

[23] Ivi, p. 156-157.

[24] Ivi, p. 157.

In questo brano Dewey parla esplicitamente solo della sociologia e della psicologia. Quanto in esso viene affermato vale, però, anche per la biografia. Anzi, le considerazioni svolte in questo passaggio costituiscono la più chiara conferma di quella che è stata la nostra tesi portante, vale a dire che la biografia non può fare a meno di muoversi circolarmente tra il polo dell’individualità e quello della collettività. Proprio questo, infatti, vuol dire che essa non può mai allontanarsi dalla transazione, tranne che per «finalità circoscritte e secondarie».

Tale circolarità transazionale, come si è visto, si sviluppa nei seguenti momenti.

1. La biografia, nello studiare l’individuo, deve costantemente collocarlo nel contesto storico che fa da sfondo alla sua vita. Solo in tal modo può rendere comprensibili le azioni del singolo. D’altra parte, in questa operazione, la ricostruzione biografica chiarisce, al tempo stesso, quelle categorie socio-culturali universali che indagini meramente standardizzate considerano in modo astratto.

2. La biografia, come si è appena ricordato, si deve rapportare al singolo, in virtù della fondamentale determinazione sociale di quest’ultimo, utilizzando categorie socio-culturali universali. Nel far ciò, però, la ricostruzione biografica non deve mai dimenticare che il singolo è essenzialmente inoggettivabile, ossia non è riducibile a tali categorie. Essa, perciò, deve rendere conto dell’irripetibile individualità che caratterizza il soggetto intorno a cui scrive, portando in luce il modo inimitabile in cui questi sta al mondo.

[25] Ivi, p. 159.

E’ interessante notare come per Dewey sia l’anima medioevale sia la mente moderna corrispondano allo stesso principio auto-azionale, secondo cui i fenomeni intellettuali devono essere considerati come prodotti all’interno dell’organismo. Ciò segna inevitabilmente la loro inadeguatezza.

D’altra parte, come afferma subito dopo Dewey, non apporterebbe grandi vantaggi neanche spiegarli in chiave inter-azionale, giacché non si farebbe altro che porre in una relazione estrinseca due entità precostituite, la mente e l’ambiente circostante.

La filosofia della mente troverebbe finalmente la possibilità di svilupparsi in maniera corretta e proficua solo assumendo la prospettiva transazionale. In base al criterio transazionale, infatti, si farebbe definitivamente chiaro che ogni ascrizione intenzionale dipende dall’ambiente in cui il sistema conoscitivo si trova, e indica il modo in cui esso si rapporta agli stimoli che gli provengono dal contesto circostante. Si perverrebbe così alla piena consapevolezza che quelli che finora sono stati interpretati come meri stati interni all’organismo sono in realtà veri e propri stati relazionali vigenti tra un sistema conoscitivo e il suo ambiente.

Dunque, l’applicazione del criterio transazionale comporterebbe anche nel campo della filosofia della mente una riforma radicale. E proprio qualcosa del genere, lungo le linee indicate da Dewey, pare stia avvenendo negli ultimi anni. Basti citare in questa sede le critiche di Dreyfus rivolte all’Artificial Intelligence e la polemica di Dennett nei confronti della teoria computazionale di Fodor. La filosofia di Dewey, e in particolare il concetto fondamentale di transazione, si mostra allora assolutamente pertinente e proficua anche in un campo specialistico come la filosofia della mente, rivelandosi nella sua profonda carica anticipatrice.

[26] Ivi, p. 160.

[27] Ivi, pp. 167-168.

Per ciò che riguarda l’influenza di Galileo, Newton e Darwin sulla filosofia e sulla teoria della biografia, si veda il capitolo I, in particolare la parte conclusiva.

[28] Ivi, p. 158.

Di questo argomento abbiamo parlato diffusamente nei capitoli precedenti. In particolare cfr. il capitolo IV dedicato all’analisi della Logica.

 

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