|
A. Corsi, G. Genovesi (a cura di), Roger Cousinet, Renato Coèn.
Problemi delleducazione e della scuola , Milano, Franco Angeli, 2001. .
di Massimo Forti |
Il
convegno tenuto a Barga i giorni 27 e 28 aprile 2000 dedicato alle figure di Roger
Cousinet e Renato Coèn di cui abbiamo diretta testimonianza attraverso il volume
degli atti curato da A. Corsi e G. Genovesi, Roger Cousinet, Renato Coèn. Problemi
delleducazione e della scuola, (Milano, Franco Angeli, 2001) , ha
giustamente ricordato il contributo di questi due autori, il secondo in particolare
studioso del primo, nella cultura pedagogica italiana del secondo dopoguerra.
Lincontro,
voluto da A. Corsi e patrocinato dal CIRSE (Centro Italiano per la Ricerca
Storico-educativa) insieme al comune di Barga, è nato dalla dichiarata necessità di
riproporre le direttive essenziali del loro pensiero in un momento in cui sembra
affievolirsi lattenzione verso le figure e le proposte dellattivismo
pedagogico.
In
effetti più che valutarne lattualità dellopera nella pedagogia odierna, o
sondare quali disegni del loro messaggio educativo siano riusciti a filtrare attraverso le
maglie del tempo per giungere a noi, ci pare che le giornate di studi di Barga siano
servite fondamentalmente a contestualizzare il contenuto delle loro idee, proprio nel
preciso momento storico in cui tali proposte apparivano allavanguardia e ricche di
suggestioni.
Sullaspetto
di una necessaria storicizzazione insiste particolarmente
Franco Cambi nel suo intervento Cousinet: pedagogista ancora attuale?
(pp. 30-38). Secondo lo studioso fiorentino, infatti, soltanto riportando il discorso
avanzato dallautore francese nellalveo della cultura pedagogica a lui
contemporanea e per estensione aggiungeremmo a buon diritto il caso riguardante
Coèn , si riuscirebbe a valorizzarne tutta la portata innovativa.
Per
dare conferma a tale ipotesi è bene richiamarsi, dice ancora Cambi, alle ampie
testimonianze offerte dalla letteratura riservata alleducazione degli anni 50
e 60 del Novecento. Per tutto questo periodo, comè noto, la centralità
dellattivismo nelle riflessioni pedagogiche in Italia rappresenta anche il momento
di maggior credito alle tesi sostenute da Cousinet (e da Coèn come uno tra i suoi
maggiori interpreti italiani).
Come
del resto sostiene anche Giacomo Cives in Roger Cousinet e leducazione
nuova (pp. 39-51), dal 1955, e più decisamente a partire dai primi anni del
60, lavvenuto esaurimento degli interessi verso la pedagogia delle
scuole nuove comportò il declino di quegli autori che, fino a quel momento,
avevano occupato un posto centrale nella teorizzazione di un metodo dinsegnamento
alternativo a quello tradizionale. Ma se da un lato lautore romano rileva quanto
lattivismo avesse ricevuto in passato un ingiusto trattamento da parte dei critici
posteriori, dallaltro sottolinea come in concreto molte delle attuali realizzazioni
educative siano da ricondurre proprio a quegli insegnamenti (pp. 39-41).
Inoltre,
ancor più nello specifico, l intervento di Cives mira a ricostruire le linee
essenziali del pensiero di Cousinet, cercando di riferirlo con estrema attenzione alla
comparazione con i metodi e le teorie dei più illustri autori dellattivismo a lui
contemporanei. I confronti operati con Dewey, Claparède, Decroly e Montessori, mostrano
infatti un Cousinet attento studioso delle varie pratiche educative inerenti
lindirizzo progressista.
Soprattutto
è da ritenere di particolare interesse in questa ricerca di Cives il reperimento della
connessione dellinfluenza della pedagogista di Chiaravalle su Cousinet. Lo studioso,
infatti, può sostenere per il francese lassiduo riferimento [
] per
leccentrica Montessori, da lui ben considerata nellapprezzamento dei suoi
motivi della predisposizione dellambiente e del materiale (anche se non
strutturato), della valorizzazione delle disponibilità attuali dei vari periodi
evolutivi, della riservatezza e discrezione riservata allinsegnante, della fiducia
delle grandi potenzialità del bambino, spesso negate o mortificate (pp. 45-46).
Proprio
attraverso queste parole, dunque, Cives sottolinea efficacemente un attestato di stima da
parte di Cousinet verso leducatrice italiana, tra laltro comprovato dalla
accettazione di una evidente suggestione pedagogica che non era stata ancora
sufficientemente messa in luce nel presente dibattito congressuale.
Gli
altri autori intervenuti al seminario di Barga, invece, hanno avuto modo di constatare in
Cousinet alcune acquisizioni concettuali, peraltro dichiarate, mutuate dalle istanze
educative delle riflessioni di Rousseau, Tolstoj e Pestalozzi.
Secondo
quanto afferma Paolo Russo in Roger Cousinet: la polemica contro leducazione
tradizionale (pp.119-126), gli indirizzi che Cousinet individua
nelleducazione nuova, ed a cui sente di appartenere pur con competenze diverse, si
riducono a tre. Il primo è quello definito mistico, che vede in Rousseau,
Tolstoj e Pestalozzi i riferimenti più significativi per affermare i ruoli della
autonomia e dellautoeducazione nel ragazzo. Il secondo, che fa capo principalmente a
Dewey, è quello di matrice propriamente filosofica, mentre il terzo, annoverabile sotto
lampia denominazione della pedagogia scientifica, è quella che predispone
losservazione e lesperienza secondo canoni sperimentali (cfr. p.120).
Questultimo
aspetto, come si può facilmente riscontrare dalla visione dei ruoli assunti da Cousinet
nella sua lunga carriera di educatore (ricordiamo che da maestro di scuola divenne
ispettore e, successivamente, docente alla Sorbona), contribuì non poco alla elaborazione
delle proprie tesi pedagogiche.
Al
contrario, più controverso appare, dopo le puntualizzazioni di Luciana Ballatalla, il
debito di Cousinet nei confronti di Dewey. La studiosa mostra come in realtà la
conoscenza del didatta francese nei confronti delle opere del più importante esponente
dellattivismo fosse indubbiamente lacunosa ed imprecisa. Questo fatto è da
ricondurre soprattutto alla quantità dei riferimenti eterogenei di cui Cousinet si serve
per esporre il proprio pensiero: la Ballatalla, tra gli altri già noti, mette in evidenza
le derivazioni dagli autori più disparati, quali Fratel Agatone, Washburne, Peterson,
Bergson, Bovet, Stanly Hall, ecc., citati in vario modo nelle opere del francese.
In
tale successione di personaggi del mondo della cultura pedagogica, Dewey viene
appunto inserito da Cousinet alla stessa stregua degli altri. Nonostante come già
rilevasse Coèn nel 1965 in Roger Cousinet e la scuola come tirocinio (Firenze, La
Nuova Italia), che il pedagogista francese vedeva in Dewey il suo ideale maestro,
almeno a proposito della considerazione della scuola tradizionale, la Ballatalla
sostiene altresì che il riferimento al filosofo americano in una massa così ampia
di citazioni, per lo più indirette, ma spesso anche accompagnate da espliciti riferimenti
a titoli o addirittura a passi di opere, è giocoforza che il richiamo finisca per essere
generale, quando non generico (cfr. p. 56).
In
effetti il destino di Cousinet resta quello di esser più legato alle questioni di
didattica, frutto delle sue pregresse esperienze, che non a divenire un filosofo
delleducazione in senso stretto. Secondo questa prospettiva si può spiegare la sua
non troppo elevata capacità di assurgere a costruzioni sistematiche in pedagogia che
risultino di fatto efficienti, anche se è del tutto evidente la validità della sua
critica alla prassi educativa tradizionale, dimostratasi assimilata dagli studiosi a lui
contemporanei alla generale cultura dellattivismo. Non è del tutto sbagliato
affermare, quindi, che la figura di Cousinet, a tuttoggi, rimanga legata ad alcune
sue proposte senza dubbio molto suggestive, ma rivelatesi non sempre convincenti, se non
addirittura contraddittorie ad unanalisi più approfondita.
A
tal proposito, va riconosciuto il merito a G. Genovesi di aver compiutamente illustrato al
convegno di Barga le suggestioni e le anomalie legate alla proposta dellinsegnamento
della storia a scuola. In realtà la didattica della storia cousinetiana non convince fino
in fondo, perché se da una parte essa risulta essere la conseguenza di una
avanguardia educativa che fondava il proprio assunto di base sul metodo di lavoro per
gruppi, dallaltro, come rilevavano molti critici già dai primi anni Cinquanta (De
Bartolomeis, Coèn, e dagli anni 60 la Tomasi), questa ipotesi era troppo astratta
per giungere a risultati soddisfacenti. Come osserva anche Tiziana Pironi in La
proposta didattica di Cousinet: il metodo di lavoro libero per gruppi, il
metodo Cousinet rivela linadeguatezza di una impostazione per gruppi, quali cellule
scarsamente permeabili al costruttivo interscambio e confronto esterno, confinate ai
livelli omogenei di partenza, sulla base di unarmonia funzionale, prestabilita per
libera scelta dei suoi membri (p. 137).
Lo
stesso Renato Coèn, certamente tra i più entusiasti estimatori del didatta francese,
ebbe modo di riscontrare posizioni su cui sentiva la necessità di prendere in qualche
modo le distanze. Lo studioso di Barga, infatti, nonostante si riconoscesse
nellapprezzamento (che fu generale) nei confronti del messaggio antiautoritario,
antitradizionalista, e liberatore del fanciullo dai vincoli di uneducazione rigida
di una scuola prevaricante, non consente tuttavia allassunzione pacifica di tutte le
teorie cousinetiane.
In
tale prospettiva vanno considerati anche gli interventi di A. Corsi, E. Marescotti, S.
Marcucci, oltre a quelli già citati di Genovesi e Cives, tendenti tutti ad evidenziare i
tratti che accomunano i due autori, il francese molto più noto, e litaliano,
certo di minor rilievo, senza però trascurare quelli che inducono ad una differenziazione
sostanziale delle loro proposte per l insegnamento.
Va
rilevato però che complessivamente le pagine dedicate a Cousinet risultano essere
preponderanti rispetto a quelle offerte alla comprensione del pensiero dello studioso di
Barga. Si sarebbe preferito, infatti, una maggiore contestualizzazione allinterno di
quel movimento, allora incipiente, chiamato Scuola di Firenze, verso cui Coèn
sentiva le profonde affinità programmatiche attraverso la vicinanza di autori quali
Lamberto Borghi ed Ernesto Codignola.
Al
di là delle parole scritte da Alessandro Mariani in Cousinet e la pedagogia
italiana del dopoguerra (pp. 77-91), che giustamente ricordano la collaborazione del
pedagogista di Barga con gli autori di Scuola e Città nel promuovere i
principi attivistici delleducazione (anche secondo le direttive cousinetiane), i due
interventi che maggiormente si prefiggono lo scopo di centrare lattenzione su Coèn
allinterno della complessa situazione nostrana, sono rispettivamente quelli di Enzo
Catarsi e di Elena Marescotti.
Se
il primo colloca Coèn nella discussione dei programmi Ermini del 1955, facendo risaltare
in prima istanza le critiche alla riforma sotto gli aspetti dellinsegnamento della
religione, della globalità e ambiente, della forma dellautogoverno a scuola, della
proposta delle sostituzione dei cicli alle classi con il conseguente riordino del sistema,
la seconda si sofferma particolarmente sul ruolo dellambiente nelleducazione.
Su
questo non trascurabile aspetto, lautrice mette bene in evidenza il pensiero di
Coèn nel confronto con quegli studiosi che, vicino a lui, sostenevano la tesi di una
maggiore attenzione al clima educativo da instaurarsi nelle classi, compreso quello da
attuare per mezzo di nuovi criteri di valutazione dei ruoli dellarchitettura e
delledilizia scolastica.
Le
tesi a cui allude Elena Marescotti sono principalmente quelle di Santoni Rugiu, di Borghi
e dello stesso Cousinet, che proprio Coèn utilizza come rete di riflessioni educative di
partenza per offrire, come integrazione a quelle, il proprio punto di vista.
È
in questo senso che si rilevano parte dei grandi temi che allora venivano dibattuti con
più decisione nel mondo culturale pedagogico, di cui possiamo dire che proprio la
stagione dellattivismo abbia sensibilmente contribuito a costruire quella assunzione
metodologica di alcuni dei molti principi che ora assurgono al ruolo di costume educativo,
anche che talvolta se ne disconosce la diretta provenienza.
Allora,
concludendo, si può sottolineare come il convegno di Barga abbia avuto il duplice merito
di rivalutare da un lato due interessanti figure dellattivismo pedagogico, pur se di
rilievo diverso, che rischiavano altrimenti di cadere nelloblio, e, dallaltro,
di aver in parte riproposto la genesi di quei dibattiti culturali che influirono
efficacemente sulla nostra attuale forma mentis educativa.
Forse,
si tratta di un altro piccolo passo verso quella riscoperta globale
dellattivismo pedagogico, che negli ultimi decenni era stato confinato in un periodo
ben preciso e circoscritto della nostra storia, ma che, ancora oggi, sembra pieno di
vitalità e di suggestione. |