IL PRESEPIO ED IL PAESE:
LUOGHI DELL'ANIMA
(Pasquale Saviano)
Sommario:
& 2. Il presepio: una esperienza particolare
nella storia della fede
& 3. Il presepe e Frattamaggiore
Õ home
Tra gli amici che si ritrovano a parlare del presepio è comune
l'esperienza della leggenda d'origine che lega il proprio
ricordo infantile con il periodo natalizio. Si tratta della memoria di gesti comunitari
antichi evocata dalla costruzione del
manufatto presepiale insieme con
le situazioni di vita e i sentimenti della festa più amata dai bambini e
dagli anziani. In questa memoria ci si sente particolarmente coinvolti a causa
delle notevoli trasformazioni economiche ed ambientali ingeneratesi con la
modernità, ed il richiamo della
tradizione risponde psicologicamente ad una esigenza di riflessione sulla
propria identità culturale e personale.
Il presepio veniva semplicemente realizzato per celebrare
l'avvenimento religioso della Nascita di Gesù, e la sua costruzione riusciva a
motivare l'impegno e a stimolare la creatività fino a procurare la profonda
emozione della coscienza di partecipare a momenti importantissimi per la
propria e l'altrui vita.
Quella emozione non è un dato relegabile solo alla memoria; essa è sempre esperibile, anche nell'oggi,
perchè è una espressione precipua dell'animo umano, e riappare quando questo si
ritrova a riflettere sui valori essenziali della vita e sui contenuti dei
propri convincimenti.
E' una emozione, talvolta di carattere
estetico e religioso, che diviene un moto operativo, artistico ed educativo,
quando i valori e i convincimenti cerca di rappresentarli oggettivamente e
costruttivamente attraverso un linguaggio ed un opera simbolici e
significativi.
Tale è l'emozione che la costruzione del presepio suscitava un
tempo, offrendo materia alla riflessione e alla rappresentazione dei valori e
dei legami familiari e comunitari; e che risuscita rioffrendosi con spunti
costruttivi e rappresentativi dei valori nei discorsi e nei legami dell'oggi.
Il presepio si ripropone come luogo di dialogo tra le generazioni, espressione
simbolica e rappresentazione di una riflessione, di una fede e di un discorso
che è sempre pedagogico anche nelle sue manifestazioni più evidentemente
artistiche o religiose.
Molti così ricordano il presepio della propria fanciullezza: una
costruzione a cui partecipare con la guida del padre; e dato che spesso impegnava le diverse famiglie di un luogo o di una comunità ecclesiale,
come una costruzione cui partecipare con la guida di una persona esperta.
Personalmente ricordo anche la guida della signora Concetta Costanzo, una madre
spirituale che con il concorso di tutti preparava il presepio palatino. Poi
nell'adolescenza imparai a costruire da solo un presepio con i materiali
recuperati dalla legnaia del quartiere, la carcara, con le scorze dei tronchi abbattuti in campagna,
con la carta dipinta di marrone, con la colla di farina, e con i pastori
di gesso acquistati dall'ambulante con il carrettino.
Non va dimenticata poi la motivazione
principale della costruzione del presepio che rimanda ad una riflessione di
carattere teologico e devozionale. Indubbiamente, se la fede cristiana è segno
continuo della memoria del Dio fatto uomo e della sua Presenza nella vita
quotidiana dell'umanità, il presepio costruito per ricordare ed attualizzare
l'esperienza interiore del Natale di
Gesù Cristo era ed è un elemento amato e concreto della fede cristiana,
una sua manifestazione schietta e
semplice, capace di evidenziare con
immediatezza il messaggio evangelico dell' Incarnazione del Figlio di Dio,
nella naturalezza dell'antico mondo agro-pastorale, comprensibile anche ai più
piccoli.
Grazie alla testimonianza e alla operatività offerta dagli amici che
hanno istituito apposita Associazione per valorizzare i significati artistici e
culturali del presepio in Frattamaggiore,
la leggenda d'origine cui si è accennato all'inizio può essere rivissuta
ed esperita con sistematicità ed offrirsi in tutte le sue valenze morali ed
educative in maniera efficace e concreta.
Molti di essi sono i fanciulli di un tempo che sono divenuti padri nella
moderna transizione sociale e culturale che ha coinvolto pure il paese, e sono
portatori dell'esigenza di un recupero conoscitivo dei valori schietti della
tradizione e delle dimensioni comunitarie ed ambientali che li generavano e li
sostenevano. Di fatti in molti presepi da essi costruiti è coscientemente presente
l'ambientazione antica del paese, ricostruita e ripresentata per
contribuire a sottrarla all'oblio e al degrado. Sicuramente nelle espressioni più sentite e razionalizzate dei loro manufatti è avvertita una immagine della città, una analisi critica
dell'esistente ed un nuovo virtualmente presente. La loro azione
associativa, le loro iniziative e le loro opere hanno raggiunto livelli di
ottima operatività e di stimolante formalizzazione del discorso artistico, tali
da imporre una riflessione anche in ambiti più vasti della vita cittadina
frattese: una riflessione che colga le ulteriori potenzialità e capacità di promuovere e di partecipare ad un più
ampio discorso di recupero e di valorizzazione dei beni storici culturali ed
ambientali da legare concretamente ai processi della conoscenza della storia
del paese e dell'educazione delle giovani generazioni.
Provo a sviluppare da questo punto alcuni temi interessanti collegabili
con una lettura della connessione tra il presepio e Frattamaggiore. Ciò è
possibile con una disamina strutturata nella prospettiva storica in generale,
che riguarda il racconto dei momenti e
delle manifestazioni principali che il
presepio ha vissuto ed assunto nella storia della civiltà cristiana , e
strutturata nella prospettiva storica
locale, che riguarda il riverbero in Frattamaggiore di taluni elementi di
questa civiltà.
Oggettivamente una storia del
presepio in generale è
ricostruibile senza molte difficoltà, perchè il tema cui essa rimanda , la Natività
di Gesù, è ampiamente celebrato nella storia della Chiesa e della devozione
cristiana . Più difficoltosa può apparire la ricerca degli aspetti di questa
storia da rilevare sul piano locale e più specificamente nella storia di
Frattamaggiore. Credo però che la storia frattese possa offrire alcuni
interessantissimi spunti il cui approfondimento può portare alla scoperta di
alcuni tratti della storia universale del presepio e della devozione natalizia.
Anticipando il ragionamento specifico mi riferisco a quei temi come la religiosità
alfonsiana fortemente vissuta in Fratta tra '700 e '800, come la cultura
della città benedettina che
caratterizza la storia ecclesiastica locale, e come la tradizione letteraria
popolare dei canti canapini espresssione della ruralità e della
devozione antica del paese.
I tratti più antichi della storia del presepio sono rinvenibili già nei
primi secoli del cristianesimo , in quei tipi di testimonianze letterarie, archeologiche, toponomastiche ed
artistiche che saranno sempre evidenziabili pure nei momenti storici
successivi.
Una testimonianza letteraria è
quella di San Girolamo, il quale nel 404 scrisse alla discepola Eustochio che
l'altra discepola Paola, visitando la Terra Santa ed entrando in Betlemme,
sostò allo Speculum Salvatoris ove notò lo stabulum, una
mangiatoia scavata nella roccia, ove Gesù era nato (Girolamo,Ep.108,10; PL
22,384). Si trattava evidentemente del luogo riferito anche dall'evangelista
Luca (Lc 2,7). Alcune testimonianze
archeologiche, sempre dei primi secoli del cristianesimo, rimandano al
prototipo del presepio, ad una scena della Natività presentata e ricostruita
con la presenza del bue e dell'asino, secondo il significato attribuito alla
relazione divina riportata con le parole del profeta Isaia : "Dice il
Signore: Cielo e terra, fate attenzione a quel che sto per dirvi! Ho cresciuto
dei figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Ogni bue riconosce il suo
padrone e ogni asino chi gli dà da mangiare: Israele, mio popolo non comprende,
non mi conosce come suo Signore." (Is 1,2-3).
Si tratta della scena presepiale
classica che è riferita anche nel testo dello
pseudo-Vangelo di Matteo (cap.14): il Bambino Gesù è presentato tra il
bue e l'asinello, e così è ritratto in affreschi catacombali rilevati il secolo
scorso , ma poi andati didistrutti
(Cfr.G.B.De Rossi in Bull.d'Arch.Crist. 1877). Sant'Ambrogio pure lasciò
una testimonianza circa l'antica iconografia prersepiale che ritraeva il
Bambino "in medio duarum animalium" (Ambrogio, In Lucam,
PL 15,2649).. I primi affreschi ad catacumbas tra l'altro esponevano anche alcuni dettagli
interessanti della scena della Natività entrati a far parte dell'immaginario
collettivo: il Bambino era posto in una cesta di vimini sotto una tettoia,
dietro di lui erano il bue e l'asino adoranti, mentre ad un lato era la Madonna
e dall'altro un pastore. Un'altra scena classica (Madonna,Bambino e San
Giuseppe) era effigiata su una stoffa antichissima rinvenuta nel 1907 nel Sancta
Sanctorum di Roma. Al quarto secolo
risalgono ancora alcuni sarcofagi marmorei che portano in rilievo la scena
della Natività,; tra i più antichi di questi sarcofagi sono quello di Mantova e
quello di Sant'Ambrogio di Milano.
Va ricordato che una delle sette Basiliche di Roma, Santa Maria
Maggiore, fin dal VI secolo fu denominata Sancta Maria ad Praesepem, o ad
Praesepe, che in effetti era un oratorio che riproduceva la grotta di Betlemme. Lo stesso luogo
veniva denominato anche Oratorium Sanctae Mariae ed in esso veniva
venerata anche una reliquia della culla del Bambino.
La tradizione popolare cattolica è solita fare riferimento alla
notte di Natale del 1223, per indicare la data d'origine della diffusione della
pratica del presepe. In effetti in quella notte San Francesco d'Assisi, nel
monastero reatino di Greccio, volle rappresentare in modo vivo e sentito il
mistero del Natale, recuperando uno spirito di religiosità antica che già si
esprimeva da parte delle plebi contadine del medioevo a contatto con la pietà e
la cultura dei monasteri benedettini. E di lì a poco, come per molte delle
attività iniziate dal Padre Serafico, si ebbe quasi subito l'acquisizione
popolare dell'ìiniziativa e la sua celebrazione nelle opere pittoriche o
scultoree degli artisti più famosi.
L'arte dal '300 in poi annovera
nella raffigurazione del presepio e della Natività autori ed opere insuperabili
e famose: gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova e
nella Basilica inferiore di San Francesco in Assisi, gli affreschi benedettini del Magister Conxolus al Sacro Speco di
Subiaco, l'Adorazione dei Magi del Botticelli agli Uffizi di Firenze, la Pala
Strozzi di Gentile da Fabriano ancora agli Uffizi. Autori e luoghi d'Italia
interessati alla Natività, alle sue rappresentazioni o all'arte presepiale, si
citano ancora a profusione per il
Medioevo, per il Rinascimento ed oltre : Duccio di Buoninsegna, Simone Martini,
Giovanni Pisano, Lorenzo Maitani, Lorenzetti, Monaco, Beato Angelico,
Donatello, Raffaello, Correggio, Tiepolo... Iacopo della Quercia per il rilievo
del portale di San Petronio a Bologna, le terracotte di Luca Della Robbia,
l'altorilievo di Antonio Rossellino nella Cappella Piccolomini nella Chiesa di
Monteoliveto di Napoli, Benozzo Gozzoli nella Cappella dei Medici di Firenze.
Altre rappresentazioni notevoli si rilevano nella Cattedrale di Gubbio, in
Santa Chiara ad Assisi, nel Duomo di Volterra, nella Cattedrale di Teramo e in
San Giovanni a Carbonara di Napoli.
Il riferimento a quest'ultimo luogo riveste particolare importanza
nella determinazione di una Storia del presepe per le inedite
connotazioni ivi verificatesi , alla
fine del XV secolo, nell'universo simbolico ed artistico della costruzione del
presepe. Lo sviluppo dell'arte del presepe in Campania ed in Toscana partì
proprio dalle tecniche della scultura in legno e terracotta che si utilizzarono
per costruire il presepe del 1484 nella
Chiesa di San Giovanni a Carbonara di Napoli .
L'arte presepiale si arricchì di
riferimenti svariati e di una letteratura specifica, collegata agli avvenimenti
e ai personaggi storici, ed espressione delle epoche e delle evoluzioni del
gusto. In particolare il presepe napoletano ebbe modo di porsi come
singolare espressione del gusto barocco e di animare episodi leggendari e
pittoreschi. L'eccezionale sviluppo di questo presepe si commisurò con una
diffusione ampiamente popolare e con una sua vasta acquisizione da parte
dell'aristocrazia italiana ed europea.. Ad esso si collegò la nascita di un
artigianato specializzato nel XVIII secolo che rappresenta ancora uno dei
tratti caratteristici della cultura napoletana e ne determina una giusta fama
nel mondo. L'antico quartiere di San Gregorio armeno, che all'arte
del presepe napoletano ha offerto una
sede privilegiata, è meta oggi di un turismo culturale internazionale che
celebra affascinato la bellezza e la semplicità del Natale. Quell'artigianato
settecentesco si arricchì di un diffuso lavoro di bottega che trattò con
maestria materiali svariati adatti alle scenografie e ai personaggi presepiali:
legno, sughero, cartapesta, tela, vetro, minuscola gioeielleria, stoffe, gessi
e terracotta. Per la costruzione dei pastori si utilizzarono tra l'altro
il legno per le mani e i piedi, il vetro per gli occhi, il filo di ferro per
imbastire i corpi rivestiti di stoffe e
di abiti in miniatura. Il presepe napoletano assunse così caratteri e funzioni
teatrali, di rappresentazione cosciente della vita comunitaria e dell'utopia organizzativa della società,
e contribuì a caratterizzare la scultura
napoletana religiosa del '700 che la critica d'arte celebra in opere
notevolissime di autori bravi e famosi.
Per avere
una ulteriore riprova dell'importanza storica e culturale del presepe
napoletano, e della sua riproposizione
in migliaia e migliaia di modelli artigianali, basti ricordare che all'origine
del suo quasi mitico sviluppo si incontrano personaggi come il re Carlo III di
Borbone, appassionatissimo egli stesso dell'arte presepiale, ed il domenicano padre Rocco, autore di celebrati
presepi ed ispiratore dell'utilizzo devozionale delle vie della città con
l'illuminazione delle edicole votive napoletane. Una visita alla Reggia di
Caserta consentirà la conoscenza
diretta del presepe borbonico, cui è dedicata una apposita sala, ed uno sguardo
su Napoli dall'alto della Certosa di San Martino darà all'osservatore la sensazione
della digradante struttura urbana , del dedalo dei vicoli e delle attività, che
dai tempi di padre Rocco la gente ha sempre assimilato ad un presepe.
Oggi come nel '700 i migliori
presepi napoletani fanno parte di collezioni private e si dislocano in luoghi
ed iniziative importanti. Cito a mo' di conclusione la chiesa di San Cosma e
Damiano al centro della Roma archeologica, la basilica di San Marco a Venezia,
la chiesa di Capodimonte a Napoli; le raccolte museali dell'Abbazia di
Montevergine, di Villa d'Este a Tivoli, di Berlino e di Monaco.
Le tematiche artigianali ed
artistiche contemporanee connesse alla costruzione e alla rappresentazione del
presepe trovano oggi modalità variegate
di espressione, che vanno dalla rappresentazione tradizionale alla ricerca
produttiva e alla manifestazione d'avanguardia. Il presepe costruito con i
figli, come quello elaborato nella creatività tecnica personale, e come quello
'vivente' realizzato teatralmente o ecclesialmente come memoria vissuta, sono
sempre comunque delle iniziative dense di valori e di significati umani,
personali, sociali, religiosi. Per la verifica di questi ultimi sensi è
possibile rilevare e segnalare iniziative territorialmente vicine come le
mostre presepiali di San Martino Valle Caudina ed il Presepe Vivente realizzato
in Sant'Antonio di Teano che ha avuto accoglienze ed estensioni nell'area
francescana umbra e a Spoleto.
Un riferimento interessante e nuovo è la motivazione operativa ed associativa, come quella che anima
l'attività di coloro che in Frattamaggiore
formalizzano la comune passione per il presepe, la quale assume
caratteri coinvolgenti ed ambiti in cui la partecipazione degli artisti e le
singole opere si presentano come le dinamiche e momenti di un discorso che fa
solo un gran bene alla vita sociale e culturale locale, ed opera per stimolare
la riflessione interiore e la sensibilità e lo stupore difronte al Natale e di
fronte al mistero della Vita nascente.
3.
Il presepe e Frattamaggiore
Al punto precedente ho anticipato alcune tematiche, lo sviluppo delle
quali consente di rilevare una certa connessione tra la storia del presepe,
intesa come espressione particolare della civiltà cristiana, e la storia locale del nostro paese che è
portatrice di segni particolari di questa civiltà.
Il '700 napoletano, dal punto di vista della storia religiosa, è
fortemente caratterizzato dalla
esperienza di Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), fondatore dela
Congregazione dei Padri Redentoristi e Vescovo di Sant'Agata de' Goti. Egli
proveniente dallo studio del Diritto e dalla pratica forense, scelse in età
adulta di seguire la vocazione religiosa, divenendo moralista insigne e figura
eccelsa della Ascetica e della Teologia Morale cattolica. Per i meriti della
sua santità e della sua sapienza nel 1871, a meno di un secolo della sua morte,
gli fu riconosciuto dal Collegio episcopale e dal papa Pio IX il titolo di
Dottore della Chiesa. Sant'Alfonso è una figura amatissima dalla devozione
popolare che lo commemora con una iconografia che lo ritrae orante dinanzi al
crocifisso nelle vesti del vecchio vescovo che porta sulle spalle il peso della
sofferenza e sul volto la serenità
della fede e della speranza.. Egli nella sua opera e nel suo discorso seppe
coniugare l'altezza intellettuale con la semplicità popolare ed il dialogo
aristocratico con la burbera correzione dei carrettieri.
Famosissime sono le espressioni
musicali e canore della sua devozione per il Natale di Gesù: in tutto il mondo
sono conosciuti il motivo e le parole di "Tu scendi dalle stelle",
una delle sue Canzoncine spirituali. In questo senso un tratto
fortemente vissuto della tradizione popolare nell'area napoletana risulta
essere proprio quello della devozione
natalizia mutuata dalla religiosità di Sant'Alfonso.
In Frattamaggiore questo tratto ha
ricevuto una particolare sottolineatura dalla esperienza religiosa dei Prelati
di casa Lupoli, vissuta a stretto contatto con l’esperienza alfonsiana. Casa
Lupoli ha dato i natali a Vincenzo Lupoli (1737-1800) dal 1791 vescovo di
Telese e Cerreto Questi ebbe gli stessi interessi morali e teologici del Santo
e come lui proveniva dagli studi del Diritto. Padre Sossio Lupoli (1744-1831)
fu Redentorista della prima ora ed amico intimo di Sant’Alfonso; egli diresse
il Collegio di Veroli e fu Consultore
Generale della Congregazione del Redentore. A lui si deve molta parte
dell’opera che avvicinò alla spiritualità alfonsiana anche il nipote Raffaele
Lupoli (1767-1827), il quale una volta entrato a far parte della Congregazione
dei Padri Redentoristi, per volontà del Papa dispensato dalle Regole
dell'Ordine come il Santo, divenne Vescovo di Larino nel 1818. Tra la fine del
'700 e l’inizio dell’800 la spiritualità alfonsiana ebbe così un importante e diretto
riverbero sulla scena storica e religiosa frattese.
Non è difficile immaginare i
risvolti popolari di quella scena quando, con quei presupposti, essa si
illuminava delle auree del Natale. L'intero paese era attraversato da un forte
afflato religioso; gli angoli reconditi delle vie cittadine erano tutti segnati
ed illuminati dall'iconografia popolare delle edicole votive, tantissime delle
quali sviluppanti temi mariani e natalizi. Frattamaggiore è forse il paese del
napoletano più ricco di quegli antichi angoli devozionali il cui decoro ed il
cui mantenimento coinvolgeva la gente
dei quartieri in una gara di religiosità che si esprimeva con la devozione alle immagini sacre dipinte
nelle nicchie murarie ma anche con la installazione di tabernacoli, sicuri
eufemismi presepiali, animati da personaggi
della storia sacra effigiati in
legno, gesso e cartapesta. Ogni frattese può ancora oggi verificare nei siti
più antichi del paese una certa presenza di quelle manifestazioni.
Nella esperienza religiosa popolare
frattese, tra '700 e '800, così ricca di motivi ufficiali e così dedita alla
rappresentazione materiale dei contenuti della fede, non mancarono ulteriori
riferimenti celebrativi e giustificatori.
All'inizio del '800 la realtà
locale si caratterizzò con una serie di
avvenimenti e con una iniziativa che assunse un carattere istituzionale e si
dispose ad essere un riferimento singolare nell'orizzonte religioso paesano.
Gli avvenimenti riguardarano l'elevazione
all'episcopato e l'attività dei due fratelli di casa Lupoli, Michele Arcangelo
e Raffaele, nipoti di quel Vincenzo già Vescovo di Cerreto e Telese.
L'iniziativa riguardò la fondazione del Conservatorio di Santa Maria del
Buon Consiglio, un educandato detto poi Ritiro per le donzelle
povere, il quale ebbe come sede il casamento sito al Viale 'Spada
dei Monacelli' donato da Francesco Capasso nel 1784.
Fu possibile allora istituire
quell'educandato per interessamento dei due fratelli Prelati di casa Lupoli,
Michele Arcangelo (1765-1834) arcivescovo di Consa e Salerno e Raffaele vescovo
di Larino, i quali costruirono l'annessa chiesa del Buon Consiglio e affidarono
la guida religiosa ad un ordine di
suore operanti con la Regola di Sant'Alfonso. Va ricordato che anche Raffaele
Lupoli prima di essere eletto vescovo di Larino era stato un grande
redentorista formatosi alla scuola di Sant'Alfonso e dello zio Sossio Lupoli, e come quest’ultimo fu Consultore
Generale del suo Ordine fino alla nomina episcopale .
Con l'istituzione del Ritiro
Frattamaggiore divenne formalmente un luogo privilegiato della religiosità
alfonsiana, ed in quella religiosità sicuramente trovarono luogo le
espressioni della devozione del Natale,
il presepe e, come molti nonni ricordavano, i cori intonati delle Canzoncine spirituali al suono della
spinetta o del pianoforte.
Altri avvenimenti di carattere
religioso e storicamente importanti per la comunità paesana si verificarono in
quello scorcio di tempo e contribuirono ancor più a caratterizzarlo come un
momento fondamentale ed unico per l'identità culturale frattese. In esso si
gettarono i semi di un universo tematico nuovo per la vita religiosa e civile
della nostra cittadina che oggi , alle soglie del terzo millennio e nell'epoca
della moderna comunicazione , prende sicuramente consistenza e assume
significati importanti,
Nel 1807 un'altra iniziativa dell’
arcivescovo Michele Arcangelo Lupoli arricchì
il quadro della religiosità paesana: la Traslazione dei Corpi di San
Sosio e di San Severino dal soppresso Monastero Benedettino napoletano alla Chiesa di San Sosio di Frattamaggiore.
Onorato dai Francesi , che regnavano a Napoli, e per le sue grandi credenziali
religiose e culturali l'arcivescovo riuscì a sottrarre le sacre reliquie alla
spoliazione del monastero e a riportare
nella comunità frattese la memoria fisica dell'antico patrono martire di
Miseno. In quell'avvenimento si pongono le giustificazioni del titolo di Città
Benedettina che nel 1995 l' Ordine
di San Benedetto ha riconosciuto per Frattamaggiore e si pongono le
giustificazione di una nuova prospettiva di vita ecclesiale e morale per la
comunità locale. Quest'ultima infatti si ritrova ad essere oggi custode attenta
e primaria di una memoria che ci riporta con il martire San Sosio al
paleocristianesimo in Campania e con
San Severino all'evangelizzazione europea operata nello spirito monastico
medievale: due direzioni significative nella storia della civiltà cristiana che
fanno di Frattamaggiore una sede particolare di relazioni internazionali che coinvolgono l'Austria, di
cui San Severino è patrono, e di relazioni spirituali sviluppate nello spirito
di San Benedetto, Patriarca del Monachesimo occidentale.
Non è acccertata per il passato la
cosciente influenza di questa tematica sulla pratica paesana della costruzione del presepe, ma sicuramente essa avrà nel
futuro un riverbero importante, recuperando il significato originario delle
rappresentazioni presepiali che si affermarono nel medioevo, favorite
nell'ambito monastico benedettino come espressione visibile del Mistero
della Nascita del Salvatore, come episodio coerente di quella Bibbia
dei Poveri , di quella storia sacra che veniva dai monaci e dagli
artisti predisposta e dalle plebi incolte letta e contemplata nelle immagini, negli affreschi e
nelle sculture delle Chiese e dei Monasteri, e soprattutto in quelle opere che
come il presepe suscitavano una immediata comprensione popolare, A questa
immediata comprensione popolare in fondo aveva fatto riferimento lo stesso San
Francesco d'Assisi allestendo il presepe vivente di Greccio la notte di Natale
del 1223, e riconducendo nell'ambito della semplicità francescana la
rappresentazione principale della benedettina Bibbia dei Poveri. Depositaria
della importante tematica monastica Frattamaggiore non potrà non svilupparne
questi ulteriori spunti attraverso l'opera dei suoi artisti e suoi costruttori di presepi.
D'altro canto non è mancato un
certo riferimento francescano nella cultura religiosa frattese,
nell'immaginario collettivo della gente antica che ricorda l'importanza
rivestita dalla comunità monastica alcantarina del convento di Santa Caterina e
di San Pasquale della vicino Grumo Nevano, e ricorda quel luogo come una
importante meta religiosa nella locale
esperienza spirituale e natalizia . A quella comunità si era rivolto nel
1820 , giovane postulante, il nostro
Beato Modestino di Gesù e Maria per incamminarsi nei sentieri della vita e della santità francescana. Ebbene la
leggenda popolare frattese potrebbe fornire tanti episodi connessi al Beato sulla scia dei Fioretti,
ricordare la collocazione della sua immagine sugli altarini familiari costruiti
a mo' di presepi sui mobili alti delle camere antiche; potrebbe raccontare,
come in effetti si è fatto da parte di qualcuno, le sue apparizioni per aiutare gli anziani ad illuminare le
edicole votive agli angoli dei vicoli
bui. Anche con la riproposizione di questa tematica non mancherebbero spunti
utili a caratterizzare la ricerca storico-religiosa e la rappresentazione
materiale nell'arte presepiale. Sicuramente anche questa tematica appartiene
profondamente all'humus storico-culturale del paese, è connessa intimamente
alle fondamentali linee della civiltà cristiana che fortemente ha
caratterizzato la vita religiosa frattese. L'esperienza del beato Modestino non
è isolata dal contesto locale, la sua devozione animatrice della sua
grande vocazione religiosa fu orientata alla Madre del Buon Consiglio, allo
stesso titolo della Madonna che all'inizio dell'800, a partire dalla
religiosità alfonsiana e dalle iniziative dei vescovi di casa Lupoli , venne
così fortemente onorato nella Fratta del tempo, nella chiesa del Ritiro e nella
iconografia presente nella Chiesa di San Sosio, di Sant'Antonio, e nelle
edicole votive dei palazzi e dei vicoli. E in tanta religiosità, come si è
visto,grande era la dimensione della devozione del Natale.
E’ evidente, quindi, che le piste della ricerca storica ufficiale
conducono alla rilevazione di un interessante e sicuro legame esistente tra la
città di Frattamaggiore, considerata nella dimensione della sua storia
ecclesiastica, e la devozione natalizia che si è sviluppata secondo lo spirito
alfonsiano e con le modalità culturali proprie della tradizione del presepe
napoletano.
Ulteriori elementi caratteristici
circa questa tradizione potrebbero ancora essere individuati sulle piste della
ricerca di antropologia culturale che è possibile percorrere nella storia
popolare del nostro paese. Ritengo, infatti, che anche nel tipo di storia che
si basa sulla tradizione trasmessa, senza documentazione scritta e senza dotte
pretese, attraverso modelli di comportamento, di valore e di linguaggio
popolari, siano presenti importanti riferimenti utili per il discorso svolto
sul Natale e sul Presepe frattese.
Un primo riferimento lo si può individuare
nei contenuti degli antichi paesaggi strutturati sulle piattaforme dei presepi
realizzati nelle chiese e nelle case frattesi. Quegli antichi paesaggi
costruiti nell’affabulazione dei costruttori, grandi e piccoli insieme, si
animavano di personaggi e si arricchivano di angoli, di aditi, di poteche, di
bettole e di spazi urbani che talora eufemisticamente richiamavano persone,
negozi, attività e siti del paese antico: la Taverna della Crucivia, la Cantina
di Cirella, la Trattoria della Ricciulella a Chiazza Pertuso, la Taverna
dell’Agnolo, Franceschina ‘a potecara, Ciccio Paccone che manteneva con le
spalle i mobili sconnessi, ‘o Lattaro, Martelluccio d’oro…Oggi molti di quei
luoghi non esistono più oppure sono recuperati con nuove funzioni nella moderna
struttura urbana, o ancora sono rammemoranti dai padri che inseguono il sogno
di un presepe, oggetto di rappresentazione del ricordo infantile oppure
proposta di racconto da narrare nell’umana comunicazione e nel dialogo
formativo con i figli di questa epoca.
Questo riferimento non può essere
considerato come uno specifico esclusivamente frattese, in quanto il richiamo
alle ambientazioni personali e locali è un patrimonio diffuso che qualifica la
cultura presepiale napoletana in generale, quella di San Gregorio Armeno in
particolare, i cui fattori e artigiani da sempre amano rappresentare i
personaggi e gli eventi correnti che riescono a trovar luogo nell’immaginario
collettivo (Totò, Eduardo, Di Pietro, Diana, Madre Teresa, Massimo Troisi…)
accanto gli stereotipi natalizi e ai simboli fissati dalla tradizione popolare:
cieli stellati, vie, terre, costoni, siepi, fiumi, sorgenti, vicoli urbani che
contornano la Capanna della Natività e che si animano di Magi, pastori,
bettolai, carrettieri, di avventori
antichi e e di personaggi
estemporanei come Benito
ed il Cacciatore. A questo
proposito la lettura di brani di Bernari e di De Crescenzo circa i momenti
caratteristici della tradizione presepiale può risultare una amena ed
interessante riscoperta di situazioni, spiegazioni e vicende vicino alle
esperienze di tutti.
Il presepe antico era quindi,
intorno al centrale luogo della Natività, rappresentazione della vita del
paese affidata all’ingegno del costruttore e alla fantasia sviluppantesi attraverso
le concrezioni che liberamente prendevano luogo con l’incollo e con l’inchiodo
delle carte, delle tavolette, dei sugheri e del muschio.
Un presepe siffatto della tradizione popolare
poteva essere pure considerato un riflesso concreto di una esperienza piena di
risvolti soggettivi, spiritualistici, e ricca delle profondità di una sentita
religiosità interiore.
Questa possibilità non è stata
sconosciuta alla tradizione natalizia popolare frattese, che per secoli, fino
alla moderna transizione degli anni ’60, si è fregiata di tratti
singolarissimi, sia artistici che umani, profondamente legati all’esperienza
della locale comunità delle canapine: le pettinatrici di canapa che affidavano
al canto popolare la rappresentazione delle proprie esperienze di vita, di
lavoro , di sentimento e di religiosità.
I canti di lavoro delle
pettinatrici di canapa ed il loro significato di grande patrimonio
storico-culturale del paese hanno recentemente ricevuto una positiva
celebrazione attraverso una iniziativa congiunta del Progetto Donne e della
Rassegna Storica dei Comuni, patrocinata dal Comune di Frattamaggiore, che
hanno curato la pubblicazione di una raccolta tematica.
Ebbene tra questi canti emerge con chiarezza
l’importanza di quelli a tema religioso e predisposti secondo il ritmo
dell’anno liturgico, e quindi emerge anche l’importanza dei canti riferiti al
Natale.
La vita sociale, la vita interiore
e le personali riflessioni venivano riverberate in tutti i tipi di canti delle
canapine, compresi quelli natalizi. Il Natale veniva vissuto come un atteso
evento comunitario giustificatore di comportamenti sociali, stimolatore della
meditazione personale e generatore di un genuino sentimento religioso vissuto
al femminile.
Apprezziamo questo corto canto che
è un vero presepe spirituale:
Bambino mio divino
vieni a nascere
rint’ ‘u core mio;
vieni a nascere
vagliardo ‘i
affetto
biata a te sposa diletta!
Alcune cose indimenticabili sul clima natalizio frattese e delle
canapine furono scritte anche dal compianto sacerdote don Pasqualino Costanzo.
Il presepe in definitiva, pur
connotato dei caratteri dell’universalità sia laica che religiosa, recupera il
proprio significato più profondo nell’antropologia cristiana, nella visione
della vita che fa riferimento alla Incarnazione del Verbo di Dio, nella
Presenza di Dio in mezzo agli uomini. Indubbiamente in questa visione
antropologica che è espressione precipua della fede cristiana si riscontra una
dimensione ecclesiale, o ecclesiastica se si vuole. Ebbene nell’ultimo decennio
questa dimensione ha trovato in Frattamaggiore manifestazioni notevolissime
lungo il percorso che ha portato al Grande Giubileo del 2000: la beatificazione
del francescano frattese Modestino di Gesù e Maria (1994), e l’intitolazione di
Frattamaggiore Città Benedettina (1995). Questi due eventi assumono ulteriori
significati nell’epoca in cui lo stesso Tempio principale della città, la
Chiesa di San Sossio, compie il suo millennio di storia e si configura come
importante santuario della Cristianità Europea, grazie alla custodia delle
spoglie del Martire di Miseno e del Patriarca evangelizzatore dell’Austria e
dei popoli del Danubio.
La ricchezza della tematica
religiosa ed antropologica derivante da questo patrimonio è come si vede
importantissima e si associa con quella di altre devozioni antiche: ad esempio
il culto della Martire Giuliana, compatrona
della città, ed il diffuso reliquario
di Santi presenti anche nella altre chiese del paese (Secondiano, Paolino
martire…). A rappresentare questo patrimonio è tesa l’iniziativa del Museo
Sansosiano impiantato nella Cripta medievale della Chiesa Madre, sono tese le
diversificate attività di valorizzazione dell’iconografia storica del Patrono ,
di rilievo artistico e devozionale delle edicole votive, e sicuramente è
tesa l’opera dell’ arte presepiale che
ha fatto di Frattamaggiore un luogo rinomato ed esemplare.