Il Rapporto mondiale delle Organizzazioni non governative

 

TUTTE LE INGIUSTIZIE DALL’A ALLA ZETA

 

Dall’Argentina allo Zambia: pochi ricchi che hanno tutto, troppi poveri che non hanno nulla. E guai anche per l’Italia, soprattutto al Sud.

 

di Renzo GIACOMELLI

 

L’Argentina è un "paradi­so per pochi"; lo Zambía è un inferno per mol­ti. Prendiamo il primo e l'ul­timo di una lista di 45 Paesi esaminati da Social Watch, il più importante Osservato­rio internazionale dello sviluppo sociale. Il suo Rapporto 2000, pubblicato da Ro­senberg e Sellier, è stato rea­lizzato con la collaborazio­ne di 200 Ong (organizzazioni non governative) e presentato il 30 novem­bre a Roma con la partecipazione di ministri, parlamentari e dirigenti di asso­ciazioni di volontariato.

 

Dell'Argentina si legge che le riforme economiche degli anni Novanta hanno portato ad una «società ineguale, con pochi vincitori e vasti settori della popolazione lasciati dallo Stato senza alcuna protezione, vittime di una crescente esclusione sociale». In cifre: nel 1998, 11 milioni di argentini vivevano in condizioni di povertà e poco meno di tre milioni in totale indigenza. Nel 1999 è cresciuta la disuguaglianza tra il 10 per cento più ricco e il 10 per cento più povero. «Nel nostro Paese», scrivono gli autori di questa parte del Rapporto, «un quinto della popolazione monopolizza il 53 per cento del reddito. Ciò è aggravato da un tasso di disoccupazione del 13,8 per cento e da un tasso di sottoccupazione del 14,3 per cento. Tre milioni di persone lavorano "in nero"».

 

Nello Zambia, «oltre l'80 per cento della popolazione (circa 9 milioni di persone) è "ufficialmente" povero... I livelli sono tali che i bambini non possono frequentare la scuola o fare ciò che i bambini normalmente fanno. L'epidemia di Aids ha peggiorato la situazione, aumentando a dismisura il numero degli orfani. Molte persone non godono dei diritti fondamentali».

Il Paese ha un tasso di morte precoce tra i più alti del mondo: la speranza di vita è scesa a 39 anni per gli uomini e a 40 per le donne. «Queste sventure accadono proprio quando si sbandiera a destra e a manca l'assoluto "successo" del programma di aggiustamento strutturale», avviato dal Governo (imposti dal Fondo Monetario Internazionale ndr) fin dal 1991.

 

Il Rapporto annuale di Social Watch è stato ideato nel 1996, un anno dopo la Conferenza di Copenaghen sullo Sviluppo sociale promossa dall'Onu. In quel "Vertice", i capi di Stato e di Governo di 122 Paesi sottoscrissero 10 impegni fondamentali, tra i quali: sradicare la povertà nel mondo attraverso la cooperazione internazionale; promuovere la piena occupazione; accelerare lo sviluppo economico e sociale dell'Africa e dei Paesi meno avanzati; assicurare che i programmi di aggiustamento strutturale includano lo sviluppo sociale. Nei Rapporti finora pubblicati, la rete delle 200 Ong ha verificato che si è ancora molto lontani dagli obiettivi stabiliti a Copenaghen. E ciò non vale soltanto per i Paesi meno avanzati.

 

Prendiamo l'Italia, dove «si conferma la situazione preoccupante già registrata nel corso del 1998». Approfondiamo lo sguardo sul nostro Paese con l'aiuto di Sabina Siniscalchi, segretaria nazionale di Mani Tese, una delle quattro Ong italiane che hanno collaborato al Rapporto 2000 di Social Watch (le altre tre sono le Acli, l'Arci e Movimondo).

 

Sottolineate la precarietà che grava su molte famiglie. Perché?

 

«In Italia la famiglia è un paracadute sociale. Deve occuparsi di anziani non autosufficienti e di disabili, con poco aiuto dallo Stato. La situazione è ancora più difficile per le famiglie povere, quelle che non riescono a risparmiare nulla loro reddito: sono 6.500 (cioè l'11,8 per cento del totale). Questo dato si accentua al Sud, dove le famiglia povere sono il 23 per cento. Se poi prendiamo le famiglie con più di cinque figli, il 34 per cento di esse è povero».

 

La disuguaglianza Nord e Sud esiste anche in altri campi?

 

«Certamente nell'occupazione. Nell'ultimo anno stato un lieve incremento ma esso non è proporzionale all'aumento della ricchezza nazionale: questa è cresciuta di oltre il 2 per cento mentre l'occupazione è aumentata soltanto dello 0,7 per cento, e si tratta di un aumento dovuto soprattutto ai lavori cosiddetti "atipici", cioè precari, privi di garanzie dei lavori tradizionali. Nei lavori poco garantiti sono coinvolti soprattutto i giovani, specialmente quelli del Sud».

 

Nel Rapporto vi occupate anche di immigrati. Le loro condizioni sono

migliorate?

 

«La legge n. 40 del 19 che ha avuto il Regolamento applicativo l'anno scorso, ha reso più chiara la volontà dello Stato di occuparsi seriamente degli immigrati, anche se nei media  il problema è affrontato soprattutto in termini di sicurezza e non di garanzia dei diritti personali. Ci risulta, tanto per fare un esempio, che almeno il 20 per cento degli immigrati regolari non abbia una casa».

 

Spesso si sente dire che gli immigrati è meglio aiutarli a casa loro, il che pone il problema degli aiuti internazionali dell'Italia. Quanto diamo ai Paesi più poveri?

 

«Nel 1995 l'Italia dava 0,15 per cento del Prodotto interno lordo, oggi siamo allo 0,20 per cento, ben lontani  dall'impegno minimo assunto a Copenaghen di 0,70 per cento. Tutti gli aiuti che i Paesi ricchi danno quelli poveri assommano a 51 miliardi di dollari: un settimo di quello che i Paesi indebitati del Sud versano  ogni anno in interessi ai Paesi del Nord».

 

 

Famiglia Cristiana n.48 – 2000