KLEIN-EUROPA PICCOLA EUROPA
*numero zero* del 10 aprile 1997 (n. 0/1997)


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IN ITALIA SONO 20.000 GLI ITALO-TEDESCHI UTENTI DI INTERNET. E POI IN RETE CI SONO ANCHE GLI ITALIANI CHE SI CONFRONTANO CORRENTEMENTE CON LA LINGUA ED IL MONDO TEDESCO: ALMENO 30.000. «KLEIN-EUROPA PICCOLA EUROPA» È IL LORO PUNTO DI RIFERIMENTO. SE VUOI FARTI CONOSCERE DA QUESTA IMPORTANTE COMUNITÀ, CHIAMA SUBITO ++39.06:87181611!

IN PRIMO PIANO/Berlino

Ancora
ottocentotrentun giorni
e poi...
... e poi (giorno più, giorno meno) sarà nuovo secolo
e nuovo millennio: per quella data
assicurano ,
Berlino, di nuovo a tutti gli effetti capitale della Germania,
stupirà tutti per la sua bellezza moderna, i suoi equilibri urbanistici, il suo cipiglio efficientista. Noi abbiamo deciso
di non aspettare la conclusione del suo maquillage
(ma saremo liberi di ritornare, naturalmente) e vi offriamo
questo particolare "itinerario" di una città piena di ponteggi e gru. E non per forza trasudante benessere e ottimismo


articolo di STELVIO G. HORTY
(con la collaborazione di EDITH HINZ, FILIPPO SPEZIA e MAGDALENE WILDMANN)

   
leggi anche:
*Zibaldone berlinese
**BERLINO TRA LETTERE E ARTI/
Culla dell'Espressionismo tedesco, che lanciò i "favolosi anni Venti"
***L'ALTRA FACCIA DI BERLINO/
Criminalità in aumento? Colpa degli stranieri. Così cresce il "nuovo Muro"

Berlino: ieri simbolo assoluto della divisione e dello scontro tra i due blocchi in cui era diviso il mondo, oggi quello della riunificazione delle due Germanie. Un nuovo ruolo impensabile soltanto tre lustri fa, e che però la città non può fare a meno di interpretare trascinandosi ancora dietro le rilevanti conseguenze della lunga contrapposizione fra i due stati "gemelli".
Dopo la caduta del Muro, ecco la capitale in fieri della Nuova Repubblica Federale, attraversata da profonde trasformazioni non sempre facili da capire e spiegare. Nel Duemila sarà senz’altro la "testa" della nazione più estesa e popolata aldiquà degli Urali. Ma forse anche la Babilonia della nuova Europa. Scrive Odile Jacob nel suo libro "Ombre berlinesi" che «se altre città possono vantare più orgogliose antichità ed eredità più ricche, solo Berlino può portare così profondamente scavati sul suo volto i solchi della passione e del delirio di cui la nostra specie [quella umana, ndr.] si è rivelata capace». La tolleranza che oggi si riscontra a Berlino è qualcosa di inconsueto in Germania, quasi una mescolanza di insolenza e menefreghismo, un vivere e lasciar vivere che fanno dire come a poco più di sette anni dalla caduta del Muro le due Berlino non siano nella realtà davvero riunificate. Sono soprattutto i berlinesi dell’Est a vivere la riacquistata libertà quasi come una nuova occupazione, più sottile. È come se dopo aver perso il retroterra economico, sociale, culturale essi venissero spossessati dell’unico bene rimasto, la città appunto.
Una invisibile linea di demarcazione segna ancora la quotidianità, perché l’Est, pur essendo "incollato" e solidale alla Berlino "capitalista", da questa realtà resta lontanissimo, culturalmente e soprattutto politicamente. E pur rappresentando il recente affratellamento tra i due settori l’emblema della risorta "Casa Comune" germanica, ci si accorge di quanto sia difficile riaffermare giorno dopo giorno questo sogno. Progressi comunque ne sono stati fatti tanti. Oltre centomila berlinesi dell’Est si recano ogni giorno all’Ovest per lavorare; in compenso sono molti di meno quelli che svolgono il percorso inverso.
La Bundesrepublik che incarnerà Berlino assomiglierà di sicuro assai poco a quella che si appresta a lasciarle in eredità Bonn. Troppo diverse appaiono le due città: poco raccomandabile — per i benpensanti — la prima; eccessivamente conformista e rassicurante la seconda. L’acceso dibattito che da tempo ruota intorno alla questione del trasferimento della capitale riflette non soltanto le inquietudini di solerti funzionari o delle corporazioni di piccoli proprietari. La paura strisciante è ben altra, riguarda il rinascere di antichi fantasmi. Affiora il timore di una nuova centralizzazione del paese, di un suo scostamento dal modello occidentale, il timore di dover fare i conti con un risorgente nazionalismo, magari favorito dalle atmosfere della vecchia capitale. Perplessità che vengono esorcizzate sottolineando il fatto che il suo nuovo corso della città spronerà ad un sempre maggiore dialogo l’Est e l’Ovest dell’Europa. Insomma, alla fine di queste ansiose discettazioni si conclude unanimemente: Berlino sarà forse meno scontata come capitale, ma le regole democratiche scritte a Bonn, quelle è ridicolo pensare che siano meno salde in riva alla Sprea e all’Havel.

La ricostruzione trascura la Berlino dei musei
Era il 20 giugno 1991 quando il Bundestag, il Parlamento Federale, disse "sì" alla ricollocazione nel vecchio Reichstag imperiale dell’attività legislativa della Germania unita. Con quella deliberazione si ratificò anche il trasferimento a Berlino del Governo Federale e della Presidenza della Repubblica, ma non quella del Bundesrat, il Consiglio delle Regioni, che sarebbe rimasto a Bonn. Il riconoscimento alla città dei poteri formali dello Stato non ottenne consensi plebiscitari: 320 deputati si opposero, ma i favorevoli furono di più, 338, e così venne fissato nel Duemila l’effettivo insediamento di quegli organi costituzionali.
Mancano poco meno di tre anni al nuovo secolo. L’appuntamento con la Storia è già scritto. Per quella data Berlino sarà ancora una città in costruzione, anche se dall’estate del ’91 si sta lavorando con grande ardore per restituirle in primo luogo un’integrità urbanistica. Le aperture dei cantieri si sono susseguite a ritmo incessante: la caduta del Muro ha rivelato infatti tutta la decadenza della parte irreggimentata nel sistema filo-sovietico.
Ora si può dire che l’unicum-Berlino incominci ad essere percorribile. Tuttavia non mancano evidenti stonature. Ad esempio, nonostante alla cultura siano stati stanziati cospicui investimenti, non si sta facendo abbastanza per preservare l’immenso patrimonio artistico e storico dell’"isola dei musei"; mentre per realizzare il nuovo scalo ferroviario a nord del Reichstag verrà sacrificata una vecchia stazione d’inizio secolo restaurata con enorme dispiego di mezzi pochi anni fa.
C’è da definire anche il futuro del "forum della cultura" in Kemper Platz. Ai tempi della città-stato di Berlino Ovest era stato progettato per farne un moderno replicante della Museums-insel. Risalgono agli inizi degli anni Sessanta le prime costruzioni dell’area: la Philharmonie di Sharoun, la Nationalgalerie di Mies van der Rohe, la Sankt-Matthäuskirche [Chiesa di S. Matteo] di Stüler. A queste vennero aggiunte successivamente la Staats-bibliothek [Biblioteca di Stato], la Kammermusiksaal [Sala-concerto di Musica da Camera], il Musik-instrumentenmuseum [Museo degli Strumenti Musicali] — tutti e tre progetti di Sharoun — e il Kunstgewerbe-museum [Museo delle Arti Applicate]. La Spk, la Fondazione Prussiana per i Siti Culturali, organismo che amministra 23 musei del settore occidentale, aveva in animo di ampliare ulteriormente il complesso, ma dopo la riunificazione tutto è rimasto in sospeso.
Attualmente nessuno è in grado di dire che configurazione assumerà il "paesaggio museale" berlinese, in futuro. Una certezza è stata comunque attribuita. Riguarda il Martin Gropius Bau, il palazzo che una volta si affacciava sul Muro ed ora, ristrutturato, su Niedre-kirchner-Strasse: è stato scelto come sede per le esposizioni transuenti di caratura internazionale.

Le maggiori attenzioni per la città decaduta all’ombra del Muro
Probabilmente le priorità di Berlino si spiegano con la sua amara parabola di questo secolo. Dopo aver fatto in modo, wessi ed ossi, di obliàre in breve tempo, con una veloce e talvolta ridondante ricostruzione, sia la dittatura hitleriana sia la terribile guerra che ne derivò, adesso la città intera voleva ugualmente in fretta rimuovere l’agro ricordo di quel serpentone di cemento di 46 kilometri che l’aveva ingabbiata per così tanti anni. Era fatale dunque, una volta spazzato via il Muro, che si dedicasse con tutte le sue forze soprattutto alla riformulazione di quella "terra di nessuno", perpetuatasi nella sua innaturale sopravvivenza per la contiguità intangibile tra ortodossia marxista-leninista e capitalismo.
Ed infatti, il progetto più entusiasmante riguarda il milione di metri quadri che si estendono dal Checkpoint Charlie al Kulturforum, fino al Reichstag. Un territorio immenso, che racchiude le comunicanti Potsdamer e Leipziger Platz; la celebre Porta di Brandeburgo, affacciante sulla piazza omonima e preceduta da un’altra piazza, intitolata a Parigi (Pariser Platz); la traccia dell’obbrobriosa costola vuota di Muro che si staccava da Stresemann-Strasse per lambire il fossato-canale.
In questo perimetro, che già sta vedendo nascere i grattacieli della Mercedes Benz e della Sony, dovranno sorgere una cineteca, un museo audiovisivo, un altro dedicato a Marlene Dietrich. E come "contorno", dalle strutture esistenti o da quelle di nuova edificazione si ricaveranno 28 sale cinematografiche e diversi teatri. Si potrebbe dire: Potsdamer Platz moderna emulazione europea di Broadway. Una prospettiva di grande suggestione, ma per questo scenario sarà fondamentale che tutti gli spazi pubblici "desertificati" della zona oggetto del mega-intervento riacquistino la necessaria vitalità.
A cominciare proprio da Potsdamer Platz e dal suo retro Leipziger Platz. Situate a metà strada tra il centro storico e la periferia moderna, esprimevano negli anni Venti una "doppia figura" ricca di umanità, tanto da essere considerate il punto più trafficato del continente. Dopo le distruzioni della guerra non ne era rimasto molto; così servirono dapprima come linea di confine tra le tre zone di occupazione occidentali e quella sovietica, poi la cintura del Muro ne aveva sancito la definitiva decadenza. Oggi, sulla futura identità delle due piazze la discussione è aperta.
Un altro gruppo topografico di grande importanza è quello costituito dalla Porta di Brandeburgo e dalla Pariser Platz, anch’esso da annoverare nella li-sta dei luoghi più belli della vecchia Berlino. L’insieme — limite esterno dell’incantevole "viale dei Tigli" — contrassegnava l’ingresso più maestoso al centro storico. La guerra e il dopoguerra hanno colpito anche qui. Ora che il solenne colonnato si può ammirare da vicino e c’è la possibilità di levare lo sguardo, senza impedimenti, aldilà, verso il Tiergarten [Parco degli Animali] e il Reichstag, il complesso Branderburg-Pariser è tornato ad essere inevitabilmente uno dei nodi nevralgici della città. Logico perciò che il Senato di Berlino abbia individuato nel "maquillage" di Pariser Platz e della parte finale di Unter den Linden, il "viale dei tigli", una delle principali esigenze del piano cittadino di "ricostruzione mirata". Che ha inserito tra i suoi obiettivi anche la ricostruzione sulla passeggiata del mitico Hotel Adlon.
La massiccia profusione di investimenti per la riqualificazione di questa parte del Mitte — ovvero del centro storico — demarcata praticamente da Friedrich-Strasse, che ne costituisce il bordo interno, non si limita ad un’azione "superficiale". Parte integrante della trasformazione saranno le opere di ingegneria civile, di cui si sono già aperti i cantieri, che giaceranno nel ventre di Berlino. Il moderno sistema di comunicazioni che servirà il "polo dello spettacolo" si svolgerà infatti sottotraccia: si prevede che lo visiteranno giornalmente circa centomila visitatori, e per loro ci sarà a disposizione una stazione sotterranea a due livelli. Tutta la zona verrà "bucata" da un doppio asse stradale-ferroviario, quattro corsie d’asfalto e quattro binari, che consentirà di attraversare la città intera. Berlino ha comunque deciso di affidare esclusivamente ai treni-tradotte il trasporto delle merci verso Potsdamer Platz.

Non è semplice ricreare un’unità urbanistica
Un discorso per suo conto merita il programma per le infrastrutture parlamentari ed istituzionali che, come vedremo, andranno ad innestarsi anche sul tessuto della stra-citata fetta di centro racchiusa tra Friedrich-Strasse, Sprea ed alveo del Muro abbattuto. Non è stato facile per gli architetti ipotizzare un percorso razionale di congiunzione fra le diverse dislocazioni. Il desiderio di ricompattare l’identità storica della città si è dovuto confrontare con le conseguenze derivanti dalla guerra. Essa ha portato alla creazione artificiosa di un secondo centro città per l’Ovest, individuato nella Breitscheidplatz, dove s’innalza la sbrecciata Wilhelm-Gedächtnis-kirche [Chiesa guglielmina della Rimembranza]; qui si affacciano il sontuoso Europa Center e la principale via commerciale del settore, Kurfürstendamm. Un "Mittestadt" contrapposto a quello originale incardinato su Marx-Engels Platz ed Alexander Platz, dal quale dista non meno di 4500 metri.
Ma non si può dire che il nucleo storico — oltre che geografico — di Berlino conservi tracce significative del suo passato. I suoi stessi riferimenti hanno nulla — o poco — a che spartire con l’epopea imperiale.
Il richiamo ottocentesco del Duomo, che riecheggia le forme del Rinascimento italiano, si perde nello sconfinato spazio aperto dedicato ai due filosofi che formalizzarono la dottrina del comunismo e il cui profilo domina tutt’intorno. La giusta cornice — deve essere stato pensato — per il vetrato Palazzo della Repubblica Democratica, che occupa infatti un intero fianco di Marx-Engels Platz. Era forse meglio lasciarvi come decorazione le rovine del Castello? Recriminazione inutile, essendo queste state sgretolate con le cariche di esplosivo nel lontano 1951. E ora, la sistemazione di un grande parallelepipedo di tela sull’area che un tempo lo conteneva, sul quale sono stati meticolosamente diseganti i suoi quattro prospetti, non fa che accrescerne la nostalgia.
Anche l’area di Alexander Platz, dove si dice sia sorto il primo insediamento berlinese del XIII sec., mantiene solo il nome di quella che fu. Un tempo era dimora della Berolina, la popolare statua raffigurante una donna dall’aspetto decisamente formoso; e questa svettava sulla miscela di palazzi abitati e "groviglio umano" ispiratòri di Döblin, il quale consacrò ad una piazza così speciale la sua fatica più eccelsa di scrittore ed uno dei capolavori della letteratura contemporanea. Oggi invece è uno snodo tra il centro e la periferia, contornato da giganteschi edifici in tipico "stile Ddr". Lo "stile Ddr", ecco cos’è che affiora continuamente passeggiando nel Mitte. Il passato regime filo-sovietico ha avuto indubbi meriti nella ricostruzione e nel restauro post-bellico di tanti monumenti (tra questi: lo stesso Duomo, i complessi architettonici di Platz der Akademie e Bebelplatz, l’Altes Museum [Antico Museo], la parrocchiale gotica di Nikolai-Kirche), per i quali non ha badato a spese. Ma ha anche infarcito il cuore di Berlino di smisurate costruzioni, governative e non, e di altrettanto magniloquenti "luoghi liberi", in ossequio alla "modernen Stadt-planung" [piano urbanistico della città]. Un disegno che ha motivato tra l’altro la costruzione della Torre della Televisione, più alta di quella Eiffel (dalla quale però si gusta uno straordinario panorama dell’intera Berlino); quella in serie di edifici sulla Fischerinsel; il vigoroso potenziamento delle superstrade urbane anche a costo di smembrare — com’è avvenuto — il modello di viabilità esistente.

Si riciclano i magniloquenti palazzi politici della Ddr.
Risorge il Reichstag, tornano i ministeri a Wilhelmstrasse

Con questa Berlino vetrina del potere della Sed, sopportabile — almeno — se non la
si voglia considerare testimonianza nel complesso positiva dell’architettura e dell’urbanistica del secondo Novecento — come pensano diversi —, con questa Berlino, dopo la riunificazione ci si doveva per forza confrontare. Si è evitato saggiamente di emarginare gli impianti governativi dell’ex Ddr situati nel Mitte, cercando invece di inserirli nell’incastro della nuova "città parlamentare ed istituzionale". Così, Marx-Engels-Platz resterà la sede del Palazzo della Repubblica, Federale d’ora in avanti, mentre per il ministero degli esteri si continuerà ad utilizzare il grande palazzo bianco a fianco della Friedrichswerdersche-Kirche [Chiesa sull’isola di Federico II di Prussia], ora sede dello Schinkel Museum, che appare dietro il lato sinistro di Marx-Engels-Platz, aldilà dello Spreekanal. Però difficilmente verrà recuperata all’attività politica l’ultimo edificio che chiude Marx-Engels-Platz, la Camera del Popolo. La sua storia turba ancora troppo; giacerà forse come una vuota vestigia del passato regime comunista.
Per formulare la "città statale" nel 1993 è stato bandito un concorso internazionale a cui hanno partecipato più di ottocento architetti di 44 diverse nazioni. È stato prescelto il progetto coordinato proprio da un berlinese, Axel Schultes.
L’opera di restauro su cui sono puntati i riflettori è ovviamente quella che interessa il Reichstag. Tornerà ad essere il "metronomo della repubblica" a distanza di 67 anni dal rogo che nel ’33 lo incendiò, soffocando così irrimedia-bilmente gli ultimi aliti di democrazia della già collassata Germania di Weimar. I lavori per adeguare il palazzo alle sedute del Bundestag seguiranno le direttive di un architetto inglese, Norman Forster, che si è aggiudicato la relativa gara. Per le assemblee plenarie straordinarie col Bundesrat, Schultes ha pensato di farle svolgere in un nuovo edificio-depandance del Reichstag, che sfrutterà un’area inutilizzata proprio di fronte ad esso.
Una cospicua parte dei ministeri — undici, si dice — tornerà a risiedere nella famosa Wilhelmstrasse, che corre nuovamente dal "viale dei tigli" fino al fossato-canale, nei pressi di Mehring-platz. Con decisione sagace la "strada dell’aristocrazia" è stata riconsegnata interamente al primo Kaiser dell’unità germanica, dopo che il segmento ad est del Muro negli anni Settanta era stato intitolato a Otto Grotewohl, il fondatore della Sed e presidente del consiglio della Ddr per quindici anni, dal ’49 alla sua morte: un personaggio che in questi ultimi tempi aveva perso molte simpatie. Ma la lunga arteria rimanda anche ad altri ricordi. Qui furono alloggiati in una residenza dello Stato i due presidenti della Repubblica di Weimar (prima Ebert e poi Hindenburg). Qui ebbe il suo ufficio di cancelliere Bismark. Qui, finché non fu distrutto dai bombardamenti del ’45, si ergeva il palazzo del ministero degli esteri che fu dell’impero, del Reich democratico e di quello hitleriano.
Dunque, Wilhelmstrasse ha ricoperto un ruolo di primo piano anche durante il nazismo. E non solo perché c’era l’importantissimo feudo di Neurath. Con quel nome non s’indicava solamente il lungo rettifilo di due kilometri, ma tutto ciò che ne costituiva appendice. Facevano parte del "quartiere Wilhelmstrasse" la cancelleria del Fürher con annesso balcone imbonito-rio, ed il ministero per la propaganda diretto da Göbbels, che si trovava in una piazza al termine della via.
Era giusto provare un’insuperabile soggezione di fronte all’idea di mettere sulla "via guglielmina", tra Leipziger e Niedrekirchner Strasse, questi undici ministeri? Non sarebbe comunque come vedere il consiglio dei ministri italiano da domani riunirsi stabilmente a Palazzo Venezia, col capo del governo che sistema magari ad ufficio una certa stanza con veduta panoramica sui Fori... Facezie a parte, possiamo tranquillizzarci veramente. Della fetida essenza nazista a Wilhelmstrasse non c’è più alcuna traccia, sia tra i fabbricati, sia nell’aria: la guerra vi ha lasciato solo macerie e le poche rovine rimaste con le insegne del Terzo Reich ha provveduto poi il governo di Berlino Est a farne poltiglia da impasto.
Più anonime le collocazioni previste per gli altri apparati di governo esclusi dal Palazzo dei Ministeri. Un gruppo verrà insediato nello scarnificato Bendler Block, ad occidente del Kulturforum, tra Reichpietschufer [lungofiume Reichpiet; Reichpiet era un pensatore dell'Ottocento], cioè il fossato-canale, e Tiergartenstrasse. Un altro complesso sorgerà invece molto più a nord, nell’area una volta disabitata tra Invalidenstrasse [via dei Mutilati] e Gartenstrasse [via degli Orti], vale a dire ben oltre il corso della Sprea.

La faccia nascosta e triste
di questa Berlino in smaniosa attesa del Duemila

L'imponente piano di opere pubbliche per Berlino capitale ha fatalmente prodotto un effetto di trascinamento. Impetuoso, febbrile, esteso a tutta la città. Da quando — almeno virtualmente — è tornata ad essere l’anima della Germania, caterpillar, gru, betoniere, rappresentano elementi consueti per l’attuale scenografia di Berlino. I cantieri aperti dallo stato non sono stati i primi del dopo-Muro. Ma con il loro avvio, quelli delle società private si sono moltiplicati in modo quasi schizofrenico.
Andando in giro, nel Mitte o nelle periferie, la categoria di persone che s’incontra più di frequente è quella degli operai, con i loro variopinti elmetti. Di tedeschi ce ne sono pochissimi. La stragrande maggioranza proviene dai paesi dell’est; non molto consistente neppure la manodopera turca, che pure per tantissimi anni, dal dopoguerra a ieri, ha fornito preziose braccia ai lavori faticosi di Berlino Ovest. Per la più consistente colonia europea di immigrati da quel paese, che ha ripopolato l’intero quartiere di Kreuzberg facendone la più grande città turca fuori dall’Anatolia, l’abbattimento del Muro e della "cortina di ferro" non ha portato nessun vantaggio. Una volta i turchi erano i benvenuti in una Berlino sempre più vecchia e disabitata, oggi il mercato del lavoro offre gente più a basso costo di loro.
Kreuzberg si sta così trasformando in un ghetto di emarginati, ad altissimo tasso di disoccupazione. È l’altra faccia della frenesia berlinese, che impone un’immagine di città vincente e dinamica, piena di modernissimi uffici col parcheggio interrato ed immancabile centro commerciale. Ma se Kreuzberg resta lì sempre più isolata, comunque intatta — almeno per il momento — nella sua popolazione, per il settore orientale si sta approntando uno sbrigativo ricambio delle attività e degli abitanti: via artigiani ed artisti bohemienne, dentro sedi di imprese, ristoranti giapponesi e caffè alla moda; fuori la "fauna operaia", al loro posto impiegati ministeriali, frotte di professionisti e grandi manager. Si dirà: una metamorfosi inevitabile, il prezzo necessario da pagare alla ricostruzione, che sta suturando tante ferite del settore dell’ex Ddr. Forse, però Berlino rischia così di diventare una capitale senza passato. Il Mitte si sta svuotando della sua storica cittadinanza, persino al "viale dei tigli" non alloggia ormai quasi nessuna famiglia. I berlinesi orientali ingrossano sempre più le periferie, quando non ripiegano — lo scorso anno è stato così per 40 mila di loro — verso la cintura brandeburghese, dove affitti e vita sono decisamente meno cari.
Nelle birrerie si percepisce la speranza che dopo mezzo secolo di torpore Berlino Duemila possa rinverdire i fasti dei "favolosi Anni Venti": già, ma di quella città quanti saranno domani i suoi nipoti?


   
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