KLEIN-EUROPA PICCOLA EUROPA
*numero zero* del 10 aprile 1997 (n. 0/1997)


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IN PRIMO PIANO/Berlino

Zibaldone berlinese
Viaggio cittadino (un po' disordinato) attraverso aneddoti,
cose curiose ed appunti di storia

a cura di STELVIO G. HORTY

   
Territorio e popolazione
Berlino oggi costituisce la capitale ed un land della Repubblica Federale Tedesca, che si estende per 889 kmq e con oltre 3 milioni 400 mila abitanti. Dal dopoguerra fino ad ieri è stata un intero spezzato in due metà non dissimili — almeno sotto il profilo geo-demografico —: Berlino Ovest, 486 kmq ed 1 milione 900 mila persone, e Berlino Est, 403 e 1 milione 250 mila.

Le berlinesi: bellissime, per Hauptmann
Goethe conobbe Berlino, soggiornandovi brevemente, nel 1778. Non ne rimase granché affascinato, ma c’era da comprenderlo. La capitale della Prussia si mostrava fedele riproduzione dello stile della casa regnante: spartana e dedita più al lavoro, al commercio ed alla cura dell’esercito che alle lettere ed alle arti. Un certo formalismo nei rapporti sociali si stava appena diffondendo. Si incominciò a preferire maggiore distacco nelle interlocuzioni, comprese quelle tra sudditi e sovrano, che erano state sempre scandite dall’uso del "tu". E si stava consolidando, anche presso la piccola borghesia artigiana, l’apposizione "signora" o "signorina" — fino a quel tempo ignorata — davanti al nome di una rappresentante del gentil sesso. Alle berlinesi piaceva quell’infioratura francese che dava un "madame" od un "mademoiselle" (troppo lungo: gli uomini lo contrassero presto in "mamsell") e finirono per imporla.
Così monotona da non poter attirare neppure il diavolo per Goethe, Heinrich Heine, nelle sue cronache di quarant’anni più tardi, rimpiangeva il Settecento illuminato da Federico il Grande e da Lessing, cioè dell’epoca coeva di Goethe. Heine però si consolava pensando alle "misteriose essenze" sprigionate dalle signore a passeggio per Under den Linden, a suo parere "le più belle della Germania, con colli da cigno". Un giudizio che sarebbe stato ribadito, in piena Belle Époque, da Gerhart Hauptmann, che anche per merito delle donne berlinesi — "le più piacevoli del mondo" — trascorse anni definiti da lui stesso indimenticabili nella giovane capitale dell’impero.

Un pezzetto di Berlino Ovest era dei russi
Quando Berlino era divisa in due, ogni mattina dal settore Est partiva un plotone di soldati dell’Armata Rossa che, superato il Checkpoint Charlie, percorreva un itinerario prestabilito e raggiungeva il Monumento al Soldato Sovietico eretto nel Tiergarten. Non era una greve manifestazione di potenza ad uso dei cittadini del settore Ovest, bensì un diritto. Non molti lo sanno: Berlino Ovest conteneva un’enclave sovietico, di dimensioni 90 per 60 metri, nella cui area sorgeva (e sorge tuttora) la statua raffigurante un soldato dell’Armata e contornata da due carri armati "T34", cioè del tipo che entrò per primo a Berlino nell’aprile 1945. Il compito del plotone era dunque assolutamente pacifico: fare la guardia al monumento e rientrare la sera a Berlino Est. Ma perché i sovietici lo costruirono qui? Perché a prendere possesso della città fu esclusivamente il loro esercito e — forse non avendo a mente gli accordi sulla spartizione della città — il Tiergarten sembrò un buon posto per ricordare i morti della liberazione di Berlino. Quando giunsero gli altri alleati, i sovietici si ritirarono dai quartieri occidentali, però ottennero di poter completare il monumento e di mantenerne la sovranità. Dopo l’infelice esito della rivolta operaia di Berlino Est del ’53, soffocata nel sangue proprio dall’Armata Rossa, Charlottenburger Chaussee venne ribattezzata "XVII Giugno": quasi un contrappasso dantesco per quel monumento che ha di fronte proprio questa strada e, fino al ’91, per quei soldati che l’hanno sorvegliato.

Una piazza testimone della storia
Alexanderplatz prese questo nome in omaggio dello zar Alessandro II (prima era una semplice "piazza dei buoi") che giunse in visita ufficiale a Berlino nel 1805. In due secoli di storia l’"Alex" — così viene confidenzialmente chiamata la piazza —, è stata protagonista dei principali avvenimenti che hanno segnato la città. La sua presa di possesso da parte dell’esercito zarista significò nel 1813 che Berlino era stata liberata dalle armate di Napoleone. Nel 1848 fu teatro dell’insurrezione liberale, nel ’72 della rivolta operaia, nel 1919 di quella "spartachista" in cui morirono Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Nell’aprile del ’45 le Ss di Hitler la elessero ad ultimo baluardo contro l’avanzata sovietica. La sua completa distruzione ad opera di un paio di bombe al fosforo significò la fine della guerra. Rimasero solo un ricordo le "Markthalle", i mercati generali berlinesi concepiti sul modello di quelli di Parigi, la sua stazione ferroviaria a tre piani, la statua della Berolina, i suoi innumerevoli caffè e ristoranti. Nel giugno del ’53, in una cornice ancora indefinita di palazzi ricostruiti e di cantieri, fu infine l’epicentro del moto popolare contro l’oppressione del regime comunista, domato ferocemente dalle truppe di Mosca.

Lo stile italiano
Tra i palazzi della vecchia Berlino che hanno resistito alla seconda guerra mondiale, affiorano tracce importanti di apprezzamento per lo stile architettonico italiano. L’esempio più citato è quello del Reichstag, che prende a modello i palazzi tardo-rinascimentali. Ma è giusto ricordare anche due chiese: il Duomo cattolico di Berlino, che si rifà a S. Pietro, e la Cattedrale di Sant’Edvige (dietro Bebelplatz), ispirata al Pantheon.

Soprannomi
I nomignoli con cui sono stati ribattezzati alcuni luoghi e personaggi emblematici di Berlino rivelano lo spirito irridente dei suoi abitanti, ma sono anche dimostrazioni di affetto. Oltre ad Alexanderplatz, per tutti "Alex", anche le due strade più eleganti della città, Unter den Linden e il pretenzioso — nel titolo — Kurfürstendamm [Diga dei Principi Elettori, ndr.] sono stati stringate rispettivamente in Die Linden e Kudamm. D’altronde i berlinesi non si facevano scrupolo di affibbiare gustosi appellativi ai loro regnanti prussiani. Federico I, che invitava ai banchetti di corte Leibniz ed altri accademici, per la sua deformità era noto come "re Esopo". Per indicare invece suo nipote, Federico il Grande, despota illuminato e benvoluto, si limitavano a dire "il vecchio Fritz". Per l’esile ed altissima Torre della Televisione è stato coniato subito il termine "punta d’asparago". Per la vecchia Chiesa della Rimembranza, uscita irrimediabilmente danneggiata dalla guerra, ma con l’orologio delle ore funzionante, si è adottato quello di "dente cariato". Impareggiabili i berlinesi sono stati poi nell’etichettare la nuova chiesa ed il nuovo campanile che ora stringono d’assedio, offrendo un colpo d’occhio di forte contrasto, quelle rovine. "Scatola da cipria più rossetto" li hanno chiamati: azzeccatissimo.

Quanta gloria dalla comunità ebraica;
e il nazismo contraccambiò con lo sterminio

Nel momento in cui Hitler s’impossessò della Germania, nel ’33, la colonia israelitica di Berlino contava 160 mila persone. Al principio della guerra, quando cioè la follìa nazista aveva già decretato l’"inferiorità" degli ebraici e meditava per tutti loro la "soluzione finale", soltanto la metà di quella comunità aveva fatto a tempo a scappare all’estero. Per chi restò, ci fu la riduzione in schiavitù, la deportazione, lo sterminio: soltanto cinquemila persone — su 75 mila — sarebbero sopravvissute.
È bene ricordare invece, di fronte a tanta efferatezza, il contributo che hanno dato, nel corso dei secoli, uomini e donne di fede ebraica berlinesi al lustro della Germania intera. Dalla scienza, all’arte, dalla politica, alla filosofia, dallo spettacolo alla letteratura. Ecco alcuni nomi, in ordine sparso: Alexander e Wilhelm von Humbolt, Lang, Fichte, Clemens e Bettina Brentano, il marito di lei von Arnim, Tucholski, Rathenau, Lubitsch, Werfel, Lassalle, Reinhardt, Einstein, Hegel, Heine. D’altra parte, Berlino era stata la prima città tedesca riconoscere pieni diritti di cittadinanza agli ebraici, nel 1812.

Il "grande elettore", le imposte indirette e gli ugonotti
Se vi siete mai chiesti chi sia stato l’"inventore" delle imposte indirette (cioè quelle che colpiscono il contribuente quando esercita la sua capacità di acquisto; la più famosa è l’Iva), Berlino può fornirvi la risposta. Perché l’idea di una tassa sulla macellazione, la macinazione e le parrucche, la mise in pratica per primo, nel mezzo del Seicento, Federico Guglielmo di Hohenzollern, il "grande elettore" del Brandeburgo, in pratica il fondatore dello stato prussiano. Nel 1685, quasi alla conclusione della sua monarchia, concesse asilo a 20 mila ugonotti, esuli francesi di fede calvinista, perseguitati in patria da Richelieu, che si stabilirono in gran parte a Berlino. Nel 1650 la città possedeva una popolazione pari al numero dei profughi ugonotti; si capisce perciò quale impulso diedero i "nuovi venuti" alla sua crescita: qui impiantarono una solida comunità, con proprie scuole ed una propria chiesa — il Duomo francese —, che custodisce fieramente le proprie radici ancora oggi.

È un panino il "compagno della giornata"
Tra i cibi, come specialità locali possiamo segnalare la "kalbshaxe" e la "schweinshaxe": la prima è una porzione di vitella, la seconda di maiale, cucinate alla maniera dell’ossobuco. C’è poi la zampa di maiale, che viene farcita con piselli passati e crauti (non è propriamente un piatto leggero...) e l’anguilla al prezzemolo. Ma il simbolo gastronomico per i berlinesi è una vivanda molto frugale che si chiama "stulle". Si tratta di un consistente tramezzino, formato da due fette di pane nero, di segale o integrale entro le quali si posa una grossa fetta di salame. La "stulle", che secondo l’adagio "si porta con sé, non si mangia", "riscalda" lo stomaco durante la pausa-pranzo dell’orario di lavoro continuato. Una dimostrazione del fatto che in fondo Berlino mantiene tracce del suo stile prussiano — anche nell’Ottocento quella degli Hohenzollern rimase la corte meno mondana d’Europa —, e confermata dalle altre passioni alimentari dei suoi cittadini: polpette fritte, aringhe e cetrioli marinati, carne tritata e uova sode (che si mangiano dopo averle tenute "a mollo" in acqua tiepida).

Ma fu davvero un "orsetto"?
Rivelatore dell’indole di Berlino e dei berlinesi, se vogliamo, è lo stesso nome della città, che si tramanda essere il giocoso diminutivo — storpiato — di "bär", "orso", e perciò significherebbe "orsetto". Ed infatti questo mammifero è il simbolo di Berlino, come la lupa lo è di Roma. Un’origine plausibile, essendo la città contornata di boschi e di foreste. Ma c’è un’altra ipotesi, di minor presa popolare: che bär fosse l’appellativo del margravio del Brandeburgo del XII sec. Alberto di Ballenstedt, detto l’Orso, probabilmente non in ossequio al suo carattere aperto.

La ricostruzione ripartì grazie alle donne
Quella che uscì dalla seconda guerra mondiale era una Berlino in cui abbondavano solo le macerie. Si calcola che in tutto rappresentassero un volume di oltre 67 milioni di metri cubi, per un peso di oltre cento milioni di tonnellate, prodotti dall’impatto sulla città di almeno centomila tonnellate di bombe (furono 70 mila da parte anglo-americana, i sovietici invece non fornirono cifre), che distrussero 48 mila edifici e ne danneggiarono altri 200 mila (23 mila in modo grave). Mancava l’elettricità, il gas, il carbone. Non si stampava un solo foglio di giornale, non si distribuiva la posta, non funzionavano i telefoni, non trasmetteva neppure uno straccio di "radio libera". E soprattutto, non c’era di che mangiare. Mancavano anche gli uomini. Tutti, tra i 18 e i 55 anni, erano stati incorporati dall’esercito nazista (negli ultimi giorni di combattimento in città si prelevarono persino i quindicenni) ed ora erano, per la stragrande maggioranza, o morti o prigionieri. La capitale del Terzo Reich, che sull’orlo del desiderato precipizio era abitata da oltre 4 milioni e 300 mila persone, ne contava alla fine del maggio ’45 2 milioni 800 mila. Una popolazione di donne, vecchi e bambini. C’era da liberare le strade da quelle rovine, mentre i cadaveri ammorbavano l’aria e si assisteva a centinaia di suicidi. Furono le donne a prendere l’iniziativa, avviando con le loro braccia la ricostruzione ed occupandosi della recisione degli alberi del Tiergarten e degli altri boschi cittadini per assicurare alle case la legna necessaria a superare il rigido inverno che si profilava. L’opera delle "Trümmerfrau", le "donne delle macerie" è stata così encomiabile da meritare da Berlino un monumento che le ricordasse.

1948-49: Berlino Ovest è accerchiata ed isolata.
La salva il ponte aereo

I berlinesi avevano appena ricominciato ad assaporare "sorsi" di normalità dopo il terribile 1945. La corrente elettrica era stata ripristinata e gli approvvigionamenti di carbone si potevano definire regolari. C’erano state anche libere elezioni amministrative, nell’ottobre del ’46. La città rimaneva però suddivisa in zone di occupazione e gli spostamenti da una all’altra — specialmente tra i tre settori occidentale e quello sovietico, e viceversa — non erano "passeggiate" sempre effettuabili. Si aspettava lo sviluppo degli eventi internazionali, che non promettevano nulla di positivo per Berlino. Infatti, dopo la Conferenza di Londra delle potenze occidentali, che auspicavano un’integrazione atlantica per la Germania di Bonn, avvenne il blocco di Berlino Ovest. L’occasione per la ritorsione sovietica fu fornita dalla decisione di includere quel settore nella riforma economica (un Deutsche Mark per dieci marchi anteguerra) varata per la Germania Occidentale. Mosca non venne interpellata e così, dal 24 giugno 1948, staccò la luce a Berlino Ovest (la centrale elettrica cittadina era nella zona sovietica) ed i camion di carbone e di viveri — beni che quella parte di città non era in grado di produrre in modo autoctono — non oltrepassarono più i checkpoint. Alcuni giorni dopo furono chiuse anche le vie di transito per la Germania "filo-atlantica". Berlino Ovest era accerchiata ed isolata. Forse il Cremlino sperava in tal modo di persuadere francesi, inglesi ed americani ad abbandonare la città e di lasciarla così completamente in mano dell’Armata Rossa e della Sed. Ma il governatore militare Usa, generale Clay, vide nelle pieghe dell’unico accordo firmato da Stalin e da Truman — quello che consentiva all’aviazione americana di sfruttare tre corridoi aerei per Amburgo, Hannover e Brunschweig —, la possibilità di aggirare il diktàt, continuando a garantire al settore le sue necessità, anche se nuovamente a lume di candela, e mantenendovi la presenza dei tre eserciti alleati d’occupazione. L’uovo di Colombo si chiamava "ponte aereo". Ne fu organizzato uno a ciclo continuo, capace di movimentare, in un vorticoso stop-and-go, ogni giorno velivoli per 600 corse, che trasportavano mediamente merci per 4500 tonnellate (ma si arrivò anche a 927 corse per 6400 tonnellate). Il ponte aereo durò — per sicurezza — fino alla fine dell’estate del ’49, anche se i sovietici avevano rimosso il blocco al principio di maggio. Il susseguente primo invio di merci dirette a Berlino Ovest via terra, provenienti dalla Germania Occidentale, avvenne nella notte tra l’11 e il 12 maggio. Al posto di frontiera fu improvvisata una specie di festa, presenti tutti i personaggi più illustri di quel pezzo di città, tra cui anche Willy Brandt, futuro borgomastro di Berlino Ovest e poi cancelliere a Bonn.
A mezzanotte tornò la luce nelle strade, nuovamente concessa da Berlino Est. Alle tre del mattino l’atteso autocarro; trasportava patate.

Le cose che fece Federico il Grande
Federico II il Grande, sovrano di Prussia tra il 1740 e l’86, dedicò molte attenzioni a Berlino. La dotò del servizio di carrozze pubbliche (sostituendo così con queste le portantine), e di un corpo dei vigili del fuoco, suddiviso in 24 compagnie. Vi fece impiantare le prime aziende tessili; realizzò diverse case per i poveri e gli orfani ed un ospizio per gli invalidi di guerra. Ebbe anche un altro merito — non trascurabile —: far affiggere finalmente agli angoli degli incroci delle insegne indicanti i nomi delle vie della città.

Berlino prussiana: niente divertimenti, ma molto osé...
I sovrani prussiani avevano fama di essere poco avvezzi al divertimento — modo edulcorato per dire che erano tendenzialmente avari —, e maniaci dell’ordine e della pulizia. Il più "arpagone", sicuramente Federico Guglielmo I (re dal 1713 al ’40), che aveva nella testa solo l’esercito. Per questo rese obbligatorio il servizio militare agli uomini residenti a Berlino; la coscrizione però favorì l’esodo dalla città di operai ed artigiani e così il re ritornò sui suoi passi. Nel ’27 vietò addirittura le danze e i giochi d’ogni genere. La proibizione per le feste da ballo sarebbe rimasta in vigore fino al ’79, quando fu abrogata da Federico II il Grande, il che permise ad un italiano, tale Tarone, di aprire la prima balera berlinese all’aperto.
Il decoro e l’igiene personale dovevano essere i segni distintivi di ogni buon suddito prussiano. Era pertanto passibile di multa la persona che veniva notata per le strade di Berlino, nel Settecento e nell’Ottocento, con il vestito macchiato. Ma questa "zelanteria sanitaria" non era malvagia, anzi. Il berlinese era infatti nel Settecento — secolo in cui non ci si lavava molto — il cittadino che curava maggiormente la persona in Europa, essendo stato educato tra l’altro a recarsi, almeno una volta al mese, ai bagni pubblici. Questi, organizzati prussianamente, non si perdevano dietro alle distinzioni uomo-donna (anche perché significava dover replicare per due volte il medesimo ambiente...) e ciò valeva anche per la sauna, frequentata senza indumenti. Non solo. Il senso pratico inculcato dagli Hohenzollern si manifestava nel XVIII sec. anche attraverso un’altra consuetudine: quella di raggiungere i bagni, già nelle giornate tiepide, partendo da casa praticamente nudi; solo il capofamiglia, che conduceva moglie e figli, si riservava la facoltà — e non sempre la esercitava — di vestire qualcosa. Oggi questi cortei adamitici Berlino non li offre più, ma molte saune sono ancora unisex.

Nacque a Berlino l’abitudine,
per i partiti di sinistra, di mettersi a... sinistra

Se oggi, quando parliamo di politica, indicando con "destra", "centro" e "sinistra", comprendiamo la collocazione ideologica di un partito, lo dobbiamo all’usanza dei deputati socialisti del parlamento imperiale di Berlino di sistemarsi, fin dalle prime sedute del 1871, sempre sui banchi di sinistra. Abitudine che di conseguenza regolò anche i posti delle altre formazioni politiche; queste si disposero in modo da riservare agli oppositori più oltranzisti del pensiero socialista — per impedire alle due fazioni di venire a contatto — i banchi all’estremità opposta, e i partiti rimanenti si ordinarono in mezzo tra gli uni e gli altri, scegliendo a loro volta dei vicini con cui condividere qualche affinità. Così si realizzò, quasi spontaneamente, il "ventaglio parlamentare", che sarebbe stato adottato via via da tutti gli emicicli assembleari europei frutto di libere elezioni.

"Scambi di cortesie" ai tempi del Muro
Le due Berlino trapassate dal Muro (dal 1961 all’89) hanno sedimentato l’immagine di due sorelle siamesi invisibili e incomunicabili l’una all’altra.
In realtà non è stato proprio così, e non solo perché i visitatori occidentali, sia stranieri che tedeschi, in tutti questi anni, hanno potuto — certo, non proprio indisturbati... — vedere cosa ci fosse "di là". Per molti si tratterà di una scoperta, ma mentre dai reticolati si sparava ai rinnegati cittadini della Ddr — sotto il fuoco hanno trovato la morte circa 200 vite umane — i due mondi collaboravano. Per convenienza o per necessità. Non venne mutilata la metropolitana sopraelevata, che anche durante i rigidi anni Sessanta faceva la spola tra i due settori, e la cui gestione (e i relativi proventi) era affidata al governo di Berlino Est. In cambio, l’autorità dell’Ovest ottenne il permesso di perforare il "suolo comunista" per rendere più diretti i collegamenti con i quartieri periferici della sua metropolitana sotterranea. Non solo. L’Ovest consegnava all’Est i suoi rifiuti, da cui invece riceveva l’energia elettrica necessaria alla sua parte di città. Esisteva buon vicinato anche fra polizie criminali (per la caccia a delinquenti comuni ed assassini), per il servizio postale e per la manutenzione dei canali navigabili.

Berlino al tempo di Hitler:
nazista sì, ma senza troppo trasporto

Sebbene fosse la capitale del Terzo Reich, Berlino non fu la città più "nazistificata" della Germania. Lo dimostrano due episodi. Il primo è una velenosissima frecciata che circolava a Berlino nel ’33-34 sul vecchio presidente Hindenburg, il quale alla fine aveva nominato Hitler cancelliere. "La Wilhelmstrasse [la via in cui abitava il presidente, ndr.] viene spazzata più volte al giorno — si diceva in giro per Berlino — perché se Hindenburg trova un pezzo di carta per strada, subito lo firma": chiaro il riferimento alla sua sudditanza nei confronti del nuovo sanguinario padrone della cancelleria. Considerato il clima politico dell’epoca, un po’ di coraggio ci voleva a concepire e diffondere quell’irriverente metafora di una verità sempre più tragica.
Il secondo episodio è rappresentato dalle ultime elezioni in qualche modo ancora libere che si disputarono a Berlino prima della guerra mondiale, quelle amministrative del 12 marzo 1933. L’incendio del Reichstag si era già verificato, le "leggi per la difesa del popolo tedesco" emanate, il rastrellamento di militanti comunisti compiuto: ci si aspettava una grande vittoria dei nazisti che invece ottennero "soltanto" il 38 per cento dei consensi. Fu il canto del cigno dell’opposizione al regime. Di Berlino e della Germania.


   
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