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SOMMARIO: a)
Abbattimento; b) Aperture; c) Attraversamento di condutture, cavi e tubature; e) Distanze legali; f) Facciata; g) In parte proprietà comune ed in parte proprietà esclusiva; h) Intercapedini; i) Luci; j) Muro di sostegno del giardino; k) Muro divisorio; m) Nozione di muri perimetrali; n) Parapetti alla sommità dell’edificio; o) Pareti esterne; p) Sopraelevazione; q) Spese; r) Utilizzo.
L’abbattimento di muro perimetrale
di edificio condominiale in cemento armato ad opera di un condomino -
ravvisabile anche nel caso in cui venga rimossa la muratura (di
tompagnamento) facente parte di detto muro - incidendo sulla sostanza
essenziale della cosa, non rientra nell’ambito dell’art. 1102 cod. civ., che,
nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione al fine di
salvaguardare l’interesse comune e quello dei singoli consente solo modificazioni
delle cose comuni nei limiti indicati, bensì costituisce innovazione,
soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120 cod. civ. La norma contenuta nell’art. 1102
c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi
della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto, gli attribuisce la
facoltà di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo
miglioramento ma non certamente quella di eliminarla, sia pure per
sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura. Ne consegue che
l’abbattimento di un muro portante di un edificio in condominio - sia pur
sostituito, come nella specie, da travi in ferro - incidendo sulla struttura
essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non può farsi
rientrare nell’ambito delle facoltà concesse al singolo partecipante alla
comunione dal citato art. 1102 c.c., ma costituisce vera e propria
innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120 c.c.
In tema di utilizzazione del muro
perimetrale dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino,
costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri
indicati negli artt. 1102 e 1122 del cod. civ., le aperture praticate dal
condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva
proprietà, esistenti nell’edificio condominiale, con altro immobile estraneo
al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro,
incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all’acquisto
di una servitù (di passaggio) a carico della proprietà condominiale. Qualora l’apertura del muro
perimetrale comune di un edificio condominiale sia eseguita dal singolo
condomino per mettere in comunicazione una unità immobiliare di sua esclusiva
proprietà con un’altra unità compresa in un diverso fabbricato, l’uso del
muro comune non può ritenersi consentito a norma dell’art. 1102 c.c. in quanto
non si risolve in un semplice maggiore suo godimento, ma integra una anormale
e diversa utilizzazione diretta a sopperire ai bisogni di un bene al quale
non è legato da alcun rapporto, venendo inoltre il muro e, quindi, le parti
comuni del fabbricato, quali le fondazioni ed il suolo di cui esso fa parte,
ad essere gravate da una vera e propria servitù a favore di un bene estraneo
al condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di
diritti reali immobiliari, è richiesta a pena di nullità la manifestazione
del consenso in forma scritta di tutti i partecipi. Costituisce uso indebito della
cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dell’art. 1102 cod. civ.,
l’apertura praticata da un condomino nel muro comune per mettere in
collegamento un vano dell’edificio condominiale con altro suo immobile
estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una servitù
a carico del condominio, per la cui costituzione è richiesto il consenso di
tutti i partecipanti alla comunione risultante da atto scritto a pena di
nullità. L’apertura di una porta o di una
finestra da parte di un condomino o la trasformazione di una finestra che
prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo mediante
l’abbattimento del corrispondente tratto di muro perimetrale che delimita la
proprietà del singolo appartamento non costituisce di per sé abuso della cosa
comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius
possidendi a tutti i condomini. Il condomino può aprire nel muro
comune dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti
solo se queste opere, di per sé non incidenti sulla destinazione della cosa,
non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio. Il comproprietario o compossessore
non può servirsi di un’area comune per accedere, attraverso un’apertura
appositamente creata in un muro divisorio comune, ad un immobile di sua
esclusiva proprietà o di suo esclusivo possesso, diverso dal fondo al cui
servizio l’area venne originariamente creata, perché ciò si risolverebbe
nella costituzione di una vera e propria servitù di passaggio su tale area,
ovvero in una molestia del compossesso altrui. L’apertura di varchi e
l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti
comuni dell’edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un
nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, di massima
non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli
altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far
parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, primo comma, c.c., e
rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si
correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità
immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento
di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del
suo proprietario. I muri che delimitano il complesso
condominiale, costituendone quindi il perimetro, non tollerano - abbiano essi
natura di muri portanti o meramente divisori - aperture, da parte di un
condomino, ove realizzando un passaggio con un immobile di appartenenza dello
stesso condomino ma estraneo al condominio, possano dar luogo, attraverso il
prolungato possesso, ad acquisto di servitù a carico dell’entità condominiale
che circoscrivono. Nell’applicazione delle regole di
cui all’art. 1102 cod. civ. il giudice non può limitarsi ad esaminare se le
modificazioni apportate dal condominio alla cosa comune per il migliore
godimento di questa o della sua proprietà singola siano o meno suscettibili
di compromettere la stabilità e l’estetica dell’edificio in base all’assetto
attuale; ma deve invece accertare, in base all’esame della destinazione
attualmente impressa in concreto alla cosa comune, nonché in base alle
ragionevoli prospettive offerte dall’oggettiva struttura, ubicazione e
destinazione delle proprietà individuali e tenendo conto, altresì, delle
aspettative desumibili dall’uso che ciascun condomino faccia della sua
proprietà o da allegati apprezzabili mutamenti, se siano prevedibili
modificazioni uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste
sarebbero pregiudicate dalle modifiche già attuate o in via di attuazione.
(Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, è stata
ritenuta corretta la decisione di merito che ha ritenuto legittima l’apertura
nel muro perimetrale comune di un accesso dal cortile comune alla proprietà
esclusiva del condomino non risultando impedito l’uso da parte degli altri
condomini né del muro perimetrale né del cortile). Il condomino di un edificio,
essendo comproprietario dell’intero muro perimetrale comune e non della sola
parte di esso corrispondente alla sua esclusiva proprietà, può apportare a
tale muro, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla
comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una
particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini
e, quindi, procedere anche all’apertura nel muro di un varco di accesso dal
cortile condominiale ai locali di proprietà esclusiva, purché non impedisca
agli altri condomini di continuare nell’esercizio dell’uso del muro o di
ampliarlo in modo e misura analoghi e non alteri la normale destinazione del
muro medesimo. In presenza di aperture nel muro
comune di un edificio in condominio eseguite da un condomino in
corrispondenza della propria proprietà individuale, il terzo estraneo al
condominio che da tali aperture subisca lesione nei propri diritti può
chiederne la modificazione o l’eliminazione nei confronti del singolo
condomino che l’apertura ha eseguito, ma non può, neppure citando in giudizio
l’intero condominio, invocare a fondamento del proprio diritto la violazione
del decoro architettonico dell’edificio condominiale a cui è estraneo, in
quanto il decoro architettonico rappresenta solo un limite fissato alla
facoltà, individuale e collettiva, di apportare modificazioni all’edificio
condominiale per il miglioramento, l’uso più comodo o il maggior rendimento
delle sue parti, di proprietà comune o di proprietà singola e che opera nei
soli confronti dei partecipanti al condominio e non è opponibile dai terzi. L’apertura di nuove finestre o la
trasformazione di quelle esistenti nel muro comune verso gli spazi condominiali
(nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare e illuminare i locali
interni che vi prospettano), in corrispondenza della proprietà del singolo,
costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù,
per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo
altrui (artt. 900. 907, cod. civ.), bensì quelle che consentono al condomino
di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa,
senz’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione, di non
alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di non
ledere i diritti degli altri condomini (artt. 1102, 1139
cod. civ.). L’apertura di un arco nel muro
perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino per
accedere in altra sua proprietà esclusiva, estranea al condominio,
costituisce un indebito uso di tale muro, in quanto ne altera la destinazione
e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale, assoggettandolo a
quel passaggio in favore di un bene non compreso in detto fabbricato,
suscettibile di tradursi nel corrispondente diritto reale a carico
dell’immobile condominiale. Il proprietario di un edificio e
del pertinente cortile, che sia comproprietario, insieme con il proprietario
di un edificio latistante, del muro di recinzione del cortile del quale
occasionalmente beneficia quest’ultimo edificio, non abbisogna a norma
dell’art. 1120 cod. civ. del consenso del partecipante alla comunione del
muro per aprire in esso un varco al fine di soddisfare il proprio particolare
interesse di accedere dal proprio stabile alla strada, ricorrendo
l’applicazione della norma dell’art. 1102 cod. civ. sull’uso della cosa
comune. Salva l’opposizione, per motivi di
sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al
condominio è consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure
no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora il muro comune assolva
anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un
condominio dalla proprietà individuale di altro condominio, ricorrono anche
gli estremi per l’applicabilità dell’art. 903, secondo comma, cod. civ., con
la conseguenza che, in tal caso, l’apertura della luce resta subordinata sia
alle condizioni ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di
condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti
alla comunione e alle regole stabilite circa l’uso delle cose comuni da parte
dei singoli condomini) sia, alla stregua del secondo comma del citato art.
903 cod. civ., al consenso del condominio vicino, in considerazione
dell’interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà
individuale. L’apertura di un vano nel muro
perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino in
corrispondenza dell’androne comune per accedere in altra sua proprietà
contigua, estranea al condominio, costituisce un indebito uso del muro
medesimo, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione del
fabbricato condominiale, assoggettandolo a passaggio in favore di bene non
compreso in detto fabbricato. L’apertura di finestre lucifere da
parte del proprietario di un piano o porzione di piano nel muro perimetrale
comune dell’edificio condominiale non comporta mutamento dell’essenza
strutturale e funzionale del muro stesso e deve perciò ritenersi operata
legittimamente anche senza il consenso degli altri condomini, sempreché non
sia vietata da convenzioni speciali o da norme del regolamento di condominio,
non pregiudichi il decoro, l’estetica o la stabilità dell’edificio e non
ostacoli l’esercizio del concorrente diritto degli altri condomini. La realizzazione di un’apertura
nel muro perimetrale dell’edificio condominiale, che metta in comunicazione -
senza pregiudizio per la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio -
l’appartamento di proprietà esclusiva con il giardino "annesso",
attuando un collegamento tra entità principale ed entità accessoria
costituenti un’unica entità condominiale, si configura come atto di godimento
rivolto ad una maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune. Il condomino di un edificio non
può, eseguendo una costruzione in aderenza al muro perimetrale comune,
chiudere un’apertura destinata a dare luce ad un vano di proprietà di altro
condomino, giacché l’art. 1102 c.c. gli vieta di attrarre nella sua sfera
esclusiva un elemento comune dell’edificio, con correlativo impedimento per
un altro condomino di continuare a farne uso in conformità alla sua
destinazione.
Nella controversia concernente la
legittimità di un’apertura praticata nel muro perimetrale di un edificio
condominiale da uno dei condomini, per mettere in comunicazione il proprio
appartamento con altro, di sua proprietà, posto in un edificio attiguo, oggetto
di diverso condominio, non è necessario integrare il contraddittorio nei
confronti di quest’ultimo. Non è consentito ad un condomino,
senza il consenso degli altri condomini, praticare nel muro perimetrale un’apertura
in modo tale da mettere in comunicazione due edifici completamente distinti
fra di loro. Ciascun condomino, purché nel
rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., può, senza necessità di
preventiva autorizzazione condominiale, aprire una porta nel muro comune. A differenza dalle innovazioni -
configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la
destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la
utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate
dall’assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell’interesse di tutti i
partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate
dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel
proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più
intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui
pari uso. Pertanto, è legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro
perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato all’apertura
di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la
demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva.
Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa
dall’assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento
dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a
questo tipo di utilizzazione del muro comune.
c) Attraversamento di condutture, cavi e tubature. Il comportamento della società di
distribuzione del gas che inserisce arbitrariamente e senza alcuna necessità
la diramazione per la fornitura del gas ad un utente condominiale anziché
nella "presa" già predisposta sulla montante di distribuzione
condominiale, in quella realizzata per l’utenza di un singolo condomino,
presenta i caratteri della turbativa e molestia del godimento cui ha diritto
quest’ultimo sulla parte dei muri perimetrali dell’immobile attraversati
dalle condutture del gas. L’esecuzione nei muri comuni di
tracce e canali per l’incasso degli impianti elettrici dei servizi di interesse
comune configura l’ipotesi di cui all’art. 1102 c.c. Le opere di canalizzazione murata
comprendenti gli impianti elettrici, gli impianti del telefono e quelli
dell’antenna televisiva non possono considerarsi delle innovazioni. Costituisce uso legittimo della
cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c.,
l’utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per
installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas.
nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori.
L’illegittima costruzione in
appoggio al muro perimetrale dell’edificio condominiale, eseguita dal
condomino che sia anche proprietario esclusivo del suolo adiacente a detto
muro, può dar luogo alla costituzione per usucapione di una servitù a favore
del fondo di proprietà esclusiva ed a carico di quello di proprietà
condominiale e, comportando un uso della cosa comune in violazione dell’art.
1102 cod. civ., costituisce una lesione del diritto di proprietà degli altri
condomini, la quale, salvi gli effetti dell’usucapione, è perseguibile senza
limiti temporali quanto al diritto di ottenere la rimozione dell’opera
illegittima, mentre il diritto al risarcimento del danno, conseguendo ad un
illecito permanente, dato dall’iniziale comportamento lesivo e dalla successiva
omessa eliminazione della situazione illegittima, soggiace a prescrizione pro
rata temporis. Non può essere ravvisata una
costruzione in appoggio, qualora tra i due muri vicini esista
un’intercapedine di cinque centimetri, ricoperta con lamiera per evitare le
infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia accertata l’interdipendenza
delle due strutture murarie per l’eventuale "ammorsamento" dei
solai di copertura ed il ridotto spessore del nuovo muro in corrispondenza
della più consistente struttura preesistente. In tema di appoggio di costruzione
al muro comune, l’art. 884 c.c. riguarda la comunione del muro che risulti
instaurata ovvero si presuma sussistere tra proprietari, in quanto tali, di
fondi finitimi, laddove non rientra nella sua fattispecie quella particolare
forma di comunione costituita dal condominio degli edifici, grazie alla quale
si trovi ad essere compartecipe della proprietà del muro maestro di un
fabbricato il proprietario esclusivo di un fondo confinante. Costui, dato che
i muri maestri dell’edificio condominiale sono destinati essenzialmente e
soltanto al servizio dell’edificio stesso, può utilizzarli, per il miglior
godimento del piano, o della porzione di piano, a lui appartenente, ma non
può avvalersene, senza il consenso degli altri condomini, per l’utilità
dell’altro, distinto immobile di cui egli solo, e non anche gli altri
condomini, vanta la proprietà; ciò comporterebbe, infatti, la costituzione di
una servitù a favore di un bene estraneo al condominio, costituzione che non
può legittimamente avvenire senza il consenso di tutti i comproprietari. Il diritto di comproprietà dei
condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ove uno dei
condomini, in violazione delle regole sui rapporti di vicinato abbia volto
l’utilità che può dare la cosa comune a vantaggio di altra diversa e distinta
sua proprietà contigua. (Nella specie uno dei condomini aveva costruito in un
cortile di sua esclusiva proprietà un manufatto in appoggio al muro
perimetrale comune). La nuova costruzione, che risulti
in appoggio (o in aderenza) non al muro in cui si apre la preesistente veduta
del vicino bensì ad un muro - a questo addossato - dello stesso proprietario
della costruzione, non è soggetta all’osservanza della distanza verticale di
tre metri dalla soglia della veduta prescritta dal terzo comma dell’art. 907
c.c., che trova applicazione solo nel caso di appoggio della costruzione al
muro nel quale si trova la veduta, bensì deve rispettare da questa la
distanza di tre metri in linea orizzontale misurata a norma dell’art. 905
c.c., come disposto dal primo comma dell’art. 907 c.c., ove la nuova
costruzione, anche se non raggiunga in altezza il livello della veduta, si
elevi in linea verticale oltre la distanza di tre metri dalla soglia della
veduta stessa. È in appoggio la costruzione che
scarica sul muro del vicino il peso degli elementi strutturali costitutivi di
essa, mentre è in aderenza quella che è posta in semplice e totale
combaciamento con il muro del vicino, rispetto al quale ha piena autonomia,
strutturale e funzionale, con la conseguenza dell’indipendenza del regime
giuridico delle due proprietà contigue, si che il perimento o la demolizione
dell’una possano verificarsi senza che l’integrità dell’altra ne sia
compromessa. Ciò premesso, deve ritenersi in appoggio anche la costruzione
che gravi col suo peso sulle fondazioni della fabbrica del vicino.
L’art. 884 c.c., è una norma
speciale di stretta interpretazione, che per la fattispecie da esso
disciplinata, deroga alle norme generali sulla comunione fra cui l’art. 1102 c.c.,
che regola l’uso della cosa comune. Nelle zone soggette alla legge 25
novembre 1962 n. 1684 (cosiddetta legge sismica) non possono trovare
applicazione le disposizioni dell’art. 884 cod. civ. che consentono al
comproprietario del muro comune di immettervi travi, nonché di attraversare
il muro "con chiavi e catene di rinforzo", trattandosi di
disciplina inoperante nelle zone sismiche per la prevalenza della relativa
specifica legislazione. A norma dell’ art. 884 c.c. - che
va applicato per intero, non per parti separate, in quanto l’ultimo comma
stabilisce le condizioni di illiceità, richieste, fra l’altro, per le
aperture di incavi nel muro comune previste nel primo comma - il
comproprietario, senza l’adempimento di alcuna preventiva formalità, può
legittimamente praticare nel muro comune gli incavi che non riescano di danno
o di pericolo per essi. Il comproprietario del muro comune
non può praticare incavi che oltrepassino la metà dello spessore del muro. La facoltà di innalzamento del
muro comune, prevista dall’art. 885 c.c., non può essere esercitata in
violazione delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute,
dall’art. 907 dello stesso codice. Pertanto l’innalzamento del muro comune
che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto,
destinate permanentemente ed inequivocamente all’esercizio della servitù di
veduta, non può essere consentito, risolvendosi in un impedimento
all’esercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo
dominante.
La facciata e il relativo decoro
architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dell’immobile e
così un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di
conseguenza la modifica della facciata, comportando una interferenza nel
godimento medesimo, può integrare una indebita turbativa suscettibile di
tutela possessoria. La facciata di prospetto di un
edificio - abbia o meno valore architettonico o decorativo - rientra nella
categoria dei muri maestri, dei quali è cenno espresso nel n. 1 dell’art.
1117 c.c., e forma, conseguentemente, oggetto di proprietà comune dei
proprietari dei diversi piani o porzione di piani riuniti in condominio; a
carico di tutti costoro, conseguentemente, deve porsi, in proporzione, la
spesa di rifacimento dell’intonaco. Ai fini della validità della
deliberazione dell’assemblea dei condomini che abbia disposto la esecuzione
dei lavori di rifacimento della facciata dell’edificio condominiale, è
necessario che il relativo argomento sia stato specificamente inserito
nell’avviso di convocazione dell’assemblea, in quanto, riguardando la materia
della amministrazione straordinaria del bene comune, non può ritenersi
compreso nella dizione "varie". Il criterio di ripartizione delle
spese di cui all’art. 1123 c.c., con riguardo all’ipotesi di cui al comma
secondo, può trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a
qualunque parte comune dell’edificio e quindi anche alla facciata, in guisa che
i condomini siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e
riparazione, non in base ai valori millesimali, ma in ragione dell’utilità
che la cosa comune sia obiettivamente destinata ad arrecare a ciascuna delle
proprietà esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente su
tutti i partecipanti alla comunione secondo il criterio generale di cui
all’art. 1104 c.c. solo se la cosa comune in relazione alla sua consistenza
ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed indiscriminatamente
i diversi piani o le singole proprietà. (Nella specie la S.C. ha ritenuto
correttamente applicato il principio surriportato con riguardo alla
ripartizione delle spese di riparazione della pannellatura della facciata di
un edificio, sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, l’una di
protezione verso l’esterno dei balconi di proprietà esclusiva dei singoli
condomini e di riparo dagli agenti atmosferici, l’altra di abbellimento della
facciata del fabbricato). La domanda proposta da un
condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in
pristino della facciata dell’edificio condominiale, ove comporti
l’accertamento del diritto del condomino convenuto di modificare
sostanzialmente la facciata dell’edificio in forza del proprio titolo
d’acquisto, essendo destinata ad incidere sui diritti su un bene comune degli
altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perché investe un
rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve
disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini
pretermessi a norma dell’art. 102 c.p.c. Non costituisce innovazione
gravosa o voluttuaria, ai sensi dell’art. 1121 cod. civ., il rivestimento in
travertino della facciata dello stabile condominiale fino all’altezza di m.
2,65; a maggior ragione non costituisce innovazione gravosa o voluttuaria il
rifacimento del rivestimento in marmo già esistente. Qualora un condominio sia formato
da parti edificali distinte, le spese per la imbiancatura delle facciate non
possono essere ripartite fra tutti i condomini in base ai millesimi di
proprietà. Deve considerarsi valida la
delibera assembleare che ha conferito all’amministratore l’incarico di
direttore dei lavori da eseguirsi sulle facciate condominiali. In materia di condominio i
proprietari dei boxes, situati in corpo di fabbrica separato e retrostante,
sono tenuti a contribuire alle spese di conservazione e di manutenzione della
facciata, indipendentemente dal fatto che essi debbano o meno passare
all’interno dell’edificio di cui essa faccia parte.
g) In parte proprietà comune ed in parte proprietà esclusiva. Qualora un muro sia in parte in
proprietà comune ed in parte in proprietà esclusiva, il comproprietario non
può effettuare opere sulla parte di sua proprietà esclusiva, che
pregiudichino la stabilità della parte comune.
A meno che non risulti
diversamente dal titolo, l’intercapedine creata dal costruttore tra il muro
di contenimento del terreno che circonda i piani interrati o seminterrati
dell’edificio ed il muro che delimita questi piani deve considerarsi comune
ai proprietari delle unità immobiliari dell’intero edificio quando sia in
concreto accertato che è destinata a fare circolare l’aria e ad evitare
umidità ed infiltrazioni d’acqua sia a vantaggio dei piani interrati o
seminterrati sia a vantaggio delle fondamenta e dei pilastri, che sono parti
necessarie per l’esistenza di tutto il fabbricato.
Ogni trasformazione che rende
interna una luce che prima era esterna, ne riduce, di regola, l’utilità
perché impedisce di ricevere luce ed aria direttamente dall’esterno, sicché, quando
la trasformazione riguarda il muro comune nel quale il condomino ha diritto
di mantenere la luce, illecitamente eccede l’ambito dei poteri di
utilizzazione della cosa comune, che l’art. 1102 c.c. riconosce ad ogni
condomino solo nei limiti in cui non sia alterata la destinazione della cosa
o impedito agli altri condomini di fare uso di tale cosa secondo il loro
diritto.
j) Muro di sostegno del giardino. In tema di condominio negli
edifici, la circostanza che un "muro di sostegno" di un giardino di
proprietà esclusiva sovrasti un sottostante terreno di proprietà
condominiale, adibito a passaggio, non è di per sé sufficiente all’inclusione
del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., con
le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione,
atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere funzione di
contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo
proprietario, può essere compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne
risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i
condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.
In tema di condominio negli
edifici, debbono comprendersi tra le parti dell’edificio necessarie all’uso
comune, di cui all’art. 1117 n. 1 cod. civ. – la destinazione delle quali, a
norma del precedente art. 1102, non può essere alterata dal singolo condomino
- le parti definite come tali dal titolo o aventi un’oggettiva attitudine al
servizio ed al godimento collettivo. Tra esse non rientra un muro, di ridotte
dimensioni, delimitante un terreno di proprietà esclusiva di un condomino,
ove risulti inidoneo a tutelare la sicurezza del condominio quale muro di
cinta, e idoneo soltanto a delimitare la detta proprietà esclusiva come muro
divisorio. Nell’ordinamento vigente non
esiste il principio della indivisibilità funzionale del muro divisorio:
questo «si presume» comune ma, per ciò stesso, può anche essere oggetto, per
convenzione o altro titolo, di proprietà divisa, in senso verticale od
orizzontale. La presunzione del muro divisorio
tra due edifici non viene meno per la demolizione di uno di essi. La comunione del muro divisorio
non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la proprietà
assoluta della metà del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale,
da considerarsi come linea di confine delle proprietà esclusive da esso
delimitate bensì nel senso che ciascuno di essi è proprietario, sia pure pro
quota, dell’intero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte
(identificandosi la linea di confine delle proprietà esclusive con il muro ed
il suolo comune); né la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa
venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che può
essere utilmente invocata ad ogni effetto da ciascuno dei partecipanti, con
la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente
dall’altro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo
le primitive sue caratteristiche, nonché al risarcimento del danno ed alla
restituzione della parte di suolo comune indebitamente attratta nella sfera
della signoria esclusiva dell’altro condomino, restando esclusa
l’applicabilità dell’art. 938 cod. civ., in tema di accessione invertita, che
è configurabile in relazione ad una porzione di fondo di proprietà esclusiva. La fatiscenza delle strutture
interne portanti di un edificio non può far sì che, per ciò solo, i muri
divisori o di "tamponatura" sottostanti a dette strutture, per il
fatto di assumere una funzione temporanea di sostegno delle medesime, diventino
comuni. Una tale situazione, priva di carattere di definitività e di
pertinenza, e che riproduce semplicemente uno stato anormale, di usura, o di
pericolo nella statica dell’edificio, impone semplicemente, a carico dei
condomini, l’obbligo di riparare le strutture originariamente portanti, e
divenute fatiscenti, senza incidere — in assenza di adeguati negozi o atti
giuridici — sulla condizione originaria dei diritti sulle strutture stesse o
su quelle adiacenti. I muri divisori tra le unità
immobiliari di proprietà esclusiva e quelle di proprietà comune negli edifici
in condominio non sono equiparabili né specificamente ai muri maestri né
genericamente alle parti dell’edificio necessarie per l’uso comune ai sensi
dell’art. 1117, n. 1, c.c.; i muri divisori suddetti sono soggetti, in
applicazione del criterio analogico, alla disciplina prevista dall’art. 880,
c.c., secondo cui si presume comune il muro di separazione tra entità
fondiarie finitime. (Nella specie, il condomino proprietario di un locale del
piano cantinato destinato a ripostiglio aveva abbattuto il muro di
separazione tra l’androne coperto di proprietà condominiale e il detto locale
per adibire quest’ultimo a garage. I giudici del merito avevano accolto la domanda
di rimessione in pristino e la Corte di cassazione, rigettando il ricorso, ha
enunciato il principio di cui in massima).
In tema di parti comuni
dell’edificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui all’art.
1117 c.c. rientrano i pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento
armato, i quali — ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da
pilastri ed architravi — sono anch’essi eretti a difesa degli agenti
atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica
dell’edificio. Né siffatta condominialità viene esclusa dall’essere addossato
ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno
degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente delineato dal proprio
muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilità che su
ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun ingerenza dell uno
sul muro dell’altro. Nel caso di costruzione in cemento
armato, l’espressione «muro maestro» contenuta nell’art. 1117, c.c., non va
riferita solamente all’intelaiatura di pilastri e di architravi che
costituisce l’ossatura dell’edificio, ma anche ai pannelli in muratura di
mattoni o di altro materiale che riempiono all’esterno i vani e compongono
insieme il primo edificio, che senza di essi sarebbe un vuoto scheletro privo
di funzionalità pratica.
m)Nozione di muri perimetrali. I muri perimetrali di un edificio
condominiale sono destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso di cui
costituiscono parte organica. Per tale loro funzione e destinazione possono
essere usati dal singolo condomino solo per il miglior godimento della parte
di edificio di sua proprietà esclusiva, ma non possono essere utilizzati,
senza il consenso di tutti i condomini, per l’utilità di altro immobile di
sua esclusiva proprietà non facente parte del condominio, in quanto ciò
implicherebbe la costituzione dì una servitù in favore di un bene estraneo al
condominio. Ne consegue che il condomino il quale voglia appoggiare al muro
condominiale una costruzione realizzata su suolo contiguo di sua proprietà
esclusiva non può farlo senza il consenso degli altri condomini, non essendo
applicabile la disciplina dell’art. 884 c.c. (costruzione in appoggio al muro
comune). I muri perimetrali dell’edificio
in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri
maestri al fine della presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod.
civ., in quanto determinano la consistenza volumetrica dell’edificio
unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici,
delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica
dell’edificio stesso. Pertanto, nell’ambito dei muri comuni dell’edificio
rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto
alle principali linee verticali dell’immobile. Poiché le moderne tecniche
costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato la funzione dei
muri perimetrali che non è più quella di assicurare la stabilità
dell’edificio bensì soltanto quella di delimitarlo esternamente, mentre la
funzione portante è esercitata dai pilastri e dalle architravi in
conglomerato cementizio, l’abbattimento da parte di un condominio di un
tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con porte scorrevoli
non comporta, di regola, un alterazione della sua normale destinazione,
vietata dall’art. 1102, c.c., ma costituisce uso normale lecito della cosa
comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta in volta
può assumere aspetti lesivi dell’integrità dell’edificio quando ne
comprometta la sicurezza o il decoro o altri essenziali caratteristiche. I muri perimetrali di un edificio,
anche se relativi a chiostrine o cortili su cui affaccino solo una parte dei
condomini, sono comuni a tutti i proprietari di unità immobiliari dello
stabile, in quanto, costituendo l’ossatura della costruzione, svolgono una
funzione di utilità comune, anche se, ovviamente, più intensa per coloro che
hanno appartamenti prospicenti su dette chiostrine o cortili. Pertanto, alle
assemblee condominiali che devono deliberare su argomenti interessanti i muri
perimetrali hanno diritto di partecipare tutti i condomini dello stabile e
non solo quelli che, per la particolare posizione delle loro unità
immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio particolare rispetto al
vantaggio generale e comune derivante dalla naturale funzione degli stessi. I muri perimetrali dell’edificio
in condominio — i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri
portanti, delimitano la superficie coperta, determinando la consistenza
volumetrica dell’edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli
agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica — sono
da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in
corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono
collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il
perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli
altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici. I muri perimetrali degli edifici
in cemento armato (cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono
compresi fra i muri maestri definiti comuni dal n. 1 dell’art. 1117 c.c.,
giacché, pur non avendo funzione portante, la quale negli edifici anzidetti è
assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte
organica ed essenziale dell’intero immobile che, senza la delimitazione da
essi operata sarebbe uno «scheletro vuoto» privo di qualsiasi utilità.
n) Parapetti alla sommità dell’edificio. Rientrano nell’ambito dei muri
condominiali, ex art. 1117 n. 3 cod. civ., anche i parapetti posti alla
sommità dell’edificio, svolgendo funzione di coronamento dell’intero stabile,
le cui spese di riparazione debbono essere ripartite fra i condomini ex art.
1123 cod. civ.; pertanto, la determinazione della maggioranza dei condomini
partecipanti all’assemblea di esonerare alcuni condomini dall’onere di spesa,
con pregiudizio per i proprietari gravati, costituisce una tipica violazione
dei diritti individuali sindacabili sotto il profilo della nullità.
Se possono presumersi oggetto di
proprietà comune anche i muri perimetrali di un edificio in condominio, in
quanto essi appaiono necessari all’esistenza ed alla statica dell’immobile,
sono escluse, invece, da tale presunzione le pareti esterne, le quali
abbiano, non già la funzione di sorreggere l’edificio, ma solamente quella di
chiuderne gli ambienti, rispetto a costruzioni nelle quali l’ossatura
dell’edificio sia costituita, anziché mediante muri, mediante altri sistemi
costruttivi (intelaiature in cemento armato o in altri materiali, colonnati,
pilastri ecc.). I muri di un edificio in condominio, che non esercitano
alcuna funzione statica, ma sono soltanto divisori di contigui fabbricati,
hanno un’utilità limitata a determinate parti dell’edificio e, interessando
in sostanza solo i titolari delle proprietà che delimitano, possono bensì
dare eventualmente luogo ad uno stato di comunione parziale tra i proprietari
degli appartamenti limitrofi, che vengono a trovarsi da essi divisi, ma non
possono essere considerati (salvo che il contrario non risulti dal titolo)
oggetto di proprietà comune di tutti i proprietari delle diverse porzioni
dell’edificio. I muri perimetrali di un edificio
condominiale sono oggetto di proprietà comune anche nelle parti in cui
delimitano un piano ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perché
anche in quelle parti essi adempiono strutturalmente a una funzione che
interessa tutti i partecipanti al condominio.
In tema di condominio di edifici,
nel caso in cui un muro portante appartenga in proprietà esclusiva ad uno
solo dei partecipanti al condominio, essendo esso comunque indispensabile per
l’esistenza dell’edificio, con la proprietà esclusiva del singolo concorre
una comunione di godimento in favore di tutti coloro i quali, nell’edificio,
sono titolari della proprietà solitaria dei piani o delle porzioni di piano,
con la conseguenza che tutti i condomini — i quali ricavano una utilità dalla
cosa, necessaria per l’esistenza e per la protezione dei loro immobili — sono
tenuti a contribuire alle spese per la con- con-servazione del muro in
questione in proporzione alle rispettive quote, secondo il principio generale
enunciato dall’art. 1123 primo comma c.c.
Mentre l’onere delle spese di
riparazione e ricostruzione del muro comune per quelle cause di
deterioramento dipendenti dal suo uso normale è, ai sensi dell’art. 882 c.c.,
a carico di tutti i comproprietari, in proporzione del diritto di ciascuno, e
si trasferisce, perciò, in capo a chiunque sia proprietario della cosa nel
momento in cui si presenta la necessità della riparazione o della
ricostruzione, l’onere delle spese provocate dal fatto di uno dei
partecipanti, essendo connesso alla responsabilità personale di questo, grava
esclusivamente sul soggetto che vi ha dato causa e non si trasferisce,
quindi, solo a causa del trasferimento del diritto reale, al condomino che
gli è succeduto. Le spese per il rifacimento o la
riparazione dei muri, che delimitino i giardini di singoli condomini con i
fondi confinanti, devono ritenersi a carico proporzionale di tutti i
partecipanti, in applicazione dell’art. 1123 primo comma c.c., qualora il
regolamento condominiale, di natura contrattuale, consideri detti manufatti
di proprietà comune, così convenzionalmente assimilandoli ai muri di cinta. In un edificio in condominio, le
scale — oggetto di proprietà comune a norma dell’art. 1117 n. 1 c.c., se il
contrario non risulta dal titolo — comprendono l’intera relativa «cassa», di
cui costituiscono componenti essenziali ed inscindibili le murature che la
delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la
funzione di pareti delle unità immobiliari di proprietà esclusiva cui si
accede tramite le scale stesse. Ne consegue che, anche quando i lavori di
manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle
murature svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei
proprietari specificamente interessati, la ripartizione delle spese deve
avvenire in base alla regola posta dall’art. 1124, primo comma, c.c., salvo
che (diversamente che nella specie pervenuta al giudizio della S.C.) oggetto
dei lavori siano non il vano scale nel suo complesso ma solo le murature
costituenti le pareti perimetrali delle unità immobiliari prospicienti il
vano scale (e quest’ultimo in tutto o parte delimitanti), poiché in tale
ultimo caso la ripartizione delle spese va effettuata mediante l’applicazione,
opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, secondo
comma, e 1124, primo comma, c.c.
L’utilizzazione, da parte del
singolo condomino, del muro perimetrale dell’edificio per le sue particolari
esigenze è legittima purché non alteri la natura e la destinazione del bene,
non impedisca agli altri condomini di farne uso analogo e non arrechi danno
alle proprietà individuali dei medesimi altri condomini. I muri perimetrali di un edificio
in condominio sono destinati all’esclusivo servizio dell’edificio
condominiale, del quale costituiscono parte organica, e non possono, per loro
natura, essere asserviti, se non nei modi consentiti dalla legge (atto
scritto e consenso di tutti i condomini), ad altro immobile di proprietà
esclusiva di uno dei condomini, costituente entità economica distinta
rispetto all’edificio condominiale. Con riguardo al muro perimetrale
di un edificio condominiale, il quale è oggetto di comunione per tutta la sua
estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a piani e ad appartamenti di
proprietà individuale, l’utilizzazione del singolo partecipante deve
ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca
agli altri condomini un pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche quando
implichi una lesione del diritto di altro partecipante sul bene di sua
proprietà esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che
toglieva luce ed aria ad un sottostante appartamento). Il principio secondo cui
l’utilizzazione di parti comuni e anche di muri divisori dell’edificio
condominiale per la realizzazione di impianti al servizio esclusivo
dell’appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia dell’art. 1102
cod. civ., sia delle norme del codice civile sulle distanze per evitare la
violazione dei diritti degli altri condomini sugli immobili di loro esclusiva
proprietà, non è applicabile nell’ipotesi di installazione degli impianti che
sono indispensabili per una effettiva abitabilità dell’appartamento secondo
la evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni
in tema di igiene. I muri perimetrali di un edificio
in condominio costituiscono oggetto di comunione pro indiviso per tutta la
loro estensione. Pertanto, il proprietario di ciascun piano può utilizzarli
anche nella parte corrispondente ai piani o porzioni di piano di proprietà
esclusiva di altri condomini, sia pure con il rispetto dei limiti posti
dall’art. 1102, c.c. Nel caso di edifici in condominio,
i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove
porte o vedute preesistenti o trasformando finestre in balconi o in pensili,
a condizione che l’esercizio della indicata facoltà, disciplinata dagli artt.
1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico
dell’edificio e non menomi o diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e
luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto
sussistente una sensibile diminuzione di aria e luce in danno
dell’appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di
balconi da parte dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al se
condo piano, in relazione anche alla giacitura particolare dell’edificio
condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto
della latistante via pubblica). -è consentita al condomino dall’
art. 1102 c.c. un’ampia utilizzazione della parte del muro perimetrale
corrispondente alla proprietà parziaria, come l’apertura di una finestra o di
una porta, oppure l’applicazione di un’insegna o targa pubblicitaria,
assoggettandola al duplice limite di non alterare la destinazione della cosa
comune e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto. Negli edifici i cui piani
appartengono a proprietari diversi, i muri perimetrali, salvo che il
contrario risulti dal titolo, sono comuni pro indiviso per tutta la loro
estensione: né consegue che, ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascun
proprietario dei diversi piani può servirsi, nel suo interesse, del muro
comune anche nella parte rispondente al piano di altro proprietario, purché
tale utilizzo, conformemente alla disposizione citata, non sia contrario agli
interessi della comunione e non impedisca l’esercizio degli altri
partecipanti. In tema di condominio di edifici
costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della
cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene
operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua
destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere
eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini
diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove invece, la
modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo
scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito
dell’art. 1102 c.c., che pur dettato in materia di comunione in generale, è
applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto
nell’art. 1139 c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione
di merito la quale aveva affermato che l’apertura di una porta da parte di un
condomino nel muro comune dell’andito di ingresso dell’edificio condominiale,
non alterava l’entità materiale del bene né modificava la sua destinazione,
ma integrava una consentita modificazione della cosa comune a norma dell’art.
1102 c.c.). |