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SOMMARIO: b) Combustibili; d) Distacco dell'impianto centralizzato; f) Impignorabilità degli impianti; h) Installazione dell'impianto; k) Obblighi dell'amministratore; n) Pannelli solari; o) Riattivazione e mantenimento in funzione; q) Sostituzione del bruciatore; r) Spese (ripartizione); s) Trasferimento della centrale termica; t) Trasformazione a gas metano; u) Trasformazione in impianti singoli: v) Tubazioni; w) Vigilanza; x) Vizi o difetti. Fa capo all'amministratore del condominio
l'obbligo, sanzionato penalmente, di denunciare al comando provinciale dei
vigili del fuoco l'installazione dell'impianto di riscaldamento al fine di
consentire il collaudo dell'impianto stesso. Il reato di omessa denuncia al
comando provinciale dei vigili del fuoco dell'installazione dell'impianto di
riscaldamento è di natura omissiva ed a carattere permanente.
Le disposizioni in materia di
combustibili contenute negli artt. 11, 12. 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti
termici industriali. La modifica del tipo di
alimentazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato da gasolio a
metano non costituisce un'innovazione ma, se l'impianto preesistente è
obsoleto o guasto, rappresenta una manutenzione straordinaria, mentre se il
preesistente bruciatore è ancora funzionante, la sua sostituzione rientra
nelle semplici modifiche migliorative dell'impianto, ove diretta a utilizzare
una fonte di energia più redditizia e meno inquinante. A ciò consegue che per
l'approvazione della relativa delibera non è richiesta la maggioranza
prevista dall'art. 1136, comma 5, del c.c.
Nel caso di attraversamento da
parte dei tubi dell'impianto termico condominiale di un vano di proprietà
esclusiva non fruente di detto impianto si deve ravvisare l'esistenza di una
servitù prediale di conduttura di liquidi a carico di tale vano ed a
vantaggio delle altre parti dell'edificio e non la semplice configurazione di
opere, installazioni e manufatti di uso e godimento comune ai sensi dell'art.
1117, n. 3 del codice civile, la quale presuppone gli estremi del reciproco
vantaggio con la conseguenza che per la sua costituzione non è sufficiente il
mero consenso verbale del proprietario del vano e la mancata opposizione alle
relative delibere condominiali, essendo richiesto per detto consenso la
prescritta forma scritta. Nel caso di attraversamento, da
parte dei tubi dell'impianto di riscaldamento condominiale, di un vano in
proprietà esclusiva sprovvisto di radiatori e quindi non fruente di detto
impianto, va ravvisata una servitù prediale di conduttura di liquidi, a
carico ditale vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio, e non la
situazione prevista dall'art. 1117, n. 3, cod. civ.. postulante l'estremo del
reciproco vantaggio. Per quanto si presumano di
proprietà esclusiva del condomino le condutture che si addentrano nei singoli
appartamenti, la trasformazione o la modificazione di tali condutture non può
essere liberamente effettuata dal condomino, quando essa si traduca in un
pregiudizio per gli altri partecipanti alla comunione modificandone i
diritti. Pertanto, il condomino non può variare, aumentandola, la superficie
radiante del proprio impianto di termosifone, collegato con l'impianto
centrale. In tema di condominio di edifici,
i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art.
1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini,
sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una
siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli
atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la
preveda. Pertanto non è consentito alla maggioranza dei condomini deliberare
una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell'impianto di
riscaldamento in un locale di proprietà esclusiva, con pregiudizio di tale
proprietà. senza il consenso del proprietario del locale stesso. La collocazione in un vano (o
altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle
tubazioni (o parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro
servizio comune, non rende di per sé quel vano insuscettibile di autonomo ed
esclusivo diritto di proprietà, salve le limitazioni di tale diritto -
contraenti corrispondenti servitù - correlata all'obbligo di consentire e
conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio ed a vantaggio
dell'intero edificio condominiale. Per gli impianti che servono
all'uso e al godimento comune, quali quelli per il riscaldamento, la
presunzione di comunione opera soltanto per tutta quella parte dell'impianto che
può ritenersi centrale, e non anche per le condutture derivanti che,
staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti,
in ordine alle quali vale, invece, la presunzione di proprietà esclusiva. La
trasformazione o la modificazione ditali condutture può essere liberamente
effettuata dal condomino soltanto se non si traduca in un pregiudizio degli
altri partecipanti alla comunione, il quale pregiudizio ricorre nell'ipotesi
in cui uno dei condomini aumenti la superficie radiante del proprio impianto
di termosifone. collegato con l'impianto centrale di riscaldamento, oltre la
misura prevista dal regolamento. In tal caso, trattandosi di un innovazione,
che importa una modificazione dei diritti dei condomini, il consenso alla
trasformazione delle condutture non può essere provato che mediante
scrittura. La semplice esistenza di una
servitù di conduzione di tubi nelle strutture murarie di appartamento. a
favore del condominio, non costituisce di per sé obbligo del singolo
condomino di contribuzione alle spese per il riscaldamento centrale. In conformità al disposto
dell'art. 1117. n. 3, cod. civ., la presunzione di comproprietà dell'impianto
per il riscaldamento opera soltanto per quella parte che può ritenersi
centrale e non pure per le condutture che, staccandosi dall'impianto
centrale, si addentrano nei singoli appartamenti e soddisfano, quindi,
unicamente le esigenze individuali di ciascun condomino; ne consegue che, per
le suddette condutture, vale la presunzione di proprietà esclusiva da parte
del condominio medesimo. La presunzione di comproprietà ex
art. 1117 c.c. dell'impianto centrale di riscaldamento fino al punto di
diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini non può
essere esclusa per il fatto che alcune unità immobiliari siano sprovviste di
diramazioni, giacché ciò che rivela al fine di escludere il concorso nelle
spese è l'obiettiva configurazione dei luoghi, tale da escludere di per se
stessa la potenzialità d'uso della cosa comune. Integra gli estremi dello spoglio
(e non della semplice molestia) e legittima l'esercizio dell'azione di
reintegra nel possesso da parte del conduttore di appartamento sito in
edificio munito di impianto centralizzato di riscaldamento il distacco da
siffatto impianto delle tubazioni sottostanti il citato appartamento operato
dall'amministratore del condominio, con conseguente interruzione dell'erogazione
di energia termica, solo allorquando l'intervento spogliativo, consistito
nella manomissione dell'impianto, sia stato effettuato su una parte
dell'impianto medesimo di proprietà esclusiva del singolo condomino (e,
quindi, di pertinenza del conduttore istante).
d) Distacco dall'impianto centralizzato. Qualora alcuni condomini decidano,
unilateralmente, di distaccare le proprie unità immobiliari dall'impianto
centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono sottrarsi al
contributo per le spese di conservazione del predetto impianto, non essendo
configurabile una rinuncia alla comproprietà dello stesso, ma, ove i loro
appartamenti non siano più riscaldati, non sono tenuti a sostenere le spese
per l'uso (nella specie, quelle per l'acquisto del gasolio), in quanto il
contributo per queste ultime è adeguato al godimento che i condomini possono
ricavare dalla cosa comune. Il distacco delle diramazioni
relative ad una o più unità immobiliari dell'edificio condominiale dall'impianto
di riscaldamento è consentito quando il condominio interessato provi che da
questo deriverà un effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio
e non si verificherà uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento
dell'impianto centrale stesso. L'impianto centrale di riscaldamento
è normalmente progettato, dimensionato e costruito in funzione dei
complessivi volumi interni dell'edificio cui deve assicurare un equilibrio
termico di base, prevenendo e distribuendo le dispersioni di calore
attraverso i solai e conferendo un apporto calorico alle parti comuni
dell'immobile. Conseguentemente, il distacco delle diramazioni relative a uno
o più appartamenti dall'impianto centrale deve ritenersi vietato in quanto
incide negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune determinando
uno squilibrio termico che può essere eliminato solo con un aggravio delle
spese di esercizio e conservazione per i condomini che continuano a servirsi
dell'impianto centralizzato. Il distacco è, invece, consentito quando è
autorizzato da una norma del regolamento contrattuale di condominio o dalla
unanimità dei partecipanti alla comunione, ovvero anche quando, da parte dei
condomini interessati al distacco, venga fornita la prova che da questo non
possa derivare alcuno dei suddetti inconvenienti. Posto che un impianto centrale di
riscaldamento destinato a riscaldare i vari appartamenti di uno stabile è
proporzionato nei suoi organi fondamentali (caldaia, bruciatore e tubazioni)
alla quantità di calorie necessarie a riscaldare l'intero stabile, il
distacco di una parte dell'impianto dalla centrale termica, così come la
creazione di un impianto autonomo di riscaldamento. concretano una
alterazione della destinazione della cosa comune e non già una delle
modifiche consentite dall'art. 1102 c.c., poiché in tal caso si altera la
destinazione della cosa comune, snaturandola o impedendone o compromettendone
la funzione che le è propria. In tema di condominio degli
edifici, il singolo condomino non può sottrarsi all'obbligo di concorrere,
secondo la ripartizione risultante dalle tabelle millesimali - suscettibili
di modificazione anche per fatti concludenti - alle spese di erogazione del
servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione
immobiliare dal relativo impianto, senza che rilevino in contrario né la L.
29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi energetici, né la
circostanza che il condominio stesso consti di più edifici Il singolo condomino non può, di
regola, mediante unilaterale rinunzia al servizio di riscaldamento, sottrarsi
all'obbligo di contribuire al pagamento delle spese di funzionamento di
impianto centralizzato di termosifone, sito in stabile condominiale: resta
salva l'eccezionale ipotesi in cui il condomino rinunziante dimostri che
l'esclusione dal riscaldamento di alcuni locali si risolva in una
proporzionale riduzione delle spese generali di esercizio. Il condomino non può distaccarsi
dall'impianto di riscaldamento centralizzato senza il consenso di tutti gli
altri condomini, né a seguito di ciò esimersi dall'obbligo di contribuire
alle spese per la prestazione di tale servizio. Il distacco delle diramazioni di
uno o più appartamenti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, con
conseguente esclusione dalle spese di gestione comuni, necessita del voto
favorevole di tutti indistintamente gli interessati al funzionamento
dell'impianto, e quindi non solo dei condomini, ma anche dei conduttori di
alloggi siti nel condominio. In caso di illegittimo distacco
dall'impianto centralizzato di riscaldamento, il condomino che ha operato il
distacco non è tenuto al riallaccio del nuovo impianto a quello centralizzato
se il suo comportamento è stato causato dalle omissioni del condominio (nella
specie il condominio non aveva provveduto per anni a mettere l'impianto
centralizzato in condizioni di fornire un sufficiente riscaldamento al
convenuto). Il distacco delle diramazioni
relative a uno o più appartamenti dall'impianto centrale è generalmente
vietato perché incide negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa
comune, determinando uno squilibrio termico che può essere eliminato solo con
aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini che
continuassero a servirsi dell'impianto centralizzato; il distacco è
consentito, quindi, solamente se venga fornita la prova che dal medesimo non
derivino i suddetti inconvenienti. Il distacco delle diramazioni
dall'impianto termocentralizzato incide negativamente sulla destinazione
obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che può
essere eliminato solo con una maggiore spesa di esercizio e conservazione per
i condomini che continuano a usare dell'impianto, per cui è da ritenersi
consentito solo quando è previsto dal regolamento contrattuale ovvero quando
avvenga col voto unanime dei partecipanti, oppure nel caso in cui
l'interessato al distacco dimostri che da questo non possa derivare alcun
inconveniente. Il distacco delle diramazioni
relative ad uno o più appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento,
qualora non venga provata l'assenza di inconvenienti per effetto di tale
distacco, deve ritenersi vietato in quanto incide negativamente sulla
destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico
che può essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e
conservazione per i condomini che continuano a servirsi dell'impianto
centralizzato. In caso di installazione di un
impianto autonomo di riscaldamento con distacco da quello centralizzato, la
rinuncia al servizio di riscaldamento e l'esonero dalla relativa spesa non
può essere determinata autonomamente ed unilateralmente ma, al contrario,
deve essere autorizzata dall'assemblea (con il quorum ex art. 1120 cod.
civ.), una volta verificata l'entità della riduzione di spese derivanti dal
distacco. Integra gli estremi dell'atto di
molestia e legittima l'esercizio dell'azione di manutenzione, ex art. 1170
cod. civ., il distacco operato da un condomino dall'impianto centralizzato di
riscaldamento, ciò costituendo alterazione della cosa comune, con conseguente
pericolo di possibili inconvenienti nella sua utilizzazione. Il distacco delle diramazioni
relative a uno o più appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento e
consentito quando il singolo interessato provi che il distacco stesso non
incida negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune,
determinando uno squilibrio termico e, al contrario, possa servire a porre
rimedio ad una situazione di inefficienza dell'impianto comune. Il distacco delle diramazioni
relative ad una o più porzioni immobiliari dall'impianto centrale di
riscaldamento è consentito soltanto quando i singoli interessati provino che
dal distacco derivi una effettiva proporzionale riduzione delle spese di
esercizio, senza che si verifichi uno squilibrio in pregiudizio del regolare
funzionamento dell'impianto. È ammissibile il distacco
dall'impianto centralizzato di riscaldamento condominiale allorquando, in
considerazione delle particolari caratteristiche tecniche dell'impianto,
comporti un'effettiva proporzionale riduzione del consumo, con esclusione di
aggravi di sorta per gli altri partecipanti al condominio. Non è censurabile l'installazione
di un impianto di riscaldamento autonomo aggiuntivo che non arrechi
pregiudizio a quello condominiale ma, qualora dal distacco derivi anche una
minima manomissione dell'impianto centralizzato, ne consegue la condanna alla
riduzione in pristino con collegamento all'impianto centralizzato nel momento
in cui esso venga rimesso in funzione.
La competenza sulla domanda di
sostituzione della griglia di aerazione della centrale comune di riscaldamento,
posta nella soglia di ingresso dell'edificio condominiale, al fine di evitare
inconvenienti nel transito, va determinata in base al valore perché non si
configura una controversia sulle modalità di uso del servizio condominiale
(art. 8 n. 4 c.p.c.), né una controversia sulla misura dei servizi del
condominio (art. 7 comma secondo c.p.c.).
f) impignorabilità degli impianti. Gli ascensori e gli impianti di
riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti
degli edifici nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi,
infatti, non hanno una funzione propria, ancorché complementare e subordinata
rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed unitaria
degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da
ciò consegue che l'ascensore e l'impianto di riscaldamento non sono
pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che l'opposizione con la quale il debitore deduca detta
impignorabilità, in quanto tendente a contestare il diritto del creditore di
agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell' art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.
La necessità di dare esecuzione ad
una legge imperativa che imponga la adozione di cautele o accorgimenti per
evitare l'inquinamento atmosferico (L. 13 luglio 1966 n. 615) non sottrae le
relative delibere dell'assemblea condominiale all'osservanza delle
maggioranze previste dall'art. 1136 c.c. qualora, per eseguire in concreto il
comando della legge, si debba far luogo ad innovazioni in senso tecnico, sia
a causa delle opere che per diretta conseguenza dell'applicazione di quelle
cautele e di quegli accorgimenti si rendono necessarie, sia a causa dello
stato dei luoghi condominiali, che debbono essere convenientemente modificati
per attuare quelle opere. La carenza, nell'impianto comune
di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la
sicurezza delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto
dalla combustione non impedisce alla assemblea di deliberare sulle relative
spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perché tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri
dell'amministratore (art. 1130 c.c.). In forza dell'art. 1131 cc.,
l'amministratore di un condominio deve osservare ed applicare tutte le
disposizioni legislative e amministrative che possono riguardare il
condominio stesso; fra l'altro, egli ha il compito, ai sensi dell'art. 1130,
n. 2 c.c., di disciplinare la prestazione dei servizi di interesse comune,
compreso quello del riscaldamento centrale. Di conseguenza la responsabilità
per l'impiego di combustibili proibiti dall'art. 13 L. 13 luglio 1966, n. 615
ricade esclusivamente sull'amministratore e nessun addebito può venir mosso
al singolo condomino, che pur abbia partecipato ad un'assemblea ove si sia
discusso del problema. Le disposizioni in materia di
combustibili contenute negli artt. 11, 12, 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti
termici industriali. Le disposizioni di attuazione
delle direttive Cee in materia di qualità dell'aria, contenute nel d.p.r. 24
maggio 1988, n. 203, sono esclusivamente rivolte agli impianti industriali, e
non ai titolari di impianti termici per il riscaldamento di ambienti civili.
h) Installazione dell'impianto. L'installazione dell'impianto di
riscaldamento, avvenuta successivamente alla costituzione del condominio, fa
escludere la presunzione di comproprietà dell'impianto stesso, di cui
all'art. 1117 cod. civ.
Il locatore ha diritto di accedere
all'interno di un immobile locato per provvedere alla lettura del contatore
dell'acqua al fine di ripartire le spese secondo le diverse unità immobiliari
servite.
La dichiarazione dell'assemblea
del condominio con la quale viene dato in locazione ad uno dei condomini il
locale condominiale in cui è sistemato l'impianto di riscaldamento ed
affidato allo stesso condomino la gestione del servizio di riscaldamento
richiede, ai fini della sua validità, la maggioranza semplice, avendo ad
oggetto la disciplina di un servizio volto al soddisfacimento dell'interesse
collettivo dei condomini, e non un'innovazione diretta all'uso più comodo o
al maggior rendimento di cosa comune. Nell'edificio condominiale,
l'impianto di riscaldamento centrale ed i locali ad esso destinati costituiscono
un complesso unitario, indivisibile.
k) Obblighi dell'amministratore. Soltanto nel caso di installazione
di un impianto termico centralizzato posto in edificio amministrato in condominio
l'obbligo di presentare idoneo progetto e di adempiere alle prescrizioni
della legge incombe sull'amministratore (e sarà necessario predisporre un
progetto unitario riguardante l'intero edificio riscaldato); nel caso,
invece, di installazione di impianti termici individuali tale obbligo grava
sul proprietario dell'alloggio e, quindi, dell'impianto.
Qualora l'installazione del
servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione
alle caratteristiche ed alla situazione logistica dell'immobile, non gravosa
né voluttuaria, tale innovazione, se approvata nei modi prescritti, è
vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un
locale dato in locazione, come il proprietario-locatore è tenuto a sostenere
pro quota le spese di impianto, parimenti il conduttore non può sottrarsi (trattandosi
di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di
esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio stesso, ancorché
questo sia stato introdotto nel corso della locazione, essendo l'aumento
degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 L. 27 luglio
1978 n. 392, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a
fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi è un obiettivo
miglioramento delle condizioni di utilizzabilità del bene. La legge n. 392 del 1978
(cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e
conduttore, senza innovare in ordine alla normativa generale sul condominio
negli edifici, sicché l'amministratore ha diritto - ai sensi del combinato
disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i
contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi
nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino,
restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole
unità immobiliari (contro i quali può invece agire in risoluzione il locatore
ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il mancato rimborso degli
oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di
riscaldamento ancorché questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del
condomino locatore, nelle delibere assembleari riguardanti la relativa
gestione. Il conduttore di un immobile ad
uso ufficio posto al piano terreno di uno stabile, ed insufficientemente
riscaldato nonostante il regolare funzionamento dell'impianto centralizzato
condominiale di riscaldamento, non può pretendere dal condominio la
realizzazione di modifiche all'impianto esistente o di un nuovo impianto
idoneo ad assicurare nei locali occupati temperature adeguate, né può vantare
analogo diritto nei confronti del locatore. ai sensi dell'art. 1575 cod.
civ., qualora la situazione lamentata dipenda dalle stesse caratteristiche
originarie dell'impianto (di tipo a pannelli radianti posati a pavimento), e
debba quindi considerarsi alla stregua di un vizio dell'immobile già
esistente all'inizio della locazione. È ammissibile il provvedimento di
urgenza che imponga al locatore di provvedere a proprie spese all'installazione
di un impianto autonomo di riscaldamento se l'originario servizio è venuto
meno per la decisione dell'assemblea dei condomini di sopprimere l'impianto
centralizzato esistente.
Ogni condomino ha il diritto di
ottenere che l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da
assicurare, nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento di tutti gli
appartamenti e ciò attraverso opportuni accorgimenti tecnici, quali una
differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla posizione,
struttura, esposizione e volumetria di ogni appartamento. Se peraltro le
caratteristiche di posizione, struttura ed esposizione di un appartamento
(nella specie, attico) siano tali da determinare nelle ore di interruzione
del funzionamento dell'impianto un calo della temperatura più accentuato che
negli altri appartamenti, al di fuori di qualsiasi deficienza
nell'organizzazione e conduzione del servizio, il condominio interessato ha
diritto di ottenere una maggiore fruizione del servizio comune - nei limiti
stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento degli impianti
termici - purché ciò sia consentito dalle caratteristiche dell'impianto e
possa effettuarsi senza pregiudizio o disagio per gli altri condomini,
restando a carico del richiedente la maggiore spesa derivante dal protratto o
più intenso funzionamento dell'impianto (anche in relazione all'eventuale
deterioramento) e quella che possa rendersi necessaria per la messa in opera
di strumenti o l'adozione di accorgimenti tecnici atti ad evitare un eccesso
di calore negli altri appartamenti. Qualora l'accensione anche di
notte dell'impianto di riscaldamento, in esito a controversia fra il
condominio ed il singolo condomino, venga prevista quale mera modalità
tecnica per assicurare a detto condomino un'erogazione di calore pari a
quella goduta dagli altri proprietari, il passaggio in giudicato della
relativa sentenza non osta a che l'assemblea successivamente deliberi di
spegnere l'impianto stesso nelle ore notturne, ove i nuovi accorgimenti di gestione
egualmente consentano il raggiungimento dell'indicato obiettivo. Determinare l'orario di
funzionamento del servizio di riscaldamento e stabilire la sua gestione
costituiscono modalità d'uso di un servizio condominiale, dal momento che si
tratta di stabilire i criteri per l'erogazione ditale servizio e per il suo
uso. La competenza relativa alle cause riguardanti tale materia spetta quindi
al giudice conciliatore ex art. 1 della L. Atteso che i rumori e le
vibrazioni prodotte dalle apparecchiature che alimentano la rete del
riscaldamento condominiale impongono l'adozione di particolari accorgimenti
idonei a riportare nei limiti della normale tollerabilità tali inconvenienti,
l'impianto di riscaldamento deve rimanere fermo dalle ore 22 alle ore 7 ed
inoltre, al fine di ridurre la rumorosità per il periodo in cui si faccia uso
ditale impianto, devono essere adottati gli accorgimenti suggeriti dal
consulente tecnico. La domanda diretta ad invalidare
una delibera assembleare nella parte riguardante l'orario di funzionamento
del servizio di riscaldamento e la gestione di esso non introduce una
controversia sulle modalità d'uso dei servizi condominiali di cui all'art. 1
della L. n. 399/1984, sibbene sulla misura dei servizi del condominio di case
di cui all'art. 2 della citata legge, ed è, pertanto, di competenza del
pretore. -è annullabile per eccesso di
potere, ai sensi dell'art. 1130 n. 2 cod. civ., la delibera assembleare che
abbia statuito l'accensione dell'impianto centralizzato di riscaldamento
dalle ore 16 alle ore 22, con esclusione delle ore mattutine, in quanto è
regola generale (anche alla luce della L. n. 645/1983) che il riscaldamento
vada erogato soprattutto nelle ore più fredde della giornata, che sono quelle
di prima mattina e di sera, nelle quali v'è maggior pericolo che le condizioni
climatiche possano procurare danni alla salute di coloro che vivono
nell'edificio e quindi all'interesse della comunione. In materia di servizio di
riscaldamento organizzato in un edificio in condominio mediante una centrale
termica comune, l'efficienza e la funzionalità dell'impianto sono
direttamente strumentali alla normale abitabilità delle singole porzioni
immobiliari. Ogni condomino, quindi, ha diritto di ottenere che l'impianto di
riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare nelle ore di accensione
un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti, e ciò mediante opportuni
accorgimenti tecnici, e anche per mezzo di una maggiore fruizione del
servizio comune, nei limiti stabiliti dalle norme generali che regolano il
funzionamento degli impianti termici.
L'installazione da parte di un
condomino di pannelli solari su parte comune dell'edificio condominiale
(nella specie, sul lastrico di copertura del vano scale), che non alteri la
cosa comune e non impedisca agli altri comproprietari di farne parimenti uso
secondo il loro diritto, non costituisce innovazione, né a norma dell'art.
1120 cod. civ., né a norma del successivo art. 1121, ma legittimo uso della
cosa comune.
o)Riattivazione e mantenimento in funzione. In tema di condominio negli
edifici, è legittimo, da parte dei condomini, il ricorso al procedimento ex
art. 700 cod. proc. civ., nel caso in cui il loro diritto al riscaldamento
può subire un danno grave ed irreparabile, sussistendo pericolo di un
concreto nocumento all'integrità psico-fisica dei medesimi in conseguenza
dell'inerzia degli amministratori relativamente alla riattivazione e al
mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato di riscaldamento a
gasolio, nonostante la rigida stagione invernale in atto.
L'installazione di due pompe per
lo smaltimento delle acque dell'impianto di riscaldamento di un condominio
costituisce una modifica migliorativa dell'impianto termico esistente, che
non incide sulla cosa comune, mutandone la funzione o la destinazione: conseguentemente,
la relativa deliberazione - come pure la sua successiva revoca - può essere
adottata dall'assemblea dei condomini senza la maggioranza qualificata
prescritta per le innovazioni.
q)Sostituzione del bruciatore. La sostituzione del bruciatore
dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in cui
il bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di
straordinaria manutenzione, in quanto diretto a ripristinare la funzionalità
dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso,
mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle
innovazioni, se ha lo scopo di consentire l'utilizzazione di una fonte di energia
più redditizia, più economica o meno inquinante. (Nella specie, si trattava
della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore
alimentato da gas metano). La spesa per la sostituzione della
caldaia ben può essere legittimamente suddivisa secondo i millesimi della
tabella di riscaldamento, essendo evidente che gli stessi sono proprio
deputati al calcolo delle diverse proporzioni di uso tra i vari utenti.
In tema di condominio, ai fin
della ripartizione delle spese di riscaldamento, l'unico criterio base che
sia conforme al principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. è
quello della superficie radiante. In tema di ripartizione delle
spese del servizio condominiale di riscaldamento, i criteri stabiliti dai
commi primo e secondo dell'art. 1123, cc. possono essere derogati - secondo
quanto sancisce la detta norma - soltanto da una convenzione sottoscritta da
tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede
assembleare con la unanimità dei consensi dei partecipanti alla comunione; e
pertanto non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a
maggioranza. di porre in via provvisoria le spese di riparazione degli
impianti singoli a carico indistintamente di tutti i condomini. Con riguardo all'impianto di
riscaldamento installato in un fabbricato condominiale, l'indagine diretta a
stabilire se il singolo partecipante, che non usufruisca del servizio di
riscaldamento (nella specie. in quanto proprietario esclusivo di negozi), sia
ugualmente comproprietario di detto impianto, e, quindi, in applicazione
dell'art. 1123 cod. civ., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla
sua conservazione, va condotta in base ai criteri fissati dall'art. 1117 cod.
civ. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che
la comunione di detto impianto, ove debba essere negata in base alla citata
norma, può essere riconosciuta, per effetto di diversa previsione del
regolamento condominiale, solo se esso abbia natura contrattuale, perché
predisposto dall'originario unico proprietario e poi accettato con i singoli
atti di acquisto. ovvero perché adottato con il consenso unanime di tutti i
partecipanti, manifestato nelle dovute forme. L'indagine diretta a stabilire se
il singolo partecipante al condominio (nella specie, proprietario di
un'autorimessa), che non usufruisce del servizio di riscaldamento, sia
ugualmente proprietario di detto impianto e, quindi, in applicazione
dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere alle spese inerenti alla sua
conservazione o al rifacimento, va condotta in base ai criteri fissati
dall'art. 1117 c.c. per l'individuazione delle parti comuni dell'edificio.
Cosicché, limitandosi la proprietà comune dell'impianto di riscaldamento al
punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini,
qualora manchi detta diramazione, poiché non esiste la possibilità che i
locali medesimi fruiscano del riscaldamento, l'impianto non può considerarsi
destinato alloro servizio. L'obbligo del condomino di
contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle
parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune
e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella
comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, primo comma, c.c.);
con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato
di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un
esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto,
dato che il condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un
diritto di natura contrattuale sinallagmatica e, quindi, non può sottrarsi
dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione
del servizio. Il singolo condomino non è
titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti
del condominio relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e,
pertanto, non può sottrarsi dal contribuire alle spese di gestione del
servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi,
allegando la mancata o insufficiente erogazione di quel servizio, né può
proporre azione di danno contro il condominio per il mancato promovimento
dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto,
posto che il condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi
diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di
comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorità
giudiziaria nel caso di inerzia dell'amministrazione del condominio a norma
dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al
condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 c.c. In tema di condominio degli
edifici, qualora il bene comune, come l'impianto di riscaldamento, si trovi
in situazione di inscindibilità materiale o funzionale con i manufatti
afferenti alle porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini (nella
specie, trattandosi di impianto realizzato con serpentine inserite nei
solai), il potere del regolamento, e, correlativamente, dell'assemblea dei
condomini nel rispetto del regolamento, di provvedere in ordine alla gestione
di detto bene comune (nella specie, ripartendo fra tutti i condomini le spese
di riparazione delle serpentine dei singoli appartamenti) non resta escluso a
causa della inevitabile incidenza riflessa di tale gestione su quelle
proprietà esclusive. Qualora un regolamento di condominio - avente natura contrattuale per essere stato richiamato espressamente, quale parte integrante, negli atti di acquisto delle singole unità immobiliari facenti parte del condominio - stabilisca che i condomini sono tenuti a sostenere le spese necessarie per la manutenzione e l'esercizio dell'impianto di riscaldamento anche nelle diramazioni interne dei singoli appartamenti prevedendo espressamente anche che tali diramazioni sono di proprietà comune, non trova applicazione ai sensi dell'art. 1138 ultimo comma cod. civ. la regola sancita dal secondo comma dell'art. 1123 stesso codice, a norma della quale le cennate spese vanno commisurate al coefficiente di utilità derivante a ciascuna unità immobiliare dal servizio di riscaldamento, con la conseguenza che le spese di manutenzione straordinaria e quelle conseguenziali di restaurazione dell'immobile non possono far carico per intero al condomino proprietario dell'appartamento nell'ambito del quale è stato necessario intervenire, bensì per esse si configura l'obbligo di ripartizione fra tutti i condomini, secondo la regola generale dettata dal primo comma dell'art. 1123 cod. civ. per le spese di manutenzione delle cose comuni. * Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4717, Cond. V. Cornagg. c. Soc. Conca MI. La deliberazione con cui
l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di
riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli
cespiti, in violazione della disposizione del regolamento di condominio che
pre-vede il riparto volumetrico della spesa, non è affetta da nullità bensì
soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel
termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri
generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c. In tema di ripartizione delle
spese del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio, la qualità
dell'uso che un singolo appartamento può fare del servizio stesso, a norma
dell'art. 1123, secondo comma, c.c., va calcolata, ai fini della
determinazione della spesa, in rapporto alla capacità potenziale di
assorbimento, e cioè, in forza del fabbisogno obiettivo dell'appartamento
stesso, secondo uno dei tanti criteri possibili (numero dei radiatori o delle
bocchette, massa o superficie irradiante, superficie irradiata, cubatura
degli ambienti, contatore, ecc.) con la conseguenza che procedutosi a tale
determinazione del fabbisogno, non può apportarsi alcuna diminuzione alla
correlativa spesa proporzionale per effetto di ragioni particolari (nella
specie: temperatura degli appartamenti dell'ultimo piano del fabbricato
inferiore a quella degli altri che determinano quel fabbisogno o che lo
aumentano rispetto ad appartamenti di eguale estensione od eguale cubatura). In tema di ripartizione delle
spese condominiali attinenti al servizio centralizzato di riscaldamento di un
edificio adibito ad uso abitativo, che costituito da due appartamenti sia in
comunione pro indiviso tra due comproprietari, trova applicazione la
disciplina dettata per la comunione dall'art. 1104 c.c., con la conseguenza
che ogni comproprietario è obbligato a sostenere le spese stesse in
proporzione al valore della sua quota, indipendentemente dal concreto
vantaggio che tragga dal detto servizio e senza possibilità di sottrarsi a
quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove tale rinuncia possa produrre
effetti pregiudizievoli per l'altro comproprietario. Le spese per la conservazione
dell'impianto centrale di riscaldamento (nella specie, determinate dalla
necessità di adeguare l'impianto alle nuove prescrizioni tecniche di cui alla
L. n. 615 del 1966) sono a carico di tutti i condomini che possono fruire del
relativo servizio, in rapporto al valore della proprietà individuale di
ciascuno (art. 1123, primo comma, c.c.). a differenza delle spese di
esercizio, che vanno ripartite in proporzione dell'uso e della utilità che
ciascuno può realizzare dal servizio comune, qualora si tratti di cose
destinate a servire i condomini in misura diversa (art. 1123, secondo comma,
c.c.). Ne consegue che anche i condomini, i cui locali siano privi di
radiatori attualmente allacciati all'impianto centrale, sono tenuti a
concorrere nelle spese di manutenzione straordinaria dell'impianto centrale
di riscaldamento, secondo la disciplina contenuta nell'art. 1118 c.c. La ripartizione delle spese del
riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, deliberata
dall'assemblea o disciplinata dal regolamento condominiale, è in contrasto con
l'art. 1123, primo capoverso, c.c. - secondo cui, per le cose destinate a
servire i condomini in misura diversa, le spese vanno ripartite in
proporzione all'uso che ciascuno può farne - soltanto se debba essere
effettuata in base al valore della proprietà delle singole quote, ovvero in
base ad un diverso criterio che appaia inidoneo, per la sua evidente
irrazionalità, a fissare un congruo rapporto fra la spesa e l'uso
individuale. Qualora, invece, questo rapporto possa essere attuato con più
sistemi pratici che, come i tre metodi adottati nella prassi edilizia e
rispettivamente fondati sulla estensione della superficie irradiata o sulla
cubatura degli appartamenti o sul numero degli elementi radianti, attuano, in
modo più o meno soddisfacente riguardo alle circostanze del caso, il precetto
di legge, la preferenza accordata, in concreto, ad uno di essi non è viziata
da illegittimità e sfugge, pertanto, al controllo del giudice, cui spetta
reprimere una deliberazione illegale, ma non sostituire alla deliberazione
legalmente adottata una più conveniente. senza invadere la sfera di autonomia
degli organi condominiali. All'assemblea dei condomini,
nell'ambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle cose, degli
impianti e dei servizi comuni previste dall'art. 1135 n. 2 c.c., deve
riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria, tabelle
millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i
relativi contributi a titolo di acconto e salvo conguaglio, qualora, in
seguito alle modifiche apportate da un condomino all'impianto di
riscaldamento all'interno del proprio appartamento, le tabelle originarie non
corrispondano alla nuova estensione degli elementi radianti. Con riguardo al risarcimento del
danno dovuto a norma dell'art. 1494 c.c. il credito dei comproprietari di un
bene unico ed indivisibile (nella specie, impianto di riscaldamento
condominiale) per il rimborso delle spese occorrenti alla sua riparazione,
deve considerarsi indivisibile perché, essendo indivisibile, per finalità e
funzione, la prestazione che ne è oggetto, indivisibile è anche il fatto ed
il risultato del ripristino; tale credito può essere pertanto fatto valere da
ciascuno dei comproprietari per l'intero, ai sensi dell'art. 1319 c.c. (salva
la successiva definizione del rapporto all'interno della contitolarità). Il criterio dell'addebito delle
spese di riscaldamento in base alla superficie radiante non è l'unico idoneo
a consentire una razionale e giusta ripartizione delle medesime, potendo ben
applicarsi qualsiasi criterio che con soddisfacente approssimazione consenta
una effettiva distribuzione delle spese in relazione alle caratteristiche
delle singole unità immobiliari e del beneficio effettivamente goduto. La carenza, nell'impianto comune
di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la
sicurezza delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto
dalla combustione non impedisce alla assemblea di deliberare sulle relative
spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perché tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri dell'amministratore
(art. 1130 .c.). Le spese di riscaldamento non sono
dal locatore ripetibili se non deliberate o comunque approvate dall'apposita
assemblea dei conduttori. Il criterio di ripartizione delle
spese del riscaldamento centralizzato in un edificio in condominio conforme
al criterio legale è, allo stato attuale della tecnica termica ed edilizia,
quello che assume come parametro la superficie radiante. Conseguentemente, la
delibera condominiale che adotti un diverso criterio (come quello del riparto
della spesa in proporzione alla cubatura), senza che ciò sia reso necessario
da peculiari caratteristiche dell'edificio o dell'impianto, lede il diritto
del condomino dissenziente alla intangibilità, senza il suo consenso, della
posizione soggettiva in ordine alle cose e ai servizi comuni, stabilita dalla
legge o dalle pattuizioni risultanti dal titolo di acquisto. La domanda con la quale il
conduttore di un immobile urbano richieda al locatore il rimborso delle spese
per opere di trasformazione del riscaldamento centralizzato in impianto
autonomo non rientra tra quelle relative alla straordinaria manutenzione o
alla conservazione dell'immobile che, a norma degli artt. 23-45 della L. 27
luglio 1972, n. 392, spettano alla competenza per materia del pretore, e deve
essere, quindi, proposta dinnanzi al giudice competente secondo il generale
criterio del valore della causa. Obbligato alla corresponsione
delle spese condominiali di riscaldamento è il proprietario dell'unità
immobiliare, e non il conduttore, qualora manchi la prova della qualità di
condomino apparente di quest'ultimo. Nelle locazioni degli immobili
urbani, i premi di assicurazione dello stabile, il compenso
dell'amministratore ed il concorso nelle spese di riparazione dell'impianto
di riscaldamento e di revisione dell'impianto antincendio non sono compresi
tra gli oneri accessori che l'art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a
carico del conduttore - salvo patto contrario - da valutarsi alla stregua del
divieto di pattuizioni dirette ad attribuire al locatore vantaggi in contrasto
con le disposizioni della predetta legge (art. 79, primo comma). Del pari
deve ritenersi escluso dalle spese a carico del conduttore l'ammortamento
degli impianti, quale deposito frazionato nel tempo di somme di danaro
necessarie per l'acquisto di nuovi impianti a seguito della vetustà di quelli
in uso, trattandosi di una destinazione patrimoniale nell'esclusivo interesse
del locatore, tenuto a mantenere la cosa locata in istato da servire all'uso
convenuto e, quindi, a prestare i relativi servizi. -è nulla la deliberazione
condominiale assunta a maggioranza avente per oggetto la modifica della
disposizione contrattuale del regolamento relativa al criterio di
ripartizione delle spese di riscaldamento, in quanto, in tal caso, la
possibilità di una modificazione presuppone il consenso unanime di tutti i
partecipanti al condominio. -è nulla la deliberazione
condominiale che fissi l'applicazione di un criterio di ripartizione di spese
per la sostituzione della caldaia del riscaldamento centralizzato con
riferimento alla tabella delle proprietà, diretta a determinare i valori in
millesimi da servire per la ripartizione di tutte le spese relative alle
parti comuni, che opera soltanto una elencazione di stile delle parti comuni
dell'edificio e "di quant'altro previsto dall'art. 1117 c.c.",
invece che fare riferimento alla tabella di ripartizione della spesa in base
all'uso del riscaldamento da ciascun condomino effettuato. L'adesione di tutti i condomini
all'esonero di quelli autorizzati dall'assemblea condominiale al distacco
dell'impianto di riscaldamento centralizzato dall'obbligo di contribuire
comunque alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto,
non richiede l'atto scritto ad substantiam, potendosi realizzare anche per
facta concludentia. In tema di locazione di immobili
urbani, appartiene alla competenza per materia del pretore, ai sensi
dell'art. 29 della L. 23 maggio 1950, n. 253 e dell'art. 10 della L. 26
novembre 1969, n. 833, la causa, iniziata anteriormente all'entrata in vigore
della L. 27 luglio 1978, n. 392, concernente le domande con le quali il
locatore, da un lato, chieda accertarsi la sussistenza o meno del suo obbligo
di contribuire alle spese di riscaldamento in considerazione del mancato uso
del servizio da parte del conduttore e, dall'altro, subordinatamente
all'accertamento di detto obbligo, chieda la condanna del conduttore al
pagamento delle dette spese direttamente all'amministrazione del condominio
ovvero alla restituzione di quanto anticipato dallo stesso locatore.
s) Trasferimento della centrale termica. La delibera con la quale
l'assemblea dei condomini decide di demolire e asportare l'impianto di
riscaldamento e di ricostruirlo ex novo in luogo diverso e con
caratteristiche del tutto differenti, anche se ispirata dalla necessità di
adeguare l'impianto alle prescrizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, recante
provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico, deve pur sempre ritenersi
relativa a vere e proprie innovazioni e non ad opere di manutenzione
straordinaria. (Nella specie il condomino lamentava che l'installazione della
nuova centrale termica comportava una sensibile menomazione dell'uso del
cortile comune, rendendo difficoltosa la manovra di accesso al garage di
proprietà esclusivo dell'attore).
t)Trasformazione a gas metano. E' valida la delibera assembleare
di trasformazione a gas metano dell'impianto di riscaldamento, adottata con
una maggioranza pari al 51% delle quote millesimali.
u)Trasformazione in impianti singoli. La delibera condominiale di
trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti
unifamiliari a gas, ai sensi dell'art. 26, comma 2, della legge 9 gennaio
1991, n. 10, in relazione all'art. 8. comma 1, lett. g) della stessa legge,
assunta a maggioranza delle quote millesimali è valida anche se non
accompagnata dal progetto di opere corredato dalla relazione tecnica di
conformità di cui all'art. 28. comma primo della legge stessa, attenendo tale
progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera. In tema di condominio di edifici,
la delibera dell'assemblea di eliminazione dell'impianto di riscaldamento
centralizzato per far luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il
consenso unanime dei condomini, senza che sia sufficiente la maggioranza di
cui al secondo e quarto comma dell'art. 1136 c.c., né quella di cui al quinto
comma dello stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una
radicale alterazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed
economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già
allacciate o suscettibile di allacciamento, che urta contro il limite
invalicabile di cui all'art. 1120, secondo comma, c.c., che vieta tutte le
innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino dissenziente. In tale ipotesi non può
trovare applicazione l'art. 5, quarto comma. della L. 29 maggio 1982, n. 308.
il quale dispone che, in caso di interventi su punti comuni di edifici volti
al contenimento del consumo energetico termico degli edifici stessi ed
all'utilizzazione delle fonti energetiche rinnovabili, sono valide le relative
decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali, atteso che presuppone
l'attuazione di un migliore uso o di un maggiore rendimento della cosa
comune, ma non il suo mutamento ex art. 1120, secondo comma, c.c. e tantomeno
la sua soppressione. In tema di condominio di edifici,
la delibera di rinuncia all'impianto centralizzato di riscaldamento nella
disciplina previgente alla L. 9 gennaio 1991 n. 10, configurando non una
semplice modifica, bensì una radicale trasformazione della cosa comune nella
sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per
tutte le unità immobiliari già allacciate o suscettibili di allacciamento al
medesimo, è soggetta all'art. 1120 secondo comma c.c., che vieta tutte le
innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino dissenziente, senza che in contrario
rilevi la disposizione dell'art. 5 della L. 29 maggio 1982 n. 308 (abrogata
dall'art. 23 della citata L. n. 10 del 1991), che si riferisce alla diversa
ipotesi di interventi su parti comuni di edifici volti al contenimento di
consumo energetico. L'amministratore del condominio è
passivamente legittimato in ordine alla domanda giudiziale del condomino
volta all'accertamento della invalidità della delibera assembleare relativa
alla trasformazione, secondo le previsioni della legge 9 gennaio 1991, n. 10,
dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari,
trattandosi di controversia riguardante un bene comune; ne deriva che in tale
ipotesi non occorre procedere all'integrazione del contraddittorio nei
confronti degli altri condomini, i quali peraltro restano sempre legittimati
ad intervenire in proprio o a proporre impugnazione. -è nulla la deliberazione
condominiale di trasformazione dell'impianto termocentralizzato in impianti
termosingoli adottata a maggioranza, qualora non sia accompagnata
dall'approvazione di un progetto delle opere da realizzare, redatto a cura
del proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo (normalmente
l'amministratore del condominio) e corredato dalla relativa relazione tecnica
di conformità, prescritti dalla L. n. 10/1991 in modo "da consentire ai
condomini dissenzienti di verificare che il sacrificio del loro diritto al
mantenimento del servizio comune risponda alle finalità ed alle prescrizioni
della legge stessa". -è nulla la deliberazione
condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento
adottata a maggioranza dei millesimi qualora non sia accompagnata
dall'approvazione di un progetto e della relativa relazione tecnica di
conformità prescritti dalla L. n. 10/91, in modo da consentire ai condomini
dissenzienti di verificare che il sacrificio del loro diritto al mantenimento
del servizio comune risponda alle finalità ed alle prescrizioni della legge
stessa. -è nulla la delibera condominiale
di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti
termoautonomi adottata con la maggioranza delle quote millesimali senza che
ciascun condomino sia stato reso edotto dell'effettivo contenimento dei
consumi energetici tramite la messa a disposizione del progetto e della
relativa relazione tecnica di conformità prescritti dalla L. n. 10/1991. In tema di trasformazione
dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti termoautonomi,
l'art. 26, n. 2 della L. n. 10/199 1 (disciplina di chiara valenza
pubblicistica che, come tale, è imperativa e prevalente su quella
privatistica) implicitamente deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., ritenendo
sufficiente e valida una delibera votata dalla sola maggioranza delle quote
millesimali, senza che vi sia alcuna necessità della maggioranza personale:
non è necessario nemmeno che tale delibera faccia riferimento al progetto
esecutivo, alla relazione tecnica e, più in generale, al rispetto della
normativa UNI e CEI. Per poter ritenere legittima ex L.
n. 10/1991 la delibera di trasformazione dell'impianto termocentralizzato si
richiede: a) l'acquisizione del relativo progetto a gas per il riscaldamento e
l'acqua calda; b) l'identificazione dei condomini che - ex art. 1121 c.c. -
abbiano dichiarato di non voler beneficiare della trasformazione; c) la
definizione precisa della pratica di trasformazione per la concessione del
contributo (preferibilmente unitaria); d) la ripartizione degli oneri
inerenti alla trasformazione. Una delibera assembleare che - in
applicazione della L. n. 10/1991 - approvi la trasformazione dell'impianto
centralizzato di riscaldamento in singoli impianti autonomi è legittima solo
se viene assunta in presenza di un progetto idoneo a stabilire sia la
concreta attuabilità sia l'effettiva convenienza, sotto il profilo del
risparmio energetico, di tale trasformazione. -è valida la delibera assembleare
(adottata a maggioranza dei millesimi) la quale, disponendo lo sgombero del
locale contenente la centrale termica al fine della sua sostituzione con
impianti termoautonomi, privi alcuni condomini che ne abbiano fatto richiesta
dell'uso dell'impianto centralizzato, di cui essi siano disposti ad assumersi
tutte le spese di gestione. Ciò in quanto la ratio della L. n. 10/1991, che è
quella di contenere il consumo di energia negli edifici, sarebbe vanificata,
dato che il funzionamento di una caldaia idonea a soddisfare i bisogni di un
intero condominio, ma utilizzata di fatto solo da alcuni condomini,
determinerebbe un consumo di energia molto elevato. Secondo il combinato disposto
degli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, per gli interventi in
parti comuni degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti
centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas metano, sono
valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali ed
ispirate ad una finalità di risparmio energetico e di riduzione del tasso
d'inquinamento, in sintonia ed in conformità con la ratio della L. n.
10/1991. Tali delibere non sono inficiate da nullità qualora la decisione
dell'assemblea sia stata assunta pur in mancanza di dati tecnici da cui
emerga la convenienza della trasformazione sotto il profilo del risparmio
economico, in quanto trattasi di questione attinente al merito della gestione
condominiale. La delibera dell'assemblea dei
condomini costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione
dell'impianto di riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas. la cui
validità non è condizionata dal preventivo approntamento e messa a
disposizione dei condomini del progetto e della relazione tecnica. In tema di condominio degli
edifici, la delibera di rinuncia non al mero servizio, ma all'impianto
centralizzato di riscaldamento, configurando non una semplice modifica bensì
una radicale alterazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale
od economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari
già allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, urta contro il
limite invalicabile di cui al secondo comma dell'art. 1120 cod. civ., che
vieta tutte "le innovazioni.., che rendano... parti comuni dell'edificio
inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino"
dissenziente, senza che possa rilevare la mancanza di assoluta
irreversibilità dell'adottata decisione, né la particolare onerosità del
mantenimento ed adeguamento degli impianti. In tema di condominio la delibera
assembleare di eliminazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato per
fare luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il consenso unanime
dei condomini, senza che sia sufficiente la maggioranza di cui al secondo e
al quarto comma dell'art. 1136 c.c., né quello di cui al quinto comma dello
stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una radicale
alterazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale o economica. In tema di condominio degli
edifici, la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in
impianti autonomi, richiede il consenso di tutti i condomini, giacché
l'abbandono dell'impianto centralizzato, la rinuncia alle precedenti modalità
di riscaldamento, la destinazione a nuovo impianto di locale idoneo, la
necessità di nuove opere e relativi oneri di spesa, non possono essere
imposti al condomino dissenziente, ai sensi dell'art. 1120, secondo comma. Il condominio può deliberare, con
la maggioranza qualificata di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c., che il
dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio
solo per il riscaldamento dei locali condominiali, trattandosi di un'attività
che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il
potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune. La delibera assembleare
costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione
dell'impianto di riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas,
procedimento che prevede anzitutto che, a cura del proprietario dell'edificio
o di chi ne ha titolo, sia redatto un progetto delle opere da realizzare,
corredato da una relazione tecnica, da allegare alla denuncia dell'inizio dei
lavori (art. 28), finalizzato al rilascio della certificazione e collaudo
delle opere (art. .29) e alla certificazione energetica dell'edificio (art.
30). In tema di riscaldamento di
condominio degli edifici, la delibera avente ad oggetto la rinuncia
all'impianto centralizzato di riscaldamento e l'installazione di impianti
autonomi è valida se adottata con la maggioranza indicata dal quinto comma
dell'art. 1136 cod. civ. purché l'installazione degli impianti autonomi non
comporti una spesa eccessivamente onerosa. La decisione di procedere
all'installazione di impianti di riscaldamento autonomo, in sostituzione
dell'impianto centralizzato a carbone non costituisce innovazione vietata ex
art. 1120 secondo comma c.c., quando l'assemblea condominiale abbia inteso
uniformarsi, con tale delibera, all'ordinanza del Sindaco che vieta
l'utilizzazione di impianti di riscaldamento a carbone e abbia accertato
l'impossibilità di trasformare l'impianto esistente se non a prezzo di oneri
estremamente gravosi. In tema di innovazioni ex art.
1120 cod. civ., la trasformazione dell'impianto termico condominiale in
impianti termo singoli, comportando la disattivazione dell'impianto
condominiale e la sua inutilizzabilità da parte dei condomini (ad esempio da
parte dei condomini dissenzienti) integra una fattispecie di innovazione
vietata poiché eccede i limiti della conservazione, dell'ordinaria
amministrazione e del godimento delle cose, ed incide sull'interesse di tutti
i condomini, anche se dettata da motivi tecnici. Gli assegnatari di alloggi di
edilizia pubblica residenziale possono costituire assemblee gestionali dei
servizi comuni, al fine di regolare le modalità della loro erogazione e del
loro uso, nonché della ripartizione delle spese ma non possono, invece,
adottare decisioni destinate ad incidere sulla struttura di un impianto
comune, alterandone l'originaria impostazione e modificandone la consistenza
e l'ambito degli effetti che gli sono propri. (Nella specie, trasformazione del
servizio centralizzato di riscaldamento con impianto autonomo). La delibera assembleare che,
avendo constatato lo stato di usura e la non conformità alle norme di
sicurezza antincendi di un impianto di riscaldamento centralizzato autorizza
i singoli condomini a procedere all'installazione di impianti singoli, non
arreca alcun pregiudizio al condomino dissenziente, posto che questi non
potrebbe comunque godere dell'impianto, ma consente soltanto ai condomini di
procurarsi l'utilità resa in precedenza dal bene comune con modalità
differenti, più comode e convenienti. E' valida la delibera assembleare
che, a maggioranza, disponga la sostituzione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento a gasolio con impianti autonomi a metano. La sostituzione della caldaia
dell'impianto autonomo di riscaldamento e produzione di acqua calda che non
comporti una spesa esorbitante è da ritenersi opera di manutenzione
straordinaria poco rilevante finalizzata al solo mantenimento dello stato di
conservazione e manutenzione del bene (art. 21, secondo comma, n. 6, L. n.
392/1978) e non di riparazione straordinaria di rilevante entità. Costituisce innovazione la
disattivazione definitiva dell'impianto centralizzato di riscaldamento ed
acqua calda con conseguente trasformazione in impianti di riscaldamento
autonomo, secondo le scelte da operarsi dai singoli condomini nell'ambito
delle rispettive proprietà esclusive. La trasformazione di un impianto
centralizzato di riscaldamento in impianti a gas di proprietà singola
(avvenuta in virtù di quanto dispone la L. 9 gennaio 1991, n. 10) esclude sia
sotto l'aspetto funzionale che sotto quello giuridico la conservazione attiva
del sistema termico trasformato, le cui componenti materiali rimangono solo
come semplici residuati per la opportuna rottamazione, non potendo la
minoranza dissenziente pretendere di lasciare attivo ovvero riattivare e far
funzionare a proprie spese l'impianto trasformato, in quanto ciò sarebbe
contrario alla ratio legis che è chiaramente quella della razionalizzazione
dell'energia sotto il triplice profilo termico, economico ed ecologico. La legge n. 10 del 1991 ritiene meritevole
di tutela agli effetti della determinazione della maggioranza dei consensi
solo la delibera di trasformazione dell'impianto, non pure quella che abbia
ratificato o autorizzi comunque distacchi isolati da parte di singoli
condomini e che rappresenterebbe certamente un'incoerente regola-mentazione
termoenergetica condominiale lasciando coesistere in maniera disordinata, con
dispersioni calorifiche e sprechi, due sistemi, quello termocentralizzato e
quello singolo, con conseguente alterazione e squilibrio termico del primo
non compensato dal secondo. La demolizione e asportazione
dell'impianto di riscaldamento e la sua ricostruzione con caratteristiche
diverse, anche se determinate dalla necessità di adeguamento dell'impianto
alle disposizioni che disciplinano la materia in relazione alle esigenze di
risparmio energetico e di tutela ambientale, costituisce vera e propria
innovazione. La relativa delibera non è perciò adottabile a maggioranza sia
pure qualificata (art. 1120 c.c.) ed è quindi illegittima se non ha ottenuto
il consenso di tutti i partecipanti al condominio. Sussistono entrambi i requisiti del
fumus boni iuris e del periculum in mora, che ne legittimano la sospensione,
nel caso di delibera di assemblea condominiale che a maggioranza stabilisca
la trasformazione dell'impianto comune di riscaldamento da centralizzato in
autonomo (fattispecie in cui la delibera condominiale era stata impugnata
sotto il duplice profilo formale, per violazione del combinato disposto degli
artt. 1136, sesto comma, c.c. e 67, secondo comma, att., e sostanziale, per
violazione dell'art. 1120. secondo comma, c.c.). Le disposizioni di cui agli artt.
8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, che prevedono che per gli interventi
in parti comuni degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti
di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas siano valide le delibere
assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali, sono da ritenersi
applicabili anche nel corso del processo iniziato prima dell'entrata in
vigore della stessa.
La collocazione in un vano (o
altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle
tubazioni (o parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro
servizio comune, non rende di per sé quel vano insuscettibile di autonomo ed
esclusivo diritto di proprietà, salve le limitazioni di tale diritto -
concretanti corrispondenti servitù - correlate all'obbligo di consentire e
conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio ed a vantaggio
dell'intero edificio condominiale. Il condomino di un edificio non
può operare, ostandovi gli artt. 1102 e 1120 c.c., innovazioni sul tratto di
pertinenza del proprio appartamento dell'impianto comune di riscaldamento
(nella specie: interrompendo il percorso delle tubature) in guisa da impedire
l'utilizzazione dell'impianto da parte degli altri condomini.
A norma dell'art. 1130. n. 2 cc.,
spetta all'amministratore disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione
dei servizi nell'interesse comune in modo che ne sia assicurato il miglior
godimento a tutti i condomini. In tale incombenza dell'amministratore rientra
la vigilanza sulla regolarità dei servizi comuni, anche per quanto attiene
alle interferenze con i singoli appartamenti, e il dovere di eseguire
verifiche e di impartire le necessarie provvidenze intese a mantenere integra
la parità del godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini;
pertanto, ben può essere disposta la sostituzione negli impianti di
termosifone centrale, esistenti nei singoli appartamenti, dei bocchettoni
liberamente manovrabili con detentori fissi, quando tale rimedio sia volto a
disciplinare l'uso del servizio da parte dei singoli condomini. E' configurabile la responsabilità
extracontrat-tuale ex art. 2043 c.c. del collaudatore di una caldaia per i
danni che siano derivati a terzi dal difettoso funzionamento dell'impianto,
sotto il profilo della inosservanza del dovere di diligenza, nel riscontro
della funzionalità dell'impianto stesso, ancorché installato da altri e del
consequenziale dovere di segnalare tempestivamente la deficienza riscontrata
o comunque riscontrabile.
Poiché a norma dell'art. 1122 c.c.
il limite alla facoltà di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano
(o porzione di piano di sua proprietà) si identifica in ogni danno
consistente nella diminuzione di valore della cosa comune riferito alla
funzione della cosa, considerata nella sua unità, costituisce danno per le
cose comuni anche il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con
il rischioso funzionamento o con la realizzazione imperfetta di un impianto autonomo
di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessità delle
operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilità di
recare danno all'impianto di riscaldamento centrale. Nel caso in cui l'insufficiente
riscaldamento di un appartamento dipenda da una deficienza
nell'organizzazione e conduzione dell'impianto di riscaldamento comune,
l'amministrazione condominiale è tenuta ad eliminare ogni vizio o difetto
dell'impianto, risarcendo il singolo partecipante danneggiato. Il singolo condomino, in quanto
detentore dei radiatori, è responsabile del non perfetto funziona-mento
dell'impianto di riscaldamento a causa dell'aria presente nei radiatori
medesimi e nei tratti di tubo che dal pavimento salgono fino alla valvola di
sfogo. Sono da ritenere responsabili sia
il tecnico installatore che il proprietario dell'immobile locato in caso di
decesso del conduttore dovuto all'imperfetto funzionamento dell'impianto
termico. Colui che installa uno scaldaacqua
alimentato a gas metano ha il dovere di predisporre tutte le opere e i
presidi suggeriti dalla buona tecnica, dalla prudenza e dall'esperienza, al
fine di rendere pienamente efficiente il sistema di smaltimento dei prodotti
della combustione e, in ogni caso, di verificare la funzionalità della canna
di esalazione ditali prodotti. L'osservanza di tale dovere prescinde
dall'evenienza che l'impianto di smaltimento sia realizzato al momento
dell'installazione ovvero preesista in quanto, prima di porre in attività
l'apparecchiatura. deve essere accertata l'idoneità funzionale e l'assenza di
condizioni foriere di danno per le persone. Colui che provvede alla installazione di un apparecchio pericoloso, quale è lo scaldabagno a gas, ha il dovere di adottare tutte le misure imposte dalla tecnica e dall'esperienza, maturate tra gli esperti o suggerite dalla comune prudenza, per assicurare il corretto funzionamento dell'apparecchio e prevenire danni alle persone. (Fattispecie in cui la morte della vittima era stata causata da un'acuta intossicazione da ossido di carbonio prodotto a sua volta dall'irregolare funzionamento del tubo di scarico dello scaldabagno a gas che era stato installato dall'imputato, ritenuto responsabile di omicidio colposo). |