DECRETO 4 luglio 2000.
Piano straordinario per l'assetto idrogeologico. 



ASSESSORATO DEL TERRITORIO E DELL'AMBIENTE

DECRETO 4 luglio 2000.
Piano straordinario per l'assetto idrogeologico.

L'ASSESSORE PER IL TERRITORIO E L'AMBIENTE

Visto lo Statuto della Regione;
Vista la legge regionale n. 2 del 10 aprile 1978;
Vista la legge regionale n. 71 del 27 dicembre 1978;
Vista la legge regionale n. 37 del 10 agosto 1985;
Vista la legge n. 183 del 18 maggio 1989: "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo";
Visto il D.L. n. 180 del 11 giugno 1998: "Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania", convertito in legge il 3 agosto 1998 con legge n. 267;
Visto il D.L. n. 132 del 13 maggio 1999, convertito in legge, con modificazioni, in data 13 luglio 1999 con legge n. 226;
Visto l'atto di indirizzo e coordinamento, previsto dal 2° comma dell'art. 1 del D.L. n. 180/98 e adottato con D.P.C.M. del 29 settembre 1998, che fornisce i criteri generali per l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico;
Visto, in particolare, il comma 1 bis dell'art. 1 del predetto D.L. n. 180/98, inserito con l'art. 9 della richiamata legge n. 226/99;
Viste le direttive emanate dall'Assessorato del territorio e dell'ambiente n. 13488 del 14 luglio 1998, n. 13450 del 14 luglio 1998 e n. 22824 del 10 dicembre 1998;
Visto lo schema del Piano straordinario per l'assetto idrogeologico trasmesso, con nota n. 21550/XLI del 17 novembre 1999, alla Giunta regionale per l'approvazione ai sensi dell'art. 1, comma 1 bis, del D.L. n. 180/98 e succ. mod. ed integrazioni;
Vista la deliberazione n. 329 del 6 dicembre 1999 della Giunta regionale, con la quale si approva il Piano straordinario di bacino per l'assetto idrogeologico;
Decreta:


Art. 1

E' adottato il Piano straordinario per l'assetto idrogeologico con cui vengono individuate le aree del territorio regionale soggette a rischio "molto elevato" o "elevato".
Sono parte integrante del suddetto Piano straordinario i sottoelencati atti ed elaborati:
-  relazione generale ed allegati normativi;
-  relazione Il territorio ed i bacini idrografici;
-  carte del dissesto idrogeologico, in scala 1:50.000;
-  carte del rischio idrogeologico, in scala 1:50.000.
Nelle allegate "Carte del rischio idrogeologico" in scala 1:50.000 sono individuate le aree a rischio idrogeologico "molto elevato" o "elevato" secondo la seguente classificazione:
-  Aree franose a rischio "molto elevato";
-  Aree franose a rischio "elevato";
-  Aree potenzialmente soggette a fenomeni di esondazione a rischio "molto elevato";
-  Aree potenzialmente soggette a fenomeni di esondazione a rischio "elevato".

Art. 2

Nelle aree individuate secondo la classificazione riportata nel precedente articolo sono adottate le misure transitorie di salvaguardia, così come previsto dall'art. 1 bis del D.L. n. 180/98, convertito con legge n. 267/98, integrata dalla legge n. 226/99, di seguito riportate.
Nelle aree classificate come aree franose a rischio "molto elevato" sono esclusivamente consentiti:
1.a) gli interventi di demolizione senza ricostruzione così come definiti dall'art. 5 della legge regionale n. 37 del 10 agosto 1985;
1.b) gli interventi di manutenzione ordinaria degli edifici, così come definiti alla lett. a) dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, così come recepita dall'art. 20, 1° comma, lett. a), della legge regionale 27 dicembre 1978, n.71;
1.c) gli interventi volti a mitigare la vulnerabilità degli edifici esistenti e a migliorare la tutela della pubblica incolumità, senza aumenti di superfici e volumi, senza cambiamenti di destinazione d'uso che comportino aumento del carico insediativo;
1.d) gli interventi necessari per la manutenzione ordinaria e straordinaria di opere pubbliche o di interesse pubblico e gli interventi di consolidamento e restauro conservativo di beni di interesse culturale, compatibili con la normativa di tutela;
1.e) le opere di bonifica e di sistemazione dei movimenti franosi;
1.f) le opere di regimazione delle acque superficiali e sotterranee.
Nelle aree classificate come aree franose a rischio "elevato", oltre agli interventi di cui al precedente com-ma, sono consentiti:
1.g) gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro, risanamento conservativo, così come definiti alle lett. b) e c) dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, così come recepita dall'art. 20, 1° comma, lett. b) e c), della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, senza aumenti di superficie e volume;
1.h) gli interventi di adeguamento igienico-funzionale degli edifici esistenti, ove necessario, per il rispetto della legislazione in vigore anche in materia di sicurezza del lavoro, connessi ad esigenze delle attività e degli usi in atto;
1.i) l'ampliamento o la ristrutturazione delle infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico esistenti, purchè compatibili con lo stato di dissesto esistente.
Nelle aree classificate come aree potenzialmente soggette a fenomeni di esondazione a rischio "molto elevato" sono esclusivamente consentiti:
2.a) gli interventi di demolizione senza ricostruzione così come definiti dall'art. 5 della legge regionale n. 37 del 10 agosto 1985;
2.b) gli interventi di manutenzione ordinaria degli edifici, così come definiti alla lett. a) dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, così come recepita dall'art. 20, 1° comma, lett. a), della legge regionale 27 dicembre 1978, n.71;
2.c) gli interventi volti a mitigare la vulnerabilità degli edifici esistenti e a migliorare la tutela della pubblica incolumità senza aumenti di superfici e volume, senza cambiamenti di destinazione d'uso che comportino aumento del carico insediativo;
2.d) gli interventi necessari per la manutenzione ordinaria e straordinaria di opere pubbliche e di interesse pubblico e gli interventi di consolidamento e restauro conservativo di beni di interesse culturale, compatibili con la normativa di tutela;
2.e) i cambi colturali, purchè non interessanti una ampiezza di 4 metri dal ciglio della sponda;
2.f) gli interventi volti alla ricostruzione degli equilibri naturali alterati e all'eliminazione per quanto possibile, dei fattori incompatibili di interferenza antropica;
2.g) le opere di difesa e di sistemazione idraulica;
2.h) la realizzazione di nuovi interventi infrastrutturali e nuove opere pubbliche a condizione che sia dimostrata l'assenza di alternative di localizzazione.
Nelle aree classificate come aree potenzialmente soggette a fenomeni di esondazione a rischio "elevato", oltre agli interventi di cui al precedente comma, sono consentiti:
2.i) gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro, risanamento conservativo, così come definiti alle lett. b) e c) dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, così come recepita dall'art. 20, 1° comma, lett. b) e c), della legge regionale 27 dicembre 1978, n.71, senza aumenti di superficie e volume;
2.l) Gli interventi di adeguamento igienico-funzionale degli edifici esistenti, ove necessario, per il rispetto della legislazione in vigore anche in materia di sicurezza del lavoro, connessi ad esigenze delle attività e degli usi in atto;
2.m) la realizzazione di nuove infrastrutture pubbliche e di interesse pubblico, nonché l'ampliamento o la ristrutturazione delle esistenti, purchè compatibili con lo stato di dissesto esistente.
Fra tutti gli interventi consentiti quelli contrassegnati ai punti 1.i), 2.h) e 2.m) sono subordinati ad una verifica tecnica, condotta anche in ottemperanza alle prescrizioni di cui al D.M. 11 marzo 1988, volta a dimostrare la compatibilità tra l'intervento, le condizioni di dissesto e il livello di rischio esistente, sia per quanto riguarda possibili aggravamenti di condizioni di instabilità presenti, sia in relazione alla sicurezza dell'intervento stesso. Tale verifica, redatta e firmata da un tecnico abilitato, deve essere allegata al progetto dell'intervento.

Art. 3

I comuni dovranno garantire la sicurezza dei singoli interventi edilizi e infrastrutturali evitando che gli stessi comportino un aggravio del dissesto idrogeologico in atto tenendo anche conto - in sede di rilascio di concessioni, autorizzazioni e nulla-osta relativi ad attività di trasformazione ed uso del territorio - delle misure di salvaguardia di cui all'art. 2 del presente decreto. Devono essere altresì attuati tutti gli accorgimenti previsti dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225, sulla Protezione civile ai fini della prevenzione e della gestione dell'emergenza per la tutela della pubblica incolumità.

Art. 4

Dalla data di pubblicazione del presente decreto con relativi allegati nelle aree classificate a rischio "molto elevato" o "elevato" non possono essere rilasciate concessioni, autorizzazioni e nulla-osta relativi ad attività di trasformazione ed uso del territorio che siano in contrasto con le prescrizioni di cui agli articoli precedenti. Sono fatti salvi gli interventi già autorizzati, sempre che i lavori relativi siano già stati iniziati alla data della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio. Al titolare della concessione il comune ha facoltà di notificare la condizione di pericolosità rilevata.

Art. 5

I comuni sono onerati di provvedere, entro trenta giorni dal ricevimento del presente decreto e della cartografia allegata, alla loro pubblicazione all'albo pretorio per quindici giorni consecutivi, nonchè a trasmettere alla Regione siciliana, Assessorato del territorio e dell'ambiente, Gr. XLI - Difesa del suolo, la certificazione dell'avvenuta pubblicazione.

Art. 6

Il Piano straordinario può essere integrato e modificato ai sensi dell'art. 1 bis del decreto legge n. 180 del 1998 e successive modifiche ed integrazioni, in relazione a successivi studi, ricerche e/o segnalazioni. Nel caso in cui le informazioni di maggiore dettaglio disponibili documentino una situazione di dissesto locale diversa da quella rappresentata nell'allegata "Carta del dissesto idrogeologico", in relazione all'evoluzione dei fenomeni e/o alla realizzazione di interventi di mitigazione del rischio, i comuni ne danno comunicazione alla Regione siciliana, Assessorato del territorio e dell'ambiente - Gr. XLI - Difesa del suolo.

Palermo, 4 luglio 2000.
                                                                                                                        MARTINO


Allegati
RELAZIONE GENERALE

PREMESSA
In attuazione delle disposizioni emanate dallo Stato con le leggi n. 267/98 e n. 226/99, la Regione siciliana ha avviato la prima fase di un processo più ampio e complesso inteso a dare uno strumento di governo del territorio finalizzato alla tutela del rischio idrogeologico.
Il presente documento costituisce, infatti, il Piano straordinario per l'eliminazione del rischio idrogeologico molto elevato o elevato, previsto dall'art. 1 bis del D.L. n. 180/98, così come integrato dalla legge n. 226/99. Esso costituisce l'avvio per passare dalla gestione dell'emergenza alla gestione della prevenzione attraverso una programmazione del territorio che tenga conto della sua vulnerabilità.
Con il Piano straordinario viene operata una prima individuazione di aree a rischio molto elevato o elevato che consenta, per tali aree, di adottare gli opportuni accorgimenti di prevenzione e di mitigazione.
Al tempo stesso, con il Piano straordinario, sempre in relazione a quanto disposto dalla legge n. 226/99, si da l'avvio dell'eleborazione del Piano di rischio idrogeologico stralcio del Piano di bacino, previsto dalla legge n. 183/89.
Ai fini della predisposizione del Piano straordinario, si è prima effettuata una ricerca delle potenziali aree a rischio basandosi soprattutto sulla acquisizione delle conoscenze circa gli eventi passati o presenti.
I dati raccolti quindi sono stati analizzati ed organizzati pervenendo così ad una prima individuazione delle aree a rischio e valutando per tali aree le misure di salvaguardia.
La fase di elaborazione del Piano straordinario ha comportato una rilevante attività di ricerca, acquisizione, elaborazione di informazioni sparse e detenute da enti diversi. E' stato quindi necessario interessare le amministrazioni locali, la cui risposta non è stata sempre pronta ed esaustiva, ma che ha al tempo stesso evidenziato quanto sia importante un loro maggiore coinvolgimento e sensibilizzazione.
La fase di ricerca non è quindi da considerarsi conclusa ma anzi è da considerarsi iniziato un processo dinamico, anche in funzione della nuova scadenza (30 giugno 2001), per la redazione del Piano di rischio idrogeologico.

1. QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
L'11 giugno 1998 il Consiglio dei Ministri emana il D.L. n. 180: "Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella Regione Campania", convertito nella legge n. 267 del 3 agosto 1998.
Ritenuta, in primo luogo, la straordinaria necessità ed urgenza di emanare delle disposizioni per le zone della Campania colpite dai disastri del 5 e 6 maggio 1998, il D.L. n. 180/98 dispone che entro il 30 giugno 1999, le Autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale e le regioni, ove le prime non siano presenti, adottino, qualora ciò fosse già avvenuto in applicazione alla legge n. 183/89, Piani stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico.
La definizione di Piano di bacino è già contenuta nella legge n. 183/89; esso innanzitutto individua nel bacino idrografico l'ambito fisico di riferimento per gli interventi di pianificazione territoriale e si pone come obiettivo sia la pianificazione sia la programmazione di interventi e la definizione di regole gestionali per la difesa e la valorizzazione del suolo e per la difesa della qualità delle acque.
Il piano ha una duplice valenza, conoscitiva e programmatica.
Come strumento di natura conoscitiva esso rappresenta e delinea un quadro di informazioni, in continuo ampliamento ed approfondimento, da cui emergono le criticità ambientali, lo stato qualitativo e quantitativo delle risorse, le situazioni di emergenza territoriale e settoriale ed i problemi sociali.
Questo quadro conoscitivo si avvale anche dell'acquisizione di strutture finalizzate alla raccolta ed alla gestione delle conoscenze (sistemi di monitoraggio, sistemi informativi, strutture di controllo e loro gestione). La funzione conoscitiva del piano riguarda, infine, la delineazione del quadro mutevole dei bisogni e dei problemi del bacino e l'elaborazione delle linee strategiche di intervento. La valenza conoscitiva del piano costituisce la base di riferimento per lo svolgimento dello stesso come strumento programmatico, cui compete l'elaborazione di programmi di intervento a termine basati sulla priorità, sulle risorse disponibili, sulla capacità operativa delle strutture preposte agli interventi e sullo stato delle conoscenze acquisite in precedenza.
Con la legge n. 493/93, emanata ad integrazione della legge n. 183/89, si prevedeva che le autorità di bacino, in attesa dell'approvazione del Piano, potessero adottare misure di salvaguardia di tipo inibitorio e cautelativo laddove vi fossero situazioni non disciplinate e tutelate dalle vigenti leggi.
Il DPCM 23 marzo 1990, il DPR 7 gennaio 1992 ed il DPR 18 luglio 1995 costituiscono ulteriori riferimenti normativi nei quali sono già contenute le informazioni necessarie alla redazione dei Piani di bacino.
Si definiscono così i bacini idrografici di valenza nazionale, regionale, interregionale, pilota e si stabiliscono i limiti amministrativi delle autorità di bacino e i contenuti della programmazione delle attività conoscitive e le modalità di rappresentazione delle informazioni disponibili.
I contenuti dei DPR prima citati rimangono validi nell'applicazione del D.L. n. 180/98 per riguarda:
-  lo stato delle conoscenze, descritto ed analizzato puntualmente;
-  l'individuazione e la caratterizzazione degli squilibri territoriali (risorse idriche del suolo e dell'ambiente acquatico, attività estrattive ed insediative, situazioni a rischio idraulico, geologico e sismico);
-  le azioni propositive (obiettivi ed elaborati di piano).
Nella legge n. 183/89 e nei suoi aggiornamenti il Piano è quindi inteso in senso globale e la sua individuazione non può prescindere dalla conoscenza dell'intero territorio sia per quanto riguarda le sue caratteristiche naturali (fisiografiche, geologiche, geomorfologiche, etc), sia le problematiche ambientali e socio-economiche, sia il tipo e la disponibilità delle risorse.
Infatti il D.L. 180/98 impone che i piani stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico vengono redatti ai sensi del comma 6 ter dell'art. 17 della legge n. 183/89 e successive modifiche ed integrazioni.
Le novità rispetto alla normativa precedente stanno nell'immediatezza sia della fase conoscitiva che nella programmazione delle misure di salvaguardia (art. 1).
Dalla necessità di restringere i tempi di acquisizione delle informazioni scaturisce quanto dettato dal terzo comma dell'art. 1 che dispone che in tempi molti brevi (60 gg. dall'entrata in vigore del D.L. n. 180/98) le Amministrazioni statali, gli enti pubblici, le università e gli istituti di ricerca comunichino a ciascuna regione di appartenenza i dati storici e conoscitivi del territorio e dell'ambiente, in loro possesso.
L'immediatezza nell'adozione delle misure di salvaguardia è dettata anche dalle norme contenute nel comma 2, art. 1, che definisce i programmi di intervento urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico nelle zone nelle quali la maggiore vulnerabilità del territorio si lega a maggiori pericoli per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale.
L'art. 2 del D.L. n. 180/98 pone l'accento sul potenziamento delle strutture tecniche, specificando (comma 2) che per lo svolgimento delle funzioni di indagine, monitoraggio e controllo nella prevenzione del rischio, le Regioni possono assumere personale tecnico da destinare all'attuazione dei compiti definiti dal D.L. n. 180/98.
L'atto di indirizzo e coordinamento, previsto dal secondo comma dell'art. 1 ed adottato con D.P.C.M. 29 settembre 1998, fornisce i criteri generali per l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio che tengono conto, "quale elemento essenziale per l'individuazione del livello di pericolosità, la localizzazione e la caratterizzazione di eventi avvenuti nel passato riconoscibili o dei quali si ha, al momento presente, cognizione".
L'analisi di rischio deve considerarsi come il prodotto di tre fattori fondamentali:
-  la pericolosità o probabilità che l'evento calamitoso accada;
-  il valore degli elementi a rischio (persone, beni, patrimonio ambientale..);
-  la vulnerabilità degli elementi a rischio (intesa come capacità di sopportare le sollecitazioni e l'intensità dell'evento).
In esso vengono considerati come elementi a rischio innanzitutto l'incolumità delle persone e, con carattere di priorità:
-  gli agglomerati urbani, comprese le zone di espansione urbanistica;
-  le aree su cui insistono insediamenti produttivi, impianti tecnologici di rilievo, in particolare quelli definiti a rischio, ai sensi di legge;
-  le infrastrutture a rete, le vie di comunicazione di rilevanza strategica, anche a livello locale;
-  il patrimonio ambientale e i beni culturali di interesse rilevante;
-  le aree sede di servizi pubblici e privati, di impianti sportii e ricreativi, strutture ricettive ed infrastrutture primarie.
L'atto di indirizzo e coordinamento dispone quindi che le attività vengano articolate in tre fasi corrispondenti a diversi livelli di approfondimento:
-  fase 1: individuazione delle aree soggette a rischio idrogeologico, attraverso l'acquisizione delle informazioni disponibili sullo stato del dissesto;
-  fase 2: perimetrazione, valutazione dei livelli di rischio e definizione delle conseguenti misure di salvaguardia;
-  fase 3: programmazione della mitigazione del rischio.
In questa fase, si dovrà sviluppare l'analisi, nelle aree perimetrate, fino al grado di dettaglio sufficiente a consentire l'individuazione, la programmazione e la progettazione preliminare degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
Vengono inoltre distinte le aree a rischio idraulico da quelle a rischio di frane e valanga, individuando, per ciascuna di esse, le tre fasi operative di lavoro e definendo quattro classi di rischio a gravosità crescente da moderato a medio, elevato e molto elevato.
Le misure di salvaguardia costituiscono un capitolo a sé nell'atto di indirizzo e coordinamento. Esse consistono principalmente nel sottoporre a vincolo temporaneo le aree a rischio idrogeologico e illustrano gli indirizzi per le norme di salvaguardia delle aree a rischio idraulico e di frana elevato e molto elevato.
Sui programmi di intervento urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico si definiscono, infine, i criteri generali e gli elementi essenziali per l'istruttoria dei progetti; essi verranno coordinati con i piani stralci di bacino.
Successivamente, il testo del decreto legge 13 maggio 1999, n. 132 coordinato con la legge di conversione 13 luglio 1999, n. 226 recante "Interventi urgenti in materia di protezione civile", all'art. 9 modifica il D.l. 180/98, inserendo dopo il comma 1, art. 1, un comma successivo (1 bis) nel quale si definisce: "Entro il 31 ottobre 1999, ... le Regioni approvano ... piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a rischio più alto, redatti anche sulla base delle proposte delle regioni e degli enti locali" ... "I piani straordinari contengono in particolare l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico molto elevato per l'incolumità delle persone e per la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale" ... "I piani straordinari approvati possono essere integrati e modificati ... in particolare con riferimento agli interventi realizzati ai fini della messa in sicurezza delle aree interessate".

2. LE APPLICAZIONI DEL D.L. N. 180/98 IN SICILIA
2.1. L'acquisizione dei dati
La Regione Sicilia, e in particolare l'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente, in seguito all'emanazione del D.L. n. 180/98, ha attivato una serie di iniziative mediante le quali si è pervenuti ad una migliore conoscenza e pianificazione delle aree a rischio idrogeologico.
Tali iniziative, che applicano fedelmente le disposizioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento, hanno permesso di raccogliere una certa quantità di informazioni riguardo ai fenomeni franosi ed alluvioni di tutto il territorio regionale.
Esse sono riassumibili essenzialmente nell'emanazione di alcune circolari assessoriali (allegati nn. 1, 2, 3 e 4) i cui contenuti qui di seguito si descrivono brevemente:
-  la direttiva n. 13488 del 14 luglio 1998: "D.L. n. 180/98 - Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico", citando il comma 3 dell'art. 1 del suddetto decreto, invitava tutti i comuni della Sicilia, le Amministrazioni provinciali, le Università, gli uffici periferici della Regione ecc., a trasmettere i dati e le notizie in loro possesso riguardanti i fenomeni franosi e gli eventi alluvionali del territorio di pertinenza, informazioni acquisite anche tramite relazioni tecniche, sopralluoghi, notizie storiche ecc.;
-  la direttiva n. 13450 del 14 luglio 1998: "Censimento dei fenomeni franosi", con la quale veniva inviata, sempre agli stessi enti, una scheda cartacea redatta sulla base di quella prodotta dal Servizio geologico nazionale, in "Miscellanea VII - Guida al censimento dei fenomeni franosi ed alla loro archiviazione" - Roma, 1996, contenente tutte le informazioni necessarie all'individuazione ed alla caratterizzazione di un evento franoso, con l'invito a compilarne una per ogni evento, allo scopo di avere un quadro conoscitivo quanto più completo possibile sulle manifestazioni gravitative del territorio;
-  la direttiva n. 22824 del 10 dicembre 1998: "Individuazione aree ad elevato rischio idrogeologico ed adozione misure di salvaguardia", nella quale facendo seguito alle precedenti note si sintetizzavano gli adempimenti del D.L. n. 180/98 ricordandone le più importanti scadenze e si definiva la realizzazione dei programmi di intervento urgenti per gli anni 1999-2000, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 8 del D.L. n. 180/98. Si ribadiva inoltre la necessità di acquisire, da parte degli enti in indirizzo, il maggior numero di informazioni di tipo cartografico e descrittivo sulle aree soggette a rischio di frana e a rischio idraulico;
-  la direttiva n. 16056 del 15 settembre 1999, nella quale si invitavano i comuni che avevano adempiuto a quanto richiesto con le precedenti circolari, a trasmettere proposte di interventi urgenti finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico.
Solo una parte degli enti interpellati ha risposto. E' grave che circa il 70% non ha ritenuto di adempiere al preciso dovere di riferire sulle aree a rischio idrogeologico. Ciò ha comportato un deficit informativo che può significare mancato intervento di prevenzione dal rischio per le persone, le cose e il patrimonio ambientale. E' evidente infatti la significativa e pesante assunzione di responsabilità dei soggetti istituzionali omissivi.
2.2. Le modalità di lavoro
In seguito al recepimento di tali direttive, quindim una purtroppo bassa percentuale (30,76%) delle Amministrazioni comunali e provinciali si sono attivate fornendo utili informazioni e dati sul dissesto idrogeologico nel territorio di propria competenza.
Molti hanno inviato le schede di censimento dei fenomeni franosi, le quali venivano via via informatizzate ed archiviate in un date-base relazionale.
Alla data del 20 settembre 1999, risultano 120 i comuni che hanno trasmesso le schede, per un totale di n. 664 schede censite ed informatizzate.
Contemporaneamente, negli archivi di questo Assessorato veniva effettuata una ricerca sistematica sulle segnalazioni dei fenomeni di dissesto inviate, nel corso dell'ultimo vntennio, sia da amministrazioni pubbliche sia di privati.
Le segnalazioni tuttavia non risultavano complete o corredate dell'ubicazione su carta topografica dell'evento, pertanto è stato estremamente difficoltoso riuscire ad identificare le località oggetto di dissesti.
Un aiuto sostanziale, in alcuni casi, è stato dato dall'esame delle carte geomorfologiche e della pericolosità geologica allegate agli strumenti urbanistici che, in taluni casi, sono state fornite dalle stesse amministrazioni comunali o, generalmente, sono state ricercate negli archivi della Direzione urbanistica di questo Assessorato. Anche in questo caso, però, le informazioni sono risultate quantitativamente scarse, poiché, allo stato attuale, non tutti i comuni della Sicilia sono dotati di strumenti urbanistici corredati da adeguato studio geologico.
Si è ritenuto, inoltre, opportuno reperire e quindi utilizzare, per quanto possibile ed utile, le pubblicazioni scientifiche di tipo geomorfologico esistenti, redatte dalle Università e dagli Istituti di ricerca.
Tutte le informazioni così acquisite sono state riportate sui fogli in scala 1:50.000 che costituiscono la base topografica su cui è stato svolto tutto il lavoro per la realizzazione dei Piani stralcio allegati.
Tali informazioni risultano, tuttavia, molto disomogenee, sia per quanto riguarda la distribuzione areale (classicamente a macchia di leopardo) si aper le modalità di ubicazione.
Risultano, infatti, cartografate frane puntuali, frane ben delimitate ed aree franose diffuse e di tutte si hanno informazioni quantitativamente e qualitativamente molto diversificate. Ad esempio, per le frane censite di hanno numerosi dati sulla morfometria, le cause, i danni; al contrario delle aree franose o singole frane cartografate in seguito alle segnalazioni e all'esame dei P.R.G. non si ha in genere alcuna conoscenza, ma soltanto la loro originaria ubicazione.
Per quanto riguarda le aree oggetto di eventi alluvionali in pochissini casi si sono acquisiti studi di carattere idrogeologico ma, nella maggior parte dei casi, si hanno soltanto segnalazioni sui danni derivanti da straripamenti avvenuti in seguito a piogge ecczionali. Ed anche in questi casi si è cercato di individuare le aree segnalate per un riporto cartografico il più possibile esatto.
Si sono altresì utilizzati i dati storici sul dissesto in Sicilia forniti dal Servizio geologico nazionale e relativi agli anni 1950-60.
Di tutto il lavoro di raccolta dati suddescritto ne è scaturita la realizzazione delle carte, in scala 1:50.000, di analisi denominate "Carte del dissesto idrogeologico".
Contemporaneamente, venivano realizzate le carte degli insediamenti. Sulla base della Carta dell'Uso del Suolo, redatta da questo Assessorato nel 1994 e stampata in scala 1:250.000, ma originariamente costruita alla scala 1:100.000, si sono realizzate, grazie alla collaborazione con funzionari dell'Assessorato dei beni culturali ed ambientali, le carte degli insediamenti con taglio 1:50.000, nelle quali sono stati riportati solo gli insediamenti utili ai fini del presente lavoro.
Dalle sovrapposizioni cartografiche fra le carte e quelle degli insediamenti sono risultate le carte di sintesi che costituiscono i Piani stralcio di bacino, deominate "Carte del rischio idrogeologico".
Tali carte riassumono graficamente le condizioni di rischio idrogeologico nella nostra regione, distinto in rischio idraulico e rischio di frana.
In questa fase, il rischio è inteso qualitativamente piuttosto che come prodotto fra la pericolosità dell'evento, la vulnerabilità e il valore degli elementi a rischio (R = P*E*V).
Le carte di sintesi sono state redatte considerando due livelli di rischio:
-  molto elevato per il quale sono posibili problemi per l'incolumità delle persone, comprese la possibile perdita di vite umane, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture ed al patrimonio ambientale, distribuzione delle attività socio-economiche.
-  elevato per il quale sono possibili problemi per l'incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici ed alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, l'interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale.
2.1.1. Programma di interventi urgenti
Contestualmente alla definizione dei Piani straordinari di bacino, così come definiti dalle modifiche alla legge n. 267/98 apportate con successiva legge n. 226/99, la Regione siciliana ha proceduto alla raccolta delle prposte di interventi urgenti di cui ai relativi programmi previsti dall'art. 1, comma 2 del D.L. n. 180/98, da sottoporre alla scelta del Comitato dei Ministri.
Per la definizione di detti programmi l'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente, sulla base delle segnalazioni ed informazioni precedentemente fornite dagli enti locali, ha inviato gli stessi ad inoltrare proposte di finanziamento per la realizzazione di interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, conformi alle direttive del medesimo D.L. n. 180/98.
Le proposte di finanziamento da parte degli enti, dovevano essere distinte in progetti inseriti nel Piano triennale delle opere pubbliche (elenco n. 1) e proposte di progetto (elenco n. 2).
Su 390 comuni della Sicilia sono pervenute proposte relative a 140 comuni, per un numero complessivo di 471 interventi.

IL TERRITORIO ED I BACINI IDROGRAFICI


Capitolo 1
L'AMBIENTE FISICO

1.1.  LA GEOGRAFIA 

La Sicilia ricopre una superficie di 25.707 kmq risultando così non solo la pìù grande isola italiana, ma anche la più vasta regione. Posizionata nel centro del Mar Mediterraneo, la divide dalla penisola italiana lo stretto di Messina, della lunghezza minima di 3,4 km; il Canale di Sicilia la separa dal continente africano con una distanza minima di 140 km; a NE è bordata dall'arcipelago delle isole Eolle, a NW dall'isola di Ustica, ad W dalle isole Egadi, a SW dall'isola di Pantelleria e più a Sud dalle isole Pelagie.
La sua forma triangolare ed il sistema montuoso determinano la sua suddivisione in tre distinti versanti:
- il versante settentrionale o tirrenico, da Capo Peloro a Capo Boeo, della superficie di circa 6.630 kmq;
-  il versante meridionale o mediterraneo, da Capo Boeo a Capo Passero, della superficie di circa 10.754 kmq;
-  il versante orientale o ionico del Capo Passero a Capo Peloro, della superficie di circa 8.072 kmq.
L'orografia del territorio siciliano mostra evidenti contrasti tra la porzione settentrionale, prevalentemente montuosa e rappresentata da Monti Peloritani, i Monti Nebrodi, le Madonie, i Monti di Trabia, i Monti di Palermo e i Monti di Trapani, e quella centromeridionale e sudoccidentale ove il paesaggio ha un aspetto molto diverso, in generale caratterizzato da rilievi modesti a tipica morfologia collinare ad eccezione della catena montuosa dei Monti Sicani, differente è ancora la zona sudorientale, con morfologia di altopiano, e quella orientale dominata dall'edificio vulcanico dell'Etna.
I corsi d'acqua principali del versante settentrionale, oltre alle "Fiumare" sono rappresentati dal F. Pollina, F. Grande o Imera, F, Torto, F. S. Leonardo, F. Oreto e dal F. Freddo.
I corsi d'acqua del versante meridionale, molto più importanti sia per la lunghezza del loro percorso, sia per le maggiori portate e quindi per la possibilità di utilizzare le loro acque a scopo irriguo, sono il F. Belice Destro, il F. Platani, il F. Salso, il F. Gela e il F. Dirillo.
Sul versante orientale sfociano altrettanto importanti fiumi l'Anapo, il Simeto e l'Alcantara.
I laghi naturali sono invece poco rappresentati e di scarsa importanza.
La Sicilia è territorialmente suddivisa in nove provincie, i cui capoluoghi sono: Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani.
Dell'intero territorio isolano, la collina interessa il 62% circa, la montagna il 24% e la pianura il 14%, le coste si sviluppano per 1039 km di lunghezza.
La tabella seguente mostra la suddivisione, all'interno dei territori provinciali, delle aree morfologiche.

PROVINCIA     Aree pianeggianti Aree collinari Aree montane 
Agrigento      448,37 2.200,88 302,85 
Caltanissetta      277,37 1.827,33 0,00 
Catania      276,55 2.225,17 1.050,48 
Enna      0,00 2.023,68 538,45 
Messina      0,00 1.094,43 2.152,79 
Palermo      312,14 2.567,82 2.135,72 
Ragusa      347,69 1.266,33 0,00 
Siracusa      777,26 1.331,54 0,00 
Trapani      1.202,57 1.259,15 0,00 
TOTALE      3.641,95 15.796,33 6.180,29 

I territori a più elevata altitudine sono caratterizzati per la maggior parte da boschi sono incolti e presentano una densità abitativa alquanto ridotta in confronto alle aree pianeggianti litoranee ed ovviamente ai centri urbani maggiori.
La tabella seguente mostra la densità abitativa per provincia:

PROVINCIA     Superficie Kmq Abitanti Densità
Agrigento      3.021,28 466.495 154 
Caltanissetta      2.104,70 285.829 136 
Catania      3.552,20 1.005.577 283 
Enna      2.582,75 190.939 74 
Messina      3.247,22 669.323 206 
Palermo      4.992,00 1.242.055 249 
Ragusa      1.614,02 274.583 170 
Siracusa      2.108,88 394.692 187 
Trapani      2.461,72 420.865 171 
TOTALE      25.684,77 4.906.878 191 

Nella terza tabella è indicato il numero dei comuni appartenenti ad ogni provincia: l'intera Sicilia conta 390 comuni:

Agrigento  43 Enna 20 Ragusa 12 
Caltanissetta  22 Messina 108 Siracusa 21 
Catania  58 Palermo 82 Trapani 24 

1.2.  LA GEOLOGIA E LA TETTONICA 

La storia geologica della Sicilia è molto articolata, sia per la sua posizione in una porzione del Mediterraneo caratterizzata da un'estrema mobilità, sia per le alterne vicende sedimentarie e tettoniche che si sono svolte sin dal Paleozoico sup. e fino al Quaternario.
Le formazioni litologiche presenti in Sicilia possono essere raggruppate, sulla base delle caratteristiche petrografiche, sedimentologiche, tessiturali, strutturali ecc. e non considerando il loro assetto stratigrafico, in diversi complessi litologici:
- complesso clastico di deposizione continentalee, comprendente depositi alluvionali talora terrazzati, depositi litorali, lacustri e palustri e detriti di falda;
- complesso vulcanico, comprendente le colate laviche attuali, storiche o antiche dell'Etna e le vulcaniti antiche degli Iblei;
- complesso sabbioso-calcarenitico plio-pleistocenico;
- complesso argilloso-marnoso, comprendente tutte le formazioni prevalentemente argillose del territorio, quali le argille pleistoceniche, le argille azzurre medio-plioceniche, le marne a foraminiferi del Pliocene inf, le formazioni argillose e marnose del Miocene medio-sup., le litofacies pelitiche dei depositi di Flysch, le argille brecciate e le argille varicolori;
- complesso evaporitico, che comprende tutti litotipi della Formazione Gessoso- Solfifera del Miocene sup. come il tripoli, il calcare solfifero, i gessi e i sali;
- complesso conglomeratico-arenaceo, comprendente la litofacies conglomeratica della F.ne Terravecchia;
- complesso arenaceo-argilloso-calcareo, che comprende tutte le formazioni flyscioidi a prevalente composizione arenacca diffuse soprattutto nella Sicilia settentrionale;
- complesso carbonatico, che raggruppa tutte le formazioni calcaree, calcareo-dolomitiche e dolomitiche di età compresa tra il Mesozoico e il Terziario, che costituiscono l'ossatura della Catena Appenninico-Maghrebide siciliana in parte dei Peloritani e la serie calcarea degli Iblei;
- complesso filladico e scistoso-cristallino, della catena metamorfica peloritana.
L'ossatura geologica della Sicilia viene schematicarnente suddivisa in tre settori, che da Nord verso Sud sono rappresentati da:
-  un settore di catena, che si sviluppa lunoo la costa settentrionale dell'isola, dai Monti Peloritani all'arcipelago delle Egadi, ed è costituito dal corpi geologici con litologie differenti tettonicamente sovrapposti a formare una complessa pila di falde tettoniche. Le unità stratigrafico-strutturali che formano la catena hanno raggiunto gli attuali rapporti reciproci sostanzialmente nell'intervallo di tempo compreso tra l'inizio del Miocene e l'inizio del Pliocene, in conseguenza di una tettonica che viene attribuita a collisione continentale;
-  un settore di avanfossa, che occupa quasi per intero la porzione centro meridionale dell'isola, articolandosi in due bacini di sedimentazione (Fossa di Caltanissetta e Fossa di Castelvetrano) separati dal Monti Sicani che rappresentano la propaggine meridionale della catena, Indipendentemente dal meccanismi che hanno dato luo-o a tale struttura, va secnalata la concomitanza di età, dimensioni, posizione e morfologia dei sementi di avanfossa con quelli del Canale di Sicilia: i "graben" di Pantelleria, Linosa e Malta;
-  un settore di avampaese, localizzato nella porzione orientale e costituito dalle rocce prevalentemente carbonatiche dell'area iblea, la cui continuazione in mare verso Sud raggiunge la scarpata ibleo-maltese che corrisponde ad una dislocazione che ne ribassa l'area di alcune migliaia di metri e che segna l'inizio dello Jonio.
Nelle varie epoche geologiche, le numerose fasi tettoniche hanno via via modificato gli originari rapporti fra i vari settori geologici prima descritti.
L'orogenesi del Miocene-Pliocene inf. ha dato luogo a strutture di ricoprimento con movimenti traslativi e plicativi che hanno formato, nel settore di Catena, diverse unità stratigrafico- strutturali sovrascorse le une sulle altre.
La tettonica pastorogena ha poi, fino al Pleistocene inf, con movimenti plicativi e distensivi, generato sistemi di horst-graben e strutture a pieghe nei depositi dell'avanfossa, oltre a movimenti verticali nella Catena ancora in sollevamento.
La morfologia del paesaggio attuale è infine il risultato, anche se tuttora in evoluzione, della neotettonica a carattere distensivo e del sollevamento a questa associato che provoca innalzamenti di oltre 1000 m di quota ed un conseguente approfondimento delle valli fluviali.
Pertanto, gli avvicendamenti delle varie fasi tettoniche hanno avuto un ruolo fondamentale nell'assetto strutturale e fisico del territorio siciliano.
1.3.  LA GEOMORFOLOGIA 

L'assetto morfologico della Sicilia, in relazione alla complessità della struttura geologica è estremamente vario.
L'influenza della litologia sulle caratteristiche morfologiche del paesaggio siciliano è estremamente importante a causa soprattutto della differente risposta che i vari litotipi affioranti offrono alle azioni erosive.
Si hanno, pertanto, morfologie tipiche di rilievi costituiti da rocce lapidee che contrastano con le morfologie blande e addolcite dei terreni plastici.
Nei Peloritani, ad esempio, le cime dei rilievi sono talora erte e scoscese, talora subarrotondate in dipendenza del grado di alterazione delle rocce metamorfiche e della conseguente loro risposta alle azioni erosive.
I Nebrodi, invece, sono costituiti prevalentemente da terreni flyscioidi pelitico-arenacei che offrono resistenze diverse all'azione degli agenti erosivi in dipendenza del litotipo interessato, le forme morfologiche che ne risultano sono disomogenee, talvolta arrotondate, talvolta smussate; i declivi sono sia rigidi, sia estremamente addolciti, sia a terrazzi.
I tratti morfologici dei gruppi Montuosi delle Madonie, dei Monti di Palermo, dei Monti di Trapani e Castellammare del Golfo e dei Sicani, tutti costituiti litologicamente da rocce calcaree e/o calcareo-dolomitiche, sono tipici di rilievi che offrono buona resistenza all'erosione.
Il gruppo montuoso delle Madonie, che si trova ad ovest dei Nebrodi, separato dalla vallata del Fiume Pollina, è costituito da rocce carbonatiche e arenaceo-argillose. Le Madonie raggiungono i 1.979 m di altezza a Pizzo Carbonara, il secondo rilievo della Sicilia. La grande diffusione di rocce calcaree ha favorito il notevole sviluppo del carsismo, sia superficiale che profondo, che ne ha modellato larga parte del paesaggio e ha dato origine a nomerose cavità sotterranee alcune delle quali hanno ospitato insediamenti preistorici (grotte dell'area di Isnello). I rilievi più alti sono bordati da ampi versanti in larga parte coperti da potenti falde detritiche che sono sede di imponenti fenomeni franosi sia superficiali che profondi.
Più ad Ovest, dopo le vallate dei fiumi Imera settentrionale e Torto, la catena, la cui costituzione litologica diviene prevalentemente calcarea, si articola nei rilievi dei Monti di Termini Imerese-Trabia, che raggiungono i 1.326 m a Monte San Calogero, e dei Monti di Palermo, che culminano con i 1333 m della Pizzuta. I rilievi montuosi, oggi quasi del tutto privi di vegetazione arborea, sono interessati dalla notevole diffusione di morfologie carsiche epigee ed ipogee a cui, nelle aree costiere, si aggiungono numerose cavità di origine marina che sono state utilizzate dall'uomo preistorico (grotte dell'Addaura, San Ciro, Carburangeli, Puntali, ecc.).
Infine, separati dalla Piana di Partinico, si trovano i monti di Trapani, anch'essi prevalentemente di natura carbonatica e di cui le isole Egadi costituiscono la naturale prosecuzione verso occidente. La cima più alta è M. Sparagio, nella penisola di San Vito, che raggiunge i 1.110 m. L'intera area, caratterizzata da una serie di rilievi collinari e montuosi, talora isolati, presenta una notevole diffusione di grotte e ripari sotto roccia, molti dei quali costituiscono siti archeologici di notevole importanza, come la Grotta dell'Uzzo.
I Monti Sicani che occupano il settore sud-occidentale dell'isola, affini sotto il profilo geologico strutturale al segmento occidentale della catena, ne costituiscono un'appendice meridionale. Si tratta di un gruppo montuoso molto articolato e con rilievi spesso isolati fra i quali spiccano Rocca Busambra (1.613 m.), Monte Cammarata (1578 m) e Monte Genuardo (1180 m).
Più ad Est sono presenti i Monti Erei, di natura arenacea e calcarenitico-sabbiosa, isolati e a morfologia collinare, ove l'erosione, controllata dall'assetto strutturale, ha dato luogo a rilievi tabulari (mesas) o monoclinali (cuestas).
I terreni postorogeni della Sicilia centro-meridionale, plastici e arenacei, facilmente erodibili come anche i terreni della "Serie (esso so- solfifera", danno luogo ad un paesaggio collinare a forme molto addolcite, localmente interrotto da piccoli rilievi isolati, guglie e pinnacoli più resistenti all'erosione.
Le successioni della serie evaporitica di età messiniana, il cui tipo litologico più diffuso è costituito dai gessi., a causa dell'elevata solubilità, sono interessati da diffusi fenomeni carsici; anche in quest'area le grotte scavate nei gessi sono spesso sede di importanti siti di occupazione preistorica. L'Altopiano solfifero è dominato da forme ondulate legate ala presenza di gessi e di calcari evaporitici e in alcuni casi anche da affioramenti di arenarie e conglomerati miocenici. a diffusa presenza di terreni argillosi favorisce lo sviluppo di intensi processi erosivi cui si associano frequenti movimenti franosi.
Alla diffusione delle rocce evaporitiche è legata la presenza di gran parte dei laghi naturali siciliani. Ad eccezione di alcuni laghi sommitali presenti nei Nebrodi (Biviere di Cesarò, Quattrocchi, ecc.), del piccolo lago di Naftia vicino Palagonia (la cui genesi si deve ad emissione di idrocarburi) e degli stagni costieri, infatti, la maggior parte delle conche lacustri occupa depressioni di origine carsica. Si ricordano il lago di Preola ed i Gorghi Tondi vicino Mazara del Vallo, il laghetto Gorgo a Sud di Cattolica Eraclea, "Lo Sfondato"- nei pressi di San Cataldo ed il lago di Pergusa che, con i suoi 1,83 kmq di estensione reale, è il principale lago della Sicilia e la cui esistenza è attualmente minacciata dalla pesante antropizzazione. a porzione sudorientale dell'Isola è occupata dall'Altopiano Ibleo, di costituzione calcarea e calcarenitica, a morfologia tipicamente tabulare derivante dalla giacitura suborizzontale delle rocce e che è inciso da profondi solchi fluviali che prendono il nome di "cave".
Il settore orientale della Sicilia è dominato dalla presenza dell'Etna che, con i suoi 3.340 m.s.m., rappresenta il più alto vulcano attivo d'Europa.
La morfologia è tipica di un edificio vulcanico di tipo misto, in cui le superfici delle colate laviche danno luogo a declivi più dolci e le alternanze di piroclastiti e lave a rilievi isolati a pareti ripide.
La fascia costiera è, in conseguenza dei litotipi che la compongono, anch'essa variamente articolata con tratti sabbiosi o ciottolosi variamente estesi a quota sul livello del mare, talvolta antistanti falesie antiche inattive, e tratti in cui le falesie a strapiombo sul mare contribuiscono attivamente ad una continua evoluzione morfologica.
La fascia costiera settentrionale che presenta tratti di costa bassa e sabbiosa, intercalati da tratti di coste a falesia, è articolata in numerosi golfi, il più ampio dei quali è quello di Castellammare, caratterizzato fino a qualche decennio addietro dalla diffusa presenza di cordoni dunari di retrospiaggia oggi scomparsi per l'antropizzazione. La costa conserva in più tratti lembi di terrazzi marini degradanti che testimoniano i successivi livelli di stazionamento del mare pleistocenico e presenta una estesa piana costiera, marginata da terrazzi marini, che si colloca nella porzione centrale del Golfo di Termini Imerese, formatasi in tempi recenti per ali apporti alluvionali dei fiumi Torto ed Imera Settentrionale. Lungo la costa settentrionale della Sicilia sfociano, oltre a quelli già citati, il fiume S. Leonardo, nel Golfo di Termini Imerese, e il San Bartolomeo nel Golfo di Castellammare.
La rete idrografica è anch'essa molto complessa: i bacini hanno generalmente dimensioni modeste e il reticolo ha forma dendritica. Numerosi sono i corsi d'acqua a regime torrentìzio e molti hanno uno sviluppo alquanto breve. Le valli fluviali risultano strette ed approfondite nelle aree montuose, con caratteristiche sezioni a 'V', molto più slargate nelle aree collinari con sezioni a conca o a piatto seconda delle rocce che attraversano.
I Peloritani e i Nebrodi sono drenati da numerosi torrenti, con foce lungo i litorali tirrenico e ionico, caratterizzati dalla elevata pendenza e dalla ridotta lunghezza delle aste fluviali, che scorrono su ampie e potenti piane alluvionali (fiumare).
L'idrografia delle aree centrali più interne è caratterizzata dalla presenza dell'ampio bacino del Fiume Belice, il cui tratto terminale presenta una caratteristica morfologia a terrazzi fluviali.
Poco più ad Est, l'area è solcata da alcuni dei maggiori corsi d'acqua delle Sicilia, tra cui il Fiume Platani e il Fiume Imera Meridionale o Salso. Quest'ultimo sfocia nel grande Golfo di Gela che costituisce una vasta piana costiera alluvionale bordata da estesi campi dunari che, in alcuni luoghi, danno origine a zone umide costiere come il Biviere di Gela.
La Piana di Catania si è formata, nel corso del Quaternario, dagli apporti alluvionali del Simeto, il fiume con il più esteso bacino idrografico della Sicilia, e dei suoi attuali affluenti. La Piana di Catania ha subito, in tempi recenti (1950), una vistosa modificazione antropica in seguito alla "bonifica" del Biviere di Lentini, che costituiva la più vasta area umida della Sicilia. Esso infatti venne prosciugato a causa della canalizzazione delle acque dei Fiumi Dittaino e Gornalunga e della loro deviazione nel Simeto.
Lungo la costa ionica sfocia il Fiume Alcantara, che, ha origine dal versante meridionale dei Peloritani e viene alimentato anche dalle acque che provengono dal versante settentrionale dell'Etna. Il Fiume Alcantara rappresenta il corso d'acqua siciliano a maggiore portata media.
La crescita dell'edificio vulcanico dell'Etna, verificatasi in seguito alla migrazione verso Nord dei centri di emissione che in precedenza avevano originato il più antico vulcanismo ibleo, ha determinato anche la progressiva deviazione dei tracciati originari del Simeto e dell'Alcantara e la creazione di laghi di sbarramento vulcanico (Lago di Gurrida) e zone umide caratterizzate da direzioni di drenaggio non definite.
1.4.  IL CLIMA 

Il clima della Sicilia è genericamente definito di tipo "mediterraneo" e viene generalmente considerato molto mite. Nella realtà la posizione geografica dell'isola, che per la sua collocazione baricentrica nell'area mediterranea è esposta alle influenze sia delle masse d'aria continentali sia di quelle temperate marittime, e il suo articolato assetto orografico, danno luogo, nel diversi settori, a marcate differenze climatiche. Il fattore orografico inoltre, controllando la distribuzione delle piogge, riduce l'effetto mitigatore del mare nelle aree più interne, rendendo le condizioni climatiche fortemente contrastate.
Dal punto di vista pluviometrico il clima può essere considerato "alterno" in quanto l'80% delle piogge si concentra nel semestre autunno-inverno e solo il 5% cade nel trimestre giugno-luglio-agosto (mese più piovoso gennaio, più secco luglio), ne consegue una aridità elevata (indice di De Martonne intorno a 14) che vede diverse aree, soprattutto del settore meridionale, con ben sette mesi asciutti. Tale andamento è dovuto al fatto che in estate l'area mediterranea è dominata da un campo di alte pressioni, legato alla espansione dell'anticiclone delle Azzorre, che dà luogo alla circolazione di masse d'aria tropicali marittime, di tipo subsidente, che deviano i percorsi dei cicloni delle medie latitudini verso le regioni dell'Europa settentrionale. Di contro, in inverno, l'anticiclone tropicale marittimo si sposta verso latitudini più basse esponendo le re-ioni mediterranee alle perturbazioni provenienti dall'Atlantico.
La media delle precipitazioni annue è di circa 735 mm. Le aree più piovose si localizzano in corrispondenza dei versanti settentrionali della catena (precipitazioni medie annue intorno al 1.000 mm che raggiungono i 1.300 mm sui Nebrodi e sui Peloritani) che costituisce una barriera nel confronti dei venti dominanti che provengono dai quadranti settentrionali quali il Maestrale, la Tramontana ed il Grecale. Ovviamente il picco di piovosità si localizza sull'Etna (fino a 2.000 mm annui) per la concomitante influenza della posizione geografica e del fattore orografico. Importanti sono anche i movimenti delle masse d'aria provenienti dal quadranti meridionali che generano i venti di Scirocco e di Libeccio, particolarmente intensi lungo le coste del Canale di Sicilia; essi sovente portano condizioni di caldo torrido e mitigano il clima delle stagioni invernali.
Le condizioni termiche sono più uniformi, con la generale diminuzione dei valori medi delle temperature con l'altezza e verso le zone più interne, caratterizzate da inverni più freddi ed escursioni termiche più accentuate. 1 massimi estivi si riscontrano soprattutto nel settore centro- meridionale, ove, in qualche località interna, le temperature possono superare i 42° C.
(da Agnesi et alii, 1998)
1.5.  IL DISSESTO IDROGEOLOGICO 

La propensione al dissesto idrogeologico del territorio siciliano è, dunque, determinata principalmente dalle sue caratteristiche geologiche, geomorfologiche e pedologiche nonché dalla geodinamica endogena ed esogena che fanno sì che il paesaggio sia soggetto ad un continuo processo di modellamento.
Verranno esaminate, qui di seguito, le cause determinanti del rischio idrogeologico in Sicilia che, così come previsto dall'Atto di indirizzo e coordinamento, si distinguono in frane ed alluvioni.
1.5.1. Le frane
Lo stato di dissesto è, in Sicilia, notevolmente diffuso: le frane, talora di notevole entità ed estensione, esercitano un ruolo considerevole nell'evoluzione dei versanti e costituiscono uno dei più seri problemi per lo sviluppo socio-economico dell'isola.
La valutazione sulle condizioni di stabilità dei versanti naturali è uno dei quesiti più importanti degli studi riguardantì i problemi della pianificazione del territorio. Essa infatti condiziona in maniera determinante la scelta degi indirizzi di sviluppo a livello urbano e regionale, in quanto trova implicazioni dirette in ogni tipo di attività.
La superficie interessata dai fenomeni franosi è stata valutata (Progetto AVI, 1995) in circa 34.000 ettari.
Nel 1986, studi di ricerca bibliografica (Agnesi e Lucchesi, 1986) hanno messo in evidenza che erano almeno 150 i centri abitati minacciati direttamente o indirettamente da eventi franosi e in essi viveva il 25% della popolazione siciliana nel 1991 dati stafistici hanno individuato in 215 1 centri abitati interessati da dissesti e fra questi 118 sono stati ammessi per legge a consolidamento.
Negli ultimi decenni e anche recentemente, molte delle frane hanno coinvolto interi quartieri rendendoli inagibili o determinando in questi condizioni di stabilità precaria che comportano rischi per la pubblica incolumità.
Numerosi ed anche frequenti sono i dissesti che interessano le infrastrutture viarie, molte delle quali sono soggette periodicamente ad interruzioni parziali o totali, anche per periodi molto lunghi.
I fattori che recolano l'esistenza e la diffusione delle frane in Sicilia sono molteplici.
Dei fattori geologici, geomorfologici e climatici si è già discusso precedentemente., ma a questi si aggiungono, e non con minore influenza, i fattori antropici.
Infatti, i continui ed estesi disboscamenti praticati fin dall'epoca romana, e proseguiti nel corso dei secoli, hanno ridotto la copertura boschiva dall'originario 80% circa a poco più del 10% del territorio, con pesanti ripercussioni anche sul clima.
Le modificazioni climatiche contribuiscono al peggioramento nella copertura boschiva che si somma alle annuali devastazioni a causa di incendi (che spesso sono dolosi) ed al progredire del fenomeno della desertificazione.
A ciò si aggiunge il progressivo abbandono delle terre coltivate nelle campagne e nei territori montani, legato a fattori di ordine socio-economico, e l'espansione disordinata ed incontrollata di numerosi centri urbani in aree non idonee, conseguenza questa della totale assenza, in passato, di una pianificazione urbanistica e territonale adeguata alle realtà del territorio.
I fenomeni di dissesto sono per la maggior parte fenomeni ciclici che si ripetono sovente con le stesse modalità, anche dopo lunghi periodi di quiescenza, generalmente in coincidenza delle intense piogge autunnali ed anche dei periodi di prolungate ed abbondanti precipitazioni del trimestre invernale. A conferma di ciò si ricorda che, nell'ultimo secolo, le frane più notevoli si sono avute in occasione degli eventi alluvionali maggiori (1931, 1951, 1972/73, 1976 e 1991).
I danni collegati alle fenomenologie franose risultano particolarmente gravi nelle zone centro-meridionali dell'Isola, dove la litologia dei terreni affioranti favorisce maggiormente, assieme ad altri fattori, l'instaurarsi di movimenti di massa di varia estensione. Particolarmente colpiti risultano i territori delle province di Palermo, Caltanissetta, Agrigento ed Enna.
Significativa è pure l'incidenza dei danni in provincia di Messina, il cui territorio è caratterizzato in massima parte da una orografia aspra, con versanti generalmente ad elevata acclività. Le condizioni geologiche incidono qui più che altro in relazione alla diffusa tettonizzazione delle rocce cristalline, conseguente alla complessa evoluzione strutturale.
Nel territorio di queste province, che rappresentano un'alta percentuale dell'intero territorio siciliano, sono numerosi i centri abitati instabili, da lungo tempo interessati da forme di dissesto più o meno gravi. Alcuni di essi hanno subito danni molto gravi in occasione di frane estese e importanti, come gli abitati di Agrigento, Caltanissetta, Tusa, Motta S. Anastasia, S. Fratello, S. Cataldo, etc. Queste hanno richiesto interventi massicci e molto costosi per la stabilizzazione delle masse in movimento ed il risanamento delle strutture coinvolte.
Da tutto ciò si evince come il problema della franosità del territorio siciliano sia estremamente complesso.
1.5.2 Le alluvioni
Gli eventi alluvionali sono la risultante di concomitanti fattori fisici e teorologici del territorio, a cui si aggiungono come per le frane, e sono essenzialmente determinanti, i fattori antropici.
Le cause fisiche principali che concorrono al verificarsi di piene ed esondazioni possono riassumersi nella natura geolitologica dei terreni, la cui rapida imbibizione li rende perfettamente impermeabili evitando una efficace attenuazione degli afflussi meteorici per infiltrazione.
A ciò si aggiungono le significative variazioni altimetriche dei corsi d'acqua in brevi tratti e la forte pendenza dei thalwegs, unita alla scarsa copertura arborea lungo i versanti.
Nei tratti montani, in alcuni casi del tutto disboscati, gran parte delle precipitazioni vanno in ruscellamento, ingrossando così i corsi d'acqua principali. I piccoli bacini endoreici inoltre, in occasione di eventi meteorici eccezionali, costituiscono il luogo di raccolta delle acque selvagge e caricandosi di materiali detriticì, varino ad investire le aree pianeggianti a più bassa quota he spesso sono urbanizzate.
Le caratteristiche climatiche della Sicilia costituiscono inoltre una delle principali cause fisiche la sensibile diminuizione di pioggia nell'ultimo venticinquennio è un parametro cui va prestata molta attenzione soprattutto se correlato ad un progressivo aumento delle temperature.
In questo clima, definito mite, ma che sostanzialmente si avvicina inesorabilmente ad un clima di tìpo desertico, gli eventi meteorici eccezionali che, statisticamente, hanno luogo in genere all'inizio della stagione autunnale, provocano eventi alluvionali particolarmente disastrosi. Ricordiamo brevemente quali eventi si sono verificati in Sicilia: nel 1965 le alluvioni nella città di Trapani e nel 1951 nella Piana di Catania provocarono danni ingenti alle colture; nella Piana di Palermo gli eventi catastrofici si sono verificati nell'ottobre del 1925, nel febbraio del 1931, nell'ottobre del 1954 e nel 1976~, numerosi Comuni delle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna furono investiti dall'eccezionale evento pluviometrico dell'ottobre del 1991 che provocò danni rilevanti all'agricoltura, alle vie di comunicazione ed agli stessi centri abitati.
Ma i fattori fisici e meteorici non sempre hanno rappresentato gli elementi determinanti dei suddetti fenomeni. Le cause reali spesso devono essere ricercate nella storia degli interventi antropici, ovvero nella disattenta regimazione dei corsi d'acqua e nelle uniforme e disomogenea pianificazione urbanistica e territoriale.
Sin dal periodo arabo e probabilmente anche anteriormente ad esso e sicuramente dal 1511 al 1932 sono state realizzate opere di sistemazione di torrenti, di regolazione fluviale, di bonifica che solo in parte hanno attenuato il pericolo, ma negli anni più recenti (II dopoguerra) non solo non sono stati realizzati progetti sistematici ed organici e studi di difesa idraulica, ma si sono avute avventate ed imprudenti attività di modificazione delle sezioni degli alvei, deposito di rifiuti e di materiali vari lungo gli alvei di fiumi e canali, di rettifica del tracciato dei corsi d'acqua, di sottrazione di acque fluviali, di prosciugamento di zone umide, di distruzione di vegetazione naturale ed infine di modificazione della morfologia del territorio, il tutto finalizzato ad una urbanizzazione ed infrastrutturazione spesso selvaggia e comunque ignara dei vincoli geoambientali.

Capitolo 2

I BACINI IDROGRAFICI

Viene descritta la situazione rappresentata sulle allegate carte del dissesto idrogeologico.
Il territorio siciliano è suddiviso in 57 bacini idrografici principali, alcuni dei quali, ulteriormente distinti in sottobacini di 1° ordine.
Tale suddivisione è, in linea generale, quella del Censimento dei Corpi Idrici contenuto nel Piano regionale di risanamento delle acque della Regione Sicilia.
Di ogni bacino viene fatta una breve descrizione corredata dalle caratteristiche geometriche dello stesso e del relativo corso d'acqua, nonché dei suoi confini territoriali.
Sono stati inoltre inseriti i centri abitati i cui confini ammilstrativi ricadono all'interno dei bacini idrografici principali e dei sottobacini e, di ognuno dì essi, viene descritto lo stato dell'eventuale dissesto idrogeologico.
Il cap. 3, infine, tratta dell'individuazione delle aree a rischio di inondazione di un bacino rappresentativo - il bacino del Fiume Simeto - che costituisce un esempio di valutazione del rischio di inondazione; seppur di tipo qualitativo, in questa fase rappresenta tuttavia l'approccio propedeutico di riferimento allo studio idraulico completo dei bacini idrografici, previsto per la successiva redazione dei Piani di bacino.

Di seguito viene riportato uno schema riassuntivo del bacino e sottobacini riguardanti Troina.


41 - Bacino idrografico principale: FIUME SIMETO
Generalità
Versante: Orientale
Provincia: Catania, Enna, Messina, Palermo, Siracusa
Compartimento idrografico: Palermo
Bacino idrografico principale: F. Simeto
Recapito del corso d'acqua: Mare Ionio
Superficie totale del bacino imbrifero (Kmq): 4.186,1
Affluenti: T. Cutò, F. Gornalunga, Fosso Buttaceto, F. Troina, T. Saracena, F. Salso, Vallone Salato, F. Dittaino, T. Finaita
Serbatoi ricadenti nel bacino: Biviere di Cesarò, Nicoletti, Ancipa, Ogliastro, Pozzillo
Altitudine minima (m.s.m.): 0
Altitudine massima (m.s.m.): 3.274
Altitudine media (m.s.m.): 531
Lunghezza dell'asta principale (Km): 116

Utilizzazione prevalente del suolo: 

                        -  Seminativo             74%

                        - Colture arboree      11%


Comuni ricadenti nel bacino: Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Camporotondo Etneo, Capizzi, Cerami, Maletto, Paternò, Sperlinga.
Descrizione
Il bacino del F. Simeto ricade nel versante orientale della Sicilia e si estende per circa 4186 Kmq. Il bacino del Simeto, per estensione, è il più grande bacino idrografico dell'Isola; nel suo sviluppo interessa il territorio delle provincie di Catania, Enna, in misura inferiore Messina e, marginalmente, Siracusa e Palermo.
Lo spartiacque del bacino corre ad est sui terreni vulcanici fortemente permeabili dell'Etna, a nord sui monti Nebrodi, ad ovest separa il bacino del Simeto da quello del F. Imera Meridionale, mentre a sud-est ed a sud corre lungo i monti che costituiscono il displuvio tra il Simeto ed i bacini dei fiumi Gela, Ficuzza e S. Leonardo. Il reticolo idrografico risulta complesso essendo composto da rami di grossa importanza che confluiscono nell'asta principale solo molto a valle o addirittura in prossimità della foce, il bacino non presenta perciò sviluppi in direzioni preferenziali.
Gli affluenti principali del fiume sono: a nord il F. Salso (da non confondere col F. Imera Meridionale, detto anche Salso), al centro il F. Dittaino ed a sud il F. Gornalunga. Tali corsi d'acqua, assieme ai fiumi Troina e Cutò, anch'essi affluenti del Simeto con bacino superiore a 100 Kmq, vengono censiti a parte. La superficie del bacino del Simeto, al netto dei bacini dei fiumi elencati, è di 926.9 Kmq.
Il F. Simeto, lungo 116 Km, nasce dai Nebrodi nella parte settentrionale del proprio bacino, con una serie di torrenti, il più importante dei quali è il Troina. Su questo corso d'acqua è stato realizzato il lago artificiale di Ancipa; altri tre invasi sono stati realizzati invece sui fiumi Salso (Pozzillo), Dittaino (Nicoletti) e Gornalunga (Don Sturzo od Ogliastro).
Nel bacino del F. Simeto sono stati realizzati importanti interventi per la difesa del suolo. Alcuni interventi, finalizzati alla difesa dalle inondazioni, hanno riguardato la inalveazione dei tronchi vallivi dei fiumi Simeto, Dittaino e Gornalunga. Altri interventi, finalizzati alla salvaguardia dei serbatoi dall'interrimento, hanno interessato principalmente i bacini sottesi dai serbatoi di Pozzillo ed Ogliastro. Sono stati effettuati rimboschimenti in alcune zone dei bacini e sistemazioni idrauliche di torrenti e valloni.
Dal punto di vista geologico, il bacino idrografico è costituito, in prevalenza, da terreni impermeabili o che presentano un grado di permeabilità molto basso. Sono tuttavia presenti nel bacino affioramenti localizzati di terreni permeabili assai estesi e di notevole spessore che permettono il formarsi di acquiferi sotterranei di rilevante consistenza, come nella zona vulcanica dell'Etna.
Nelle zone con terreni impermeabili è presente una rilevante circolazione di acque superficiali a regime prevalentemente torrentizio, con la tipica alternanza di lunghi periodi di secca con brevi, ma a volte violente piene.
Nel bacino del F. Simeto ricadono i centri abitati di Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Camporotondo Etneo, Motta S. Anastasia, Paternò, S. Maria di Licodia, a parte quelli ricadenti nei bacini dei fiumi Cutò, Troina, Salso, Dittaino e Gornalunga.
Il F. Simeto, tra Bronte ed Adrano, nel corso del tempo si è scavato nelle lave di antiche eruzioni delle splendide gole. Nel fondo vegeta qualche esemplare di platano orientale, mentre, nelle pareti più dirupate, fa ancora la sua comparsa l'aquila reale.
Nel territorio del Comune di Paternò, sulle falde sud occidentali dell'Etna, si trovano alcuni fenomeni vulcanici periferici, denominati "Salinelle". Si tratta di tre gruppi di colli coni di fango che, oltre a fango salmastro, emettono anidride carbonica, idrogeno solforato e metano. L'origine di tali fenomeni è da attribuirsi alla presenza, in profondità, di masse magmatiche relative all'antico vulcano preetneo di Paternò.
Come detto in precedenza, il bacino del Simeto si compone dei tre principali sottobacini che sono quelli dei fiumi Salso, Dittaino e Gornalunga, oltre a quelli, di minore estensione, del Troina e Cutò.
Caratteristiche idrologiche
Le stazioni idrometriche del bacino del F. Simeto che hanno funzionato in vari periodi a partire dal 1923, sono 16, di cui 2 nel bacino del F. Salso, 1 nel bacino del F. Troina, 5 nel bacino del F. Dittaino, 4 nel bacino del F. Gornalunga e 4 sull'asta principale del F. Simeto.
La stazione del Simeto a Biscari, posta a 198 m.s.m., sottende un bacino di 696 Kmq avente una altitudine media di 1031 m.s.m. Il deflusso medio annuo misurato in base a 25 anni di osservazione, compresi tra il 1924 ed il 1966, risulta di 388 mm (pari a 270 Mmc/anno), mentre la precipitazione risulta pari a 891 mm.
La stazione a Giarretta, posta a 17 m.s.m., sottende un bacino di 1832 KM2 avente una altitudine media di 793 m.s.m. Le osservazioni iniziarono nel 1923 e furono interrotte, per gli eventi bellici, dal 1943 al 1948. Nel 1936 fu installata, sempre a ponte Giarretta, una stazione torbidometrica; le osservazioni furono interrotte dal 1943 al 1956. Dopo la guerra furono costruiti gli invasi di Ancipa (1953) e Pozzillo (1958) che sottendono una superficie rispettivamente di 51 e 577 Kmq. Considerata la notevole superficie sottesa dal serbatoio di Pozzillo, si è ritenuto opportuno elaborare separatamente i dati idrologici registrati nel periodo antecedente e susseguente alla costruzione dell'invaso. Il deflusso medio annuo rilevato, in base a 30 anni di osservazione (1923- 1942 e 1949- 1958) risulta di 321 mm (pari a 588 Mm'/anno, mentre la precipitazione risulta di 768 mm. Il deflusso medio annuo rilevato nei successivi 9 anni di osservazione (1959- 1967) risulta invece di 268 mm (pari a 491 mc/anno), mentre la precipitazione risulta pari a 676 mm. Le portate solide misurate prima e dopo la costruzione del lago di Pozzillo sono nettamente diverse; nel primo periodo si è infatti registrata una portata media di 2704 T/Kmq e massima di 5280 T/Kmq; nel secondo periodo una portata media di 872 T/Kmq e massima di 2090 T/Kmq.
La stazione di Sommaruga, posta a 2 m.s.m., sottende un bacino di 2986 Kmq avente una altitudine media di 627 m.s.m. Il deflusso medio annuo misurato, in base a 8 anni di osservazione (1950 e 1952-1958), risulta di 260 mm (pari a 776 Mmc/anno), di cui 34 mm (pari a 101 Mmc/anno) nel periodo irriguo (maggio - ottobre) e 226 mm (pari a 675 Mmc/anno) nel periodo invernale. L'afflusso medio annuo è risultato di 682 mm di cui 206 mm nel semestre asciutto e 476 mm nel semestre piovoso.

41b - SOTTOBACINO DEL FIUME TROINA
Generalità
Versante: Orientale
Provincia: Catania, Enna, Messina
Compartimento idrografico: Palermo
Bacino idrografico principale: F. Simeto
Recapito del corso d'acqua: F. Simeto
Superficie totale del bacino imbrifero (Kmq): 208,6
Affluenti: T. S. Elia, Vallone Scaletta, T. Tusa, Vallone Vignazza
Serbatoi ricadenti nel bacino: Ancipa
Altitudine minima (m.s.m.): 540
Altitudine massima (m.s.m.): 1.686
Altitudine media (m.s.m.): 1.026
Lunghezza dell'asta principale (Km): 35

Utilizzazione prevalente del suolo: 

                            - Seminativo                    68%

                            - Bosco                           22%


Comuni ricadenti nel bacino: Cesarò, Troina
Descrizione
Il bacino del F. Troina ricade nel versante orientale della Sicilia e si estende per circa 208 Kmq interessando il territorio delle province di Catania, Enna e Messina.
Il F. Troina, che si sviluppa per circa 35 Km, è il più importante affluente della zona di monte del F. Simeto; esso trae origine dalle pendici di M. Pomiera e Pizzo Fao ad occidente di M. Soro, e confluisce nin destra idrografica nel F. Simeto, in territorio del Comune di Bronte.
Sul F. Troina, a nord del centro abitato di Troina, è stato realizzato il lago artificiale di Ancipa. Il bacino imbrifero diretto, sotteso alla sezione di chiusura del lago, si estende per 51 Kmq. E' stato inoltre realizzato un canale allacciante che convoglia le acque del T. S. Elia, del V.ne Finocchio, del V.ne Bracallà (ricadenti nel bacino del F. Troina) e del T. Cutò. La superficie complessiva allacciata è pari a circa 48 Kmq.
Gli affluenti principali del F. Troina, denominato in prossimità della confluenza col Simeto, F. di Serravalle, sono i torrenti S. Elia, Tusa e i valloni Scaletta e Vignazza.
Nel bacino ricade il centro abitato di Cesarò e parte del centro abitato di Troina.
I terreni del bacino sono mediamente poco permeabili e caratterizzano la natura torrentizia dei corsi d'acqua.
Caratteristiche idrologiche
Dal 1975 è in funzione la stazione idrometrica di Serravale che sottende un bacino, al netto del bacino sotteso da Ancipa, di circa 157 Kmq ad una quota di 545 m.s.m.
Nel 1975 è stato misurato un deflusso medio annuo di 152 mm (pari a circa 23.8 Mmc/anno) su un afflusso di circa 337 mm.
Il dissesto Idrogeologico

Troina (EN)
Viene segnalata nel 1992 una caduta massi nel Villagio Cristo Redentore. E' stato verificato il dissesto idrogeologico che si è sviluppato sul pendio, denominato Muganà, soprastante la strada comunale Maddalena-Liso ed il sottostante Villagio Cristo Redentore. Lungo le pendici di questi costoni sono presenti alcuni dissesti con distacco di grossi blocchi arenacei. Dalle schede del censimento risulta che sono interessate da frane le C.de Fontanelle, S. Agostino, Arcirù, Rocca Panteon, Crisaffe, Portella Monaco, Muto, Pedecaro, S. Antonio, S. Silvestro, S. Michele il Nuovo, Camatrone, Piano delle Giumente, Porrazzo, Marchelli, Casa Palmigiano, Candela, Mulino a Vento; inoltre sono censite diverse frane che insistono sul centro urbano di Troina.

41c - Sottobacino del FIUME DI SOTTO TROINA
Generalità
Versante: Orientale
Provincia: Enna, Messina
Compartimento idrografico: Palermo
Bacino idrografico principale: F. Simeto
Recapito del corso d'acqua: F. Salso
Superficie totale del bacino imbrifero (Kmq): 125,9
Affluenti: Vallone S. Antonio
Serbatoi ricadenti nel bacino: -
Altitudine minima (m.s.m.): 235
Altitudine massima (m.s.m.): 1.142
Altitudine media (m.s.m.): 623
Lunghezza dell'asta principale (Km): 23

Utilizzazione prevalente del suolo: 

                        - Seminativo                      83%

                        - Prato e pascolo              11&


Comuni ricadenti nel bacino: -
Descrizione
Il bacino del F. di sotto di Troina, detto anche Fiumetto, ricade nel versante orientale della Sicilia e si estende per circa 129 Kmq interessando il territorio delle province di Enna e Messina. Il corso d'acqua del F. Simeto è affluente di sinistra del F. Salso.
Il F. di sotto di Troina, che si sviluppa per circa 23 Km, trae origine in contrada Crisaffe in territorio del Comune di Troina; lungo il percorso riceve diversi affluenti tra i quali ricordiamo il V.ne S. Antonio. Il corso d'acqua confluisce nel F. Salso a valle del serbatoio di Pozzillo.
Dal punto di vista geologico, nel bacino sono presenti in notevole percentuale formazioni flyscioidi (calcareniti, marne, argille, arenarie, conglomerati, sabbie) e in misura notevolmente inferiore formazioni alluvionali (argille, ghiaie, sabbie).


(Tavole allegate)





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