Calendario dei Santi e dei Beati festeggiati nel mese di Ottobre

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1

San Romano il Melode - (Confessore del VI secolo) – È chiamato il Melode perché di lui non ci sono rimasti che canti: canti bellissimi, in lingua greco-bizantina. Della vita di Romano non sappiamo molto, ma la sua santità emerge nitida e fresca dalle sue melodie che si uniscono al coro paradisiaco dei Beati, anche qui sulla terra. Secondo la tradizione, in una notte di Natale gli apparve in sogno la Vergine Maria che gli porse un rotolo di carta, invitandolo ad inghiottirlo. La mattina successiva, giorno di Natale, Romano salì sul pulpito della chiesa, ma invece di predicare, cominciò a cantare. Cantò, ispirato e beato, il suo primo canto liturgico, a cui fecero poi seguito almeno altri ottanta (numero non esiguo, poiché talvolta i suoi inni raggiungono anche le cinquecento strofe).
Della sua vita sappiamo che nacque verso la fine del V secolo nella città di Emesa, in Siria. Fu diacono, poi coadiutore, a Berito, nella chiesa della Resurrezione. Recatosi a Costantinopoli, al tempo dell’imperatore Anastasio, si ritirò nella Chiesa della Madre di Dio. Morì poco dopo il 555.
Come già detto, la sua santità affiora abbondante dai suoi inni, dei quali ricordiamo in particolar modo quello del Giudizio Finale, che termina così: "Me in molti peccati – sempre prostrato – solleva, ti prego – perché ciò che consiglio – agli altri non osservo! – Ma io ti supplico – dammi tempo a pentirmi – e per intercessione – della sempre Vergine – e Madre di Dio risparmiami – e non mi respingere – dal tuo volto, - o giudice giustissimo".
C’è, in questo finale, un accenno d’umiltà, che è proprio il sigillo della santità di San Romano.

Santa Teresina del Bambino Gesù - (Monaca del XIX secolo) MEMORIA – Era nata più di un secolo fa, nel 1873, ed usciva da una famiglia francese veramente esemplare, ultima di otto figli, tre morti bambini e cinque, tutte femmine, entrate in convento. Perse la mamma quando aveva quattro anni, ed il vecchio padre riversò tutto il suo tenero affetto su di lei, ultima nata, che chiamava la "piccola Regina di Francia e di Navarra", o anche "l’orfanella della Beresina", quasi prevedendo il freddo che la piccola Maria Melania Teresa avrebbe sofferto ma senza un lamento, nel Carmelo.
Era entrata nel Carmelo, contro tutte le regole, a soli quindici anni, per uno speciale permesso del Papa, che Teresa stessa, con il padre, era andata ad implorare a Roma. Il vecchio Leone XIII aveva detto: "Se Dio vorrà, c’entrerai". E la giovinetta era entrata nel Carmelo, giovanissima, allo scopo, com’ella disse: "di salvare le anime e soprattutto di pregare in aiuto dei sacerdoti".
Quale vita conducesse la giovane suora nel convento di Lisieux si può leggere in un libro rivelatore, scritto dalla stessa Santa Teresina, per obbedienza, ed intitolato Storia di un’anima. Ed è la storia, edificante ed impressionante, di una giovane che giunge alla più luminosa delle santità per mezzo di piccolissimi sacrifici: piccolissimi e, nello stesso tempo, grandissimi, appunto per la loro modestia e la loro umiltà.
" Non c’è che una cosa da fare – ella scrive nel suo libro: - gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici ". E altrove: "Io voglio insegnare i piccoli modi che mi sono riusciti".
E quali erano questi modi? Al lavatoio, una suora maldestra le schizza l’acqua addosso. La Santa dei piccoli sacrifici riceve gli schizzi tacendo, senza neppure scostarsi d’un passo.
Oppure, una notte, ella ha uno sbocco di sangue. Le viene istintivo di accendere il lume, per rendersi conto dell’emottisi; ma pensa che ciò è curiosità ed eccessiva apprensione. Rimane ferma, al buio, offrendo il sacrificio per i missionari che faticano lontano.
Di questi piccoli ed enormi atti di virtù è piena la vita di Santa Teresina che, non compresa dalle consorelle del Carmelo di Lisieux, accetta pazientemente ingiustizie ed anche persecuzioni; malata di petto, sopporta con gioia dolori e debolezze; affaticata e stremata di forze, non rifiuta nessun lavoro; e tutti i sacrifici offre fermamente e serenamente "per le anime dei peccatori e per i bisogni della Chiesa", e finalmente, come dice con le parole che sono diventate il suo mirabile emblema "per gettare rose su tutti, giusti o peccatori".
Morì il 30 settembre del 1897, a soli ventiquattro anni, dicendo: "Non posso respirare; non posso morire. Ma voglio soffrire ancora".
Non erano passati ventisei anni che veniva proclamata Beata; due anni dopo – viva ancora la sorella che l’aveva seguita nel Carmelo – Santa. E due anni dopo, Patrona, con San Francesco Saverio, delle Missioni.
Intanto, sul mondo, scendevano le rose delle grazie, delle conversioni e dei miracoli: le rose dei piccoli sacrifici che la Santa di Lisieux aveva accettato prontamente, e che segnavano la via della santità accessibile a tutti, secondo le parole della piccola grande Santa, che pregava: "O mio Ben amato, ti supplico d’abbassare il tuo sguardo divino su un gran numero di piccole anime; ti supplico di sceglierti in questo mondo una legione di piccole anime, degne del tuo amore".

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2

Santi Angeli custodi - MEMORIA – Un tempo questa festa veniva celebrata il 29 settembre, insieme con quella di San Michele, custode e protettore per eccellenza. L’uso di una festa particolare dedicata agli Angioli Custodi si diffuse in Spagna nel ‘400, e nel secolo successivo in Portogallo, più tardi ancora in Austria. Nel 1670, il Papa Clemente X ne fissò la data al 2 ottobre.
Questa devozione prese particolare importanza nel Medioevo quando i monaci solitari ricercavano la compagnia di queste invisibili creature e le sentivano presenti nella loro vita di silenzioso raccoglimento.
Dopo il Concilio di Trento, la devozione per gli Angioli fu meglio definita e conobbe nuova diffusione. Nella vita attuale, però, gli uomini trascurano sempre più questa figura, cosicché non avvertono più la presenza di un puro spirito, testimone costante dei pensieri e delle azioni umane. In tal modo si finisce per relegare la figura dell’Angelo Custode al ruolo di "storiella per bambini" e, non a caso, anche l’iconografia si è fissata sulla figura dell’Arcangelo Raffaele, che guida e conduce il giovane Tobiolo.
Non va dimenticato, inoltre, che è verità di fede che ogni uomo riceve il proprio Angelo Custode, che lo accompagna, lo ispira e lo guida, per tutta la vita, fino alla morte, esemplare perfetto della condotta che si dovrebbe tenere nei riguardi di Dio e degli uomini.
L’Angiolo Custode è dunque il luminoso specchio sul quale ogni cristiano dovrebbe riflettere la propria condotta giornaliera; ed è su questa convinzione che si fonda una delle più belle preghiere: "Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Amen".

San Teofilo - (Monaco dell’VIII secolo) – Teofilo, il cui nome significa "amico di Dio", fu uno dei monaci che combatté, pagando in prima persona, l’iconoclastia che si diffuse nell’Impero di Costantinopoli intorno all’VIII secolo, a causa del decreto di Leone III l’Isaurico.
In quel periodo storico la paura che l’arte cristiana potesse dar luogo ad una nuova idolatria, aveva più volte spinto alcuni Vescovi a frenare una certa tendenza devozionale verso le immagini sacre.
Sennonché il Papa Gregorio Magno aveva già messo in guardia dall’eccesso di zelo da parte di coloro che avevano addirittura bandito le immagini dalle chiese. Egli, infatti, vedeva nell’arte sacra un mezzo per istruire e per edificare la maggioranza dei cristiani, non in condizione di possedere o di leggere i libri.
Malgrado ciò, alla Corte di Costantinopoli, sotto l’influsso della cultura araba, alcuni intellettuali dell’Università Imperiale indussero Leone III a prendere una posizione contraria all’arte religiosa.
Contro il suo editto si levò il Patriarca di Costantinopoli, il quale fece ricorso al Papa Gregorio II che condannò l’iconoclastia.
Se qualche Vescovo fu ossequioso nei confronti dell’Imperatore, i Monaci si ribellarono tutti e questo valse loro il martirio. A molti furono mozzati gli orecchi, ad altri venne tagliato il naso, ad altri la lingua. Chi fu accecato, chi fu mutilato.
Tra questi monaci c’era anche San Teofilo che fu prima fustigato e poi incarcerato. Alla fine venne esiliato ed in esilio morì. In un esilio che fu la sua vera patria, perché gli valse la gloria degli altari, sui quali tornò a trionfare l’arte, maestra e consolatrice dei poveri.

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3

San Moderato di Berceto - (Vescovo dell’VIII secolo)

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4

San Francesco d'Assisi - SOLENNITÀ – Non c’è dubbio: Francesco di Assisi è il Santo più celebre di tutta l’agiografia cristiana; noto, ammirato ed amato in tutto il mondo, anche in ambienti assai lontani dalla Chiesa Cattolica e dalla stessa cultura cristiana.
Ma è importante fissare i caratteri che garantiscono la fedeltà di San Francesco ad un ideale interamente evangelico, presentato e vissuto in modo originalissimo, ma mai gratuito o ribelle.
Prima di tutto, la sua aderenza costante all’insegnamento evangelico, alle parole ed alla figura stessa di Gesù. Un Gesù che Francesco d’Assisi, con geniale intuizione, presenta agli uomini del suo tempo (e di tutti i tempi) come Salvatore per amore e con l’amore: non più o non solo Signore onnipotente, Giudice supremo, Maestro indefettibile: ma fratello tra i fratelli, sofferente tra i sofferenti, creatura amabilissima tra le creature che lo amano e lo lodano: tutte le creature, anzi tutte le cose create. Ma soprattutto gli uomini, perché è per loro che il Figlio di Dio si è fatto uomo; per loro è stato creato l’universo; e creato con il pianto dell’universale redenzione per mezzo dell’amore già presente nella mente di Dio fin dal principio dei secoli.
Poi, la costante fedeltà di Francesco alla Chiesa, mistica sposa del Cristo. Una fedeltà testimoniata da infiniti episodi. Per ben tre volte, a tre diversi Papi, il Poverello chiese l’approvazione della sua Regola, la conferma e la riconferma.
Perfino prima di "montare" il primo Presepe nella storia cristiana, un presepe vivente (a Greccio, nel Natale del 1223) chiese ed ottenne l’approvazione del Papa, per quella "novità".
Del resto, all’inizio stesso della vocazione del Santo, il Crocifisso dipinto di San Damiano, che ancora si conserva ad Assisi, aveva chiesto a Francesco di restaurare la sua Chiesa. Di restaurarla, non di criticarla, o combatterla, o neanche riformarla.
Costante fu poi in lui il senso della cristiana letizia, ben diverso dalla tetraggine dell’errore. Introdotto per la prima volta, con i compagni, alla presenza di Innocenzo III, cominciò a ballare dalla gioia. A San Leo, durante una festa, predicò dicendo: "Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto". A Frate Leone dettò dove fosse "perfetta letizia": nella tribolazione e nella persecuzione accettata per amore. E finalmente, nell’orto di San Damiano, ad Assisi, ammalato, quasi cieco, piagato dalle Stigmate, dopo una tormentosa notte insonne, intonò il Cantico delle Creature, il più alto inno di ringraziamento e di lode.
Ma vediamo ora alcuni cenni biografici del Santo Patrono d’Italia.
Francesco, figlio di Pietro di Bernardone e di donna Pica, nacque ad Assisi nel 1182. Dopo una giovinezza alquanto spensierata, all’età di 24 anni, nella chiesetta di San Damiano, sentì l’invito di Cristo che lo chiamava a seguirlo ed a riparare la sua casa. Rinunciò allora ad ogni cosa terrena per aderire solamente a Dio, e da quel momento non ebbe altra preoccupazione che "vivere secondo la norma del santo Vangelo", imitando in tutto Cristo povero ed umile.
Unitisi a lui alcuni compagni, diede inizio ad un nuovo Ordine religioso (1209) che per umiltà chiamò "Ordine dei Frati Minori", e si stabilì prima a Rivotorto e poi a santa Maria degli Angeli. Per i suoi Frati egli scrisse una Regola, che fu poi approvata da Papa Onorio III nel 1223.
Francesco ed i suoi frati andarono dovunque a predicare il Vangelo, nei paesi cristiani ed in quelli degli infedeli, con parole semplici ma efficaci, e soprattutto con l’esempio della vita santa.
Fondò anche un secondo Ordine, chiamato delle "Povere Dame" o delle Clarisse, ed un Terz’Ordine per coloro che vivono nel mondo.
Due anni prima della morte, sul monte della Verna ricevette da Cristo il sommo privilegio delle Stimmate, che lo resero conforme al crocifisso anche nel corpo.
Morì a Santa Maria degli Angeli, adagiato sulla nuda terra, la sera del 3 ottobre 1226, ripetendo le parole dell’anima che si abbandona alla misericordia di Dio: "Voce mea ad Dominum clamavi…" (salmo 141). Due anni dopo la sua morte, Gregorio IX lo dichiarò santo e nel 1230 il suo corpo fu tumulato sotto l’altare della nuova Basilica eretta in suo onore.
Pio XII nel 1939 lo proclamò, insieme con Santa Caterina da Siena, Patrono d’Italia.

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5

Beata Felicia Meda - (Clarissa del XV secolo) – Nata nel 1378, Felicia era la maggiore di tre figli restati presto orfani per la morte dei genitori. Dedicò tutta la sua giovinezza ad allevare con premura e giudizio il fratello e la sorella minori.
A dodici anni aveva già fatto voto di santità, consacrando il suo corpo a Dio. Ma soltanto dopo i vent’anni, esaurito il compito di vicemadre, era entrata tra le Clarisse di Sant’Orsola. Prima di far ciò, lasciò tutti i suoi beni alla sorella, al fratello ed ai poveri.
Il suo esempio fu così contagioso che presto anche la sorella la seguì tra le Clarisse, mentre il fratello diventava Frate Francescano.
Dopo venticinque anni di vita religiosa, contraddistinta da un’estrema regolarità e rigorosità, e dalla continua vittoria su spossanti tentazioni, era diventata Superiora del Convento di Sant’Orsola, che divenne sotto di lei modello di virtù e di pietà.
Nel 1439 si recò a Pesaro, insieme a sette consorelle, per fondare un nuovo monastero, secondo quanto gli aveva ordinato San Bernardino da Siena, allora Vicario generale dei Francescani Osservanti.
In città entrò a piedi, rifiutandosi di salire sulla carrozza che la Duchessa di Pesaro le aveva fatto preparare, tra l’ammirazione devota di una grande folla.
La stessa ovazione popolare si ripeté quattro anni dopo, alla sua morte, nel 1444, quando il popolo di Pesaro l’acclamò come Santa.

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6

San Bruno - (Monaco dell’XI secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Nato in Germania, dopo la gioventù studiosa trascorsa prima a Colonia e poi a Reims, in Francia, San Bruno fu maestro esemplare dei suoi allievi, tra i quali c’erano anche San Ugo da Grenoble ed il futuro Papa Urbano II.
Ma la vocazione principale di Bruno non era tanto la dottrina, quanto la solitudine e la preghiera. Così, quando un Vescovo indegno e simoniaco, salito sulla cattedra di Reims, lo allontanò dall’insegnamento, egli si ritirò a Cîteaux insieme a sei compagni fedeli. Qui, dove Roberto di Molesme gettava le basi dell’Ordine detto Cistercense, non si fermò a lungo. Infatti, nel 1082, l’Abate della Chaise-Dieu, presso Grenoble, donò a San Bruno ed ai suoi compagni un luogo più solitario ed appartato nella Valle della Chartreuse. Tuttavia Bruno non potè restare a lungo in questo lembo di solitudine e di pace poiché, nel 1091, un antico allievo, divenuto il Papa Urbano II, lo volle con se presso la corte pontificia.
Scoperto che questa vita non era per lui, il Santo, si ritirò sui monti della Calabria, dove a Torre, presso Catanzaro, fondò la sua seconda Certosa. Qui visse gli ultimi anni della sua esistenza terrena, prima di librarsi, nel 1101, verso i pascoli eterni.

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7

Beata Vergine Maria del Rosario - MEMORIA – questa celebrazione fu istituita da San Pio V papa nell’anniversario della vittoria navale riportata dai cristiani a Lepanto ed attribuita all’aiuto della Santa Madre di dio invocata con la recita del rosario (1571). Questa commemorazione è di incitamento per tutti a meditare sui misteri di Cristo sotto la guida della Beata Vergine Maria, la quale fu associata in modo tutto speciale all’incarnazione, alla passione ed alla gloria della Risurrezione del Figlio di Dio.

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8

San Simeone - (Profeta del I secolo) – Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:

"Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele"
.

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima" (Lc 2,22; 2,25-35).
La vecchiaia di Simeone, erede dell’antica speranza d’Israele, si contrappone alla giovinezza dell’infante, pegno della Nuova Alleanza tra il popolo di Dio ed il suo Signore.
Simeone non è soltanto il vecchio uomo, ma il vecchio tempo, che vive però abbastanza a lungo per vedere l’alba del tempo nuovo.
Egli misura la vecchiezza del mondo, che sarebbe fatalmente stanchezza se non fosse consolata e vivificata dall’annuncio di vita nuova, costituita dalla nascita del Messia.

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9

San Dionigi, vescovo e Compagni - (Vescovo e Martire del II secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Gli Atti degli Apostoli precisano come quando Paolo si allontano dall’Areopago, dopo il suo discorso, alcuni Ateniesi lo seguissero, attratti dall’annunzio del Dio ignoto e sconvolti da quella vittoria sulla morte che aveva fatto sorridere i loro scettici cittadini.
Di questi pochi gli Atti fanno soltanto due nomi: quello di una donna, Damaride, e quello di un uomo, Dionigi l’Areopagita.
Areopagita voleva dire che Dionigi faceva parte proprio di quel tribunale dell’Areopago che si riuniva sulla solitaria spianata e dove San Paolo aveva scelto di parlare.
Nella cronaca redatta da San Luca, Dionigi l’Areopagita, come tanti altri personaggi dell’epoca paolina, non viene mai più ricordato. Si può ritenere però, se non certa, probabile, la notizia riferita dal grande storico Eusebio da Cesarea, secondo la quale, dopo il discorso e la partenza di Paolo, il convertito Dionigi divenne il primo Vescovo di Atene.

San Giovanni Leonardi - (Sacerdote del XVI secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Nacque presso Lucca in Toscana nel 1541. Imparò l’arte di farmacista, ma poi l’abbandonò e volle diventare sacerdote. Si dedicò alla predicazione, soprattutto insegnando ai fanciulli la dottrina cristiana. Nel 1574 fondò l’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio, per il quale ebbe a sopportare molte tribolazioni. Quindi istituì un collegio di sacerdoti per la propagazione della fede, per cui viene considerato come l’ideatore di quell’istituzione che, sviluppata dai sommi Pontefici, si chiamò di "Propaganda Fide". Con la sua carità ed avvedutezza fece rifiorire varie Congregazioni religiose. Morì a Roma nel 1609.

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10

Santi Daniele e Compagni - (Martiri del XIII secolo ) MEMORIA FACOLTATIVA – Nel 1227, sette Frati Minori (Daniele di Calabria, Angelo, Samuele, Donnolo, Leone, Nicola, Ugolino) partirono come missionari del Vangelo tra i maomettani. Giunti nel Marocco, cominciarono subito a predicare il nome di Cristo. Incarcerati e spinti con lusinghe e minacce ad abiurare la fede cristiana, resistettero da forti; furono perciò condannati alla decapitazione. I loro corpi pietosamente raccolti dai cristiani, furono sepolti a Ceuta. Leone X li annoverò tra i santi martiri.

Beato Daniele Comboni - (Missionario del XIX secolo) – Nato nel 1831 a Limone sul Garda da famiglia poverissima, divenne il propulsore dello spirito missionario in Africa nel secolo scorso. Fondò infatti un ordine missionario maschile ed uno femminile, tuttora esistenti ed attivi in Africa. Come teologo del Vescovo di Verona, fece sottoscrivere al Concilio Vaticano I a settanta Vescovi una petizione in favore dell’evangelizzazione dell’Africa centrale. La sua vita si svolse in continui viaggi in territori impervi, gravata dalle numerose cariche conferitegli a causa dello scarso spirito missionario del clero del tempo. Morì nella sua diocesi di Karthoum nel 1881.

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11

San Gerardo Maiella - (Confessore del XVIII secolo) – Nato da una modestissima famiglia di Muro Lucano, in provincia di Potenza ed ultimo di cinque fratelli Gerardo provò fin da piccolo che cosa significasse soffrire di fame; al punto che, un giorno, il Gesù Bambino di un piccolo oratorio gli diede miracolosamente due pagnotte di farina bianca.
Di natura troppo gracile doveva spesso subire le angherie dei compagni che lo picchiavano e, lo faceva con il sorriso sulle labbra, diceva infatti: "Rido perché è la mano di Dio che mi batte".
Rifiutato dai Cappuccini, a causa della sua costituzione fisica, dopo alcuni anni d’incertezze e di lotte interiori, si rivolse ai Redentoristi di Sant’Alfonso de’ Liguori, presso Foggia, dove rimase come umile fratello converso, intento alla propria perfezione spirituale. In questo modo attorno a Gerardo crescevano e si intensificavano i prodigi soprannaturali, finché, accusato ingiustamente da una giovane donna, fu chiamato a difendersi e, non lo fece. Diceva, infatti, che se Dio avesse voluto dimostrare la sua innocenza, nessuno avrebbe potuto farlo meglio di Lui.
Gerardo sapeva che per vincere le tentazioni del demonio occorreva l’umiltà e quindi lasciò che gli altri lo considerassero un religioso indegno, sopportando dure umiliazioni.
Questo suo atteggiamento indusse Sant’Alfonso a crederlo colpevole e, per questo, gli fu interdetta la Comunione ed ogni relazione con le persone fuori dal convento. Successivamente venne trasferito nei pressi d’Avellino.
Ma Dio non aveva dimenticato il frate fedele ed un giorno la donna che lo aveva giustamente accusato confessò la verità, riabilitando Gerardo, tra lo stupore dei confratelli e la gioia di Sant’Alfonso. Ma perché il frate converso s’è lasciato calunniare così? "Perché – risponde Gerardo – quella era una buona occasione per farmi Santo. Se la perdevo, la perdevo per sempre".
I superiori gli impongono di scrivere i racconti dei suoi esami di coscienza. Ed il giovane, umile converso scrive parole che Sant’Alfonso trova d’una perfezione spirituale ammirabile: "Se io mi perdo, perdo Dio, e che mi resta da perdere, se perdo Dio?".
Mentre intorno a lui si intensificano dei prodigi straordinari (come la sua sparizione durante la preghiera) fra Gerardo diceva: "Dio è morto per me. Se a Lui piace, io vorrei morire per Lui". E fu accontentato, salendo dopo 29 anni d’esistenza terrena, nello splendore della gloria dei cieli.

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12

San Serafino da Montegranaro - (Cappuccino del XVI secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Era nato nelle Marche, a Montegranaro, nel 1540, ed era figlio di famiglia contadina. Fu pastore fino alla morte del padre, quando bussò alla porta del Convento dei Cappuccini.
La sua intera esistenza di francescano trascorse nell’orto ed in altri umili lavori manuali. Non per questo mancarono attorno a lui i prodigi, come la fecondità dell’orto che consentiva non solo di soddisfare i bisogni della frugale comunità conventuale, ma anche quelli dei poveri della zona.
Accanto alla vita operosa, il cappuccino del Convento di Jesi, sentiva profondo il richiamo della vita spirituale. Trascorreva in chiesa tutte le ore libere del lavoro dell’orto, e serviva la SS. Messa con tale devozione da commuovere anche i fedeli più distratti.
Nella sua semplicità e nella sua ignoranza comprendeva e viveva intensamente il grande dramma dell’altare eucaristico, con una penetrazione mistica davvero stupefacente.
La sua esistenza durò sessantatré anni e morì dopo aver ricevuto il Viatico, chiesto con insistenza, mentre nessuno credeva prossima la sua fine.

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Sant'Edoardo Confessore - (Re dell’XI secolo) – San Edoardo è detto "il Confessore", perché dichiarò apertamente la fede cristiana durante tutto il suo Regno, non a parole, ma vivendola; ed insegnandola ai sudditi con la tacita eloquenza dell’esempio.
Egli fu un re vittorioso, non però un grande re. Fu un anima tersa, non un sovrano forte. Fu un uomo caritatevole, non un monarca intrepido. Re poco autorevole, le sue doti gli valsero una popolarità colma d’affetto.
Educato alla Corte di Normandia giunse nel 1402 sul trono degli avi. Del re ebbe l’aspetto ed il portamento, restando però uomo affabile e modesto. Molta preghiera, molti esercizi di pietà, poco cibo, poche bevande, una vivissima carità, ecco le norme che guidarono la sua vita dalla gioventù fino alla vecchiaia.
Non seppe opporsi ai capi dell’aristocrazia, che sminuirono a loro favore il prestigio ed il potere del re. Ma, cosa ben più importante, fece venire dal continente sacerdoti e religiosi di alto valore, la cui influenza nella vita spirituale del paese durò assai a lungo.
Morì nel 1066, senza discendenza, poco dopo la consacrazione della restaurata chiesa abbaziale di Westminster.

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San Callisto I - (Papa e martire del III secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – La storia di questo Santo, Pontefice agli inizi del III secolo, fu veramente strana. Infatti egli ebbe ai suoi tempi, molti avversari tra i cristiani dissidenti di Roma.
Di quello che fece prima di divenire Papa non sappiamo molto e, cosa più grave, le poche notizie ci vengono dagli scritti di un antipapa, (l’antipapa in questione fu Sant’Ippolito che, per quanto dotto teologo e zelante sacerdote, fu per quasi tutta la vita sull’orlo dell’eresia. Infatti, tra l’altro, attaccò come eretici i Pontefici Vittore, Zeffirino, Callisto e Ponziano, prima di ritornare, come mansueto agnello, in seno alla Chiesa) suo avversario, che cerca in ogni modo di presentare negativamente la figura di Callisto. Secondo questi documenti, "più o meno attendibili" sappiamo che prima di essere eletto pontefice il Santo era stato uno schiavo, frodatore di un padrone troppo ingenuo. Costretto a fuggire in Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati, nelle miniere della Sardegna. Tornato a Roma, in occasione di un’amnistia, venne inviato ad Anzio. Di qui venne richiamato dal Pontefice Zeffirino, che gli affidò la cura dei cimiteri della Chiesa.
Fu allora che Callisto iniziò lo scavo del grande sepolcreto lungo la via appia che oggi porta il suo nome.
Alla morte di Zeffirino, Callisto, suo diacono, venne eletto papa egli stesso.
Fu proprio allora, come Sommo Pontefice, che si attirò le recriminazioni di certi cristiani troppo ligi alle tradizioni, troppo rigidi nella morale, troppo retrivi alle novità.
Il nuovo Papa fu accusato di eresia, nella formulazione del Mistero della Trinità secondo la tradizione ortodossa, che venne, invece, poi confermata dai Concili. Venne incolpato di scarso zelo, quando, in tempi di rilassatezza, istituì il digiuno delle Quattro Tempora. Ma, soprattutto, gli veniva contestata la scarsa severità disciplinare o, come sarebbe più appropriato dire, la misericordia che, secondo gli insegnamenti di Gesù, lo portava ad accogliere nella Chiesa i peccatori pentiti e quei cristiani che in tempo di pericolo avevano difeso la loro fede debolmente.
La sua morte fu eroica e fu morte di martire, nel 222. Gettato in un pozzo di Trastevere, forse in una sommossa popolare, il suo corpo venne deposto di là dal fiume, lungo la via Aurelia, lontano dalle catacombe da lui fatte erigere.

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15

Santa Teresa d'Avila - (Vergine e Dottore della Chiesa del XVI secolo) MEMORIA – La magnanimità, unità all’umiltà, forma il carattere di questa grande mistica, che avvertiva costantemente accanto a sé la presenza di Dio ed al tempo stesso, da grande asceta, la vicinanza del demonio.
Usciva da un’importante famiglia spagnola. Entrata giovanissima nel Carmelo, fino a quarant’anni condusse vita religiosa molto mitigata, per non dire mediocre, senza ardore di santità.
Ma nel 1555, la carmelitana tiepida cessò di vivere per sé, ed in lei cominciò a vivere Dio. Trasverberata dal fuoco divino, non conobbe incertezze, non ebbe debolezze, non temette avversità, persecuzioni e perfino condanne.
Ella diceva: "Nostro Signore chiede ed ama anime coraggiose, per quanto umili. Nella vita spirituale occorre intraprendere grandi cose". Da parte sua, intraprese "grandi cose" attuando la riforma del Carmelo, anzi la fondazione di nuovi conventi, maschili e femminili, nei quali l’ascetismo non fosse una parola priva di significato.
Si mise a viaggiare, ella che amava la vita comoda, sopportando fatiche e disagi, nonostante la sua salute malferma ed i continui disturbi. Ferita ad una gamba si rivolgeva a Dio con schiettezza di donna risoluta: "Signore, dopo tante noie, ci voleva anche questo guaio!". Dio le rispose: "Teresa, io tratto così i miei amici". E lei, di rimando: "Ah, Dio mio, ora capisco perché ne avete così pochi!".
Fu la "mamma" di tutti i Carmelitani Scalzi, che si lasciarono guidare da lei, guidata da Dio per mezzo di visioni ed intimi colloqui. Fu maestra di mistici, come il poeta San Giovanni della Croce. Fu direttrice di coscienze.
Fu definita "l’onore della Spagna e della Chiesa". Ma più che onore bisognerebbe parlare di amore, perché santa Teresa (morta nel 1582, a sessantasette anni) fu esempio perfetto di "sposalizio spirituale" con Dio.
È stata proclamata Dottore della Chiesa.

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Santa Edvige - (Penitente del XIII secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Santa Edvige, nata nel 1174 nell’Alta Baviera, fu duchessa della Slesia, sposa di Enrico I detto il Barbuto. La sua vita principesca fu amareggiata da numerose sventure familiari, e soprattutto dalla rivalità tra i propri figli. All’egoismo ed alla superbia, Edvige rispose con la dolcezza verso i sudditi, la mitezza verso i nemici, il costante desiderio di pace, sia nelle contese internazionali come nelle beghe di corte.
Soccorse i poveri ed i religiosi; beneficò i carcerati, migliorando le loro condizioni di vita. Si adoperò per la liberazione dei prigionieri di guerra. Si diceva che delle sue rendite trattenesse per sé appena un centesimo, donando tutto il resto in carità.
Tutto ciò, per lei, non era altro che dovere: il dovere di una principessa veramente cristiana. I suoi meriti, diciamo così straordinari, dovevano essere altri, più segreti ed ancora più ardui da conseguire.
Straordinaria fu infatti l’austerità della Duchessa di Slesia nella sua vita privata, trascorsa in mezzo ai digiuni, alle veglie, alle vere e proprie privazioni. Non bastava farsi serva dei poveri, consolatrice degli afflitti, infermiera degli ammalati e dei lebbrosi. Bisognava mortificare il proprio corpo, offrendo le sofferenze a riscatto dell’egoismo, della sensualità e dell’avidità dei più.
La Duchessa Edvige trattò se stessa con rigore quasi incredibile. Indossava una sola tunica ed un mantello, d’estate e d’inverno; sulla pelle portava un cilicio ed una cintura di crini. Il suo corpo magrissimo era spesso livido e piagato dalle flagellazioni che s’infliggeva.
Fu lei ad inventare il curioso stratagemma delle scarpe senza suola, per camminare sempre scalza anche quando l’etichetta le imponeva di indossare le calzature. E se il confessore l’esortava a portare le scarpe, ella le portava, sì, ma sotto il braccio.
Di questi piccoli eroismi fu intessuta tutta la vita di Santa Edvige, principessa e penitente, sposa fedele e madre dolorosa, Sovrana giusta e benefica, morta nel 1243 e subito venerata come santa.

Santa Margherita Maria Alacoque - (Monaca del XVII secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque , francese, è legata alla diffusione della devozione del sacro Cuore, una devozione tipica dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre secoli fa.
All’origine della devozione al Cuore di Gesù si trovano due grandi santi: Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque.
La Santa odierna, da parte sua, fu colei che rivelò in tutta la loro mirabile profondità i doni d’amore del Cuore di Gesù, traendone grazie strepitose per la propria santità, e la promessa che i soprannaturali carismi sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro Cuore.
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché non le fu facile sottrarsi all’affetto dei genitori, e alle loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a ventiquattro anni, nell’Ordine della visitazione, fondato da San Francesco di Sales.
Margherita, diventata suor Maria, restò vent’anni tra le Visitandine, e fin dall’inizio si offrì "vittima al Cuore di Gesù". In cambio ricevette grazie straordinarie, come fuor dell’ordinario furono le sue continue penitenze e mortificazioni sopportate con dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai Superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria.
Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità. E fu il Beato Claudio La Colombière, che divenne preziosa ed autorevole guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da lei avute.
"Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini", le venne detto un giorno, nel rapimento di una visione. È una frase restata quale luminoso motto della Devozione al Sacro Cuore. E poi, le promesse: "Il mio cuore si dilaterà per espandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che mi onorano". E ancora: "I preziosi tesori che a te discopro, contengono le grazie santificanti per trarre gli uomini dall’abisso di perdizione".
Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica pia dei primi Nove Venerdì del mese. Vinta la diffidenza, abbattuta l’ostilità, scossa l’indifferenza, si diffuse nel mondo la devozione a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso "su un trono di fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce". È l’immagine che appare ancora in tante case, e che ancora protegge, in tutto il mondo, le famiglie cristiane.

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Sant'Ignazio di Antiochia - (Vescovo e martire del II secolo) MEMORIA – Sant’Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico, dopo Roma ed Alessandria d’Egitto.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d’ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore vittorioso nella Dacia ed i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere. In queste, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l’unità della Chiesa.
Di un'altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio. "Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il Vescovo di Siria".
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: "Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. Io sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo".
E, giunto a Roma, nell’anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente "macinato" dalle innocenti belve del Circo.

Beato Contardo Ferrini - (Giurista del XIX secolo) – Fu uno dei giuristi più apprezzati ed uno dei maggiori romanisti del suo tempo. Nacque a Milano nel 1859 e si laureò in diritto a Pavia nel 1880; qui dal 1894, dopo aver insegnato in altre università, fu ordinario di diritto romano fino alla morte, nel 1902. Notevole fu la sua produzione scientifica, specie nell’ambito della storia del diritto romano e nella ricerca delle fonti. Uomo di profonda religiosità e sensibilità, si segnalò per numerose opere caritative a favore degli "ultimi", anzi, nonostante la sua posizione sociale, affermò coraggiosamente il suo impegno nella Chiesa. Dopo la sua morte, fu iniziata la causa di beatificazione, conclusa durante il pontificato di Pio XII, nel 1947.

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San Luca Evangelista - (Evangelista del I secolo) FESTA – Il terzo evangelista non fu ebreo, né di razza né di religione. Dopo Matteo, ebreo e che per gli Ebrei scrisse; dopo Marco, nato a Gerusalemme e che scrisse soprattutto per i Gentili, Greci e Romani, il terzo evangelista, San Luca, fu greco di origine e pagano di religione. Era di Antiochia, in Siria, metropoli dell’Oriente greco. Uomo colto, con inclinazioni artistiche e gusto letterario, era medico di professione. Quando si convertì, Gesù non viveva più sulla terra. Egli perciò non lo conobbe, non udì la sua voce.
Divenne affettuoso compagno dei discepoli e delle pie donne, amico soprattutto di Paolo. E quando volle narrare per la terza volta, dopo Matteo e Marco, la vita di Gesù, che egli non aveva conosciuto, il medico di Antiochia ricordò i racconti dei discepoli e le narrazioni delle donne, raccolse tracce e testimonianze, vagliò documenti e ricercò tradizioni.
Poi, verso l’anno 62, trascrisse il risultato dell’appassionato lavoro nel suo bel greco preciso e poetico. Sotto la sua penna, la Buona Novella era un annuncio consolante, un messaggio di salvezza e di universale concordia.
La Redenzione non era più un fatto nazionale o razziale: veniva esaltata nel suo valore universale, in un’unione di popoli non ideale, ma già in atto. Ne era prova lo stesso San Luca, greco di nascita e pagano convertito.
Fu soprattutto l’Evangelista dell’infanzia di Gesù ed il biografo della Madonna. Il suo Evangelo, ordinato con rigorosa cronologia, degna di uno scienziato, composto con armonia ed eleganza, degne di un artista, ha inizio infatti con l’annunciazione e la concezione, non di Gesù, ma, sei mesi prima, di Giovanni, il Precursore e futuro Battista.
All’Evangelo dette un seguito con gli Atti degli Apostoli, che formano la luminosa cronaca dei primi anni della Chiesa, dopo l’Ascensione e la Pentecoste. Ma non evangelizzò soltanto con la penna. Fu compagno di Paolo in vari viaggi, e con lui fu a Roma, dove però non si trattenne.
Morì Martire, ma non si sa dove né come. Chi disse nella Tebaide, chi in Acaia, chi in Bitinia; chi, genericamente, "in Oriente".

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San Pietro d'Alcantara - (Confessore del XVI secolo) MEMORIA – Pietro era nato ad Alcantara, piccola città dell’Estremadura, ai confini con il Portogallo, nel 1499. A sedici anni prese l’abito di San Francesco e per tutta la vita volle riportare l’Ordine al rigore della prima Regola.
Cercava di dare l’esempio della più severa penitenza e della più dura povertà. Non meraviglia se incontrò in molti confratelli un’accanita resistenza. Non tutti avevano la sua tempra di penitente.
Un giorno andò a trovarlo un religioso di un altro Ordine. Lo trovò dentro una grotta nell’orto, nudo, con addosso il solo mantelletto. "Come mai siete vestito così poco decentemente?", gli chiese l’ospite. Il Santo si scusò: "Oh, padre mio, leggete il Vangelo. C’è scritto di avere soltanto una tunica. Ho lavato la mia pochi momenti fa, e l’ho stesa su quella pietra. Appena sarà un po’ asciugata me la rimetterò addosso".
L’Imperatore Carlo V, il conquistatore del mondo, lo avrebbe voluto per confessore. Il francescano gli si gettò ai piedi, e baciandogli la mano, disse: "Vostra Maestà cercherà sicuramente di fare la Volontà di Dio. Se io non tornerò più, vorrà dire che Dio non ha voluto che io accettassi questa carica". E non si fece più rivedere.
Morì, dolcemente, il 18 ottobre 1562. Santa Teresa d’Avila scrisse di avere avuto più volte la visione del penitente nella gloria di quell’eterna patria celeste da lui desiderata e conquistata con la penitenza.

Sant'Isacco de Brébeuf, Isacco Jogues e Compagni - (Martiri del XVII secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – I sacerdoti gesuiti Giovanni de Brébeuf († 1649), N. Chabanel († 1649), A. Daniel († 1648), G. Lalemant († 1649), furono martirizzati nell’attuale Canada; il sacerdote Isacco Jogues († 1646) ed i coadiutori R. Goupil († 1642), G. de La Lande († 1646) subirono il martirio negli attuali Stati Uniti d’America.
Avevano svolto la loro attività missionaria fra gli indigeni Uroni ed Irochesi dell’America Settentrionale. Furono tutti canonizzati da Pio XI nel 1931.

San Paolo della Croce - (Sacerdote del XVIII secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Nacque ad Ovada (Alessandria) nel 1694; da giovane aiutò il padre nel suo commerciò. Aspirando alla vita di perfezione, abbandonò ogni cosa e cominciò a servire i poveri ed i malati ed a radunare attorno a sé dei compagni. Ordinato sacerdote, si adoperò sempre di più per la salvezza delle anime, esercitando intensa attività apostolica e macerandosi con rigide penitenze. Fondò la Congregazione dei Chierici scalzi della SS.ma Croce e Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (Passionisti). Morì a Roma il 18 ottobre 1775.

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Beato Giacomo degli Strepa - (Vescovo del XIV secolo) - MEMORIA FACOLTATIVA – Giacomo degli Strepa, di nobile famiglia polacca, nacque verso la metà del secolo XIV, e ancora giovanissimo entrò nell’Ordine di San Francesco. Per molti anni esercitò il ministero in Russia, fu Vicario Generale di quella missione e lavorò attivamente per l’unità dei cristiani.
Eletto Vescovo di Halicz (la cui sede metropolitana fu in seguito trasferita a Leopoli), si distinse per le sue qualità di pastore. Per gli eccezionali meriti civili, venne proclamato difensore e custode della patria. Morì il 20 ottobre 1409 ed il suo corpo riposa nella cattedrale di Leopoli. Pio VI ne approvò il culto.

Beato Contardo Ferrini - (Terziario francescano del XIX secolo) - MEMORIA FACOLTATIVA – Contardo nacque a Milano il 5 aprile 1859. Educato in una famiglia profondamente cristiana, condusse vita esemplare fin dal periodo dei suoi studi, che compì con sorprendente profitto. Si laureò in Giurisprudenza e fu penalista insigne, versatissimo nel diritto romano e bizantino. La sua condotta fu sempre tale da poter egli essere additato quale modello di laico cattolico.
Fu terziario francescano e si dedicò attivamente alle opere caritative. Morì a Suna (Novara) il 5 ottobre 1902, e salì nella gloria del Bernini nel 1947.

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Sant'Orsola - (Vergine e Martire d’incerta epoca) – La tradizione vuole che questa principessa, onde evitare il matrimonio, avesse richiesto tre anni di tempo per meditarvi, la conversione del futuro sposo e mille ancelle per sé e per ciascuna delle sue dieci compagne. Partite le undicimila fanciulle per un pellegrinaggio a Roma, al ritorno incontrarono il martirio per mano degli Unni ed Orsola venne uccisa dallo stesso temibile Attila, inutilmente invaghitosi di lei. In realtà un’iscrizione del IV-V secolo nel Duomo di Colonia parla di solo 11 martiri. Sotto la sua protezione sant?Angela Merici pose il primo ordine secolare femminile, quello appunto delle Orsoline.

San Bertoldo da Parma - (Fratello laico del XII secolo) – Il Santo visse a Parma e morì nel 1106. Bertoldo discendeva da una famiglia straniera: inglese il padre, Abbondio, brèttone la madre, Berta. Erano giunti in Italia, poverissimi artigiani, fuggendo l’invasione normanna dell’Inghilterra, e in un primo tempo si stabilirono a Milano, dove Abbondio esercitò il mestiere del calzolaio, ma con poca fortuna.
Passarono allora di là dal Po’, fissandosi a Parma, dove nacque, verso il 1072, il loro unico figlio, Bertoldo.
A sette anni, il ragazzo lavorava già nella bottega paterna, aiutando nello stentato mestiere. Ma a dodici, Bertoldo abbandonò lesina e trinchetto, per servire il Signore con pari zelo ed immutata umiltà.
Dovette vincere la resistenza dei genitori, del padre soprattutto, che forse nutriva per quell’unico figlio l’ambizione di tutto quanto era stato a lui negato dalla vita.
Ma la vocazione di Bertoldo, pur nella sua semplicità, fu più forte delle ambizioni paterne, ed il ragazzo poté così cambiare la bottega del calzolaio per la chiesa parmense di Sant’Alessandro, presso la quale esisteva un monastero di monache Benedettine.
Nella storia degli Ordini religiosi, Bertoldo è considerato così un precursore di quei conversi, o fratelli laici, detti Oblati Regolari, che divennero più tardi comuni.
Le sue mansioni, nella chiesa di Sant’Alessandro, furono quelle di un sagrestano; un sagrestano che faceva parte della comunità, e ne viveva la Regola con puntualissimo zelo.
Viveva alla base del campanile, ed era desto prima dell’alba, per pregare davanti all’altare, dopo aver tutto preparato per le prime Messe. Indossava un cilicio, e ogni venerdì si flagellava. Sempre obbediente, umile e sereno, le monache lo additavano addirittura come modello alle giovani novizie.
Con il permesso del Superiore, fu pellegrino a Roma e poi in Francia, dove visitò l’ospedale di Sant’Antonio Abate, lasciandosi dietro il ricordo di prodigiose guarigioni. E umili, toccanti miracoli gli vennero attribuiti anche dopo il ritorno a Parma, dove morì ancora giovane, mentre pregava, salutato da un insistente stormo di campane.

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Beata Giuseppina Leroux - (Vergine e martire del XVIII secolo) – MEMORIA FACOLTATIVA (per le Clarisse) – Nata a Cambrai nel 1747, lasciò la casa paterna all’età di 22 anni ed entrò tra le monache Clarisse. Costretta a lasciare la clausura a causa delle leggi eversive emanate durante la Rivoluzione in Francia, si ritirò tra le Orsoline della stessa città. Ma ben presto con altre religiose fu nuovamente estromessa dal convento e condannata alla ghigliottina nell’anno 1794.

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San Giovanni da Capestrano - (Confessore del XV secolo) MEMORIA – Era nato a Capestrano, vicino l’Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da madre abruzzese, ed il biondo incrocio tra il cavaliere tedesco e la fanciulla abruzzese veniva chiamato "Giantudesco".
Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di Durazzo lo fece governatore di quella città. Ma da Perugia si vedeva, sul fianco del Subasio, la rosea nuvola di Assisi, e Giantudesco, caduto prigioniero dei Malaspina, meditò in carcere sulla vanità del mondo, come aveva già fatto il giovane San Francesco.
Non volle perciò tornare alla vita mondana ed uscito di carcere si fece legare dalla corda francescana, entrando nell’Ordine, dove San Bernardino propugnava, nel nome di Gesù, la riforma della cosiddetta "osservanza".
Giantudesco entrò in intimità col Santo riformatore. Lo difese apertamente e valorosamente quando, a causa della devozione del Nome di Gesù, il Santo senese venne accusato d’eresia. Anch’egli così prese come emblema il monogramma bernardiniano di Cristo Re e lo portò nelle sue dure battaglie contro gli eretici e contro gli infedeli. Il Papa lo nominò Inquisitore dei Fraticelli; lo inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l’unione degli Armeni con Roma.
Ovunque c’era da incitare, da guidare e da combattere, Giantudesco alzava la sua bandiera fregiata dal raggiante stemma di Gesù o addirittura una pesante croce di legno, che ancora si conserva all’Aquila, e si gettava nella mischia, con teutonica fermezza e con italico ardore.
Aveva settant’anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita dai Turchi. Entrò nelle schiere dei combattenti, dove era più incerta la sorte delle armi, incitando i cristiani ad avere fede nel nome di Gesù.
Per undici giorni ed undici notti non abbandonò mai il campo. Ma questa doveva essere la sua ultima fatica di combattente. Tre mesi dopo, il 23 ottobre, Giantudesco motiva a Villaco, nella Schiavonia, consegnando ai suoi fedeli la Croce, emblema di Cristo Re, che egli aveva servito, fino allo stremo delle sue forze.

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San Raffaele - (Arcangelo) – Il nome di Raffaele significa in ebraico "Dio risana". La Scrittura lo dice: "uno dei sette angioli che stanno dinanzi al Signore". Più tardi, la tradizione ha esteso anche a lui il titolo di Arcangiolo, che nella Bibbia viene dato soltanto a Michele, Principe delle milizie celesti.
Dei tre arcangeli, Raffaele è il meno noto, e meno diffuso è il suo culto tra i fedeli. Forse ciò dipende dal fatto che egli appare soltanto nell’Antico Testamento, ma non nel Nuovo, dove figura invece Gabriele, l’Angiolo dell’Annunciazione, e Michele, l’Angiolo guerriero dell’Apocalisse.
Anche nell’arte Raffaele ha avuto minore abbondanza di raffigurazioni. I suoi attributi iconografici non sono precisi, ma lo si riconosce perché, di solito, appare accanto al giovanetto Tobiolo, come attento compagno di viaggio, specialmente nell’occasione del pesce catturato nel Tigri.
Eppure la Bibbia ci dà, sul suo aspetto, un particolare assai interessante. "Tobiolo – dice – incontrò un giovane bellissimo con le vesti succinte". Questa delle vesti corte non è una nota di leggiadria, né un richiamo alla moda del tempo. Per tutti i popoli che vestivano lunghe tuniche la prima necessità del viaggio era quella di rialzarsi le vesti, lasciando libero il passo alla gamba. E chi camminava con passo più spedito, più alto sollevava l’orlo della veste, rimboccandola attorno alla cintura.
Raffaele è dunque l’angelo viaggiatore, il celestiale compagno di cammino. Ed è a lui che il vecchio Tobia, cieco e giusto, affida il figlio Tobiolo, mandato a riscuotere un credito di dieci talenti d’argento. Raffaele segue così Tobiolo dall’Assiria alla Media, fino a Rages. Lo salva da ogni male; lo libera da ogni pericolo, come quello del pesce del Tigri.
Non solo. Egli stesso porta a buon fine l’incarico di Tobia, riscuotendo i talenti. Per di più fa sposare a Tobiolo la virtuosa figlia di Raguel, Sara, dopo averla liberata da un demonio che la perseguitava.
Finalmente, celebrate le nozze, Raffaele guida i due sposi sulla strada del ritorno verso la casa paterna. E dopo il felice ritorno, sempre per il consiglio di Raffaele, Tobiolo restituisce prodigiosamente la vista al padre, ponendo sopra i suoi occhi il fiele del pesce del Tigri.
Così appare nella Bibbia San Raffaele, l’angelo viatore, dalle vesti sollevate sugli svelti malleoli. Poiché è lui a presentare al Signore, che le esaudirà, le preghiere di Tobia afflitto dalla cecità, e quelle di Sara tormentata dal demonio, viene invocato come protettore dei mali della carne e delle infermità del corpo. Ma più giustamente, il protettore nei viaggi viene considerato come esemplare Custode: colui al quale ogni padre come Tobia, vorrebbe affidare il proprio figli che affronta, solo, il lungo e sconosciuto viaggio della vita.

Sant'Antonio Maria Claret - (Vescovo del XIX secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Quinto figlio di Giovanni Claret, tessitore in Catalogna, seminarista, sacerdote, parroco a Viladàn, in Spagna, eletto finalmente, nel 1850, da Pio IX Vescovo di Santiago di Cuba.
Al proprio nome di Antonio, il Vescovo Claret aggiunse allora quello di Maria, perché, partendo per la sua difficilissima diocesi cubana, egli sentì di aver bisogno di un’assistenza particolare, che soltanto la Madonna poteva concedere.
Era stato fin da bambino un devoto innamorato della Madonna, per la quale lasciava volentieri i trastulli infantili. Più tardi, giovane operaio, aveva ritmato al battito del telaio la recita del rosario. Tornando dall’Italia, nel 1849, aveva fondato con cinque compagni di seminario la Congregazione dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, primo nucleo di quelli che poi saranno chiamati i Clarettiani.
Quand’egli nasceva, nel 1807, la Spagna era invasa dall’esercito di Napoleone. Giungendo a Cuba sotto l’invisibile insegna del Cuore Immacolato di Maria, anche il Vescovo Claret inaugurò una strategia spirituale che fece di lui un condottiero travolgente.
Nella prima visita pastorale, a Cuba, distribuì 97 mila libri, 83 mila immagini, prevalentemente della Madonna, 20 mila Rosari e 90 mila medaglie della Madonna. Per infervorare le anime, tenne diecimila sermoni, confermò trecentomila fedeli e regolarizzò trentamila matrimoni!
Nel 1857, Antonio Maria Claret, venne richiamato a Madrid. Egli si domandò se i Superiori non fossero contenti dei suoi metodi apostolici. Invece, la Regina Isabella gli aveva fatto l’onore di sceglierlo come confessore. Monsignor Claret accettò, ma per non restare troppo nell’ambiente di Corte, mantenne, fino al 1860, il governo della lontana diocesi.
Fino allora, dicono gli storici, la Regina di Spagna s’era sempre confessata restando seduta. Dinanzi al Claret però ella si mise in ginocchio, e restò sempre i quella posizione, ai piedi del suo confessore.
Nel 1868, la Rivoluzione scacciò dalla Spagna la Regina Isabella. Monsignor Claret, ritenuto compromesso con il passato regime, subì odiose persecuzioni, e dovette anch’egli seguire la Sovrana in esilio.
La Madonna restò al sua unica consolatrice nelle sventure e nella vecchiaia, quando solo, malato, perseguitato ed addirittura braccato dalla polizia, aspettava la morte serenamente, che lo colse infatti, non vecchio, nel 1870.

Beato Luigi Guanella - (Confessore del XX secolo) – Il "Garibaldi della carità": così il Papa Pio XI definì Don Guanella, prete di Sondrio, morto il 24 ottobre 1915.
Il motto di Don Guanella, quando si trattava di aiutare il prossimo, era "senza eccezioni". Senza eccezioni, cioè non guardando né a età né a condizioni sociali, né a classe né a idee politiche, né a razza né a nazionalità. Contava soltanto la necessità.
Questo sacerdote valtellinese, discepolo spirituale di Don Bosco e del Cottolengo, emulo di Don Orione e della Madre Cabrini, fu iniziatore di numerose opere di bene, che fiorirono rapide grazie alla dedizione del loro fondatore ed alla sua capacità di comunicare entusiasmo e coraggio a quanti con lui collaboravano.
Fondò istituti sull’esempio del Cottolengo, destinati ad accogliere migliaia di derelitti e di minorati. Istituì le comunità delle Figlie della Provvidenza e dei Servi della Carità, moltiplicatesi in molti paesi. Una Confraternita di preghiere, da lui iniziata, conta oggi più di dieci milioni di iscritti.
In anni di anticlericalismo, questo prete sempre in moto venne guardato con sospetto dalle autorità laiche, e fatto oggetto di persecuzioni ed ingiustizie. Don Guanella le superò con la forza della sua fede ed il fuoco della carità "senza eccezioni".
Una volta, conobbe un vero e proprio esilio, confinato in una in una sperduta parrocchia di montagna. Ma anche nei luoghi più isolati, riusciva ad accendere ed ad alimentare incendi di carità.
Fu in America, al seguito degli emigranti e per la loro assistenza religiosa. Per istruire la gioventù, aprì scuole, istituti di avviamento ed oratori. Per assistere i terremotati, in Calabria, a Messina, nella Marsica, non risparmiò energie né mezzi. Per l’opera in favore dei sinistrati di guerra, meritò una medaglia d’oro dalle autorità della città di Como.
Ed a Como, poco dopo, il "Garibaldi della carità" chiuse la sua operosa giornata. Accanto al rimpianto di lui, restò una moltitudine di opere ed istituzioni che ne moltiplicavano in tutto il mondo l’esempio, mantenendo luminoso il nome ed il ricordo di Don Guanella, oggi Beato ed auspicato futuro Santo.

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Beato Antonio Baldinucci - (Confessore del XVII secolo).

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Beato Bonaventura da Potenza - (Sacerdote del XVII secolo) MEMORIA FACOLTATIVA – Bonaventura nacque nel 1651 a Potenza, in Basilicata. Entrato nell’Ordine dei Minori Conventuali, si distinse per l’austerità di vita, per l’obbedienza e per la totale abnegazione di sé.
Fu assiduo nella predicazione della Parola di Dio ed instancabile nel ministero delle confessioni; si segnalò soprattutto per la sua carità nel confortare i carcerati ed i condannati a morte. Morì a Ravello, presso Amalfi, nel 1711, e Pio VI lo iscrisse nell’Albo dei Beati.

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Santa Balsamia - (Balia del VI secolo).

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Santi Simone e Giuda - (Apostoli e Martiri del I secolo) FESTA – Il Simone di oggi è il secondo tra i discepoli di Gesù che portò quel nome. Il primo fu colui al quale Gesù stesso mutò il nome con quello di Cefa, cioè Pietro. Il Santo di oggi è invece Simone detto il Cananeo, o lo Zelota, che gli elenchi degli Apostoli citano, ma sul conto del quale i libri sacri sono poi completamente muti, così che nulla di certo si conosce sul suo conto. La tradizione lo dice missionario in Egitto e anche, secondo alcuni, in Inghilterra, martirizzato poi dai Persiani.
Anche il suo compagno, San Giuda, non va confuso con l’omonimo Apostolo traditore, Giuda Iscariota, il "figlio della perdizione". Quello di oggi è Giuda fratello di Giacomo, detto Taddeo, cioè "dal petto largo", che vuol dire poi "magnanimo".
Egli domanda a Gesù: "Signore, che cosa è avvenuto, che tu debba manifestarti a noi e non al mondo?". E Gesù gli risponde: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio l’amerà e verremo a lui, e faremo una cosa sola".
È la lezione dell’amore mistico, che Giuda Taddeo provoca con la sua domanda. L’amore di Dio unisce, mentre l’amore di se stessi divide.
Per questo, San Giuda scrisse una breve lettera, nella quale rimproverava i fomentatori di discordie, che chiama "nuvole senza acqua, portate qua e là dai venti; alberi d’autunno, senza frutto, onde furiose del mare, che spumano le proprie turpitudini; astri erranti, ai quali sono serbate in eterno le tenebre più profonde".

"Costoro – egli dice – sono mormoratori queruli che vivono secondo i loro appetiti, e la loro bocca parla di cose superbe, e se lodano qualcuno, lo fanno per fini interessati".
La breve lettera di Giuda, che fu giudicata "piena della forza e della grazia del cielo", ci fa intravedere la figura di San Giuda come maestro fermo e sapiente, che esercitò con zelo e con amore quella missione affidata da Gesù ai suoi Apostoli, prima di lasciare la terra per il cielo.
Infatti, dopo l’Ascensione, anche Giuda Taddeo andò a portare nel mondo la Buona Novella. Secondo qualcuno, egli avrebbe evangelizzato la Mesopotamia; secondo altri la Libia. Si crede che morisse anch’egli Martire, ed il suo corpo sarebbe stato sepolto in Persia.

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Beata Benvenuta Bojani - (Vergine del XIII secolo).

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Dedicazione della propria Chiesa - SOLENNITÀ

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Sant'Alfonzo Rodriguez - (Gesuita del XVII secolo) – A quindici anni deve lasciare il collegio dei Gesuiti per sostituire il padre morto nella bottega di tessuti della famiglia. Si sposa ed ha dei figli. Gli affari non sono il suo forte e per giunta una serie di lutti si abbatte su di lui lasciandolo solo e senza averi. Decide quindi a quarant’anni di entrare nell’Ordine dei Gesuiti, ma non si sente di affrontare il corso di studi per accedere alla vita religiosa. Per questo accetta di svolgere la funzione di portinaio al collegio di Monte Sion a Palma di Majorca. Qui svolge la sua umile mansione ascoltando però la voce delle anime che sempre più numerose si stringono attorno a questo vecchio incolto per trarne suggerimenti, consigli, insegnamenti di vita.
Morì nel 1617 e venne proclamato Santo nel 1888.

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