Introduzione
generale
alla poetica
di
Luigi Pirandello
1. Il FATTO dal Verismo al Decadentismo
Al centro, sia
della concezione realistico-verista che di quella del Decadentismo, e quindi
dell'umorismo pirandelliano, troviamo il fatto, ciò che è accaduto
secondo la volontà o indipendentemente dalla volontà dei protagonisti.
All'interno del verismo il
fatto viene rappresentato come l'accadimento in atto, anello di
una catena interminabile di cause-effetti, nella quale ogni fatto è
conseguenza di quello precedente e causa di quello seguente. Non se ne indagano
le cause e non se ne cercano le conseguenze perché cause e conseguenze sono
naturali e indipendenti dalla volontà` dell'individuo, che deve subirle senza
ribellarsi, se non vuole cadere in una condizione sociale peggiore della
precedente.
In Verga sono i
fatti e la condizione sociale che determinano le caratteristiche
del personaggio, imponendogli un certo modo di agire, spesso disumano e lontano
da un qualche fondamento di ragionevolezza: sul piano del fatto ricchi e
poveri sono sottomessi allo stesso destino, in quanto già alla nascita la loro
condizione è segnata da limiti precisi ed invalicabili, contro i quali è inutile
ribellarsi, limiti che ne determinano lo stato di
vinti.
Pirandello
prende coscienza, fin dai primi anni della sua produzione letteraria, che il
fatto non poteva essere rigidamente costituito, ma doveva essere indagato
e analizzato nelle sue cause e proposto soprattutto nelle sue conseguenze,
perché sono queste che pesano come un macigno sull'esistenza degli uomini e
quindi dei personaggi.
Nei primi anni della
produzione pirandelliana, è il fatto in sé ad avere peso, come nel verismo, non
le sue conseguenze, che vengono vissute direttamente e mai subite passivamente,
come accade ai personaggi di Verga. Contro di esse, ad esempio, Marta, il
personaggio principale de L'esclusa, si prova a lottare e a vincere in
qualche modo, prima con le sue sole forze (vincendo il concorso per maestra
presso il Collegio che lei stessa aveva frequentato da piccola, poi con l'aiuto
di Gregorio Alvignani e infine rappacificandosi col marito, che non riesce più a
sopportare la separazione, prendendosi l'impegno di affermare e dimostrare
davanti ai compaesani che quel fatto non è mai avvenuto: perché il
ritorno di Marta al paese possa avvenire, il fatto deve essere
cancellato, non deve esistere più, come se non fosse mai avvenuto: solo in
questo modo se ne possono cancellare le conseguenze che hanno mutato l'esistenza
della protagonista.
Vediamo
come descrive Pirandello il peso che ha su Marta ciò che è avvenuto:
Sempre quel nodo, sempre, irritante, opprimente, alla gola. Vedeva addensarsi, concretarsi intorno a lei una sorte iniqua, ch'era ombra prima, vana ombra, nebbia che con un soffio si sarebbe potuta disperdere: diventava macigno e la schiacciava, schiacciava la casa, tutto; e lei non poteva più far nulla contro di essa. Il fatto. C'era un fatto. qualcosa ch'ella non poteva più rimuovere; enorme per tutti, per lei stessa enorme, che pur lo sentiva nella propria coscienza inconsistente, ombra, nebbia, divenuta macigno; e il padre che avrebbe potuto scrollarlo con fiero disprezzo, se n'era invece lasciato schiacciare per il primo. Era forse un'altra, lei, dopo quel fatto? Era la stessa, si sentiva la stessa; tanto che non le pareva vero, spesso, che la sciagura fosse avvenuta.
Il
fatto con le sue conseguenze schiaccia come un macigno i personaggi,
anche quando questo è inconsistente, e li costringe a vivere in un determinato
modo, a prendere decisioni accettate dalla massa (e in una società` maschilista
è sempre l'uomo che decide, anche per le donne): Marta viene scacciata di casa,
dopo essere stata scoperta mentre leggeva una lettera inviatale da Gregorio
Alvignani ed è costretta a ritornare presso il padre, la sua famiglia viene
infangata inesorabilmente ed emarginata dalla "società` civile", della quale non
potrà` più far parte fino a quando lo stesso fatto non verrà` cancellato in modo
credibile e verosimile per la massa da colui che aveva preso la prima grave
decisione, dal marito Rocco
Pentàgora.
Pirandello prende
coscienza fin dai primi anni della sua produzione letteraria che il fatto non
poteva essere rigidamente costituito, ma doveva essere analizzato nelle sue
cause e proposto soprattutto nelle sue conseguenze.
In linea generale possiamo definire la struttura verista come una catena circolare di fatti nella quale ciascun fatto è conseguenza del precedente e causa di quello susseguente secondo gli schemi seguenti, circolare chiusa o a catena chiusa. I seguenti due schemi mostrano visivamente la differenza tra la struttura verista e quella usata da Pirandello:
struttura circolare chiusa
F1 è F2
ì î
Fn F3
ë í
F5 ç F4
schema 1
struttura a catena aperta
F1 è F2 è F3 è F4 è F5 è Fn è
schema 2
Nella struttura circolare chiusa il Fatto n.1 è causa di F2 che è causa a sua volta di F3 e conseguenza di F2, ecc.; Fn, infine, è conseguenza di F5 e causa di F1, chiudendo cosi la circolarità della struttura. Con F(fatto), in particolare, intendiamo sia il fatto in sé e il personaggio che lo ha vissuto, che la condizione sociale generale nella quale è stato generato e ha a sua volta generato conseguenze.
2. Concetto di Umorismo
Per analizzare l'opera pirandelliana è innanzitutto importante capire il concetto di umorismo, perché questo diventa lo strumento con cui rappresentare, nella narrativa o sulla scena teatrale vicende e personaggi. Per una maggiore chiarezza, serviamoci delle stesse parole che Pirandello usa nel Saggio sull'umorismo del 1908:
Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca (composizione di olii vari, ndr.), e poi tutta goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi cosi come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s'inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico.
L'umorismo è, quindi, un processo di rappresentazione della realtà, delle
vicende e dei personaggi; durante la concezione e l'esecuzione dell'opera la
riflessione non è un elemento secondario, ma assume un ruolo di notevole
importanza, perché è solo attraverso di essa che possiamo capire la vicenda che
si svolge sotto i nostri occhi. La riflessione è "come un demonietto che
smonta il congegno delle immagini, del fantoccio messo su dal sentimento; lo
smonta per vedere come è fatto; scarica la molla, e tutto il congegno ne stride
convulso", come stridono i personaggi sotto l'occhio acuto dello scrittore; ed è
sempre attraverso la riflessione che i vari elementi della struttura
dell'opera vengono coordinati, accostati e composti, sfuggendo al caos
delle sensazioni e dei
sentimenti.
La
riflessione, secondo Pirandello, non si nasconde mai, né potrebbe essere
mascherata o eliminata del tutto dalla volontà o dalla coscienza di un
personaggio, come potrebbe succedere con un sentimento; non è come lo specchio,
davanti al quale l'uomo si rimira, ma si pone davanti a ciascuno come un
giudice, analizzando vicende e personaggi, con obiettività e imparzialità,
scomponendo l'immagine di tutte le cose, le vicende e i personaggi stesi nelle
loro componenti: da questa scomposizione nasce quello che Pirandello
chiama avvertimento del
contrario.
Il compito
dello scrittore umorista è quello di smascherare tutte le vanità che possono
albergare nell'animo umano, la velleità d'aver scoperto i fondamenti della vita
e il dramma del rendersi conto che quei fondamenti restano sconosciuti; anzi,
ognuno se ne crea seguendo non la via della riflessione, ma quella del
sentimento che viene provato da ciascuno a suo modo, lontano da qualsiasi
realtà e da qualsiasi coscienza del
vivere.
Con
l'umorismo nasce una nuova visione della vita, senza che si crei un
particolare contrasto tra l'ideale e la realtà, proprio per la particolare
attività della riflessione, che "genera il sentimento del contrario, il
non saper più da qual parte tenere, la perplessità, lo stato irresoluto della
coscienza".
Il sentimento
del contrario distingue lo scrittore umorista dal comico, dall'ironico, dal
satirico, perché assume un atteggiamento diverso di fronte alla realtà:
· - nel comico manca la riflessione, per cui il riso,
provocato dall'avvertimento del contrario, è genuino, ma sarebbe amaro in
presenza della riflessione, perché questa toglierebbe il divertimento e
porterebbe alla coscienza del dramma della condizione umana;
· - nell'ironico la
contraddizione tra momento comico e momento drammatico è soltanto verbale: se
fosse effettiva non ci sarebbe più ironia e la 'battuta' perderebbe la sua
naturalezza, che è quella di dire l'opposto di quel che si pensa e che si vuol
far capire, ma facendo intuire comunque la verità;
·
- nel satirico con la riflessione "cesserebbe
lo sdegno o, comunque, l'avversione della realtà che è ragione di ogni satira";
la satira, infatti, mette in evidenza i difetti degli uomini, cogliendone gli
aspetti più negativi e turpi, con l'intento di riportare gli uomini sulla retta
via.
Con
l'umorismo, e quindi con la riflessione, si entra più
profondamente nella realtà:
Non che all'umorista però piaccia la realtà! Basterebbe questo soltanto, che per poco gli piacesse, perché, esercitandosi la riflessione su questo piacere, glielo guastasse.
Questa riflessione si insinua acuta e sottile da per tutto e tutto scompone: ogni immagine del sentimento, ogni finzione ideale, ogni apparenza della realtà, ogni illusione.
... Tutti i fenomeni, o sono illusorii, o la ragione di essi ci sfugge, inesplicabile. Manca affatto alla nostra conoscenza del mondo e di noi stessi quel valore obiettivo che comunemente presumiamo di attribuirle. È una costruzione illusoria continua.
In questa nuova visione della realtà si verifica lo scontro tra l'illusione, che costruisce a suo modo, e la riflessione, che scompone una ad una quelle costruzioni; ma gli effetti sono diversi nei differenti approcci con la realtà:
Ora la riflessione, sì, può scoprire tanto al comico quanto all'umorista questa costruzione illusoria. Ma il comico ne riderà solamente, contentandosi di sgonfiar questa metafora di noi stessi messa sù dall'illusione spontanea; il satirico se ne sdegnerà; l'umorista, no: attraverso il ridicolo di questa scoperta vedrà il lato serio e doloroso; smonterà questa costruzione, ma non per riderne solamente; e in luogo di sdegnarsene, magari, ridendo, compatirà
Ciascuno vive la propria vicenda in una condizione di distacco dagli altri personaggi, come in un proprio mondo, tutti sottomessi alle medesime regole, ma ciascuno coi propri sentimenti e con la propria visione della vita, coi propri concetti di vero e di falso, di reale e di normale, di bello e di brutto, di giusto e di ingiusto: ciascuno con le proprie speranze e le proprie illusioni, e l'illusione più alta e profonda è che la propria realtà sia quella vera e la sola vera.
Oggi siamo, domani no. Che faccia ci hanno dato per rappresentare la faccia del vivo. Un brutto naso? Che peso doversi portare a spasso un brutto naso per tutta la vita... Maschere, maschere... un soffio e passano, per dar posto ad altri... Ciascuno si racconcia la maschera come può. La maschera esteriore, perché dentro poi c'è l'altra, che spesso non si accorda con quella di fuori. E niente è vero! Vero il mare, sì, vera la montagna, vero il sasso, vero un filo d'erba; ma l'uomo? Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo di quella tal cosa che egli in buona fede si figura di essere: bello, buono, grazioso, generoso, infelice, ecc. E questo fa tanto ridere a pensarci.
Per Pirandello le cause, nella vita, non sono mai così logiche come lo possono essere nell'opera narrativa o teatrale, in cui tutto è, in fondo, congegnato, combinato, ordinato ai fini che lo scrittore si è proposto, anche se sembra in alcuni casi che il procedimento sia libero e casuale. Perciò nell'umorismo non possiamo parlare di coerenza, perché in ogni personaggio ci sono tante anime in lotta fra loro, che cercano di afferrare la realtà: l'anima istintiva, l'anima morale, l'anima affettiva, l'anima sociale, e i nostri atti prendono una forma, i personaggi assumono una maschera, la nostra coscienza si atteggia a seconda che domini questa o quella, a seconda del momento; per questo ciascuno di noi ritiene valida una determinata interpretazione della realtà o dei nostri atti e mai può essere totalmente d'accordo con l'interpretazione degli altri, in quanto la realtà e il nostro essere interiore non si manifestano mai del tutto interi, ma ora in un modo ora in un altro, }come volgono i casi della vita~ .Pirandello guarda dentro la vicenda e i personaggi, ed agisce come il bambino che rompe il giocattolo per vedere come è fatto dentro. Nell'umorismo, quindi, distingue un aspetto comico che deriva dall'avvertimento del contrario e un aspetto umoristico o drammatico che deriva dal sentimento del contrario; il primo è esterno all'uomo e facilmente visibile, per cui ciascuno è capace di coglierlo; il secondo è invece interno all'uomo, ma non può essere colto se non attraverso la riflessione: riassumiamo tutto nello schema 3, o schema dell'umorismo:
avvertimento del contrario sentimento del contrario ^ RIFLESSIONE ^ aspetto comico
aspetto
drammatico |
(L'avvertimento del contrario è generato dalla riflessione che scaturisce dall'aspetto comico insito nei fatti, come il sentimento del contrario è generato dalla riflessione che scaturisce dall'aspetto drammatico)
È da
sottolineare, infine, che mentre tutti possono percepire l'aspetto comico
in quanto ognuno può avvertire che una cosa avvenga o che un personaggio si
comporti in modo contrario a ciò che tutti ritengono normale, il
drammatico-umoristico viene capito e sentito solo da coloro che usano la
riflessione, e comunque non dalla massa in quanto questa segue regole
generali accettate supinamente e non i singoli individuali bisogni; per
Pirandello ciascuno ha un proprio modo di attualizzare la riflessione,
perché i bisogni personali sono assolutamente
individuali.
Per questo
motivo, la situazione di Belluca nella novella Il treno ha fischiato è
comica per la massa che ride delle stramberie del personaggio, che riscopre la
vita dopo anni in cui è vissuto come un vecchio somaro, ubbidiente e sottomesso,
preso in giro da tutti, e drammatica per Pirandello che vede nella reazione di
Belluca e nelle sue 'stramberie' l'improvvisa ribellione alla forma che
uccide la vita, alla maschera imposta dagli altri e dal destino, e infine
alla alienazione nella quale lo costringono le norme e le forme della
società, per cui il nuovo modo di essere di Belluca non può che apparire
naturalissimo.
3. Normalità-Anormalità
Da quanto
abbiamo detto a proposito dell'umorismo, appare chiaro che, attraverso la
riflessione, giungiamo a cogliere l'aspetto normale o anormale
della vita e degli atteggiamenti dei
personaggi.
Generalmente,
intendiamo per normalità, secondo la massa, tutto ciò che viene
fatto e pensato in basi a leggi, norme e consuetudini che l'uomo ha creato per
regolare la propria vita e soprattutto per perpetuare un determinato stato di
cose, una determinata condizione sociale, economica, spirituale, materiale, ecc.
È, quindi, anormale, sempre secondo la massa, tutto ciò che non
segue le regole prescritte.
Secondo Pirandello, è normale non ciò che risponde alle norme, ma ciò che
da ciascuno viene fatto seguendo i propri intimi bisogni, e sono questi bisogni
che portano l'uomo sulla via del progresso. Il personaggio tende a ribellarsi
quando si rende conto che l'osservanza delle norme gli impedisce di vivere una
vita decorosa e di migliorare la propria condizione. L’anormalità per
Pirandello, è il seguire ciecamente le norme anche quando queste impediscono
all'uomo di vivere, permettendogli solo di
esistere.
In generale
il personaggio conduce una vita anormale quando risulta totalmente
asservito alle regole, senza che nemmeno per un istante l'anima possa soddisfare
almeno il suo bisogno fondamentale: quello di vivere senza essere
sottomesso passivamente alle regole fino a perdere ogni dignità, fino a
diventare un "vecchio somaro" che gira la stanga della nòria d'un vecchio mulino
con tanto di paraocchi, senza sentire che un po' più in là c'è la vita. La
reazione, scatenata da un accidente qualsiasi, come il fischio del treno,
lo strappo di un filo d'erba, una frase ingenuamente pronunciata, l'inciampare
contro un sassolino per strada, serve a portare l'individuo in una dimensione
più umana, perché libera da condizionamenti
esterni.
Il personaggio,
come Enrico IV o Ciampa, Belluca o Chiàrchiaro, nella sua ribellione contro le
regole rifiuta la realtà imposta dalle norme, perché in essa ogni
possibilità di vita si cristallizza nella forma, come vedremo più
avanti.
La ribellione si realizza in due modi:
1) - circoscritta al
personaggio senza coinvolgimento diretto di altre persone se non in
modo occasionale, come il caso di Belluca ne Il treno ha fischiato, nel
quale la reazione contro il capufficio rappresenta la reazione contro la
situazione generale negativa;
2) - coinvolgendo
direttamente la massa, come nella novella La patente, nella
quale Chiàrchiaro, ritenuto da tutti uno jettatore, perde il lavoro e la
possibilità di vivere una vita decorosamente accettabile, spingendo la propria
ribellione fino a sfruttare la stessa superstizione popolare che lo ha costretto
all'isolamento.
Per capire l'opera pirandelliana, e il fondamento stesso della vita sociale della prima metà del Novecento, bisogna, quindi, ribaltare il concetto di normalità-anormalità, nel quale la normalità pirandelliana non è solo il banale rifiuto della norma, ma il suo superamento, che ha come obiettivo i grandi valori umani, che sono i veri bisogni da soddisfare.
4. Realtà - Non realtà
Anche in questo caso abbiamo due distinte dimensioni, perché ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, in un modo diverso da quello degli altri: a fronte della realtà esterna che si presenta una e immutabile, abbiamo le centomila realtà interne di ciascun personaggio, per cui la vera realtà è nessuna. I due aspetti sono:
1) la dimensione della realtà
oggettuale, che è esterna agli individui e che apparentemente è
uguale e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche
fisiche ed è la non-realtà inafferrabile e non riconoscibile: ciò che
resta nell'anima dell'individuo è la sua disintegrazione in tante piccole parti
quante sono le possibilità concrete dell'individuo di vederla;
2) la dimensione della realtà soggettuale, che è la
particolare visione che ne ha il personaggio, dipendente dalle condizioni sia
individuali che sociali, ed abbiamo tante dimensioni quanti sono gli individui e
quanti sono i momenti della vita dell'individuo.
Della
realtà oggettuale esterna, così fissa ed immutabile, noi non cogliamo che
quegli aspetti che sono maggiormente confacenti a una delle nostre anime (vedi
il concetto di umorismo), al particolare momento che stiamo vivendo, in base al
quale riceviamo dalla realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono
assolutamente individuali e non possono essere provate da tutti gli altri
individui.
Per i personaggi
pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettuale, ma una realtà
soggettuale, che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra e si
disumanizza, come avviene per Moscarda, il protagonista del romanzo Uno
nessuno centomila, che scopre all'improvviso di non essere più quello che
credeva dal momento in cui la moglie Dida gli dice che ha il naso che pende
verso destra: un banale accidente che lo porterà a capire che gli altri
lo vedono in un modo diverso da come lui si era sempre visto. Avremo,
quindi:
a) come la realtà è vista dal
personaggio;
b) come la realtà esterna si impone
al personaggio;
c) come
il personaggio crede che gli altri vedano la realtà.
Questa triplice concezione della realtà porta Pirandello al di là della concezione umoristica, nella quale la riflessione tende a far scoprire il contrasto fra l'illusione comica del personaggio che si crea una realtà sua che crede uguale per tutti e l'esistenza di un dramma esistenziale nel quale ogni personaggio si rende conto che le realtà sono CENTOMILA e tutte ugualmente lontane dalla propria coscienza, e perciò inconoscibili.
5. Il concetto di realtà dal Verismo al Decadentismo
Il dramma
rappresentato da Pirandello rimane sempre quello della realtà: erede di Capuana
e Verga, egli parte dalle ragioni profonde del verismo e del naturalismo, nelle
quali gli scrittori credevano di aver trovato una dimensione oggettuale assoluta
del personaggio valida per tutti e indiscutibile.
Anche i personaggi
pirandelliani sono tratti dalla quotidianità esistenziale e in una forma o
nell'altra si realizzano come esseri viventi, o esistenti, ma essi non sono
soltanto persone: sono personaggi che esprimono una profonda conflittualità
morale e spirituale, oltre che sociale, nella quale scompaiono tutte le certezze
che hanno caratterizzato i veristi e nella quale si dibattono lottando per
cercare una soluzione a loro modo definitiva. Nel conflitto tra l'essere
secondo i propri bisogni e l'esistere secondo la forma che viene
data al personaggio dagli altri, il fenomeno della realtà oggettuale e
concreta resta una chimera irraggiungibile e sfugge ad ogni presa: questo
conflitto e la impossibilità di raggiungere la realtà è il fondamento del dramma
dei personaggi nell'opera pirandelliana e dell'uomo del Novecento.
Per Pirandello la condizione umana è tutta contratta in
un'atroce alternativa:
¨ - o si è
trascinati dagli avvenimenti dell'esistenza, inafferrabile, precipitosa,
sorprendente e mutevole, che con moto perpetuo mira a disfare le forme
dell'essere e a cancellare dai volti perfino l'impressione lasciata talvolta dal
dolore,
¨ - o si rimane bloccati nel
circolo chiuso della propria coscienza, che vincola ciascuno ad un istante del
tempo infinito, ad una passione, ad un evento fra i tanti possibili,
confinandolo in una solitudine dalla quale è impossibile uscire.
Tutta
l'esistenza si fonda sul dilemma: o la realtà ti disperde e disintegra,
o ti vincola e ti incatena fino a
soffocarti.
Ciascun
personaggio può conoscere soltanto quella particella di realtà alla quale riesce
a dare una forma, per cui ognuno potrà riconoscersi nella forma che si dà
e mai nella forma che gli viene data:
La realtà che io ho per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do, ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non quella forma che riesco a darmi. E come? ma costruendomi, appunto.
L'unica realtà valida e possibile è, dunque, quella che ciascun personaggio riesce a costruirsi, dando alle cose una forma che è valida solo per lui e che resterà in piedi fino a quando dureranno la perseveranza e la forza di volontà di continuare, oltre la costanza dei sentimenti: basta che queste caratteristiche vacillino un po', e subito le belle costruzioni cominciano a sgretolarsi.
prog. Pirandello |
introduzione - Il personaggio e la forma |