Che cos'è la pastorale comunitaria?


Strada facendo servo il dinamismo della PASTORALE COMUNITARIA. Sì, la pastorale propria della Chiesa come "Chiesa", perché prima di essere “particolareggiata” per carismi, servizi, ministeri e strutture, è primariamente un insieme, un popolo, “il Popolo di Dio” (Cfr. Lumen Gentium 2). E’ sempre la globalità che precede i particolari, bensì eminenti. E’ pur vero, però, che i particolari sono molteplici e diversi e che devono coesistere in un insieme organico. Allora, la comprensione della Chiesa “cattolica” è data dalla coesistenza delle diversità nell’unità "organica". In altre parole, la Chiesa non è solo il clero, o solo i benedettini o solo l’Azione Cattolica, presi, di volta in volta, ad immagine e prototipo della Chiesa e della sua missione, ma è l'insieme dei battezzati e delle persone di buona volontà. L’azione della Chiesa (missione e/o evangelizzazione) in passato (e purtroppo ancora nel presente ) è stata in mano ai primi, escludendo, per vari motivi storici e culturali, il resto del “popolo”, ritenuto <<oggetto>> di evangelizzazione perché non facente parte di una elitès preparata, informata, istruita, specializzata, tesserata, ecc. La “globalità” della Chiesa è stata intesa come ambito di conquista (colonizzazione) più che di acquisizione naturale, di pari dignità e diritto, per via di confronto e dialogo (Cfr. La Chiesa. Il metodo, parte storica). Ora, nel dopo-concilio, c’è una “pastorale” mirata verso questa peculiarità “ecclesiale” necessaria affinché si possa garantire l’edificazione della Chiesa di Dio: un’azione che promuove la dimensione comunitaria della Chiesa, dove, in embrione, emerge l'insieme pur non essendo tutti uguali per tessera, per età, per categorie, per consacrazione, per ruolo, ect. Dove emerge questa dimensione dello stare insieme come un dato di fatto, come un segno “naturale” in cui si accede in modo semplice ed immediato, senza tessera di appartenenza ad associazioni o ad una cerchia di un qualche “comitato”? Dove c’è il senso del popolo in micro e macro manifestazioni? Come si può fare questa esperienza pur rimanendo nella città dove si vive, senza andare a far parte di movimenti o associazioni, o appartenendovici senza settarismo ed elitarismi? Dove, senza alcun bisogno di “cose” aggiuntive, si può vivere lo stesso battesimo che ci fa tutti fratelli e figli di Dio? (Cfr. Piano Globale Orientativo, Presentazione).

Si è Chiesa (popolo di Dio) quando la “diversità nell’unità” assume la forma di:

1. Una Moltitudine. E’ il livello in cui la Chiesa locale vive lo spazio più ampio. Qui, più che altrove, i battezzati e le persone di buona volontà sperimentano ordinariamente l’universalità della Chiesa e la comunione con tutte le Chiese. E’ uno spazio fondamentale per il retto intendimento della fede e della crescita ordinata della stessa. E' lo spazio in cui, il “lontano”, in “non praticante” fanno una prima e fontale esperienza di sentirsi parte di un insieme. In effetti, non è un caso se questo è il primo aspetto della Chiesa-comunione, necessario e urgente, perché la moltitudine è composta in maggioranza di soggetti che vivono ai margini di un cammino vero e proprio, ed ha una cultura “soggettiva” e personale. In questo sottolivello le parole cedono, più che altrove, lo spazio ai segni, all’esperienza, agli imput generici. Il linguaggio, se c’è, è semplice, immediato e diretto, frutto più di un sentire comune (religiosità popolare) che di astrazioni. I luoghi sono quelli lontano dal tempio, in orari accessibili a tutti. Esempi di azione propria di questa pastorale sono la lettera ai cristiani, lo slogan e il segno mensile, cioè discreti appelli, ma al contempo, efficaci nel tempo se rispettano i criteri specifici. Questo sottolivello necessita di una pastorale adeguata perché, oltre al fatto che la moltitudine è maggiore di coloro che sono “dentro”, il pericolo è il soffocamento per assenza di universalità e di globalità che sono l’anima del “cattolicesimo”. L’èlites e la “piramide” sono sempre in agguato…

2. Un primo luogo aggregativo di base: il Piccolo Gruppo, legato all'ambiente comune, alle amicizie di vicinato, alle espressioni ordinarie di solidarietà, per favorire il confronto immediato tra Vita e Vangelo-Parola di Dio, a mò di conversazione, di dialogo, di impegno “insieme”, di preghiera spontanea non ancora legata al tempio. E' qui che la Chiesa, intesa necessariamente come aggregazione soprannaturale ad opera dello Spirito Santo, trova la sua prima e fontale espressione di vita veramente “ecclesiale”. Il soggetto è subitamente inserito in un insieme, piccolo, a misura d'uomo, per la crescita equilibrata nella fede, a scanso di intimismo, individualismo e soggettivismo. Le espressioni comunitarie legate al tempio trovano così ragion d’essere se c’è questo vissuto remoto, d’insieme, d’aggregazione ecclesiale legata al Battesimo e non alla tessera o ad iscrizioni settarie. Quindi non al ceto, né al carisma, né al ruolo è legata l’appartenenza alla Chiesa, ma all’unico Battesimo che ci fa figli di Dio. Nel Piccolo gruppo si comincia a vivere questa grazia ricevuta nel Battesimo…

3. Ed un insieme basilare di cellule: le Famiglie, che assumono e vivono la propria vocazione di edificatrici della Chiesa e della fede ai propri componenti in modo diretto, unico, quotidiano, casalingo, ordinario, frutto delle relazioni familiari: paterne, materne, filiali, fraterne e parentali. Queste relazioni sono necessarie per lo sviluppo ordinato ed organico della fede.

Difatti, fanno parte di questo livello:

a) La pastorale delle moltitudini. b) La pastorale dei piccoli gruppi. c) La pastorale familiare.

Per avere una visione globale del dinamismo pastorale diocesano c'è il  Prospetto dell’organizzazione diocesana


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