IL TERZO LEONE
Note del Regista

Chiedere ad un autore di parlare della propria opera appena ultimata è come chiedere ad un pazzo di parlare della sua malattia. “Mai sentito meglio” risponderebbe il pazzo; “Non saprei cosa dire” risponderebbe un regista.
Il film o meglio il cinema inteso come opera comunicativa parla da sé. Non c’è niente da aggiungere o meglio non ci dovrebbe essere niente da aggiungere.
Quando non è così, quando lo stesso autore fornisce delle spiegazioni o suggerisce al pubblico come guardare il suo film dando delle “istruzioni per lo sguardo” della sua opera, la magia dell’immaginazione e della soggettività delle emozioni e sensazioni che l’opera d’arte provoca in chi la riceve, svaniscono e affiora allora la retorica.

Lo stesso Stanley Kubrick, forse il più grande regista di tutti i tempi, nell’intervista rilasciata a Playboy parlando del suo

“2001: Odissea nello spazio”, secondo me il Film per antonomasia, lo definisce metafisico, cioè che va oltre la fisicità e materialità del quotidiano e quindi di una banale e riduttiva spiegazione didascalica post-film.
Lo spettatore deve venir lasciato libero nel guardare e recepire a suo piacimento le sensazioni derivate dalla sua esperienza e “vivere” l’opera d’arte soggettivamente perché solo così l’opera è universalmente “capita”.
Tutto questo per dire che è molto difficile per un regista parlare del proprio film finito, visto e vissuto, senza cadere nel patetico e nella retorica. Inoltre nel mio caso “Il terzo leone” non ha nessuna pretesa artistica né tanto meno filosofica. E’ un giallo classico per quanto riguarda la trama e quindi pretende soltanto di intrattenere lo spettatore attento e curioso, tenendolo sulle spine fino alla fine per stupirlo in ultimo con l’ennesimo colpo di scena. Non c’è niente da piegare.
E’ stata invece una bellissima esperienza sia sul lato creativo che su quello umano tutta la realizzazione de “Il terzo leone”, fin dai primi incontri con Luca Zoratti quando mi ha proposto il progetto. All’inizio, lo ammetto, ero molto scettico sull’accettare o meno un progetto del genere. Il budget molto ridotto, la lingua friulana, l’adattamento da un’opera già scritta, le riprese in Friuli, tutti elementi per me nuovi. Fin da allora avevo sempre scritto e messo in scena idee mie e il fatto di girare in casa era allo stesso tempo fonte di gioia e di preoccupazione.
Alla fine accettai, convincendomi che quel progetto sarebbe stato per me un grosso investimento soprattutto professionale e allo stesso tempo un rischio e quindi molto allettante. Pensai potesse essere un tentativo pionieristico di fare qualcosa di grande e bello qui in Regione portando poi il prodotto finito fuori dai nostri confini sia geografici che culturali. Avendo fondato la prima casa di produzione cinematografica in Friuli, si doveva procedere alla prima opera filmica interamente prodotta in Friuli.
Richard Corliss, scrittore e critico cinematografico, un tempo disse: “Adattare un romanzo per un film è come scavare la carne fino all’osso, si tiene lo scheletro e poi si applicano rossetto e silicone fino a quando la creatura sembra umana”. Ebbene è più o meno quello che si fa cercando di condensare un libro di circa trecento pagine in un film di un’ora e mezza e renderlo comunque interessante almeno quanto il libro di partenza. “Il terzo leone” doveva essere ancora più corto della durata standard di 90 minuti. Ridussi quindi la trama all’intreccio base, diminuii il numero dei personaggi e fui costretto a togliere delle intere sequenze. I primi di dicembre 2000 ultimai la prima versione della sceneggiatura. Era di 56 pagine. Molto più lunga di quanto pensai, ma rileggendola non riuscivo a trovare delle parti da togliere senza compromettere l’intero intreccio. Decisi allora di tenere quella durata e quella trama.
Contattai i miei amici ed ex-colleghi di Londra per la parte tecnica. Quasi tutti usciti dalla mia stessa scuola di cinema: la London International Film School e con i quali avevo già lavorato in passato e condiviso stupende esperienze lavorative. Per quanto riguarda il cast artistico, volevo cercare degli attori almeno di origini friulane in vista del doppiaggio del film nella versione in lingua friulana. Mi incontrai con Omero Antonutti a Trieste verso Natale. Un incontro magnifico, chiacchierammo piacevolmente del più e del meno e luiera molto entusiasta nel prendere parte al progetto.
Mi ricordo che criticammo Il Grande Fratello come ultima trovata televisiva e parlammo di cinema e di teatro, del Friuli e del tempo. Lui mi fece i nomi di altri attori friulani che avrebbero potuto prendere parte al film, tra cui Luciano Virgilio e Franco Castellano.
Omero aspettava il via al suo nuovo film dove lui avrebbe fatto la parte del finanziere Calvi, così i primi di gennaio ci risentimmo e lui purtroppo dovette rinunciare a “Il terzo leone” perché i suoi impegni coincidevano con le mie riprese.
Chiamai allora Luciano Virgilio che poi incontrai in occasione della sua recita nella parte di Bertrando nella piece teatrale di Renato Stroili a Cividale del Friuli a fine gennaio. Nacque subito un’amicizia e lui fu molto contento e apprezzò molto il testo del film.
In seguito contattai Franco Castellano al quale piacque molto la sceneggiatura e sapendo che avrebbe recitato al fianco di Luciano, accettò quasi subito.
La pre-produzione durò quasi due mesi e fissammo il primo ciack il 16 marzo 2001. Franco a quel tempo era impegnato con un altro film e fece di tutto per ricavarsi due settimane e venire a recitare nel nostro film.
Girammo un film di un’ora in soli 15 giorni e questo grazie soprattutto alla mia instancabile troupe tecnica, ben allenata a lavorare in modo veloce e preciso.
Trovammo inoltre gente molto disponibile e gentile in tutte le location: dall’Ospedale di Udine (abbiamo girato nella sala autoptica vera) alla Stazione di Udine, alla Chiesa di Santa Margherita, al Museo arcivescovile, a tutti i miei amici che ci hanno gentilmente messo le loro case a disposizione per le riprese.
Non so se sia perché girare film in Friuli è ancora una cosa nuova e la gente non si rende ancora del tutto conto di cosa si tratta invitare una trentina di persone insieme alle attrezzature tecniche fra luci, carrelli e cavi, che mettono sotto sopra ovunque vadano per trasformare lo spazio a disposizione in set cinematografico, ma ovunque siamo andati a chiedere di poter accedere per effettuare delle riprese cinematografiche siamo stati accolti con molto entusiasmo e collaborazione.
Fra tutti gli avvenimenti e aneddoti durante le riprese vorrei ricordare quello di quando a metà riprese nacque il figlio di Franco Castellano. Franco ovviamente voleva assistere alla nascita e noi non potevamo interrompere la lavorazione per due giorni per mancanza di tempo. Lui essendo il protagonista, era presente in tutte le scene e quindi occupato tutti i giorni di ripresa. Appresa la notizia, il mio aiuto ed io cambiammo in tempo record il piano di lavorazione e modificammo una scena intera tale da poter girare senza Franco per due giorni. Al suo ritorno fummo tutti felici, lui più di tutti e finimmo le riprese in tempo e con successo.
Per un regista giovane come me poter dirigere due grandi attori quali Luciano e Franco fu un’esperienza unica che mi ha insegnato molto e mi ha fatto crescere professionalmente.
Inoltre lavorare con due attori così diversi mi ha fatto notare numerosi dettagli del mestiere e finezze di stile. Luciano più attore di teatro abituato a ripetere la scena anche cento volte e ripetere le sue battute identiche per filo e per segno. Franco, più attore di cinema, in grado di “sentire” la machina da presa e lo spazio del set, movendosi con pieno controllo sullo spazio scenico. Con loro poi si girava quasi sempre a “buona la prima”, ovvero non si ripeteva quasi mai la ripresa per motivi di recitazione instaurando una stupenda collaborazione e intesa.
Un’altra esperienza curiosa fu il doppiaggio. Quasi tutti gli attori si doppiarono da loro stessi, tranne Luciano che al tempo era impegnato in altre riprese e impossibilitato a raggiungere Udine in tempo, e pochi altri che non conoscono il friulano.
“Il terzo leone” anche se il romanzo da cui parte è in friulano, nasce in italiano, per cui i personaggi, le scene, ma soprattutto le battute e i tempi di azione hanno tutti un loro stile, dettato appunto dalla lingua italiana. In Italia, paese dove tutti i film stranieri vengono doppiati, siamo abituati a sentire parlare gli attori americani, per esempio, in italiano e le battute che vengono scritte dagli sceneggiatori di altri paesi, trasformate nella nostra lingua. A volte, nonostante il lavoro dei traduttori e degli adattatori, abbiamo la sensazione come se certe battute siano fuori posto. Ebbene molte volte la trasposizione di un modo di dire o di una semplice frase detta in un certo modo e in un certo momento, cambia di significato se tradotta in altre lingue diverse da quella in cui è nata. Così è successo per “Il terzo leone”. In friulano i personaggi sono diversi, e le situazioni non hanno la stessa caratteristica di quelle in italiano. Il tutto però ha dato al film una connotazione più misteriosa, più intrigante. La musicalità della lingua friulana ha velato di antico e di solenne tutto il film. Il ritmo sembra più lento e la trama più ambigua. E’ un altro film, con degli aspetti e un messaggio diverso da quello in italiano. E’ ovviamente rivolto anche ad un pubblico diverso e non solo per il motivo della lingua.
Il film infine volse al termine e il 14 luglio lo presentammo nel cinema all’aperto a Udine. Vista la grande attesa che accompagnava l’uscita del film la sala si riempì facilmente fra invitati e pubblico pagante. Ci fu addirittura gente in piedi.
Fu un successo. Io stesso mi stupii. Il film riuscì meglio delle aspettative. Partì per essere un cortometraggio fatto fra amici e finì per essere un lungometraggio con un cast di tutto rispetto e una storia avvincente. Al pubblico era piaciuto e piacque anche alla critica.
Mi ricordo che la sera della Prima io ero completamente esausto non solo perché a lavoro finito ti cade addosso tutta la stanchezza accumulata, ma anche perché quel giorno finimmo di mixare l’audio a Milano alle quattro del pomeriggio e con il compositore Thomas, guidai a tutta velocità verso Udine per arrivare in tempo per la proiezione e consegnare il film al proiezionista. Per fortuna andò tutto per il verso giusto.
Più di una volta infatti mi sono ridotto all’ultimo momento e credo ci sia una componente fatalistica in tutto ciò. Anche quando dovevamo andare a New York proprio un mese dopo il disastro del WTC a presentarlo ad una rassegna di film italiani, i sottotitoli in inglese, per alcuni motivi tecnici, furono ultimati la notte prima della nostra partenza e una volta proiettato, il film fu accolto con successo un’altra volta e io dovetti anche sostenere un dibattito molto acceso con un pubblico, che nonostante i sottotitoli, era stato attento e curioso fino alla fine. Il pubblico americano dimostrò di essere molto interessato alla vicenda del film e affascinato dallo stesso fenomeno dei Benandanti.
Insomma finire il lavoro con l’acqua alla gola a quanto pare porta bene anche se vorrei non fosse una costante dei miei lavori, in fin dei conti anche i registi invecchiano e certe cose è meglio farle da giovani.

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