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AIRMANSHIP
Primavera 1999

Airmanship
Un modello concettuale
ed operativo di riferimento

 

Il lungo articolo che segue riassume la nostra visione della professione di pilota.

Questa filosofia sarà il motivo dominante della comunicazione che vogliamo instaurare con chi opera e sarà ricordato sempre dal titolo del nostro periodico on line.

Premessa

Quando iniziammo a volare, più di trent’anni fa, era in atto una progressiva sostituzione dei velivoli adibiti al trasporto aereo in seguito all’ avvento dei motori a getto. Questi consentivano, infatti, una maggior economia ed efficienza delle operazioni volo.

I piloti che in quegli anni possedevano l’esperienza di migliaia di ore di volo avevano iniziato a volare negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale.

Il consolidamento dell’esperienza era, pertanto, avvenuto in un continuo confronto con un sistema aviatorio ben diverso da quello che si veniva profilando con le nuove tecnologie.

Le macchine sulle quali quei piloti avevano sviluppato le loro abilità non erano certo facili da pilotare e il manico era un requisito essenziale. I velivoli avevano, generalmente, envelope operativi meno spinti e campi di utilizzazione lontani dai limiti di tali inviluppi; sull’ambiente meteorologico non erano disponibili le informazioni attuali ma esso poteva essere comunque affrontato grazie ai suddetti margini e, naturalmente, all’esperienza di situazioni vissute e risolte con vario esito.

Lo standard operativo aveva, di conseguenza, un connotato molto individuale e faceva definire la vera attitudine professionale del pilota con il classico "the right stuff". Chi la possedeva aveva la stoffa dell’aviatore, gran manico e grandi risorse psicofisiche personali.

L’addestramento era centrato quasi esclusivamente sulle cosiddette "stick-and-rudder competences" e, immancabilmente, gli incidenti aerei nei quali emergevano delle inadeguatezze in queste aree erano etichettati con un inclemente: pilot error.

Nel caso di maggior approfondimento, cioè di analisi del comportamento del pilota, il corollario a questa conclusione era spesso: poor airmanship.

Con l’aumento del traffico mondiale dovuto all’introduzione dei jet si ebbe, purtroppo, un aumento degli incidenti e l’attenzione degli organismi internazionali (ICAO, IATA), attraverso lo sviluppo degli strumenti e delle tecniche di investigazione, si orientò sui problemi di interfaccia dell’uomo con le nuove macchine e con l’ambiente operativo. Quest’ultimo, a causa delle diverse prestazioni e caratteristiche dei velivoli, rivelò aspetti sconosciuti nelle operazioni degli aerei a elica.

La configurazione ergonomica delle cabine di pilotaggio divenne un elemento fondamentale per evitare certi tipi di errori quali la percezione delle indicazioni strumentali (fu progressivamente eliminato l’altimetro a tre indici) o la manipolazione di leve e interruttori simili ma con funzioni diverse.

La Conferenza IATA di Istanbul, nel 1975, vide la partecipazione dei maggiori esperti di analisi di incidenti e di psicologia e fisiologia di aviazione che contribuirono ad orientare l’attenzione di tutto il mondo aeronautico sul fattore umano.

La causa prevalente degli incidenti etichettata precedentemente pilot error divenne human factor.

Tra gli esperti che parteciparono alla Conferenza di Istanbul vi fu il Professor Elwyn Edwards. Egli fornì un modello concettuale di facile interpretazione per la individuazione degli human factors.

Gli human factors altro non sono che i problemi di interfaccia tra i vari elementi del sistema aeronautico. Questi elementi sono costituiti dall’uomo, dalla macchina, dall’ambiente e da norme, procedure e criteri operativi.

Il Professor Edwards denominò gli elementi del sistema:

S = Software (norme e procedure, simbologie, assegnazione di compiti, ecc.)

H = Hardware (macchine)

E = Environment (ambiente)

L = Liveware (uomo)

Il vocabolo Liveware venne usato per omogeneità fonetica con Hardware e Software e per creare un acronimo di immediato riferimento. Da ciò ebbe origine lo SHEL model.

Questo modello fu successivamente ripreso ed esteso (SHELL) dal Com.te Frank Hawkins (KLM) con un appropriata forma grafica.

Secondo questo modello la sintonia (cioè l’interfaccia) tra i vari blocchi è importante quanto, se non più, delle caratteristiche di ogni singolo elemento.

shell

Nello SHELL model venne posto l’elemento liveware sia in posizione centrale che periferica.

Esso rappresenta, al centro, l’individuo che opera in front line e che possiede i requisiti necessari, capacità ed esperienza, per adempiere a questa funzione.

Le aree critiche sono quelle dove l’individuo interagisce (comunica) con gli altri elementi. E qui ritroviamo ancora il liveware, costituito stavolta da qualsiasi altra persona che agisce nello stesso ambiente operativo, gli altri membri dell’ equipaggio di volo, i controllori ATC, i tecnici di manutenzione, ecc.

Il CRM fu elaborato per tentare di risolvere i problemi in questo interfaccia.

L’interazione con l’Hardware (la macchina) è, in questo modello, una questione prevalentemente ergonomica.

Il Software rappresenta, tutto il materiale di supporto per l’individuo e per l’equipaggio: manuali, check list, pubblicazioni, programmi, standard operating procedures.

L’Environment è costituito dall’ambiente interno, ancora una volta oggetto di studi e soluzioni ergonomiche, e dall’ambiente esterno, molto più complesso, che va dalle condizioni meteo all’ ATC, alle radio facilities, alle strutture aeroportuali e infine alla situazione economica, politica e sociale dello Stato di residenza e degli Stati in cui si opera.

Queste sono le chiavi di lettura delle relazioni di interfaccia dello SHELL model e anche se esso non comprende tutti gli aspetti della sicurezza del volo è comunque un utilissimo framework di riferimento.

Secondo questa rappresentazione risulta evidente che qualsiasi inadeguatezza di uno o più elementi del sistema si ripercuote negativamente sull’elemento centrale: l’uomo.

I problemi che si addensano sull’uomo e che creano il terreno fertile per la generazione dell’incidente sono dovuti, ad esempio, a: procedure farraginose, check list complicate, documentazione di rotta inadeguata, non aggiornata e/o fuorviante, norme di complessa lettura e applicazione, aeromobili con lunghe liste di anomalie compatibili, utilizzati al limite e/o con performance marginali, ambiente atmosferico e/o ATC ostile e con molte incognite dovute a carenza di strutture locali, educazione e addestramento dei vari interlocutori o dei compagni di team nelle operazioni insufficiente o inadeguato, ecc.

L’addestramento si orientò su una maggior conoscenza dei problemi connessi ai fattori umani nella convinzione che tali fattori non avrebbero potuto essere completamente rimossi, almeno finché l’uomo fosse stato presente in un qualsiasi punto del sistema aviatorio (regolamentazione, progetto, costruzione, certificazione, esercizio, gestione, operazioni volo, ecc).

In tal modo la prevenzione degli incidenti dipendeva in larga parte dalla consapevolezza del pilota riguardo ai problemi di interfaccia con gli altri elementi del sistema e, naturalmente, ai propri problemi personali. Questo criterio non poteva essere considerato soddisfacente. Tanto è vero che l’ approfondimento delle dinamiche degli incidenti, con l’ analisi del comportamento del pilota, oltre allo human factor, conteneva ancora, frequentemente, un’indicazione: poor airmanship.

Gli esperti di investigazione e tutti quelli interessati alla sicurezza delle operazioni non potevano ritenersi soddisfatti dall’aver evidenziato la causa più diffusa degli incidenti. Infatti erano consapevoli che tale causa, gli human factor, era un effetto di cause remote che si articolavano secondo dinamiche complesse e che avevano le loro radici negli elementi del sistema aeronautico più distanti dal fronte operativo.

Questi elementi erano costituiti dai livelli dirigenziali più elevati di ogni sistema aeronautico (militare o industriale), le cui politiche di gestione predisponevano lo sviluppo e la proliferazione di dinamiche causa-effetto negative per la sicurezza delle operazioni.

Tra gli effetti dell’Aviation Deregulation Act dell’amministrazione Reagan negli Stati Uniti ci fu una competizione accanita tra vettori che in una corsa al risparmio con scorciatoie di gestione determinò numerosi gravi incidenti negli anni che vanno dal 1975 al 1985.

In seguito all’analisi di questi incidenti Gerrard Bruggink, che fu Deputy Director del Bureau of Accident Investigation dell’NTSB, definì policy factors le radici da cui avevano origine le dinamiche degenerative che portavano all’incidente.

"A policy factor becomes an inherent part of the casual mechanism when top management of manufacturers, air carriers, professional organizations, airports or regulatory agencies helped set the stage for the accident by ignoring the lessons from predictive incidents and similar accidents in the past, or by tolerating unwarranted compromises for reasons of self image, economy, or ineptness."

Ed è dopo quasi vent’anni dalla prima Conferenza IATA sugli Human Factor che un’ altra Conferenza IATA tenutasi a Montreal nel 1993, avente per argomento le strategie di contenimento degli incidenti con cause human factor, mise in evidenza i risultati degli studi di incidenti avvenuti negli anni precedenti ed individuò le root causes (le cause alla radice) degli eventi nei cosiddetti policy factors, confermando quanto Gerrard Bruggink aveva indicato nel 1985.

Uno dei più significativi studi sull’argomento fu quello del Prof. James Reason (Dept of Psychology - University of Manchester). Lo studio fa parte degli atti della Conferenza di Montreal. Reason, rafforzando il concetto espresso da Bruggink, dopo aver analizzato alcuni disastri degli ultimi anni avvenuti in vari contesti (aviazione commerciale, marina mercantile, trasporto ferroviario, impianti nucleari e chimici, ecc.) dimostrò che l’uomo contribuisce agli incidenti secondo due modalità distinte definite: active failures e latent failures. Esse dipendono da chi le commette e dal tempo che trascorre prima che esse influiscano sulla sicurezza del sistema.

-Active failures are committed by those at the "sharp end" of the system (pilots, air traffic controllers, maintenance engineers). These are the people whose actions can have immediately adverse consequences. They are also the ones who, until quite recently, received the most attention from accident investigators.

-Latent failures arise from fallible decision, usually taken within the higher levels of the organization or by regulators, government officials and politicians. Their damaging consequences can lie dormant for a long time, only becoming apparent when they combine with local triggering events (i.e. active failures, technical faults, atypical conditions, etc.) to breach the system’s defences. "

Intercorrono otto anni tra la definizione di G.Bruggink e lo studio di J.Reason e l’equazione policy factors = latent failures è legittimata dall’analisi di quegli incidenti avvenuti in sistemi ad elevata e complessa tecnologia e definiti organizational accidents.

In questi sistemi accadono catastrofici "breakdowns", per l’insidioso accumularsi di mancanze nell’ambito delle sfere politiche, organizzative, manageriali, che si manifestano a scoppio ritardato e non a causa dell’errore isolato o della singola avaria.

Questi problemi non appartengono esclusivamente alle macchine o agli uomini ma emergono da complesse e poco comprese interazioni tra gli aspetti sociali e tecnici del sistema.

Il comandante Jeremy Butler (British Airways Flight Safety) propose un modello grafico molto efficace per rappresentare la dinamica di un organizational accident secondo i concetti elaborati da James Reason.

Le barriere difensive (system’s defences) vengono individuate in particolari elementi dell’organizzazione.

I primi elementi sono le decisioni manageriali, da quelle strategiche del sistema a quelle più specifiche di ogni settore operativo.

Qui proliferano i policy factors.

Le barriere successive sono sempre più vicine alla front line, all’ambiente in cui devono essere svolti i compiti e concretizzati gli obiettivi.

Le ultime barriere sono costituite dall’uomo. I punti deboli di queste ultime barriere sono proprio gli human factors ma l’esposizione agli human factors è diretta conseguenza della proliferazione dei fattori organizzativi.

human factors

Questo modello indica graficamente che quanto più sono numerosi i buchi tanto più probabile è l’allineamento che consente alla sequenza degli eventi di terminare in un incidente.

Allineamento delle cause diventa, pertanto, sinonimo di catena degli eventi.

L’evoluzione dell’analisi delle dinamiche degli incidenti, che ha portato a considerare i fattori causali nei termini fin qui descritti, ha messo in luce un altro aspetto determinante. In moltissime occasioni i margini di sicurezza delle operazioni che, come abbiamo visto vengono erosi prevalentemente dalle politiche di gestione ed organizzative, vengono comunque recuperati dalla airmanship di coloro che operano in front line.

La considerazione che una good airmanship è diffusamente presente in eventi di pericolo evitati o in incidenti manifestatisi solamente come eventi di pericolo, compensa la frequente individuazione di poor airmanship nei fattori causali degli incidenti e, al tempo stesso, sancisce il peso determinante dell’airmanship.

Non conosco alcun tentativo riuscito di tradurre Airmanship in italiano con una espressione efficace che ne renda il significato; "essere uomo dell’aria" è la scomposizione del termine ma non si presta a un uso discorsivo, professionalità vi si avvicina ma è ancora troppo generico. Professionalità aviatoria è meno generico ma dimostra che dobbiamo ricorrere a una frase articolata per esprimere un concetto che anche in inglese si trova solo in un dizionario di termini specialistici.

Secondo il Janes Aerospace Dictionary Ed 1988, Airmanship è definito: "skill in piloting aircraft which embraces not just academic knowledge but also the qualities of common sense, quick reactions, awareness and experience", laddove il significato di skill è: "the capacity for carrying out complex, well organised patterns of behaviour smoothly and adaptively so as to achieve some end or goal".

L’airmanship può quindi ridurre il varco e l’opportunità che latent e active failures producano un incident (evento di pericolo) o un accident (incidente).

D.Davies, CAA test pilot e autore di "Handling the big jets" fornisce una indicazione di good airmanship in un costante cauto approccio alle operazioni:

"The job of flying jet transports needs to be approached with a proper mixture of determination, prudence and confidence. Never commit yourself to a position whence extraction could be beyond the capability of you or your airplane. If you do not like the look of something, you should think it out before proceeding any further. Do not just barge on hoping that everything will work out all right in the end. Once in so many time it does not, and we have another accident on our records.

This could be good airmanship"

Nei modelli di generazione di incidente che conosciamo grazie all’analisi di eventi passati, siamo costantemente in presenza di una sequenza di circostanze che, se non viene modificata o arrestata da un intervento umano appropriato, conduce all’incidente.

Gli interventi correttivi sulle condizioni che innescano la sequenza di circostanze sono essenzialmente di competenza manageriale e riguardano, in ultima analisi, la qualità dei processi organizzativi del sistema aeronautico, un argomento di vaste proporzioni che non affronteremo in questa sede.

Ci interessa, invece, la strategia per rendere quanto più possibile appropriato l’intervento umano al fine di individuare tempestivamente e, quindi, di arrestare le suddette sequenze degenerative; ci interessa il modo con cui sviluppare in ogni operatore di front line la migliore airmanship. Con questo si vogliono potenziare le barriere difensive in prima linea tramite l’educazione degli operatori ma non si intende rinunciare a considerare la via organizzativa alla prevenzione, la più efficace a lungo termine.

L’edificio dell’AIRMANSHIP

Abbiamo detto che professionalità aviatoria potrebbe essere una traduzione adeguata del termine airmanship.

Generalmente l’appellativo di professionista va a chi svolge delle particolari attività a seguito di apprendimento accademico, con esperienza maturata nel ruolo e nella funzione e, quindi, con capacità di collegare tra loro conoscenze e circostanze, ed infine con riconoscimento economico e di status dell’ essere professionista. Ad esempio una équipe di chirurghi in sala operatoria viene definita come un gruppo di "highly trained professionals working in a time-critical and highly structured environment utilizing sophisticated implements and devices to achieve specific goals, in which the penalties for failure or inadequacy are potentially great in both human and monetary terms". Non c’è dubbio che tale definizione si applica perfettamente agli equipaggi di volo. Essi sono, sicuramente, professionisti con qualche coinvolgimento personale in più nello svolgimento della missione e, a volte, con qualche riconoscimento in meno.

Ed ora proviamo a ridefinire in modo concreto questa professionalità aviatoria che corrisponde al concetto di airmanship. È utile fare ricorso ad un modello grafico per avere sempre presenti con facilità i vari aspetti che consentono di edificare questo concetto.

Il modello grafico è un tempietto che viene utilizzato per illustrare anche altri argomenti, pertanto non è inedito ma è provatamente efficace.

Esso serve appunto per richiamare i concetti costruttivi di un solido edificio con fondamenta, pilastri di sostegno e struttura di copertura.

Lo ha proposto il Dr. Tony Kern, Maggiore pilota e Capo del Programma CRM per l’USAF

tempietto

Dal momento che il Team è costituito da persone l’uso del termine Folks come sinonimo consente di raccogliere le iniziali dei pilastri nell’acronimo SAFER, certamente in sintonia con l’argomento.

Ed ora prenderemo in considerazione gli elementi di questa struttura per evidenziare alcuni aspetti fondamentali di ognuno di essi e per comprendere le ragioni della loro collocazione nel quadro complessivo.

Le fondamenta

È bene premettere che la traduzione in italiano che useremo per brevità, può essere a volte riduttiva del complesso e vasto significato che hanno i termini inglesi.

Come in ogni solida costruzione grande rilievo viene dato alle fondamenta e per una professionalità aeronautica solidamente strutturata sono importanti la disciplina, l’abilità (skill) e la competenza (proficiency).

Discipline

"There is only one kind of discipline: perfect discipline" .

Questa celebre frase del Generale Patton indica la necessità di mantenere un comportamento conforme ad una disciplina che non è costituita solamente da norme e regolamenti ma che scaturisce da un atteggiamento personale profondamente motivato.

La disciplina di volo viene definita: "The ability and willpower to safely employ an aircraft within operational, regulatory, organizational, and common sense guidelines - unless emergency or combat mission demands dictate otherwise."

Pertanto la violazione della disciplina di volo deve essere un atto cosciente e volontario per essere considerato tale.

Volare inavvertitamente al di sotto di una quota minima di sicurezza può essere mancanza di abilità e competenza, o mancanza di conoscenza dell’ambiente, ugualmente connotati di poor airmanship ma ben diversi da una violazione volontaria e consapevole.

Quando la violazione è volontaria e consapevole e non risulta, secondo comune buon senso e coerente interpretazione, da una motivazione più importante del rispetto della norma - cioè da una situazione di emergenza - essa va considerata come infrazione.

Il comune buon senso è, però, tutt’altro che comune e frequentemente si è tentati da comportamenti, invece abbastanza comuni, dettati da giustificazioni diverse come le seguenti:

"se nessuno viene a sapere dell’infrazione e non ci sono conseguenze non ci sono problemi"

"tutti sanno che ci sono margini abbondanti in tutte le norme"

"le norme sono semplici per proteggere i meno bravi"

"l’aviazione ha ormai troppe regole, una volta si volava diversamente"

"non si può andare oltre i limiti e migliorare realmente se si è costretti da tante regole"

È facile constatare come i piloti cadano spesso in razionalizzazioni simili a questi esempi quando sono alla ricerca di ragioni per i loro comportamenti non conformi alla perfetta disciplina.

Il vero problema è che l’infrazione alle regole non ha regole e le violazioni alla disciplina di volo sono contagiose, specialmente nei piloti in fase di formazione e di professionalità non ancor consolidata.

Infrangere le regole (ma di quanto?) diventa un modello di riferimento per dimostrare superiorità nel gruppo.

"I can do better than that" è una trappola classica che insieme alla cosiddetta "air show syndrome" costituisce lo scenario abituale della indisciplina di volo.

Questo scenario è il risultato di una cultura negativa da contrastare con una difesa che consiste in uno standard di "tolleranza zero", a livello individuale ed a livello dell’organizzazione, a qualsiasi violazione di disciplina di volo.

 

Skill & Proficiency

L’abilità e la competenza sono qualità che l’aviatore deve acquisire con l’apprendimento. In questo processo, che continua durante tutta la vita professionale, la perfetta disciplina svolge una funzione insostituibile.

Vedrete che nel procedere all’esame di ogni elemento della costruzione dell’airmanship emergono dei collegamenti abbastanza complessi e articolati, anche se naturali, con gli altri elementi.

Pertanto se abilità e competenza devono essere fondate sulla disciplina, sono anche il risultato di acquisizione di conoscenza degli elementi che sostengono la struttura (self, aircraft, ecc.).

L’abilità si esprime a diversi livelli che sono, a loro volta, funzione di gradi successivi di competenza acquisita e consolidata.

Il primo livello riguarda la capacità di operare in sicurezza, costituisce un primo obiettivo per l’allievo pilota e per i suoi istruttori ma, per quanto importante, è generalmente molto rudimentale e richiede ulteriore e consistente progresso per far definire il pilota un professional.

Il secondo livello riguarda la capacità di realizzare, con una costante efficacia, prestazioni individuali funzionali agli obiettivi operativi. Per il pilota di un’aerolinea commerciale può essere il superamento di check periodici e per il pilota militare può essere la qualificazione per la missione.

Un più alto livello di skill & proficiency va al di là delle suddette condizioni di base ed esprime la capacità di operare con efficienza, cioè con un alto rapporto tra risorse impiegate e risultati raggiunti.

A questo livello le occasioni di espressione di professionalità sono evidenti in quanto, nel voler conseguire l’efficienza, essa può assumere la fisionomia di obiettivo prevalente a scapito delle prestazioni individuali. Queste possono scendere al di sotto dello standard con erosione di margini di sicurezza.

L’equilibrio nel conseguimento dell’efficienza è uno dei primi tratti di good airmanship.

Infine, il livello di abilità e competenza che caratterizza i top professional è la precisione come verifica di continuo progresso, la perfezione non come ossessione ma come motivazione per analisi dei propri comportamenti e per una sintonia sempre più raffinata con gli altri elementi del sistema aviatorio.

Tutto questo porta alla fiducia in sé stessi, al contenimento di ansie o paure, naturali per l’uomo in volo ma dannose quando diventano impedimento alla realizzazione degli obiettivi. La fiducia diventa così un moltiplicatore di abilità e capacità. Il rovescio della medaglia è l’eccesso di fiducia.

"Un uomo deve sempre conoscere i propri limiti" sentenziava Clint Eastwood nei panni di Dirty Harry.

L’eccesso di fiducia avviene quando il nostro ego firma assegni che la nostra abilità e le nostre capacità non possono pagare.

Il pilota ha generalmente una consistente visualizzazione di sé stesso; è naturalmente portato a rivedere le passate esperienze; esse hanno un ruolo importantissimo nella costruzione della abilità e della competenza, quindi nella costruzione degli abiti comportamentali.

Nel visualizzare i propri comportamenti passati si tende, però, a ricordare i giorni migliori e a relegare in archivi reconditi della memoria le situazioni peggiori.

È necessario ricordare a noi stessi più frequentemente le nostre debolezze per non incorrere in eccesso di confidenza.

Niente può, quindi, sostituire la capacità di volare ai richiesti livelli di abilità e competenza; gli altri elementi portanti dell’edificio dell’airmanship non possono sostituire questi elementi (che sono stati per questo definiti fondamentali), né potrebbero avere la necessaria configurazione di conoscenza senza questi elementi di base.

È opportuno allora ricordare un detto ormai famoso in aviazione.

"Aviation is not inherently dangerous. But to an even greater extent than the sea, it is terribly unforgiving for any inattention, carelessness, or neglect."

Di conseguenza: don’t neglect your skills or proficiency.

I pilastri

Self: conoscere sé stessi

Questo è il primo pilastro per edificare l’airmanship e ne abbiamo già esaminato alcune relazioni con gli elementi di base.

La conoscenza di sé è la più ardua da acquisire. D’altra parte è un processo che richiede una vita. Nessuna macchina ha la complessità delle dinamiche psicologiche e fisiologiche dell’uomo. Il pilota è l’uomo in volo e le complessità sono accentuate dalla differente configurazione energetica degli eventi rispetto ad altre circostanze di minor dinamicità ambientale come quelle che si hanno in un ufficio amministrativo.

La conoscenza del proprio fisico è un requisito essenziale e alla pari di un aeromobile idoneo e certificato per il volo che viene definito airworthy, la physical o medical airworthiness è basilare per far parte di un equipaggio di volo.

E parlando di equipaggio si intende anche e con maggior enfasi il pilota su velivolo monoposto o in solo-flight.

La determinazione dell’ aerovalidità medica non è esclusiva competenza del medico di stormo e di istituzioni analoghe. È importante conoscere gli effetti della fatica dovuta a cause diverse (jet lag, perdita di sonno, ecc.) sulle proprie prestazioni in volo. È importante conoscere i problemi di visione (blind spot, night vision). È importante avere sufficienti cognizioni riguardo all’uso di farmaci cosiddetti "da banco".

La conoscenza degli effetti delle proprie abitudini di vita, in relazione alle condizioni ambientali di volo, è importante per sintonizzare al meglio le prime con le esigenze di queste ultime.

Una congrua attività fisica è importante per ottimizzare le funzioni fisiologiche e per facilitare il recupero dallo stress.

Evitare il fumo e l’alcol è altrettanto importante.

"Alchool & Flying is a bad mixture".

A questo riguardo la disciplina personale nei comportamenti è proiezione della disciplina di base.

La maggiore insidia nel valutare correttamente la propria condizione fisica è che tale valutazione è strettamente legata all’atteggiamento personale e, quindi, ad una condizione psicologica.

Ad esempio, giocano un ruolo fondamentale quegli atteggiamenti pericolosi che vanno dalla cosiddetta "complacency" al senso di invulnerabilità, all’atteggiamento "macho", strettamente legati all’eccesso di confidenza, che fanno valutare in modo superficiale o fanno minimizzare una condizione fisica che se fosse evidenziata oggettivamente ad un eventuale compagno di equipaggio dissuaderebbe quest’ultimo dall’esservi compagno.

Altri atteggiamenti pericolosi sono l’impulsività e la rassegnazione, adeguatamente sviscerati come gli altri nell’ambito della formazione CRM, oppure la cosiddetta "get-homitis syndrome" o fascino del ritorno alla base; essa fa assumere scorciatoie rischiose che si aggiungono alla minor attenzione causata dalla familiarità con l’operazione.

Altri problemi psicologici sono direttamente correlati al pilastro "folks" ma nel porsi criticamente di fronte a questi problemi è evidente la necessità di guardare sé stessi allo specchio (self) e di sapere che le cause delle azioni dei compagni d’equipaggio (team) hanno origine dagli stessi fattori.

Aircraft: conoscere l’aeroplano

La capacità del pilota di sviluppare un corretto rapporto con l’aeromobile è un indice di eccellenza nella professionalità aviatoria.

Questa capacità non si esprime con il semplice pilotaggio ma con la ricerca continua di rendere sé stessi e la macchina una unità funzionale, la macchina estensione di sé, una protesi per volare.

Analogamente ad un rapporto sociale questa relazione deve essere basata su conoscenza, comprensione e fiducia.

Affidare la propria vita ad un altro richiede una speciale fiducia. Ogni giorno una moltitudine di aviatori affida la propria vita ad un mezzo con il quale non ha la necessaria familiarità o conoscenza.

La struttura delle operazioni volo è basata su criteri, procedure e tecniche consolidate dall’esperienza di generazioni di aviatori e la conoscenza di questi elementi basici consente di intraprendere con una apparente tranquillità l’attività di volo.

Questa, però, non è altro che una forma di complacency; l’uomo tende sempre all’opzione di minor fatica e se ha a disposizione argomenti che possono convincerlo della bontà di tale opzione egli è portato a fare quella scelta.

(questo concetto va inserito tra le conoscenze dei pilastri che comprendono l’uomo: Self e Folks)

La conoscenza dell’aeromobile va, in realtà, oltre alcune conoscenze di base che possono essere dedotte da un comune manuale d’impiego.

Considerazioni ergonomiche che riguardano il tipo di velivolo e storia di manutenzione del singolo velivolo sono aspetti che concorrono alla conoscenza professionale della macchina.

Alcuni velivoli dell’ultima generazione sono il risultato di una progettazione che tiene conto dei problemi di interfaccia tra uomo e macchina, che propone soluzioni ergonomiche per facilitare al massimo la fusione dell’equipaggio e dell’aeromobile in una unità funzionale. La stragrande maggioranza dei velivoli presenta, invece, diversi problemi che possono essere acquisiti esclusivamente dai racconti di piloti già esperti.

A questo riguardo il cosiddetto hangar flying è uno strumento di apprendimento insostituibile.

Il racconto delle proprie esperienze, la curiosità per le esperienze altrui, quello stimolo costante alla ricerca di spiegazioni o ragioni di comportamenti che si manifesta tra equipaggi operativi (piloti, tecnici, ecc.) che ai primordi dell’aviazione si svolgeva appunto nell’hangar, ha dato nome a questa particolare ma insostituibile forma di comunicazione. Altri luoghi di ritrovo nella Air Force Base sono attualmente sede di "chiacchiere da hangar". Per gli equipaggi di volo di grandi aerolinee queste identità di luogo sono più evanescenti e possono essere rappresentate dal ristorante, dalla hall d’albergo, o da lunghi tratti di crociera nella notte sull’Atlantico e su altre zone assimilabili.

L’approccio con lo specifico velivolo che ci accingiamo a volare richiede lo stesso atteggiamento inquisitorio; non è sufficiente leggere l’ultimo riporto sul technical log.

Risalire ad un certo numero di voli precedenti è necessario.

Fare specifiche richieste al personale di assistenza tecnica o all’equipaggio che scende dall’aeroplano è utile; scambiare impressioni, commenti e considerazioni è opportuno.

Le nozioni consolidate con studio e con hangar flying e le informazioni recenti assunte prima del volo sono il necessario bagaglio di conoscenza con cui ogni membro d’equipaggio contribuisce all’integrazione del team.

Questi corredi individuali creano sinergia e moltiplicano le potenzialità della conoscenza globale dell’equipaggio. Una conoscenza che può essere determinante nel superamento delle più diverse situazioni di volo.

Folks: teamwork e CRM

"Four brave men who do not know each other will not dare to attack a lion. Four less brave men, but knowing each other well, sure of their reliability and consequently mutual aid, will attack resolutely."

Questo detto esemplifica la maggior importanza del gioco di squadra relativamente a capacità individuali anche superlative.

L’efficacia della comunicazione reciproca determina l’efficienza del team, è condizione essenziale per rendere il gruppo migliore ai fini operativi rispetto ad ogni singolo componente del gruppo.

Le tecniche di comunicazione diffuse nel mondo aeronautico con l’educazione al Crew Resource Management hanno consentito di realizzare equipaggi con elevata situational awareness (il primo elemento che completa l’edificio dell’airmanship), cioè con adeguati margini di sicurezza e con la necessaria efficienza operativa.

Vi sono molti esempi di incidenti evitati, o contenuti nelle conseguenze, grazie ad equipaggi ben sintonizzati nello scambio tempestivo di informazioni, nella corretta valutazione delle priorità e nella idonea decisione sul corso delle azioni.

Le cosiddette abilità sociali, cioè la capacità di interfacciarsi con gli altri e di stabilire quei flussi di comunicazione che facilitano la comprensione, non possono sostituire le carenze degli elementi di base o la conoscenza degli elementi portanti della professionalità aviatoria.

L’aviatore tendenzialmente indisciplinato o con carenze di abilità e competenza, oppure con conoscenza superficiale dell’aeromobile, che valuta approssimativamente l’importanza della propria condizione psico-fisica, e (come vedremo successivamente) che non possiede la necessaria conoscenza dell’ambiente e dei rischi della missione associati ad ogni componente dell’intero edificio dell’airmanship, non può agire integrato nel team e costituisce una criticità per la sicurezza e l’efficienza del team.

Può addirittura essere fuorviante nel processo che conduce a corrette decisioni, specialmente se possiede qualche tratto carismatico dovuto al modo personale di porsi in ambiente non operativo o ad un ruolo o posizione nell’organizzazione.

Le situazioni di conflitto sono tali quando le rispettive posizioni derivano da pregiudizi, da false assunzioni o da altre posizioni personali che hanno il valore di opinioni.

Nella realtà operativa di un team che opera in uno scenario con costrizioni temporali e con elevata potenzialità lesiva, ognuno deve portare dei fatti, se disponibili, oppure delle argomentazioni costruttive. Ciò è possibile, evidentemente, se il singolo individuo ha sviluppato in sé tutti gli altri elementi dell’edificio professionale.

Ricerca della comunicazione, assertività, contributo critico, feedback, sono solo gli strumenti del CRM; essi consentono di esprimere in un lavoro di gruppo la competenza individuale nelle varie forme che abbiamo illustrato e che vedremo più avanti.

CRM non vuol dire gestione democratica del team, abbiamo detto infatti che le opinioni sono le ultime ad aver valore nel processo decisionale mentre un approccio democratico dovrebbe comportare il rispetto di ogni opinione.

Il concetto di leadership è fondamentale e identifica la capacità di orchestrare le dinamiche di comunicazione all’interno del gruppo facilitando il processo decisionale.

Altrettanto importante è la capacità di seguire, detta followership, un’ arte trascurata o una funzione male interpretata. Essa non diminuisce il proprio ruolo all’interno del gruppo. Seguire vuol dire camminare dietro, guardare le spalle, espletare specifica vigilanza e selezionare le informazioni tatticamente rilevanti, quindi sorvegliare che la via percorsa dal leader è appropriata.

La competenza a tutto campo è ancora una volta essenziale e la capacità di essere un buon collaboratore predispone a saper valutare a propria volta i collaboratori e ad avere la necessaria confidenza nel gruppo quando si assume il ruolo di leader.

Se la cabina di pilotaggio non può essere una democrazia non deve essere nemmeno un terreno di lotta e contrapposizione.

 

Environment: l’ambiente fisico, le norme, l’organizzazione

La trasparenza dell’aria e la penetrabilità di gran parte delle nubi, la vastità di questo ambiente rispetto alle dimensioni del velivolo fanno generalmente apparire secondari i problemi d’interfaccia con un elemento che si propone scevro da ostacoli.

Questo può essere il quadro che appare all’allievo pilota, ancora impegnato nell’acquisizione della conoscenza di elementi per lui più prossimi e concreti.

In realtà è proprio nel confronto con l’ambiente in tutti i suoi aspetti che si concretizza la airmanship. "Essere uomo dell’aria" sottolinea infatti il connotato ambientale.

La particolare configurazione energetica che differenzia il moto nello spazio rispetto a quello su una superficie piana comporta una ristrutturazione mentale da parte del pilota, quindi un apprendimento delle dinamiche percettive che gli consentano di assimilare l’evoluzione del sentiero di volo o della traiettoria in base ad elementi visuali che l’uomo non è abituato ad utilizzare.

Dal volo a vista al volo strumentale, al volo notturno ci sono una miriade di aspetti che il professionista deve apprendere e conoscere.

Sono aspetti che chiamano in causa la conoscenza di sé e del velivolo, stavolta in relazione all’influenza che le condizioni ambientali esercitano sulla unità funzionale uomo-macchina.

Ma l’ambiente atmosferico è ben più turbolento del mare, le dinamiche meteorologiche sono estremamente complesse per poterne individuare con precisione l’entità, la localizzazione e la durata.

Il professionista del volo deve conoscere gli effetti di un tale ambiente sulle sue operazioni di volo e deve sapere riconoscere gli indicatori, talvolta evidenti, spesso subdoli e sfuggenti, delle condizioni da evitare. Deve conoscere, ad esempio, la micrometeorologia locale che riguarda zone circoscritte, come le aree di avvicinamento delle due direttrici di una stessa pista che possono avere diverse dinamiche di vento o di evoluzione di visibilità a causa dell’orografia, i macrofenomeni, quali i fronti temporaleschi o le linee di forte instabilità che comportano la presenza di ghiaccio, turbolenza e trombe d’aria.

Oltre a queste conoscenze dell’ambiente fisico il professionista deve possedere solide conoscenze dell’ambiente normativo.

La conoscenza e il rispetto delle regole sono necessari affinché l’azione di ogni aviatore sia effettuata in sintonia con le azioni degli altri. Le norme, ovvero gli standards, sono un linguaggio per facilitare la comunicazione, individuare tempestivamente le intenzioni, evitare le deviazioni.

La inadempienza ed altri comportamenti di sufficienza per i quali vengono addotti vari motivi o giustificazioni sono indice di mancanza di disciplina.

La disciplina è la prima base dell’airmanship.

Si potrebbe obiettare che le norme impediscono la creatività ma la creatività (intesa come capacità di improvvisare) può essere solo una aspirazione individuale, una dote considerata tale in altri ambiti culturali e professionali.

L’edificio dell’airmanship non contempla la presenza di questo elemento.

L’incontro di condizioni anormali e di emergenza, che prevede la priorità delle decisioni del pilota su eventuali norme, potrebbe essere terreno per l’espressione di una creatività (non improvvisazione) predisposta e programmata da comportamenti e conoscenze coerenti con l’edificio dell’airmanship.

Le norme però non sono scritte nella pietra, esse sono il risultato dell’esperienza di generazioni di aviatori ma, anche in situazioni normali, richiedono adattamento ed evoluzione allo stesso modo in cui un linguaggio si modifica e si evolve per soddisfare nuove esigenze.

Conoscere le norme vuol dire comprendere il razionale che le supporta e se tale razionale viene meno in funzione di mutate circostanze è compito del professionista evidenziare ai responsabili dell’organizzazione la necessità di aggiornare e modificare una norma.

L’organizzazione nella quale opera l’aviatore è un’altro aspetto ambientale importante. Il professionista deve conoscere lo scopo dell’organizzazione e deve condividere l’impegno per la realizzazione degli obiettivi funzionali allo scopo di base.

L’equipaggio di volo è la front line dell’organizzazione, sia essa un operatore commerciale o un ente militare ed è, pertanto, il punto da cui ha origine il processo di feedback agli alti livelli di gestione, un processo di comunicazione necessario al corretto funzionamento dell’organizzazione.

Ancora una volta la conoscenza facilita la comunicazione.

Una volta assimilati tutti gli aspetti dell’ambiente operativo l’aviatore si muove in esso come un pesce nell’acqua, la sua confidenza aumenta senza eccedere in overconfidence ed egli è visto come un vero professionista e diventa esempio e modello di airmanship, una forza positiva per un progresso culturale.

Risk: la strategia del margine

La sicurezza di persone o beni in un’ attività umana non può essere mai al di sopra di ogni altro obiettivo altrimenti quell’attività non potrebbe essere intrapresa.

La completa garanzia di incolumità o di assenza di danno equivale a completa inattività.

Nel vivere di ogni giorno tutti affrontano dei rischi ed ognuno, più o meno consciamente, effettua una valutazione del rapporto costo-efficacia delle proprie possibili decisioni.

È un processo naturale che ha avuto origine con la vita e che è alla base della evoluzione stessa della vita.

Ci sono attività che comportano rischi maggiori per l’incolumità personale, attività a maggiore potenzialità lesiva ma a maggior potenzialità evolutiva per la specie.

Le operazioni di volo rientrano in questa categoria.

Ma è il concetto stesso di evoluzione che comporta una strategia conservativa.

Il progresso vuole dei risultati operativi positivi e gli incidenti di volo (accidents) hanno un peso negativo tale da non consentire l’assunzione di un elevato rischio di subire eventi di questo tipo.

In diverse attività umane termini come pericolo, rischio, condizione critica, margine di sicurezza e altri sinonimi vengono frequentemente usati per descrivere situazioni o circostanze particolari collegate all’attività in questione.

Il Col. Med. Mangiacapra individuò così la peculiarità del volo riguardo a come l’uomo ne percepisce la potenzialità lesiva : "Aduso atavicamente a vivere sulla crosta terrestre, ad obbedire alle leggi di gravità ed a muoversi su due dimensioni, l’ uomo, allorché si alza in volo, contravviene a quelle che sono le leggi fondamentali della natura, comportando un profondo quanto oscuro contrasto con l’istinto di conservazione, l’ istinto primogino, il più possente ".

L’esigenza di sicurezza è dettata in questo caso da un atteggiamento psicologico individuale che, determinando la scelta o il rifiuto di una condizione considerata pericolosa, non produce un approccio razionale alla ricerca della sicurezza.

Per questo è importante individuare il significato reale di questi termini, attribuire loro delle precise valenze, qualificarli e quantificarli in modo che corrispondano ad una visione razionale del problema e che consentano, quindi, nel loro uso corrente, di identificare inequivocabilmente ciò che si intende dire.

Dire, ad esempio, che l’ attività di volo è " a rischio " o dire che è " pericolosa " oppure " rischiosa ", parlare di elevata o scarsa " sicurezza " è un uso generalizzato dei termini che abbiamo messo tra virgolette, senza che essi esprimano un peso preciso di come e quando si hanno tali condizioni.

È opportuno quindi dare delle definizioni.

Gli esperti di sicurezza del volo definiscono pericolo ogni condizione, evento o circostanza che può causare danno a persone o cose. La definizione dello Zingarelli è analoga.

A volte la parola rischio viene usata come sinonimo di una indeterminata mancanza di sicurezza a seconda della diversa accentuazione che si vuol dare al significato del discorso.

La stessa definizione dello Zingarelli non è esauriente. Rischio è uguale alla possibilità di conseguenze dannose o negative a seguito di circostanze non sempre prevedibili.

Per i nostri scopi è meglio invece : rischio uguale a probabilità di trovarsi in una condizione di pericolo.

È utile fare adesso una trasposizione grafica di queste definizioni.

Prendiamo un sentiero, con bordi ben delimitati ed individuabili.

Se al di là di tali bordi c’è la condizione di pericolo (danger zone) il rischio (cioè la possibilità di incorrere nel pericolo) è tanto più grande quanto più ci accostiamo ai bordi nel percorrere il sentiero.

A questo punto è individuato analogamente il cosiddetto margine di sicurezza. Esso è la distanza che ci separa dalla condizione di pericolo, è in sostanza esattamente l’inverso del rischio da cui l’ equazione : rischio = 1/ margine

maggior rischio uguale minor margine e viceversa.

zone

È graficamente evidente che percorrendo il sentiero al centro si ha la condizione di minor rischio e maggior margine di sicurezza.

Il termine sicurezza acquista in questo modo una sua precisa fisionomia.

La sicurezza non può mai essere totale. Questo è valido in ogni espressione della vita umana, ed è tanto più valido nell’ attività di volo.

Il suo valore non può essere " infinito " riducendo il rischio a " zero ".

Anche percorrendo il sentiero al centro andiamo incontro ad altre possibili variabili che influenzano il margine di sicurezza : la larghezza del sentiero, la velocità di percorrenza, le possibilità del mezzo ecc.

Sono cioè le caratteristiche intrinseche dell’attività in esame.

Questa trasposizione grafica ci consente di fare altre considerazioni estremamente appropriate per l’ attività di volo.

Il bordo di delimitazione tra la condizione di sicurezza e la condizione di pericolo non è quasi mai così netto come nell’ esemplificazione grafica.

Questa è una situazione ottimale dove in ogni punto è possibile stabilire esattamente la distanza che ci separa dal pericolo e sappiamo di che pericolo si tratta (indicato graficamente dalla costanza delle forme scure)

In altre parole, ciò che ci consente la precisa determinazione del confine è l’informazione o, se volete, la conoscenza.

Informazione di formato idoneo a consentire la quantificazione del rischio, o del margine di sicurezza.

Se invece alcuni aspetti dell’operazione sono sconosciuti, se mancano informazioni sugli elementi che compongono il sistema (non si conoscono esattamente le condizioni meteo e non si hanno previsioni affidabili, non si è a conoscenza del comportamento della macchina in condizioni non abituali, non si conosce il proprio modo di reagire in certe condizioni, ecc.) ecco che il bordo di separazione diviene sfumato, non si riesce più a cogliere quella divisione netta che fa valutare esattamente il margine che separa dal pericolo.

È come percorrere un sentiero tra le sabbie mobili.

L’ aggravante, tra l’ altro, può essere duplice.

La mancanza di informazione rende il margine indefinibile quindi il rischio può essere elevato. Inoltre, anche il trovarsi improvvisamente nella condizione di pericolo può comportare l’ incapacità o l’ impossibilità di uscirne.

Si possono incontrare pericoli dalla configurazione sconosciuta (indicata graficamente dalla varietà delle forme scure).

zone

Questo modello grafico, estremamente appropriato all’attività di volo, è costituito da una zona centrale corrispondente alla normalità delle operazioni, in cui il rispetto degli standard, le condizioni personali ottime, l’aeromobile tecnicamente a punto con performance e autonomia adeguate, le buone condizioni ambientali ecc. consentono di operare con massima sicurezza.

Quando le circostanze portano ad operare oltre tale zona (stanchezza, fatica, pressioni psicologiche, avarie o altri problemi di macchina, maltempo o altri fattori ambientali, ecc.), il margine di sicurezza diviene meno definibile ed occorre raccogliere tutte le informazioni disponibili (incluse la propria conoscenza ed esperienza) per essere coscienti della situazione ed esercitare il miglior giudizio (best judgement), per non cadere in zona pericolo.

E con l’ultimo pilastro di conoscenza, di cui abbiamo esplorato più a fondo gli aspetti, abbiamo definito anche la copertura dell’edificio dell’airmanship.

I concetti che concorrono a formare situational awareness e judgement sono stati tutti espressi.

Conoscenza e informazione concorrono alla situational awareness.

Consapevolezza della situazione è la condizione affinché il giudizio che fa agire sia l’espressione operativa finale:

The best judgement is a mark of good airmanship.

Il modello grafico dell’edificio dell’airmanship è utile per visualizzare e collocare gli elementi che lo compongono in modo da costituire un insieme di indirizzi d’archivio per ogni acquisizione futura di esperienza, di conoscenza e di comportamenti.

Quando l’approccio iniziale è basato su tale intelaiatura, anche se gli elementi sono appena definiti, se l’esperienza è ridotta e la vita aviatoria è agli inizi, il membro d’equipaggio può sempre esprimere good airmanship.

Uno strumento essenziale per potenziare e rifinire la struttura della professionalità aviatoria è costituito da una filosofia di comportamento che deriva dal modello grafico illustrato per identificare rischio e margine di sicurezza.

Tale filosofia, che può essere definita Strategia del Margine, evidenzia l’ importanza fondamentale dell’ informazione.

Informazione intesa come conoscenza degli elementi del sistema : sé stessi in quanto operatori o manager, le macchine, l’ ambiente operativo, le procedure e gli standard ; intesa come consapevolezza di problemi associati ad ogni elemento e ai problemi di relazione tra essi ; come attendibilità della previsione della variabilità degli elementi e possibilità di pianificazione di azioni alternative.

Ogni volta che il confine diventa sfumato, ogni volta che la nebbia dell’indeterminatezza altera la nostra percezione del margine, dobbiamo, se possibile, ricercare altre salvaguardie e altri margini aggiuntivi.

Nell’ impossibilità di farlo, la rinuncia alla missione può risultare l’unica strada percorribile e si deve essere culturalmente preparati anche a questo.

È innegabile l’ importanza che l’ esperienza individuale riveste in questo modo di concepire la gestione del rischio. L’ esperienza quale bagaglio di conoscenza di situazioni critiche (prossimità al pericolo) vissute personalmente, consente di individuare quali informazioni sono necessarie per evitare spiacevoli sorprese ed è l’elemento soggettivo che modifica la visione individuale del margine.

La conseguenza, ma è un fatto di vita, è che il più esperto spesso appare più cauto, e lo è certamente, perché sa a cosa andrebbe incontro.

 

Airmaship e policy factors

Una nota conclusiva che riprenda quanto detto in relazione alle cause organizzative degli incidenti è obbligatoria.

La Strategia del Margine dovrebbe essere l’ approccio basilare di tutti coloro che si occupano di volo nelle loro specifiche competenze. Che siano la progettazione e realizzazione dei velivoli, la certificazione e i criteri di esercizio, l’ addestramento e l’educazione di tecnici e piloti ; dal top management di industrie ad enti di Stato, a coloro che stanno in diretto contatto con le operazioni di volo e infine ai piloti, che hanno il compito della decisione finale in rapporto alla conduzione della operazione, ognuno deve muoversi secondo una strategia che consente adeguati margini di sicurezza. Adeguati vuol dire : chiara definizione delle aree di pericolo e ridotto rischio di incorrervi.

Con la prospettiva di uno sviluppo crescente del trasporto aereo, con l’ avvento della liberalizzazione e con la possibilità di tentazioni di scorciatoie operative o di concorrenza selvaggia, è importante che la Strategia del margine sia una componente fondamentale dei comportamenti umani.

I piloti, infine, dovrebbero comprendere - e per questo essere educati fin dai primi contatti con il volo - che questa attività vuole cautela e non spavalderia, razionalità e non improvvisazione, considerazione e non sprezzo del pericolo, valutazione del rischio senza acquiescenza o atteggiamenti superficiali.

Tutto ciò è necessario se il volo deve dare dei risultati pratici in termini operativi, che si tratti del trasporto di persone o di cose, o della difesa aerea, o della attività di ricerca o soccorso, o dello spegnimento degli incendi.

È comunque necessario anche quando il volo lo si intraprende per puro divertimento.

Com.te Aldo C. Pezzopane

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