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UN TRIBUTO SINCERO ALLA MUSICA 

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D.Quando cominciò, da parte tua e di pochi altri, la costruzione di quel nuovo indirizzo del jazz che fu poi chiamato bebpo)

R. Per me ebbe inizio presto, quando arrivai a New York per la prima volta, nel 1936. Mio fratello, allora, suonava ancora il contrabbasso in modo tradizionale, come molti altri. Fare delle innovazioni, nella nostra musica, è stata una vera lotta. Due anni più tardi, Dizzy Gillespie e io scoprimmo di avere le stesse idee sulla musica e sulla misura del ritmo. Nel 1938 fummo scritturati dall'orchestra di Teddy Hill, e penso sia in quell'anno che il bebop abbia cominciato a prendere forma. Con noi c'erano Thelonious Monk, Joe Guy, Nick Patton, e venivamo lasciati liberi di suonare secondo la nostra fantasia e di sperimentare

D. Quali sono state le ragioni che vi hanno indotti a cercare qualcosa di nuovo?

R. E' difficile rispondere. Faccio un esempio: sotto il profilo tecnico, a quel tempo i batteristi suonavano soltanto lo snare-drum e la grancassa, limitando l'uso dei piatti all'inizio e alla fine dei brani. Quando incontrai per la prima volta l'indimenticabile contrabbassista Jimmy Blanton, che stava già usando il suo strumento come integrativo del lavoro solistico, non più ritmico, chiesi a mio fratello di suonare il contrabbasso come lui. Dal canto mio, cercai di tenere il ritmo senza ricorrere alla grancassa e di utilizzare in un altro modo sia questa che lo snare-drum. Mi sembrò di trovare una soluzione nei piatti. Iniziai a battere il ritmo sui piatti superiori con la mano destra e mi accorsi che la sinistra rimaneva libera, per cui mi venne in mente di adoperare per l'invenzione sia questa che i tamburi, ottenendo delle buone combinazioni fra la grancassa e i piatti. Suonai così per Dizzy Gillespie che non aveva mai sentito niente di simile. Gli piacque molto e decidemmo di proseguire su quella strada.

D. Ci sono dei batteristi che hanno influito su di te?

R. Direi che una certa influenza l'abbiano avuta Sidney Catlett e sopratutto Chick Webb, ma non molta. Ho suonato assieme a Chick Webb al Savoy Ballroom di New York, nel 1938, per circa otto mesi.

D. In quali elementi localizzeresti questa influenza, per esempio di Chick Webb?

R. Direi nel modo che Chick aveva di suonare la grancassa. Egli aveva cominciato a fare qualche ricerca con questo settore della batteria, la qual cosa, almeno in parte, era la stessa che volevo fare io. Ma non presi molti elementi da lui, perché stavo cercando in un modo quasi spasmodico di costruirmi uno stile personale. Ecco, in ciò mi fu molto utile l'esempio di Sidney Catlett, che cercava di somigliare solo a se stesso.

D. Rammenti qualcosa dell'atmosfera del Minton's, il locale di Harlem dove Charlie Parker, Dissy Gillespie, Thelonious Monk e tu stesso facevate i vostri esperimenti di rinnovamento?

R. Era il jazz club più fantastico che fosse mai esistito, non ce n'é stato mai più un altro uguale. Ricordo che tutti i lunedì c'erano quelle che venivano chiamate "hash and grits nights" (serate con carne tritata e fiocchi d'avena - N.d.C). Quando la gente venne a sapere che a mezzanotte si poteva mangiare gratis, il locale si riempì in modo incredibile. Non abbiamo mai avuto tanti "appassionati" di jazz: ma temo ce molti di loro non s'interessassero alla musica, ma venissero a vedere se potevano rimediare una porzione di hash and grits.

D. Il pubblico americano fece peraltro una cattiva accoglienza al bebop, nel 1945, quando cominciò a conoscerlo. Perché?

R. Secondo me, il bebop era allora troppo complicato per la maggior parte della gente. Molti musicisti smisero addirittura di suonare perché non se la sentirono di tenere dietro ai passi fatti dalla musica in quel periodo. Ma il rifiuto si attenuò attorno al 1948, l'anno in cui Dizzy Gillespie portò la sua grande orchestra in Europa e suonò a Parigi e in altre città con successo travolgente.
Il vento favorevole durò fino all'inizio degli anni Sessanta, poi si ripropose il problema delle difficoltà tecniche, e i musicisti dovettero inventare qualcosa, che fosse più agevole da suonare, con cui sostituire il bebop. E' per questo motivo che vennero in auge il rock'n'roll, il twist e cose del genere, che esistevano già ma che non rappresentavano il filone principale. Salirono alla ribalta e divennero il filone principale perché erano più semplici, più orecchiabili.

(...)

D. Che cosa ne pensi del free jazz?

R. E' semplicemente un pretesto, questo è tutto.

D. Ma non credi che ci sia un rapporto di causa ed effetto tra il bebop ed il free jazz?

R. No, nessuno. Il bebop ha un tempo, ha una struttura, mentre il free jazz non possiede né l'uno né l'altra. Non c'è nemmeno un rapporto spirituale, perché i musicisti del bebop sanno quello che suonano, mentre i musicisti del free non lo sanno.

D. Hai qualche idea circa il futuro del jazz?

R. Lo danno sempre per morto, eppure è sempre vivo dappertutto: nell'America del Nord e del Sud, nell'Estremo Oriente, o in Europa. Se ascolti un'orchestra, che so io, nel Congo, ti può capitare di accorgerti dopo un po' che suona jazz americano. Credo proprio che questa musica, sempre cambiando le forme, vivrà ancora per motli anni.

D. Ci sono molti musicisti di jazz americani, europei e italiani che preferisci?

R. I migliori sono ancora gli americani. Ce ne sono moltissimi, ma faccio soltanto tre nomi: Dizzy Gillespie, Jay Jay Johnson e Thelonious Monk. Anche fra gli europei i grandi non mancano, per esempio lo svedese Ake Persson.
Voglio terminare con lo strumento che amo di più, il contrabbasso: per me i tre migliori contrabbassisti d'Europa sono Pierre Michelot per la Francia, Giovanni Tommaso per l'Italia e Niels Pedersen per la Danimarca.

            Intervista pubblicata in "Jazz & Jazz", di Franco Fayenz, edizioni "i Robinson" Laterza, Bari, 1981 con foto di Roberto Masotti.