UN TRIBUTO SINCERO ALLA MUSICA |
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Il jazz e la guerra Dopo il New Deal e l'ubriacatura della Swing Era, gli Stati Uniti ritornano alla dura realtà mondiale il 7 dicembre 1941, the "Day of Infamy". Il Giappone attacca a tradimento Pearl Harbour e la guerra entra di prepotenza nella società americana, fino allora credutasi immune dalle follie europee. La macchina da guerra si mise in moto in fretta; la produzione bellica raggiunse in pochi mesi livelli impensabili. Cosa c'entra questo con il Jazz? C'entra, c'entra ... Molte orchestre vennero arruolate dal Ministero della guerra ed inviate in ogni parte del mondo a sostenere il morale delle truppe. Altre vennero decimate dalla chiamate alle armi dei suoi componenti. Con i successi militari e gli sbarchi in Italia e in Francia viaggiavano anche i famosi V-Disc, che fecero conoscere al mondo il swing. IL JAZZ AL DI FUORI DELLE ORCHESTRE In patria, intanto, i musicisti neri facevano sempre più fatica a trovare lavoro. Mentre le orchestre bianche (Benny Goodman e Glenn Miller fra tutti) guadagnavano in soldi e popolarità, le uniche a sbarcare il lunario furono le big bands di Count Basie, Cab Calloway, Louis Armstrong e Duke Ellington. Il jazz era ormai diventato un fenomeno da "spettacolo". Harlem in quegli anni era snobbata (anche a causa di sommosse per le condizioni di vita dei neri) e anche il famosissimo Cotton Club tentò, fallendo, la strada di Broadway e chiuse i battenti per sempre. L' orchestra di Lionel Hampton, ad esempio, dovette sempre più suonare musica commerciale e scimmiottare gli aspetti spettacolari delle orchestre bianche, e questo non era gradito ai musicisti neri, privati della loro identità. Anche a guerra conclusa l'atteggiamento del pubblico cambiò, anzi, il jazz sembrava impersonarsi nel "mood" di Glenn Miller. E' in questo clima che matura la svolta artistica e, se vogliamo, politica nel jazz. Per il musicista nero - e per certi aspetti - anche per molti musicisti bianchi non integrati - le difficoltà aumentano. Per poter sopravvivere gli artisti neri sono costretti a continuare a suonare nelle orchestre un jazz ormai privo di qualsiasi valore e ridotto a fenomeno di puro divertimento. Ogni sera, dopo il lavoro "regolare", i musicisti si ritrovano nel locale di Teddy Wilson, il "Minton's Playhouse" e suonano finalmente per se stessi. Nelle ore notturne essi potevano finalmente rompere con la tradizione, con la routine delle orchestre da ballo, con i limiti imposti dal genere o dal leader. Suonavano così come volevano, senza ricercare gli applausi del pubblico o la loro approvazione. Niente musica "facile", quindi, ma volutamente ostica, cerebrale. Il pubblico si selezionò e crebbe di qualità. Gli standard, da What is Thing Called Love a How High the Moon divennero studiati, scomposti e rifatti, fino a venire stravolti completamente. I protagonisti boppers.htm |