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Franco Cambi e la filosofia dell’educazione. Da aspirazione a disciplina “inquieta”
di  Giacomo Cives

La proposta degli anni ’70 per il rilancio della filosofia nel campo pedagogico

E’ soprattutto a metà degli anni ’70 che si esprime con forza in Italia l’esigenza di tornare a fare i conti, anche se naturalmente in modo nuovo, in campo pedagogico con la filosofia. Non che anche nello stesso dopoguerra, con varie provenienze, fossero mancate importanti ricerche di teoria dell’educazione. E’ un fatto però che anche per il troppo stretto e soffocante abbraccio della filosofia attualistica di Gentile nei riguardi della pedagogia, privata di identità e ridotta tutta a filosofia, fino alla Liberazione era stata tutta risolta (e in realtà cancellata) nell’egemonia filosofica idealistica, spezzando la stessa pur importante ricerca riferita ai problemi educativi in atto tra fine Ottocento e primo Novecento, nel campo delle scienze antropologiche, psicologiche, biologiche, sociologiche, ecc.

Naturale allora dalla fine degli anni Quaranta la reazione, rilanciando all’opposto in rapporto all’educazione queste scienze tanto mortificate, fino quasi ad annullare di nuovo o comunque fortemente confondere lo specifico pedagogico. In particolare, sempre reattivamente, la più accantonata dopo l’eccesso della precedente smisurata enfasi della filosofia dello spirito e dell’Atto, era proprio la componente filosofica del sapere educativo. Così veniva particolarmente rivendicata, un quarto di secolo or sono, la necessità di una organica epistemologia che facesse ordine nell’ormai confuso orizzonte delle varie scienze dell’educazione, di cui si riconosceva ormai la pluralità, e del recupero di un accento, di uno spazio, di un apporto nel sapere pedagogico della filosofia, senza più primati e arroganza, ma sempre con la sua insostituibile peculiarità di storicità, rigore, consapevolezza, progettualità, insieme approfonditi e di vasto respiro.

Emblematico testimone di questa proposta si può considerare, curato da G. M. Bertin, l’importante n. 1-2 del 1976 di “Scuola e Città” dedicato a “La filosofia dell’educazione oggi”, con relazioni o contributi di autori italiani e stranieri, laici, marxisti, cattolici, con varia predominante sensibilità teorica, scientifica e pratica. Eppure, anche con tanta varietà di accenti, la convergenza era piena nell’affermare: basta con questo ostracismo per la dimensione filosofica nella pedagogia, basta con questo disordine, questa confusione circa il ruolo e il contributo delle varie discipline teorico-pratiche dell’educare, destinati a risolversi alla fine a vantaggio, ma tutto pratico, e non culturale, di chi sapeva alzare di più la voce e dare di gomito.

Due anni dopo, se è concessa l’automenzione, pure chi scrive diede il suo sia pur modesto contributo alla riflessione sull’argomento con un libretto dal titolo analogo, La filosofia dell’educazione in Italia oggi (Firenze, La Nuova Italia, 1978), che passava in rassegna le dominanti posizioni italiane degli “ultimi cinquant’anni” di teoria pedagogica, dall’attualismo alla sua contestazione interna, dai cattolici ai laici, dalla deweyana, come poi Cambi l’ha chiamata “scuola di Firenze”, alla filosofia analitica e al marxismo. Riconfermando il bisogno di un rilancio dell’elaborazione della filosofia dell’educazione, il volumetto si concludeva indicando un’esigenza dialettica di fondo: occorreva rigarantire l’autonomia, e quindi la specificità della pedagogia e insieme, nella sua prospettiva, la sua mediazione (questa a mio avviso una sua dimensione fondamentale specifica), e quindi il suo raccordo armonizzante rispetto ai diversi tipi di sapere dell’educazione, senza esclusioni, senza prevaricazioni e unilateralità.

Una riflessione, questa sulla storia e i problemi della filosofia dell’educazione italiana contemporanea, senza pretese, ma ricordata solo come ulteriore testimonianza dei problemi e delle esigenze che venivano allora a porsi in urgente evidenza.

Quei problemi, quelle esigenze sono state da allora affrontate con crescente impegno, e agli studi che già vi erano stati mettiamo di Metelli Di Lallo, Tornatore, Laeng, Bertin, Visalberghi, di nuovi e sempre più sofisticati se ne sono venuti ad aggiungere, sviluppati da Fornaca, Massa, Laporta, Spadafora, Cambi ed altri, che hanno tracciato in maniera organica la collocazione, la distinzione-interdipendenza e il compito delle varie discipline dell’educazione e il ruolo di crescente rilievo e importanza nell’ “enciclopedia pedagogica” della dimensione filosofica.

L’importante "Manuale di filosofia dell’educazione" di Franco Cambi

Una prova e insieme un contributo forte di questo cammino sono dati ora dal Manuale di filosofia dell’educazione (Roma-Bari, Editori Laterza, 2000, pp. XII-286) di Franco Cambi, uno dei più autorevoli e operosi specialisti di teoria e di storia dell’educazione dell’Italia d’oggi, che di questi argomenti in modo penetrante e produttivo si è occupato in più occasioni, ma ora porta ulteriormente avanti il discorso sull’importanza e l’estensione della filosofia da riconoscere nel campo educativo.

Qui non viene semplicemente affermata la fecondità della presenza dell’angolazione filosofica nell’elaborazione e nello sviluppo della pedagogia, ma è pure presentato e definito un ulteriore livello disciplinare, quello della filosofia dell’educazione, il cui ruolo è schematicamente definito nell’ideogramma di p. 7.Mentre la pedagogia generale si confronta, all’insegna della riflessività, e in un processo di analisi e sintesi, con lo specifico apporto delle varie scienze dell’educazione, che sintetizza e armonizza, la filosofia dell’educazione, caratterizzata dalla meta-riflessività, si rapporta con la pedagogia generale, sviluppando da un lato le istanze, all’insegna del rigore, dell’ "epistemologia” e dell’ “axiologia” (e “ontologia”), dall’altro, all’insegna della problematizzazione critica, quelle dell’ “ontologia” e del “saggismo” (si pensi alle riflessioni rapsodiche e anche al confine tra educazione, filosofia, etica, costume, letteratura, ecc., ad esempio – ci dice Cambi – di Montaigne, di Nietzsche, del più recente Bertin, di Pasolini: anche se, aggiunge, il “saggismo” non è stato troppo curato da noi in pedagogia).

Ma la “metariflessività” è in continuità e scambio con la “riflessività”, la filosofia diciamo di II livello con quella del I come a sua volta questa, ma pure l’altra, con la componente filosofica sempre implicita con le diverse scienze dell’educazione. E la continuità, possiamo legittimamente aggiungere, è anche con la filosofia tout court, l’arte, la politica, la storia, la vita civile nelle sue numerose incidenze sull’educazione.

Dunque siamo in una situazione di correlazione, dove i confini sono non perentori ma fluidi, dove c’è non un tribunale presuntuoso ma un continuo dialogo operativo, in cui vi è scambievole apporto. Così (p. 6) se “la filosofia dell’educazione è un po’ il sigillo formale del discorso pedagogico e il modello (discorsivo) della problematizzazione radicale”, importante è che il discorso pedagogico si svolga nella sua interdipendenza, con momenti ora più formali ora più fluidi da permeare di criticità. Le istanze anche più avanzate riflessive tendono dunque a permeare l’intero campo del sapere educativo, come i contenuti concreti di questo si propongono alla sua indagine, in partenza, nella loro esigenza di rigore e criticità. Infatti (p. 8) “l’essenziale è mantenere tanto il pluralismo quanto l’interazione reciproca dei momenti”.

Allora la filosofia dell’educazione si pone come dimensione stimolante e pervasiva, che ha insieme della generalità e della specificità: “oscilla come un pendolo, tra generalità e settorialità/specificità, assumendo così un ruolo veramente chiave nell’ambito della pedagogia” (p. 11). Niente allora condizione privilegiata e isolamento, ma invece, in chiave di apertura, continuità, relazione, si potrebbe anche dire di mediazione, un continuo incontro col sapere dell’educazione, e in primo luogo con la pedagogia generale, per renderlo più rigoroso e insieme critico, in una funzione di “controllo” e insieme “rivitalizzazione costante” (p. 8).

Vale allora per Cambi, almeno in parte, quanto egli riferisce della posizione di Reboul. Per il quale, sintetizza Cambi (p. 129), “la filosofia dell’educazione è un po’ il luogo-crocevia dove si trattano, riflessivamente, criticamente i problemi strutturali/ricorrenti della pedagogia, che non toccano solo le dimensioni epistemologiche bensì anche scelte di valori, strutture antinomiche, problematiche ricorsive. Il suo spazio è, quindi, cruciale e il suo ruolo è insostituibile, anche se viene”, specie secondo alcuni, “a contrassegnarsi in modo via via più nettamente formale”.

Ora come sappiamo la formalizzazione, connessa al rigore, è senz’altro presente nella proposta di Cambi, ma questa è bilanciata, come abbiam visto, dalla “problematizzazione critica”, che fluidifica e dinamizza, e implica evidentemente la vivacità dell’intuizione, la capacità di guardare anche controluce.

La dialettica, la visione problematica appaiono allora a guardar bene nella visione della filosofia dell’educazione di Cambi, non solo nella sua trasversalità, nel suo confronto continuo e senza steccati con la proposta della pedagogia e attraverso di questa con quelle delle scienze dell’educazione e con lo stesso vissuto del rapporto educativo che l’una e le altre sostanzia, ma anche a monte in quella distinzione-complementarità, lo ripetiamo, di rigore e criticità, sistematicità e rapsodicità (cfr. il “saggismo”), formalizzazione e analisi aperta che ne costituiscono la struttura di fondo.

Parte II

Parte III

 

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