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Franco Cambi e la filosofia dell’educazione. Da aspirazione a disciplina “inquieta”
di  Giacomo Cives

La problematicità di rigore e criticità, distinzione e trasversalità

La dialetticità, la problematicità sembrano contraddistinguere, a guardar bene, la stessa caratterizzazione culturale e personale di Cambi, e per cominciare di questo Manuale. Che è così minuzioso, sistematico, rigoroso, e qualche volta anche “ferrigno” in tanta parte della trattazione, così densa ed attenta a non trascurare specificazioni, correlazioni e aspetti implicati ma a considerarli, indicarli organicamente senza omissioni uno per uno, da un lato, e dall’altro è varie volte nutrito di vivissima sensibilità inquieta, antiscolastica e anticlassificatoria. Come in quella p. XI in cui è rilevato con forte suggestione che il lavoro “intenso, problematico, trasversale della filosofia dell’educazione è un lavoro di frontiera, disposta tra e attraverso e oltre i vari specialismi della pedagogia attuale (…) e che si fa carico del travaglio stesso del fare ricerca in pedagogia, decantandone sì le linee di forza (logiche, fenomenologiche, axiologiche, ecc.) ma anche la costante instabilità, la radicale apertura alla discussione e al ‘conflitto delle interpretazioni’: un lavoro inquieto, e strutturalmente inquieto, che può far apparire la filosofia dell’educazione come un’area perturbante, un po’ distaccata e forse anche non-utile (nel senso di utilizzabile nell’agire) o anche come una inconcludente fatica di Sisifo, mentre è tutt’altro”. Si tratta invece di un lavoro critico richiesto da ogni area di sapere, “cercando di dare risposte secondo un codice di razionalità (di argomentazione, di dimostrazione, ecc.)”. Questo codice può costituirsi proprio attraverso un perseverante esercizio della criticità.

La conclusione di questo brano, che ora vedremo, ci sembra di valore davvero alto, e rappresenta a nostro avviso un vero e proprio colpo d’ala, che denota nel modo più positivo e appassionante la complessa ricchezza della concezione proposta della filosofia dell’educazione. Scrive dunque Cambi (sempre p. XI): “Così la filosofia dell’educazione non sta né prima né dopo i vari saperi dell’educazione, non li precede o produce né li sintetizza, bensì li accompagna nella loro crescita ‘magmatica’ (inquieta, polimorfa, tensionale) e vi agisce come un’ombra, un bisturi, una corrente. Come un’ombra: poiché li segue con la sua riflessività, ne legge i contorni, ne evidenzia la forma e pertanto li regola e li controlla. Come un bisturi, poiché analizza, disseziona ecc. i tessuti del discorso pedagogico, la sua struttura anatomica, ma anche quella fisiologica (per così dire). Come una corrente: poiché conduce, incanala, orienta, svolgendo un’azione di coordinamento e di confluenza. Un’azione triplice, contrassegnata dallo statuto critico e dalla funzione regolativa”.

Filosofia dell’educazione come “ombra”, “bisturi”, “corrente”, come trasversalità e costante, radicale “apertura alla discussione interna a ogni tipo di sapere, ma anche di discorso collaterale educativo, come inquietudine che accompagna gli specialismi pedagogici. E’ qui che si delinea una sua caratteristica forte, un suo marcato aspetto distintivo. Così forte, e suggestivo, da indurre ad esempio e non senza fondamento Aldo Visalberghi nel suo Pedagogia e scienze dell’educazione nel 1978 (con la collaborazione di R. Maragliano e B. Vertecchi, Milano, Mondadori, 1978, pp. 334) a escludere nel suo diagramma (p. 21) della “Rappresentazione schematica dell’ ‘Enciclopedia pedagogica’ ” (la cosiddetta “Rosa dei venti”), articolato nei settori psicologico, sociologico, dei contenuti e metodologico-didattico, le componenti specifiche della filosofia dell’educazione e anzi della stessa pedagogia generale, che anziché stare a sé come discipline autonome sono considerate pervasive e riflessive per i vari settori. Infatti “la filosofia dell’educazione e/o pedagogia generale non entrano nel quadro perché non possono occuparvi una posizione particolare e determinata, giacchè rappresentano un momento di riflessione critica sull’insieme e sulle sue interrelazioni interne ed esterne” (p. 22).

Nel cap. III sulla “filosofia dell’educazione” del suo libro, Visalberghi approfondisce poi i temi e problemi di questa come i suoi rapporti colla filosofia, il rilievo e la funzione dei fini e valori, l’esigenza di ipotesi molto generali, l’istanza epistemologica, la collocazione dell’uomo nella natura.

La presenza attiva della filosofia dell’educazione sparsa nei vari settori delle discipline educative, reattiva in particolare contro la sua precedente smodata aspirazione all’egemonia, è un’istanza importante e di rilievo, e giustamente è stata valorizzata. Combatte l’idea di una teoria privilegiata e aprioristica e non invece legata al vivo dello sviluppo dell’esperienza.

Senza però intendere questa istanza in termini esaustivi, Cambi nel suo Manuale di pedagogia scientifica l’ha valorizzata in un rapporto dialettico anche con una filosofia dell’educazione disciplinarmente specifica e autonoma. Chi come chi scrive già in passato si è adoprato per una filosofia e pedagogia educativa insieme autonome e mediatrici, differenziate e a un tempo calate nelle varie specificazioni del discorso pedagogico, non può non sentirsi positivamente coinvolto da tale impostazione.

Modello ermeneutico, valori, storicità

Ci siamo soffermati sul concetto di fondo che Cambi propone della filosofia dell’educazione. E’ giusto ora ricordare quanto meno i temi principali della serrata trattazione del suo Manuale, che viene sviluppata con un ampio panorama e con un riferimento storico e tematico alle principali posizioni culturali e pedagogiche del periodo moderno e contemporaneo.

Il pensiero teorico-pedagogico, scrive Cambi, si muove tra formalizzazione e agilità, regolatività e critica radicale. E’ come abbiam visto trasversale e complesso, anzi ipercomplesso, al crocevia con altri saperi. All’ “universo complicato e asimmetrico” del discorso pedagogico (p. 37) può offrire interpretazione il modello ermeneutico, mentre d’altro canto non si deve dimenticare che sono implicate anche opzioni axiologiche, considerato che “ogni pedagogia è un sapere anche carico di valori” (p. 37). Allora, come nelle tradizionali antinomie, valori così generali da esser generici o vuoti, o valori pesantemente “compromessi col reale”? Valori utopici (verso i quali la pedagogia è così spesso incline) o calati nella storia? L’analisi dell’axiologia pedagogica, delle sue forme, dei suoi discorsi, dei suoi linguaggi, deve permettere di andar oltre queste secche unilaterali, permettendo di superarle in “un fronte attivo e costante (…) di ricerca” (p. 40), che per la verità si svolge oggi in modo piuttosto disordinato.

Il discorso dei valori si lega a quello dell’ontologia, ieri “settore chiave della metafisica” (p. 40), la quale ultima è venuta oggi dissolvendosi. Ma l’ontologia critica e empirica ha ancora ragion d’essere, osserva Cambi, come descrizione formale degli aspetti, delle strutture, delle dialettiche specifiche delle varie “regioni” del sapere e della prassi dell’educare.

Proprio all’insegna della caduta della metafisica, e in generale dell’apertura alla scienza, Cambi passa in incisiva rassegna le principali proposte culturali espressamente pedagogiche o con forte incidenza sulla pedagogia del Novecento, “secolo della scuola”, e si può aggiungere delle teorie dell’educazione: dall’empirismo al criticismo all’idealismo, dal marxismo al personalismo, che considera filosofie di schieramento, dal pragmatismo e dallo strumentalismo allo strutturalismo. Accento in generale comune la disponibilità pluralistica e la tendenza al passaggio dalla dominanza ideologica a quella metodologica.

Lo sviluppo poi, almeno dal 1960, dei “modelli in corso” della filosofia dell’educazione, validi a dare la “struttura” e il “senso” della nostra contemporaneità educativa, riguarda filosofia analitica e razionalismo critico, fenomenologia e ermeneutica in un intreccio fitto di analisi e proposte, di ricerca e di dialogo, e dinamico per un rapporto aperto di contrasto e di confronto, in un discorso non meccanico ma circolare.

E’ il caso di lasciare ancora la parola a Cambi, per recepire di prima mano la ricchezza e densità del suo discorso, in chiave sempre di criticità aperta, dove l’esame non superficiale e conseguente si unisce alla disponibilità al nuovo, a ciò che emerge anche di più imprevisto (e non a caso il capitolo che segue, il V, ha in questo senso un titolo emblematico, “Rigore e Valori”). Scrive dunque Cambi (p. 100): “In questo nostro tempo storico, che ha chiuso i Grandi Racconti del Moderno (l’Uomo, la Secolarizzazione, l’Emancipazione, il Progresso, ecc.) distaccandosene criticamente e interpretandoli come Miti (e ormai in buona parte inattuali), pensare significa integrare diverse avventure di pensiero, ma in modo sempre aperto, sempre criticamente aperto, e proprio per dare spazio a quel nuovo che è anche e soprattutto un diverso, un’ulteriorità e una differenza”.

Cambi prosegue rivendicando la libertà della ricerca che è anche un sottile difficile equilibrio da stabilire tra storicità e innovazione. Infatti, “emancipati da ogni gioco metafisico, anche da una metafisica della Scienza e della Tecnologia – possiamo vivere lo spazio della teoresi secondo libertà, che significa secondo una dialettica radicale che si gioca tra ‘forme acquisite’ e ‘problemi aperti’, disponendo tra questi un confronto non lineare, radicalmente orientato ma mai pre-giudicato negli esiti”.

Parte I

Parte III

 

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