La Mediazione PedagogicaLiber Liber

La Rivista Pedagogica (1908-1939)
di  Marco Antonio D'Arcangeli

III - Uno sguardo d’assieme all’esperienza della "Rivista Pedagogica"

1. Le "presentazioni" di Credaro

Un primo colpo d’occhio sulla vicenda complessiva della Rivista s’impone al fine di stabilire una serie di punti di riferimento essenziali per procedere successivamente all’esame circostanziato delle diverse stagioni ch’essa attraversò. Se una periodizzazione per temi e tendenze nel trentennio di vita del periodico quale quella che s’intende proporre in seguito può essere adeguatamente motivata soltanto nel corso stesso della trattazione, in base cioè ai dati che saranno forniti, nondimeno è indispensabile presentare degli elementi che ne indichino a sufficienza la plausibilità. Ma ancor di più urge fornire un primo approccio non evasivo, che consenta, per così dire, di iniziare a “respirare” nell’atmosfera della pubblicazione fondata da Credaro, magari di percepirne già con una certa chiarezza certe impostazioni - anche e soprattutto ideologiche - di fondo. E nella volontà di tracciare una mappa che che consenta un effettivo orientamento in un così prolungato percorso, è pur necessario sviluppare un quadro esauriente delle vicende redazionali della Rivista, una “storia esterna”, in pratica, che potrebbe poi rivelarsi, fra l’altro, di interesse non meramente erudito.

Ma se nell’immenso “arcipelago” della longeva pubblicazione di Credaro non esistesse un mezzo che consentisse una “traversata” rapida ancorché sicura, nel senso di attendibile, l’idea di una introduzione alla storia del periodico che soddisfacesse contemporaneamente alle esigenze sopra illustrate non sarebbe nemmeno potuta sorgere. Diciamo anzi meglio che l’insieme di quei peculiari contributi del pedagogista valtellinese che possiamo definire “note programmatiche” non soltanto suggerisce la possibilità, ma quasi “impone” l’opportunità di tale trattazione unitaria. Siamo di fronte ad un materiale chiaramente individuabile, ben definito ed omogeneo che costituisce, in sostanza, un “microcosmo” dell’universo-Rivista. Le “presentazioni” di Credaro furono nella maggior parte dei casi occasionate da ricorrenze che evidenziavano il raggiungimento di significativi traguardi da parte della pubblicazione; in altri casi esse coincidono con il suo ritorno alla Direzione del periodico. In queste circostanze fu giocoforza tracciare dei bilanci e soprattutto indicare delle direttive per il futuro - son questi propriamente i casi in cui il pedagogista valtellinese s’occupò dell’impostazione generale della Rivista. E dobbiamo premettere che Credaro, sostanzialmente, sempre ribadì, nel trascorrere degli anni, nelle diverse congiunture storiche, sociali e culturali che si susseguirono in quei densi decenni della nostra vicenda unitaria, i punti fondamentali del programma del 1908 [74] : appare dunque necessario determinare il significato di questa indubbia fedeltà ai propri princìpi proprio collocando certe prese di posizione nel contesto loro contemporaneo e valutandole alla luce degli sviluppi futuri. Come del resto è da verificare se in questa apparente uniformità d’espressione non sia rintracciabile, in determinate circostanze, qualche significativo mutamento d’accento. Integrando inoltre queste “presentazioni” col necessario materiale documentario e bibliografico, in particolare con le “note” di coloro che furono chiamati a sostituire il pedagogista valtellinese nella funzione direttiva, cercheremo inoltre di definire compiutamente la “storia esterna” della pubblicazione ed inizieremo a verificare se a quei periodi di gestione del periodico non legati al suo nome abbiano corrisposto dei mutamenti di un qualche rilievo nel ”programma” della pubblicazione. Se i contributi di Credaro legati alle vicende della Rivista presentano quel chiaro riferimento ai cardini dell’impostazione del periodico che li individua come “note programmatiche” in senso proprio, sono stati inclusi qui in tale categoria - si noterà nel prosieguo - anche un certo numero d’interventi del fondatore della pubblicazione che non presentano, a prima vista, le caratteristiche suindicate. Tale estensione è stata effettuata in base alla rilevazione di alcune somiglianze formali (collocazione del contributo ad inizio fascicolo - brevità dello stesso) ma anche e soprattutto a seguito della constatazione di alcune rilevanti affinità strutturali con le “note” di cui sopra. Siamo infatti di fronte a interventi che presentano a loro volta, senz’altro, un carattere ”programmatico”: son motivati infatti esplicitamente dalla volontà di formulare delle proposte e di assumere delle precise prese di posizione - e, come si evince dalle modalità d’espressione, non a titolo personale, ma a nome se non di tutti, almeno di gran parte dei collaboratori del periodico, in rappresentanza, in pratica, di un ben determinato “schieramento” - in merito a questioni ritenute fondamentali nel contesto della vita sociale e culturale nazionale (anche se, chiaramente, sempre impostate e sviluppate sotto il profilo “pedagogico” - e ”scolastico” - proprio del periodico). Va da sé che il riscontro effettivo della legittimità della nostra inclusione nel novero delle “presentazioni” di questi ulteriori contributi di Credaro in base alle motivazioni addotte poco sopra va demandato al concreto sviluppo di questa parte del nostro lavoro - ma era doveroso effettuare qui tale precisazione.

Ricordiamo, iniziando il nostro excursus, e per evidenziare come gli itinerari di Credaro e della Rivista siano da considerarsi strettamente congiunti, come le pubblicazioni di quest’ultima si concludessero nel 1939 [75] : in pratica il periodico, che pure aveva dovuto far fronte ed era riuscito in qualche modo ad oltrepassare congiunture assai negative, non sopravvisse però quando venne a mancare il suo fondatore e Direttore (che scomparve a Roma il 16 febbraio 1939). Credaro, in pratica, guidò quasi ininterrottamente la Rivista; fanno eccezione due periodi, il primo dei quali ha inizio con la sua chiamata alla Minerva. All’atto della nomina a Ministro il pedagogista di Sondrio si dimise dall’incarico [76] ed il Consiglio Direttivo dell’A.N.S.P. chiamò a sostituirlo, inizialmente, Paolo Vecchia (1832-1918) [77] ed Italo Raulich [78] , cioè i Vice-presidenti dell’Associazione, che guidarono il periodico dal maggio 1910 al dicembre 1911. Al principio del 1912 [79] la Direzione passò a Guido Della Valle [80] ; da rammentare un breve periodo di gestione collegiale [81] del periodico, fra il dicembre del 1913 e l’aprile del ’14 [82] , allorché il filosofo e pedagogista napoletano si recò a Santiago del Cile per tenere presso la locale Università un corso di conferenze su argomenti pedagogici [83] .

La sua stagione alla guida della Rivista si concluse nella seconda metà del 1916: il Della Valle, acceso interventista [84] , a seguito dell’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale, decise di arruolarsi e dopo aver completato il periodo d’istruzione presso la R. Scuola di Applicazione per gli Ufficiali di Fanteria di Parma [85] partì per il fronte [86] . Nell’accomiatarsi dai lettori del periodico [87] Della Valle, che evidenzia un netto coinvolgimento nell’atmosfera bellicista del periodo [88] , mostra per il resto una sostanziale fedeltà alle linee programmatiche tracciate a suo tempo da Credaro. Ma è sintomatico che il cavallo di battaglia della Rivista, la scientificità della Pedagogia, si ritrovi qui in compagnia della “italianità” [89] : infatti la nuova impostazione della teoresi educativa, di cui il periodico intende farsi banditore, è presentata in questo contesto dallo studioso napoletano in antitesi sia alle “pedestri banalità dell’empirismo scolastico” che ai “retorici vaniloqui di un sedicente idealismo servilmente copiato dall’estero” [90] - cosicché il superamento di determinate prospettive filosofiche assume in pratica il significato e viene ad imporsi come un riscatto della dignità e dell’onore “nazionali”. Argomentazioni esterofobe e toni combattentistici che mai riscontreremo nell’equilibrio e nella sobrietà delle prese di posizione di Credaro: si palesa, quantomeno, una notevole diversità sul piano temperamentale fra i due studiosi. Resta da verificare se non vi siano divergenze di altra natura, e più significative. Sappiamo ad esempio come il pedagogista originario della Valtellina si battesse con estrema determinazione per una sprovincializzazione del dibattito sulle problematiche educative nel nostro Paese che avrebbe affiancato la cultura pedagogica nostrana a quella delle grandi nazioni civili: ed era intento, questo, senz’altro animato da finalità e sentimenti patriottici, anche perché perseguito senza che venisse mai meno, in lui, la consapevolezza del valore della nostra tradizione educativa (che Credaro, anzi, più volte esaltò) e con piena fiducia nella capacità dell’intellettualità italiana di elaborare e proporre contributi originali ed innovativi, una volta emancipatasi dalle strettoie teoriche nelle quali ‘era - a suo parere - recentemente irretita. Ma v’era notevole distanza fra tutto ciò ed il “nazionalismo pedagogico” che sembrava animare Della Valle.

Ciò che la guerra costruisce è il testo del discorso che Della Valle [91]   pronunziò alla Scuola di Applicazione di Parma, prima di essere trasferito in zona di guerra; esso venne pubblicato dalla Rivista unitamente al “commiato” del Direttore uscente, circostanza che c’invita a prenderlo brevemente in considerazione anche per continuare ad approfondire il confronto fra il “nazionalismo” del pedagogista napoletano ed il “patriottismo” di Credaro. Ed in effetti va sottolineata l’esaltazione dei confronti di natura bellica fra le nazioni presente in questo contributo di Della Valle: la guerra per lui (in generale: non ci si riferisce soltanto al conflitto mondiale in corso) costituisce un sicuro indice dello sviluppo di un popolo [92] (gli dà modo di saggiare effettivamente le proprie forze e di esprimere al massimo grado le proprie potenzialità) che se uccide i corpi senz’altro rinnova le anime [93]  ; affermazione, quest’ultima, della quale si comprende assai meglio il senso e si evidenzia piuttosto nettamente la natura quando l’allievo di Masci va ad auspicare o meglio a profetizzare, a seguito del conflitto, una palingenesi ideale nel nostro popolo, il quale, se l’esercito si farà educatore [94] , vivrà di una nuova concezione della nazionalità, prettamente spirituale.

E qui va messo in evidenza un particolare che invita a riflettere. Credaro, che pure aveva abbandonato l’incarico alla Minerva sin dall’aprile del 1914, farà il suo ritorno nella Rivista soltanto successivamente all’uscita di scena del Della Valle. Si può supporre che, dipendendo dai vertici dell’A.N.S.P. ogni decisione in merito alla Direzione del periodico, un sostanziale buon andamento di questo sotto la guida dello studioso partenopeo facesse ritenere (prima di tutti al pedagogista valtellinese stesso, Presidente dell’Associazione ed uomo senz’altro privo del desiderio di primeggiare ad ogni costo) inopportuna o quantomeno non necessaria una sua sostituzione che reintegrasse al vertice il fondatore della pubblicazione. Ma se ammettiamo questa ipotesi come plausibile spiegazione del mancato immediato ritorno di Credaro alla Direzione, attribuendolo in pratica alla sua stessa volontà resta da chiarire come mai, in ogni caso, il nome del pedagogista di Sondrio non apparve menomamente, dal 1914 al termine del ‘16, sui fascicoli della Rivista.

Un’assenza, certamente, le cui cause potrebbero facilmente risiedere in fattori che nulla ebbero a che vedere con la con temporanea presenza di Della Vallealla Direzione del periodico. Ma non si può comunque non rammentare come il fondatore della pubblicazione fosse schierato su posizioni diametralmente opposte a quelle dell’allievo di Masci nel confronto politico ed ideologico sul tema dell’intervento nella Grande Guerra (benché poi, deciso l’ingresso nel conflitto, egli si sia prodigato in una assidua ed anche rischiosa opera di assistenza ai combattenti). Per segnalare un dato esplicativo, basti ricordare le lezioni impartite dalla sua cattedra di Pedagogia dell’Università di Roma nell’anno accademico 1914-15 - in mesi, dunque, di confronto rovente - estremamente critiche nei confronti del nazionalismo [95] .

Non rientra fra gl’intenti di questa introduzione stabilire delle conclusioni in merito alle ragioni del protrarsi dell’assenza di Credarodalla Rivista dopo la conclusione del la sua esperienza alla “Minerva”: fra l’altro è questione che necessita, per essere risoluta, di un’indagine più accurata di quella che fin qui si è potuta, per diversi motivi, svolgere [96] . Ma vanno considerate come acquisite quelle non marginali divergenze fra i due studiosi che abbiamo potuto constatare: da ciò l’ipotesi - da verificare nel “luogo” opportuno - che negli anni della Direzione Della Valle il periodico possa esser stato gestito con un’impostazione non del tutto omogenea alle direttive del suo fondatore.

Con l’ultimo fascicolo (ottobre-dicembre) dell’annata 1916 Credarotornò al timone del periodico - e nella stessa occasione Armani ne divenne il Redattore-Capo. Vi restò fino al 1919, quando Francesco Saverio Nitti lo nominò Commissario straordinario (poi Commissario Generale Civile) per la Venezia Tridentina, incarico da lui ufficialmente assunto dal 1° luglio di quell’anno e detenuto fino all’ottobre del ‘22, quando venne rimosso dopo essere stato costretto alla fuga dalle squadre fasciste.

Seguitando [97] , l’intervento del pedagogista valtellinese in occasione del suo ritorno alla Direzione della Rivista alla fine del ‘16 non presenta elementi di novità per quanto concerne il “programma” del periodico, ribadito con fermezza in questa come del resto in tutte le successive “note” di Credaro È invece da rilevare com’egli ponga già in questa occasione il problema delle conseguenze del conflitto sugli equilibri politici ed economici della società italiana; di qui l’urgenza, a suo parere, di portare a compimento, a prescindere da ogni angusta visuale burocratica dei compiti dello Stato, il processo di alfabetizzazione delle masse lavoratrici, in specie delle classi rurali - le quali, avendo pagato il più alto tributo allo sforzo bellico del Paese, avrebbero giustamente reclamato, nel futuro, una considerazione maggiore delle loro esigenze e dei loro interessi [98] . Netta l’ambivalenza nelle motivazioni di questo intervento di Credaro che, va sottolineato, è sostanzialmente sia un appello che un monito rivolto alle classi dirigenti: se da un lato appare chiaro com’egli, per il tramite della risoluzione del problema dell’istruzione popolare, intenda promuovere la diffusione di una “salda coscienza nazionale” e la ricezione di valori come la “disciplina” e la “devozione al dovere” [99] - idealità delle quali non sfugge la funzione di argine al diffondersi nelle masse dell’ideologia socialista - dall’altro esprime anche la convinzione che “nessuno degli attuali partiti politici rimarrà al suo posto, quando i contadini italiani saranno seriamente istruiti: nulla meno è dovere istruirli. Il non farlo sarebbe ingiustizia e stoltezza” [100] - con ciò manifestando una schietta e profonda mentalità democratica. Ingenua, però: come ritenere che i ceti dominanti avrebbero acconsentito a porre essi stessi le fondamenta della loro estromissione dal potere.

All’indomani della conclusione del primo conflitto mondiale, con Dopo la vittoria. Il problema della cultura popolare [101] , Credaro sviluppò ed approfondì le considerazioni espresse in Seguitando. Ma già l’anno precedente, a firma La Rivista, era apparsa la nota Per il nostro programma [102] , ad illustrazione della decisione di pubblicare sul periodico, in tale occasione, gli Atti dell’Assemblea Generale dell’Associazione Nazionale fra i Professori Universitari [103] , tenutasi a Roma dal 18 al 21 dicembre 1916: un brevissimo intervento in cui però è di nuovo palesata una chiara consapevolezza della complessità dei problemi che sarebbero seguiti alla fine delle ostilità. È riproposta decisamente, in questa sede, la necessità dello stabilirsi di una più intima solidarietà ideale e stretta concordia d’intenti fra tutti coloro che nel nostro Paese erano chiamati ad operare sul terreno educativo - uno degli obiettivi più intensamente sentiti e perseguiti da Credaro [104] . “Tanto più - precisa la nota - che solo da una più sicura armonia tra gli uomini tutti di scuola, di studio e di pensiero, solo da una collaborazione che lasci autonomia ai singoli, ma dia a tutti loro qualche chiara idea generale di orientamento, può aversi in Italia fondamento per risolvere i problemi morali e materiali, intellettuali ed economici, che fluiranno da questa guerra con una impostazione nuova, rapida e fiera, come nella nostra vita ideale non fu mai” [105] . Nell’intervento del 1918 ad una soddisfazione espressa in toni sostanzialmente moderati per l’esito vittorioso del conflitto [106] , segue repentinamente l’affermazione della necessità che venga riconquistato l’equilibrio delle nostre forze spirituali attraverso un esame sincero e spassionato di noi e del fuori di noi affinché sia vinta la nuova guerra, tutta interiore, contro le passioni, i concetti spuri, i sentimenti fallaci, i pregiudizi, gl’insani orgogli retaggio di quattro anni di sforzo immenso [107] . È da questi presupposti che si evince “l’emergenza” del problema della coltura popolare”, la centralità, e la preminenza, di una sua sollecita risoluzione nell’insieme dei provvedimenti da adottare per risollevare le sorti del nostro Paese dopo l’ingente sforzo sostenuto per addivenire alla conclusione vittoriosa della guerra. È riprodotto fra l’altro qui, esattamente dopo la conclusione della nota di Credaro [108] , l’Ordine del Giorno da questi presentato (unitamente a Francesco Orestano) alla Sezione (che il pedagogista di Sondrio presiedeva) I problemi di coltura della Commissione del dopo-guerra, approvato a conclusione di un dibattito svoltosi in tal sede fra il 28 ed il 30 ottobre del ‘18, nel quale sono invocate una serie di misure di carattere straordinario - che in sostanza si possono riassumere in una effettiva, intensiva ed estensiva applicazione della legge n.487 del 1911 sulla statizzazione della scuola elementare, comprese quelle norme che riguardavano l’istruzione dell’infanzia, il Patronato scolastico e le scuole serali e festive per adulti analfabeti. Lo Stato era dunque invitato ad un severo e serio impegno, morale e finanziario, per condurre avanti con immediatezza ed in profondità un organico programma di elevazione della “coltura popolare”. Un appello che, a quanto ci consta, rimase sostanzialmente inascoltato. La deficitaria situazione dell’istruzione elementare si poneva per il nostro Paese come il principale problema della pace, a detta di Credaro: uno stato di cose che non poteva durare più oltre, senza che l’Italia si degradasse da è irrimediabilmente nella futura gara civile e politica delle nazioni [109] . La necessità di promuovere un’evoluzione della società italiana che le permettesse di colmare il divario che la separava, in termini di qualità della vita, dalle nazioni più progredite, si legava strettamente, nella visione di Credaro, a schiette finalità umanitarie [110] ed a motivazioni di carattere sostanzialmente democratico [111] nel porre l’ineludibilità di una sollecita risoluzione del problema dell’analfabetismo; ma a ben giudicare, si evince come per il pedagogista valtellinese - che non dovette essere certamente il solo a interpretare in una determinata maniera l’evolversi delle circostanze storiche - “l’emergenza” fosse posta, in questo delicato momento della nostra vicenda unitaria, da fattori di ben altra natura - il che del resto getta una luce ben diversa sulla sua “battaglia” per l’elevazione della coltura popolare. Siamo di fronte, sostanzialmente, alle stesse considerazioni del ’16, ma qui la formulazione del problema, certamente più esplicita pur nella sua estrema sinteticità, lascia trasparire una maggiore preoccupazione che a sua volta tradisce una inequivocabile scelta di campo. Potrebbe riuscire fatale all’Italia non colmare al più presto, anche con provvedimenti eccezionali, la pericolosa lacuna esistente tra la legge del suffragio universale, resa da una recente legge ancora più larga, e l’incoltura delle masse popolari; in effetti queste, che avevano sostenuto la parte preponderante dei sacrifici del periodo bellico, mostravano per chiari segni una nuova coscienza, reclamante più luce sul proprio destino e maggiori diritti, apprestandosi alla conquista dei pubblici poteri [112] . In altri termini, era indispensabile per la stessa sopravvivenza dello Stato Liberale tentare attraverso un opportuno uso delle sue strutture educative - che per essere efficace ne implicava comunque il potenziamento - di raffrenare e sviare questa presa di coscienza dei ceti meno abbienti. Ma stavano maturando, anche se Credaro non poteva senz’altro averne, in quel momento, la percezione, altre modalità attraverso le quali la classe dominante avrebbe successivamente risolto il problema. Armani, nominato Primo Segretario del Ministero della P.I., al principio del 1919 fu costretto a rinunziare al ruolo di Capo-Redattore; incarico al quale vennero chiamati dal Direttore, congiuntamente, Valeria Benetti-Brunelli [113] , E. Formíggini-Santamaria, E. Marsili e R. Resta [114] .

Continua



[74]  Si allude, chiaramente, al cit. L. Credaro, Ai soci e ai lettori.

[75]  Non l’anno precedente, come è riportato in alcuni testi. Nel ‘39 (a. XXXII) uscì comunque soltanto il fascicolo n. 1, gennaio-febbraio.

[76]  Cfr. Ai cortesi lettori, in Riv. Ped., maggio 1910, p. 400.

[77]  Sostenitore del positivismo pedagogico di stampo spenceriano, sistematizzò le sue vedute ne I fondamenti scientifici della pedagogia (1884). Insegnò questa disciplina nelle Scuole Normali e successivamente fu Libero Docente di Filosofia Morale all’Università di Roma. Fu nel 1888 con l’Angiulli promotore della costituzione dell’Associazione pedagogico-professionale tra gl’insegnanti delle scuole normali, da cui nacque nel 1907 l’A.N.S.P.

[78]  Preside del Liceo “Umberto I” (oggi, Pilo Albertelli) della capitale.

[79]  Cfr. Ai nostri lettori, in Riv. Ped., gennaio-febbraio 1912, pp. 1-4.

[80]  Fino a tutto il 1912 la qualifica del Della Valle riportata sui frontespizi del periodico fu quella di Redattore-Capo. Solo a partire dall’anno successivo comparve la dicitura Direttore. Il Vecchia ed il Raulich furono invece indicati sin dal principio come Direttori

[81]  Formalmente il Della Valle non lasciò l’incarico, ma venne sostituito in pratica dal vertice dell’A.N.S.P.

[82]  Cfr. Notizie e cenni bibliografici, in Riv. Ped., 15 ottobre 1913, p. 769; Atti dell’Associazione ..., Ai nostri lettori e collaboratori, in Riv. Ped., 15 novembre 1913 p. 888,; Atti dell’Associazione ..., in Riv. Ped., 15 aprile 1914, p. 411.

[83]  Su invito della stessa Università di Santiago ed anche delle autorità governative cilene, che promossero il corso di conferenze del Della Valle affinché vi assistessero - v’era una precisa disposizione in proposito - i Professori secondari della nazione sudamericana. Cfr. Notizie ..., in Riv. Ped., ottobre 1913, cit.

[84]  Posizione manifestata con estrema chiarezza, come vedremo, in Le prime lezioni della guerra europea, in Riv. Ped., ottobre 1914, pp. 779-785.

[85] È da supporre che già in questo periodo (i mesi trascorsi alla Scuola d’Applicazione) il Della Valle non esercitasse più l’effettiva direzione del periodico (cfr. la copertina della Riv. Ped. del fascicolo dell’ottobre-dicembre 1916). Fu nominato Comandante della 3a Sezione del 370 Reparto Mitraglieri (XXXI Divisione).

[86]  La direzione del Della Valle si concluse col numero del luglio-settembre 1916.

[87]  Cfr. Ai nostri lettori. Commiato del direttore Prof. G. Della Valle , in Riv. Ped., luglio-settembre 1916, pp. 329-330.

[88]  Cfr., ivi, p. 330: “I nastri a duecento cartucce d’una mitragliatrice Maxim o i caricatori d’una Fiat 1914 sono argomenti assai più persuasivi in favore degli alti ideali per cui l’Italia combatte anziché un ragionamento”: v anche Cambi, L’educazione tra ragione e ideologia..., cit., p. 58.

[89]  Una “pedagogia veramente scientifica e veramente italiana”: cfr. il cit. Commiato di Della Valle, p. 329, e Cambi, L’educazione tra ragione e ideologia..., di nuovo a p. 58.

[90]  Cfr. ancora il cit. Commiato di Della Valle, p. 329, e Cambi, L’educazione tra ragione e ideologia..., sempre a p. 58.

[91]  Guido Della Valle, Ciò che la guerra costruisce, in Riv. Ped., n. 3, luglio-settembre 1916, pp. 331-87.

[92]  Citazione tratta da Cambi, L’educazione tra ragione e ideologia..., cit., p. 93. Egli si riferisce alla pubblicazione in volume dell’articolo del Della Valle, dal medesimo titolo, Milano, Albrighi e Segati, 1916, nella quale il passo riportato è a p. 19.

[93] Cfr. Nota precedente. In L’educazione tra ragione e ideologia... di Cambi la citazione è a p. 93; il brano citato è a p. 19 del volume di Della Valle

[94] Prendiamo a prestito questa efficace espressione di Cambi che va a riassumere certe affermazioni contenute in Ciò che la guerra costruisce, che analizza nelle pp. 93-94 della sua opera già ripetutamente citata

[95]  Cfr. C. Graziani, op. cit., pp. 88-89 (e nota n. 31).

[96]  V’è a questo proposito da segnalare un interessante serie di minute scambiate fra Giovanni Gentile e Luigi Credaro, reperibili fra quelle schedate sotto il nome del pedagogista valtellinese alla Fondazione intitolata al filosofo siciliano. Purtroppo manca la prima, che fu inviata da Gentile: dalla risposta di Credaro (4/11/1912) si evince che l’oggetto della precedente dovesse risiedere in una qualche iniziativa polemica della Rivista e del suo Direttore nei confronti nel filosofo neoidealista. In pratica l’allora Ministro della P.I. dichiara di non occuparsi del periodico, invita Gentile a sdrammatizzare (“sono miseriole quelle su cui richiama la mia attenzione”), ed in una postilla di carattere amichevole fa notare al caposcuola dell’attualismo come, in quanto a “zappate” (o “zampate”, il testo non è chiaro) “ai colleghi”, egli non si possa considerare inferiore ad altri. Gentile, però, evidentemente insoddisfatto, rincarò successivamente (8/11/1912) la dose, manifestando un vibrato risentimento per i “meschini metodi” adottati nella redazione della “Rivista” (Pedagogica) da “una persona” ( Della Valle) che sapeva godere della sua (di Credaro) stima e fiducia ed esprimendo inoltre meraviglia per il fatto che il pedagogista valtellinese avesse affidato a simile personaggio la “Rivista”, organo, fra l’altro, di una associazione. “Miseriole”, certamente, gli attacchi diffamatori del Della Valle, conviene con Credaro Gentile, affermando di non esserne affatto scosso: ma essi dimostrano nondimeno la “disonestà” letteraria di chi li compie. E quanto agli attacchi ai colleghi, il filosofo neoidealista nega di averne mai compiuti per interessi privati, e senza assumerne la responsabilità (caratteristiche ch’egli attribuisce, evidentemente, all’operato del Della Valle). Credaro replicò in modo secco e laconico, rifiutando di esercitare, per compiacere Gentile, una qualsiasi forma d’ingerenza nella “Rivista Pedagogica ”. Rammentando come, al rifiuto del Colozza, egli ebbe, effettivamente, ad indicare il nome del Della Valle per la direzione del periodico, Credaro precisa come il pedagogista napoletano debba rispondere comunque all’Associazione ed al pubblico delle sue azioni, non certamente a lui. Le date di questo scambio epistolare sono ben distanti da quelle in cui ebbero ad evidenziarsi le maggiori divergenze fra il pedagogista valtellinese e l’allievo del Masci; nondimeno non ‘è’ una esplicita difesa, da parte di Credaro, dell’operato del Direttore della “Rivista”. Teso in un primo momento a placare i toni della polemica l’allora Ministro della P.I., di fronte all’insistenza di Gentile, si limita a ribadire di non volere intromettersi nelle vicende del periodico. E se c’è un dato che emerge, da questo scambio di minute, ‘è’ proprio il disimpegno quasi ostentato da Credaro nei confronti di quella che, a tutti gli effetti, era una sua “creatura” (ma che forse non era sentita più, in quel momento, come tale - pur se occorre tener presente che l’incarico ministeriale dovette assorbire praticamente tutte le energie del nostro, relegando sullo sfondo ogni altro suo interesse o iniziativa). Per ulteriori dettagli su questo episodio, e per il complesso dei rapporti fra Credaro e Gentile, così come si configurano sulla base delle minute conservate alla Fondazione che porta il nome del pensatore di Castelvetrano, ci permettiamo di rinviare al nostro Giovanni Gentile-Luigi Credaro: due protagonisti a confronto fra “pubblico” e “privato”, in Giuseppe Spadafora (a cura di),Giovanni Gentile. La pedagogia. La scuola. Atti del Convegno di Pedagogia (Catania, 12-13-14 dicembre 1994) e altri studi, Roma, Armando, 1997, pp. 461-478.

[97]  L. Credaro, Seguitando, in Riv. Ped., a. IX, n. 9-10, ottobre-dicembre 1916, pp. 489-495.

[98]  “Cessato questo vasto sterminio di cose e di vite [...] ‘imporrà una revisione critica dei valori morali, politici, civili, sociali, economici, a cui parteciperanno tutte le classi sociali, e forse in misura più vasta quella dei contadini, la quale fin qui molto si era appartata dalla vita politica. Essa giustamente chiederà per sé e per i suoi figli”. Cfr. L. Credaro, Seguitando, cit., p. 494.

[99]  Ivi, p. 494.

[100]  Ivi, p. 495.

[101]  L. Credaro, Dopo la vittoria. Il problema della coltura popolare, in Riv. Ped., a. XI, n. 7-10, luglio-dicembre 1918, pp. 425-433

[102]  La Rivista, Per il nostro programma , in Riv. Ped., marzo-aprile 1917, pp. 177-178.

[103]  Cfr. in Riv. Ped., marzo-aprile 1917, L’Associazione nazionale fra i professori universitari, pp. 179-267, e Le idee della nuova Presidenza dell’Associazione nazionale fra i professori universitari, pp. 268-70.

[104]  “Ci pare di vedere che la classe dei maestri non conosca sempre le cure e l’interessamento che i professori di università si prendono per i problemi teoretici e pratici della scuola e della cultura inferiore. E i professori universitari non sempre valutano e sfruttano ciò che di rigoroso, spontaneo, sicuro, forte pensa, reclama, consiglia la classe dei maestri” La Rivista, Per il nostro programma, cit., p. 177.

[105]  Ivi, p. 178.

[106]  Credaro lo interpreta, citando Michelet, nei termini della lotta della libertà contro il dispotismo, e nel suo esito vede la dimostrazione che la libertà è destinata a trionfare nel corso storico. Ma a questo trionfo, voluto da Wilson e dalle nazioni associate, deve seguire, proprio come indica il celebre storico e filosofo francese, l’attuazione della legge di progresso, cioè di sviluppo nell’ordine: ed è questo il problema fondamentale del dopoguerra, per il nostro pedagogista. (Cfr. L. Credaro, Dopo la vittoria, cit., p. 425).

[107]  L. Credaro, Dopo la vittoria, cit., p. 425

[108]  Ivi, pp. 429-433.

[109] Ivi, p. 430.

[110]  “Ormai è principio universalmente riconosciuto in tutto il mondo civile che l’analfabetismo non può accompagnarsi colla dignità individuale e con una vita civile soddisfacente” L. Credaro, Dopo la vittoria, cit., p. 428.

[111]  “L’idea democratica, proclamata da appena centotrent’anni, non è ancora attuata nella sua pienezza negli spiriti, nei temperamenti, nei costumi, nelle consuetudini famigliari e sociali e neppure nelle leggi. L’ostinazione dei conservatori e il loro attaccamento alla tradizione, gli eccessi e l’empirismo dei democratici, impediscono che la nazione si democratizzi, cioè attui il regno del diritto, della giustizia, dell’eguaglianza”. Fin qui l’educazione delle masse sembra assolvere una genuina funzione democratica. Ma occorre notare come nel prosieguo emergano intenzionalità sostanzialmente conservatrici, per riallacciarci al discorso che verrà condotto nel testo: “Ma l’ostacolo principale e fondamentale al progresso nell’ordine” (affinché, cioè, il corso storico proceda ulteriormente in direzione dell’attuazione della libertà, che per Credaro s‘identifica, come visto in precedenza, con una legge di progresso inteso come sviluppo nell’ordine) “sono l’ignoranza e l’ineducazione delle moltitudini, non preparate ad una evoluzione naturale, continua, disciplinata” Cfr. L. Credaro, Dopo la vittoria, cit., p. 427.

[112] Ivi, p. 430.

[113]  Allieva di Credaro e sua Assistente, per numerosi anni, alla “Sapienza”, lo sostituì sulla cattedra di Pedagogia quando, nel ‘35, per raggiunti limiti d’età, Credaro dovette abbandonare l’insegnamento. “Cresciuta” nella Rivista, costituì un’attivissima presenza nella trentennale esistenza del periodico. Una minuta inviata da Gentile a Credaro in data 20/6/1930 fa arguire l’esistenza di contrasti fra il pedagogista valtellinese e la sua Assistente, dovuti forse - è una nostra supposizione - alla posizione di entusiastica adesione al Regime da parte della Benetti-Brunelli.

[114]  L. Credaro, Ai lettori., in Riv. Ped., gennaio-febbraio 1919, p. 1.

 

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