KLEIN-EUROPA PICCOLA EUROPA
*numero zero* del 10 aprile 1997 (n. 0/1997)


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IN ITALIA SONO 20.000 GLI ITALO-TEDESCHI UTENTI DI INTERNET. E POI IN RETE CI SONO ANCHE GLI ITALIANI CHE SI CONFRONTANO CORRENTEMENTE CON LA LINGUA ED IL MONDO TEDESCO: ALMENO 30.000. «KLEIN-EUROPA PICCOLA EUROPA» È IL LORO PUNTO DI RIFERIMENTO. SE VUOI FARTI CONOSCERE DA QUESTA IMPORTANTE COMUNITÀ, CHIAMA SUBITO ++39.06:87181611!

il CIRCOLO delle MUSE

1957-1997. QUARANT'ANNI FA I TRATTATI DI ROMA
3a ed ultima puntata


LA STORIA/Rileggete i nomi dei paesi fondatori della Comunità: Belgio, Francia, Lussemburgo, Italia, Paesi Bassi,
tutti "passati per le armi" dall’esercito nazista,
e la Germania Ovest. Basta questo rilievo per cogliere
la grandezza dell’evento che, dodici anni dopo la fine
della guerra, fu la nascita della Comunità Economica Europea. Una piccola grande utopia che si realizzò per merito
di un nutrito gruppo di uomini di pace e di governo (Schuman, Monnet, Pleven, Spaak, Adenauer, De Gasperi ed altri)
che si sentivano sinceri europei
1945-57: un cammino
straordinario e travagliato,
dall'Europa di vincitori e vinti
a quella di sei popoli fratelli

di ROLAND WALTHER

   
leggi anche:
*ALLE ORIGINI DEL FEDERALISMO EUROPEO/
Stati Uniti d'Europa: lo disse Churchill nel '46, ma l'idea era stata di un austriaco

Il processo di cooperazione europea che porterà alla firma dei Trattati di Roma, che istituiscono la Comunità economica europea (Cee) e la Comunità europea dell’energia atomica (Euratomo), ha inizio ufficialmente il 18 aprile 1951 quando a Parigi viene fondata la Comunità del carbone e dell’acciaio (Ceca). I primi passi però sono stati mossi già prima. L’intero percorso non sarà lineare, ma se esso può prendere avvio, lo si deve alla congiuntura favorevole determinata, fin dall’immediato dopoguerra, da due circostanze.
La prima è effetto della non certo distensiva suddivisione geopolitica del mondo in due aree d’influenza — quella americana e quella sovietica — che riduce di conseguenza il ruolo decisionale di Gran Bretagna e Francia, che per secoli avevano rivaleggiato fra loro e con altre potenze scomparse (l’Austria asburgica, la Russia zarista e la Germania, uscita vinta, amputata e divisa dalla guerra che aveva voluto) per affermare la propria supremazia sulle vicende del continente. I due paesi avevano poi da gestire la decolonizzazione dei loro domini in Africa ed Asia, proprio quelli che avevano rappresentato la "sostanza" del loro peso internazionale. Il contesto ambientale favoriva dunque nell’Europa occidentale l’evoluzione di un pensiero "federativo". In Italia, in Germania Ovest, nell’Austria nuovamente indipendente, si erano imposti regimi parlamentari e democratici (nei paesi tedeschi grazie al "patrocinio Usa"), cosicché aldiquà della cortina di ferro — ad eccezione di Spagna e Portogallo —tutti gli stati erano "uniti" dal rispetto per la sovranità popolare e della libertà di pensiero. Non appariva più un’utopia, partendo da questa base, la realizzazione di una concreta federazione europea — vista anche come salvacondotto per la pace e strumento di difesa nei confronti del blocco comunista —, senza più severi confini fra gli stati, che permettesse la libera circolazione delle persone e delle merci, regolata infine da una struttura politica sovranazionale sostitutiva in alcuni compiti dei vari parlamenti degli stati.

L’Europa unita: non più un’utopia
C'è molto ottimismo nel prefigurare simili scenari,ma se già nel ’48 sedici paesi beneficiati dal Piano Marshall (Gran Bretagna esclusa) sentono la necessità di dare vita ad un organismo di gestione comune, l’Organizzazione europea di cooperazione economica (Oece), e se soprattutto l’anno dopo si realizza il Consiglio d’Europa, aperto a tutti i paesi democratici dell’Europa occidentale, compresi i non allineati, tutto ciò è possibile per la straordinaria concomitante presenza sullo scacchiere politico europeo-occidentale — ecco la seconda circostanza favorevole di cui parlavamo — di molte figure "europeiste", accanto comunque a tanti nazionalisti. Dagli italiani Alcide De Gasperi, Luigi Einaudi, Carlo Sforza e Ugo La Malfa, ai francesi Robert Schuman, Jean Monnet e René Pleven, al tedesco Konrad Adenauer, dal belga Paul Henry Spaak, al britannico Winston Churchill (quest’ultimo un po’ meno ostinato rispetto agli altri).
Fin dalla prima riunione dell’assemblea del Consiglio verrà posto come ordine del giorno "lo studio dei cambiamenti nella struttura politica dell’Europa che potrebbero essere necessari per realizzare quella unione più stretta", ma il vento del federalismo si infiacchisce ben presto — come accadrà altre volte — per la prima offensiva degli "euroscettici". Tra questi, il nuovo premier britannico laburista Clement Attlee, il quale pure rappresenta il paese che quel Consiglio lo ha maggiormente promosso insieme alla Francia, ma che lo considera più come organizzazione intergovernativa (posizione condivisa dai paesi scandinavi) piuttosto che sovranazionale di tipo parlamentare (pensiero di Francia, Italia e Benelux).

1950: Schumann "s’inventa" la Ceca
La "rimonta" europeista coincide con lo scoppio della crisi di Corea (1950), momento di massima frizione tra Stati Uniti ed Urss nella "guerra fredda", che pone d’attualità il dibattito su un sistema comune di difesa europeo, nel quale — ovviamente — dovrebbe essere parte attiva anche la Germania di Adenauer. A muoversi in questa direzione è il primo ministro francese Pleven, mentre parallelamente a lui agisce Schuman, convinto che se si vogliano almeno definire le fondamenta dell’"edificio Europa", sia necessario prima rimuovere l’ostilità storica tra Francia e Germania (quella Ovest) che ha una ragione precisa: il controllo del bacino minerario della Ruhr. Nasce così l’idea della Ceca che avrebbe eliminato il confine del Reno, almeno nell’ambito della produzione e dello sfruttamento del carbone e dell’acciaio, demandando ad una commissione mista, in cui fossero ugualmente rappresentati i due paesi, il compito di tracciare la politica estrattiva e siderurgica. Non solo. Poiché la creazione di un mercato unico del settore, che permetta la libera circolazione delle materie prime e dei lavorati senza dazi in un territorio più ampio di quello franco-tedesco era ben vista sia a Parigi che a Bonn, risulta facile per Schuman coinvolgere nella cooperazione Benelux e Italia. La conclusione delle trattative non è però rapida, perché il protezionismo metallurgico è ben accetto alle lobby industriali. È poi non trascurabile la porzione di opinione pubblica transalpina che mal sopporta questo ruolo paritario della Germania Ovest nel campo strategico dell’industria pesante, ritenendo non opportuno offrire al partner tedesco un così agevole reinserimento a pieno titolo nella comunità internazionale. Anche in Italia i grandi gruppi privati dell’acciaio, guidati da Enrico Falck, cercano di osteggiare l’ingresso nella Ceca, ma De Gasperi e Sforza non hanno tentennamenti, consentendo al paese di aderirvi come fondatore.
La Ceca viene caratterizzata da un’Alta Autorità (organo direttivo e di programmazione), un Consiglio speciale dei ministri (organo di raccordo tra l’Alta Autorità e i governi dei paesi membri), un’Assemblea comune (composta da rappresentanti parlamentari dei vari paesi membri), una Corte di giustizia (organo giurisdizionale che deve garantire il rispetto del diritto nell’applicazione e nell’interpretazione del trattato): un "paradigma" al quale si ispireranno sia la Cee che l’Euratomo. Sede della nuova organizzazione è Lussemburgo.
In realtà, per poter incominciare a funzionare, la Ceca aveva bisogno della ratifica di tutti i parlamenti dei paesi i cui governi avevano sottoscritto la firma di Parigi. Si constatò però a questo punto un appesantimento delle procedure; il parlamento italiano, ad esempio, fu chiamato a deliberare per ultimo l’adesione tra il 4 marzo e il 16 giugno del 1952.

È un’"Europa a Sei": Londra si tira fuori
Il cammino europeo, benché farraginoso, comunque procedeva. Se il 10 dicembre 1951 a Strasburgo l’assemblea del Consiglio d’Europa dava il suo parere negativo in merito alla proposta di creare un’autorità politica di controllo per i paesi intenzionati al progetto di difesa comune — provocando così le dimissioni del presidente di quella camera consultiva, Spaak —, il giorno dopo, nella prima riunione dei ministri degli esteri della Ceca, si faceva riferimento in modo finalmente concreto proprio al piano Pleven, che nel frattempo aveva assunto il nome di Comunità europea di difesa (Ced), e di cui ora erano note le linee guida: la progressiva integrazione degli eserciti dei paesi membri della Ceca in un’unica forza armata multinazionale. Nuovi entusiasmi si destano soprattutto grazie a De Gasperi che propone di dotare la Ced di una vera assemblea parlamentare, alla quale affidare l’elaborazione di un’ipotesi di costituzione federale o confederale per i sei paesi della "piccola Europa".
E in effetti poco più di un anno dopo l’istituzione della Ceca (è il 27 maggio 1952) ancora a Parigi si promulga il trattato della difesa militare comune tra Francia, Germania Ovest, Italia e Benelux.
Questa evoluzione determina però un netto distacco della Gran Bretagna dal progetto di Europa federale, la cui attiva partecipazione Schuman pensava di poter recuperare. Troppo più forte rispetto al continente il legame con i paesi del Commonwealth e gli Stati Uniti; con questi soprattutto si era ulteriormente fortificato sotto la guida laburista e Churchill, ritornato al potere nel ’51, non se l’era sentita di scompaginare gli equilibri esistenti, essendo l’asse anglo-americano preferito anche dalla maggior parte dei conservatori. Ciò vuol dire che l’Europa federale non varcherà più la Manica; ma ci sono ancora le condizioni per dire: peccato per loro. Giunge infatti di lì a poco l’inizio dell’attività della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (22 luglio 1952) e il conseguente insediamento dell’Alta Autorità (10 agosto), di cui sarà primo presidente Spaak.
Il ’52 si chiude con l’accoglimento da parte della Ceca del piano italo-francese per la creazione di una comunità confederale europea. Ma il clima sta già cambiando un’altra volta: il governo francese di centro-sinistra, principale fautore fino a quel momento dell’Europa senza frontiere, da un anno si trova nella difficile situazione di dover dar conto ad un parlamento che con le ultime elezioni si è spostato ancor più verso destra, e stanno incominciando a venire al pettine le ancora insolute questioni coloniali dell’Indocina e del Magreb. In più la trattativa conclusasi positivamente per la Ced ha nuociuto alla maggioranza, la cui componente di centro si è spaccata su questa vicenda.

’53 e ’54: riflusso e disillusione
Il riflusso antieuropeista è evidente nel ’53. Alla fine di febbraio la Francia ottiene una modifica del trattato sulla Ced, per la tutela della sua potenza militare, che ne riduce il significato. C’è spazio per una riaffermazione collegiale da parte dei ministri degli esteri dei Sei — più per principio che per convinzione — dell’urgenza dell’unità europea, espressa a Parigi quasi in appendice all’apertura delle frontiere per i prodotti metallurgici (che è una buona notizia), avvenuta il 1º maggio. Ma la difesa comune europea non appare più un’esigenza fondamentale per la classe politica francese dopo la soluzione pacifica della crisi coreana. E nonostante le pressioni statunitensi, il nuovo e traballante governo centrista di Joseph Laniel cessa di fatto di sostenerla. Anche l’Italia, dopo il fallimento dell’incarico a De Gasperi per il primo mandato della seconda legislatura repubblicana, si affida ad un politico poco attratto dall’Europa unita, Giuseppe Pella.
Il 1954 è l’anno della disillusione. Sebbene la Ced sia stata già ratificata l’anno precedente da quattro parlamenti (Germania Ovest più Benelux), l’assemblea nazionale francese boccia, com’era a questo punto prevedibile, il trattato di difesa unitaria europea il 30 agosto. Un dispiacere che il destino evita ad Alcide De Gasperi, morto improvvisamente pochi giorni prima. È ben poco significativa al confronto l’istituzione della Unione europea occidentale (Ueo), con la quale viene sancito il diritto al riarmo alla Germania Ovest e la partecipazione di corpi dei paesi europei all’interno della struttura militare Nato.

Spaak ha l’idea: merci senza dazi
Per rilanciare il progetto di Europa comune non c’era altra strada: seguire la via più lenta e meno appariscente della progressiva integrazione economica (sulla quale anche Londra sembrava più disponibile). Questa nuova strategia fu ispirata proprio all’indomani dell’entrata in vigore della Ueo (5 maggio 1955) da Jean Monnet e convertita in progetto da Spaak e da un altro ministro degli esteri dei Sei, l’olandese Willelm Beyen. I due lo esposero agli altri partner ai primi di giugno del ’55 a Messina, dove si erano riuniti i ministri degli esteri della Ceca. Consisteva nella creazione fra i Sei di un’unione doganale di tutti i settori dell’economia e nell’istituzione di una Comunità omologa a quella del carbone e dell’acciaio avente per oggetto l’energia atomica. Il consiglio dei ministri dei Sei approvò la proposta e affidò proprio a Spaak e ad un "comitato di rappresentanti", presieduto da lui stesso, il compito di elaborare nel dettaglio gli strumenti giuridici ed amministrativi necessari per attivare queste nuove forme di cooperazione.
Nonostante il "via libera", il rischio che poi tutto venisse vanificato per il veto del turbolento parlamento francese, c’era. Chissà se Spaak, quando decise di operare in profondità soprattutto per definire l’"unione doganale fra i Sei", configurando in realtà uno spazio economico integrato in cui potessero circolare liberamente, come in un mercato interno, capitali, merci, persone e servizi, giocò d’azzardo o calcolò la consistenza del pericolo, che allora dovette apparirgli minima. Probabilmente pensò che di una comunità economica in quel momento era soprattutto la Francia ad avere bisogno. Il paese infatti, nonostante il piano Marshall gli avesse riservato ben un terzo dei fondi destinati nel complesso all’Europa occidentale, era ancora alle prese con un serio disavanzo pubblico ed i segnali di ripresa erano stentati; la vicina Germania di Adenauer già mostrava invece un invidiabile recupero del prodotto interno lordo (che aumentava al ritmo del 6 per cento annuo) e poteva vantarsi della quasi totale occupazione dei suoi cittadini, profughi compresi, mentre invece Parigi doveva preoccuparsi pure della "ricollocazione" in patria di centinaia di migliaia di coloni. Il lavoro di Spaak fu proteso ad un salto di qualità decisivo della piccola Europa dei Sei, prospettando per essa non solo l’abolizione al suo interno delle tariffe doganali e di qualsiasi altra forma di ostacolo al commercio, ma anche — nei confronti dei paesi esterni — il coordinamento della politica economica, e tra i Sei di quella agricola, dei trasporti e del nucleare.

Nasce la Cee, appena prima del "gollismo"
Un pacchetto "pesante" di indicazioni che i ministri degli esteri della Ceca, riuniti a Venezia, recepiscono senza riserve il 30 maggio 1956. Le trattative per l’istituzione della Cee e dell’Euratomo, che dovranno regolare quelle indicazioni diventate direttive, vengono avviate il 26 giugno a Bruxelles e portano alla promulgazione delle due Comunità, che avviene con la firma dei Trattati di Roma in un piovoso 25 marzo 1957. C’è ora da superare il vaglio dei parlamenti nazionali. Per evitare che la "tensione europea" subisca un nuovo disincanto, si invitano i vari paesi a far esprimere le assemblee entro l’anno. Nell’autunno tocca anche a Palais Bourbon votare: il gollismo è alle porte, ma la risposta è sì. Il primo sostanzioso frutto dell’Europa senza frontiere era sbocciato davvero.


   
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