KLEIN-EUROPA PICCOLA EUROPA
*numero zero* del 10 aprile 1997 (n. 0/1997)


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il CIRCOLO delle MUSE

1957-1997. QUARANT'ANNI FA I TRATTATI DI ROMA
3a ed ultima puntata


ALLE ORIGINI DEL FEDERALISMO EUROPEO/
Si chiamava Coudenhove-Kalergi. Fu il primo a teorizzare l’unione
dei paesi continentali (in opposizione a Inghilterra, Russia e Stati Uniti)

Stati Uniti d'Europa:
lo disse Churchill nel '46,
ma l'idea era stata di un austriaco


(rol. wal.)

   
19 settembre 1946: è in questo giorno che per la prima volta una prestigiosa figura politica internazionale esprime pubblicamente il suo auspicio affinché nascano gli "Stati Uniti d’Europa". Se riflettiamo sull’attuale circospezione, a quarant’anni di distanza dai Trattati di Roma, che contrassegna i nostri discorsi sull’euro (la moneta unica che all’inizio del nuovo secolo manderà in pensione le divise nazionali dei quindici paesi dell’Unione europea), o sull’atteggiamento comune di rifiuto — siamo onesti! —, celato da pessimismo, riguardo la possibilità che in un futuro il parlamento di Strasburgo possa contare come quello di Roma, Bonn (o Berlino) o Vienna; se c’interroghiamo in sostanza sul nostro grado di integrazione europea, ci rendiamo conto di come potessero suonare forti quelle tre parole che Winston Churchill pronunciò un giorno di fine estate di cinquantun anni fa all’Università di Zurigo. Ed è comprensibile perciò il desiderio di volerne attenuare il significato, schivandone dirette responsabilità di partecipazione: infatti, accanto all’incoraggiamento di una collaborazione tra Francia e Germania, era precisato che in questa ipotizzata federazione continentale di stati la Gran Bretagna avrebbe svolto solo un ruolo di sostegno esterno.
Sarebbe stato un altro il padre dell’Europa senza frontiere, quel Robert Schuman che "s’inventò" la Ceca, e accanto al quale, nel ruolo di tutore, va ricordato il nome di Alcide De Gasperi; ma quella dichiarazione di Churchill merita anch’essa di essere ricordata, per sempre, come l’atto propulsivo del processo comunitario ancora in corso.
Questo riconoscimento ha favorito però l’insorgere di una tradizione: attribuire a Churchill il conio della definizione "Stati Uniti d’Europa". Secondo la consuetudine, la prima configurazione teorica di un simile progetto sarebbe quindi scaturita dalla tragedia della seconda guerra mondiale. L’intuizione in realtà era precedente, tanto che all’epoca erano già sparsi per l’Europa un discreto numero di movimenti federativi.
Embrioni di pensiero europeista erano stati già formulati da Victor Hugo e Giuseppe Mazzini, ma è datata addirittura 1712 la proposta dell’abate di Saint-Pierre di costituire una federazione di stati cristiani d’Europa dotata di un senato che lui immaginava con sede ad Utrecht.
È però un austriaco poco ricordato l’iniziatore del moderno federalismo europeo. Il suo nome, Richard Coudenhove-Kalergi. Kalergi, figlio di un nobile diplomatico dell’impero asburgico e di una principessa giapponese (tra l’altro era nato a Tokyo), si era laureato a Vienna in filosofia e storia proprio mentre stava dissolvendosi l’impero, in conseguenza della guerra 1915-18. La dimensione continentale degli avvenimenti bellici appena alle spalle e l’enorme tributo di vite umane che essi avevano comportato, fecero maturare in lui un ideale paneuropeo. «Possibile — si chiedeva Kalergi non ancora trentenne nel ’23 — che sulla piccola penisola europea 25 stati vivano nell’anarchia internazionale?». Uno stato di cose che inevitabilmente avrebbe condotto in futuro ad una terribile catastrofe politica, economica e culturale. Un presagio, più che una congettura, che Kalergi espresse nel suo libro-manifesto intitolato appunto "Paneuropa", nel quale illustrò anche la soluzione per evitare questo destino: la costituzione degli "Stati Uniti d’Europa". Il conte austriaco costituì intorno a questa proposizione una seria architettura giuridica ed un "movimento d’opinione" per sensibilizzare i governi del continente, che operava sia attraverso l’associazione "Unione Panaeuropea", che il giornale "Paneuropa", da lui fondati e diretti.
La dirompente idea di Kalergi presentava tuttavia elementi di "conservatorismo", figli della concezione del "mondo delle potenze" di cui era inevitabilmente intrisa la cultura politica dal tempo. La Paneuropa sognata avrebbe dovuto infatti contrapporsi a Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica, mentre appariva un po’ ambigua la forma di federazione fra gli stati, ognuno dei quali manteneva «intatta la sovranità assoluta».
Seppur con questi limiti, interessante è il modello istituzionale della comunità europea di Kalergi, che prevede tra l’altro un "mercato comune delle merci" e nella quale tutti i paesi membri godrebbero di parità di diritti. La federazione si comporrebbe di: un Consiglio federale di tutti gli stati continentali con popolazione superiore a centomila abitanti più il Vaticano, rappresentati ognuno da un delegato; un’Assemblea di delegati nazionali, in carica per quattro anni, a cui spetterebbe nominare cancelliere e vice cancelliere federale, tesoriere federale e giudici di controllo; un esecutivo (la Cancelleria federale).
Senza più dazi fra stati continentali, i tributi doganali sarebbero continuati ad essere pagati dai paesi non paneuropei; essi sarebbero versati al tesoro federale degli Stati Uniti d’Europa.
L’azione di Kalergi qualche risultato lo produsse: nel 1929 Aristide Briand, presidente del consiglio e ministro degli esteri francese, uno dei primi — e isolati — politici che mostrò interesse per la Paneuropa, propose una effettiva collaborazione fra gli stati europei, controllata dalla Società delle Nazioni [l’organizzazione internazionale permanente per la pace fra gli stati europei istituita nel 1920, ndr.], il cui ruolo era però ormai decadente. Briand aveva colto che l’integrazione dovesse passare attraverso la creazione di stretti legami nel settore economico. Ma, attenendosi ai ritmi di lavoro della Società delle Nazioni, la proposta fu tradotta in progetto solo l’anno dopo, mentre i venti del totalitarismo soffiavano sempre più fortemente e minacciosi sull’Europa. Le dittature emergenti si stavano "apparecchiando" un humus sociale che esaltasse il senso di patria; d’altronde, in quel clima di crisi economica, era facile chiudersi all’interno dei propri confini. Fu così scontato il rigetto del piano Briand, che peccava anche di equilibrio, avendo riservato alla Francia un ruolo privilegiato nell’ipotizzata federazione economica.
Resterà questo l’unico tentativo "meditato" di dare sostanza alle teorie europeistiche, concepito da un esecutivo, precedentemente al piano Schuman e a quello Pleven (1950). È giusto rilevare però che un’altra proposta governativa decisamente europeista la formulerà Winston Churchill — ma in una condizione di grande tensione emotiva e quindi difficilmente valutabile — alla Francia, che stava subendo l’occupazione nazista di Parigi. L’invito rivoltole il 16 giugno 1940 dal primo ministro britannico fu di unificare Francia e Gran Bretagna, di far reggere i due paesi da un unico parlamento e di attribuire una unica cittadinanza comune: ancora oggi la più ardita forma di federazione sovranazionale mai offerta da parte di un paese democratico ad un altro.
Tranne questa eccezione, l’Europa federale fino al dopoguerra avrebbe continuato ad essere un dibattimento teorico, svolto in Inghilterra, Francia, Svizzera, Benelux e Italia attraverso l’elaborazione di nuovi "manifesti", ricalco o estensione dell’idea di Kalergi, da parte di intellettuali ed anche di uomini politici (ma si tratterà in questo caso di tutti personaggi senza incarichi decisionali nei governi nazionali). Tra coloro che si professeranno in questo periodo, gli italiani Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Sarà la dichiarazione di Churchill del ’46 ad introdurre l’impegno europeista di un buon numero di politici titolari di diverse "stanze dei bottoni" (Monnet, Schuman, De Gasperi, Adenauer, Spaak ed altri) che consentirà all’idea di Europa senza frontiere di incamminarsi, seppur tra tante difficoltà, per la strada delle cose concrete.


   
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