L'estate
Di Justine
Andrè, Andrè Grandier, questo era il nome che mai Cecile Lagonelle avrebbe
dimenticato, per il resto della sua vita.
Al tempo in cui si svolse questa storia, lei aveva sedici anni e lavorava come contadina,
assieme a tutta la sua famiglia, nei possedimenti dei Jarjayes. Non sentiva di doversi
lamentare della sua vita: passava le giornate allo stesso modo fin da piccola,
tranquillamente. Le insegnavano, ogni giorno, a non sognare troppo; perché poi la
delusione è tremenda, una volta che i desideri non si avverano. Ma per lei era
impossibile non sognare quando vedeva passare per la fattoria la figlia del generale
Jarjayes, Oscar François, quella che lui aveva educato da uomo, assieme al suo
attendente, André. Erano tutti e due talmente belli che sembravano venire da un altro
mondo, che non fosse stato sporco di terra come il suo. Oscar era ciò che Cecile avrebbe
voluto essere, André ciò che avrebbe voluto avere.
"Smettila di guardare. Lavora", le diceva sua madre.
Un giorno Cecile si trovò al di fuori dei suoi soliti giri: si era smarrita la capra
Nanà, quella più grande che dava più latte, ed era compito suo sorvegliarla, quindi
anche cercarla. "Vecchia caprona!" imprecava tra sé e sé Cecile, quando sentì
arrivare un cavallo.
Era André, da solo. Si fermò, la ragazza fece un inchino e lui disse:
"Perché ti inchini? Non sono mica il tuo padrone!" Lei alzò gli occhi e lo
vide sorridere, al che balbettò:
"Per la verità
io
cercavo una capra
"
"Una grossa capra bianca?", le chiese. Sì, rispose lei, e André disse:
"L'ho vista più in là che beveva al fiume", poi ci pensò un attimo e
aggiunse: "Se vuoi ti ci porto".
"Non occorre
" disse lei "non occorre che vi disturbiate
Conosco
la strada."
"Se sali a cavallo hai più possibilità di trovare la tua capra ancora lì.
Permettimi di insistere." Così fece salire Cecile in sella davanti a lui.
"Tienti forte, non è bello cadere da quassù" le raccomandò, e partì al
galoppo. Le sue braccia la circondavano per tenere le redini, e il cuore di Cecile batteva
forte.
Giunsero al fiume molto velocemente, troppo velocemente. André, per far scendere Cecile,
la prese per la vita e lei di nuovo trasalì. La capra Nanà pascolava placida: Cecile le
mise un laccio e se la portò dietro.
"Grazie, signor Grandier. Ora posso tornare a casa."
"Chiamami André" sorrise il giovane "ci siamo visti un po' di volte ma non
mi ricordo il tuo nome."
"Cecile Lagonelle."
"Cecile" ripeté André "tuo padre è un brav'uomo, Cecile."
"Sì" disse lei, guardandolo di sottecchi. Era tremendamente bello, aveva quei
capelli lunghi, quel fisico slanciato, e soprattutto quegli occhi stupendi che sembravano
perennemente indecisi tra il riso e il pianto.
"E' pericoloso se vai da sola" soggiunse André, osservando le ombre ormai
lunghe degli alberi. "Risali a cavallo con me: condurremo da là la tua capra, e tu
non faticherai ancora."
"No, per carità!" disse quasi spaventata Cecile "Avete già fatto troppo
per me."
"Poche storie" disse André issandola nuovamente sul cavallo, che partì al
trotto, con Nanà allegramente dietro.
"Vieni spesso qui?" chiese a Cecile.
"A volte ci porto le capre a pascolare."
"Io ogni tanto ci vengo quando Oscar è via e non ha bisogno di me. E' un bel posto
per cavalcare."
Oscar. Oscar era presente anche quando non c'era, e Cecile si diede della stupida, ma
sentì quel nome come un muro tra lei e l'alone caldo e rassicurante che emanava André.
Furono quasi subito a casa. I Lagonelle ringraziarono André, e Cecile, in cuor suo, aveva
già deciso di andare più spesso dalle parti del fiume.
Quella sera stava in un angolo, seduta, stringendosi in un abbraccio che le doveva
ricordare l'idea di Andrè in sella dietro di lei. In quel mentre sopraggiunse Lucien, suo
cugino.
"Dì, Cecile, che ci hai fatto con quel tipo?"
"Niente, Lucien. Mi ha solo accompagnata."
"Bada bene" la minacciò il ragazzo "che se provi a fare la civetta con
quel Grandier, ti fracasso di botte."
"Come no", rispose sprezzante Cecile "ti servo intera."
Più l'estate avanzava, più forte si faceva l'odore dei campi e più frequenti gli
incontri "casuali" tra Cecile e André. Lui vedeva nella ragazza
un'interlocutrice onesta, e più passava il tempo, più, senza volerlo, si apriva alei.
"André." disse un giorno Cecile.
"Sì?"
"Tu vuoi bene a madamigella Oscar, non è vero?"
"Certo che gliene voglio."
"Forse non mi spiego
Intendo dire: le vuoi bene come a un'amica, o cosa?"
André aprì la bocca e poi la richiuse, con uno sguardo serio.
"Scusami" disse Cecile "non volevo intristirti."
"E' meglio che io vada, ora" disse André alzandosi. Salutò Cecile, e se ne
andò via. Lei rimase seduta sull'erba; una lacrima rigò il suo viso, bruciando come se
le fendesse la carne.
Un giorno, a casa Lagonelle, passarono Oscar, André e un altro giovane nobile,
straordinariamente bello. Oscar sembrava non avere occhi che per lui; André ostentava la
più neutra delle maschere. Salutarono Lagonelle padre, e Cecile tirò un sospiro di
sollievo perché Lucien era nei campi. Scambiò con André uno sguardo che era un accordo
tacito, così tornando indietro lui disse ad Oscar:
"Oscar, io mi fermo un po' qui. Voi due andate pure avanti."
La giovane donna lo scrutò.
"André, qualcosa non va?"
"Voglio solo riposarmi un po' all'aperto."
André si mise ad aspettare Cecile seduto sotto ad una quercia secolare, mentre il
pomeriggio estivo dilagava. Cecile arrivò poco dopo.
"Chi era l'uomo con madamigella Oscar?"
"Il conte Hans Axel di Fersen" rispose laconico André.
"Non è quello che mi dicevi avesse una storia con la regina?" chiese la
ragazza, incredula.
"Proprio lui" asserì André, e Cecile trovò nel suo volto triste una bellezza
magnifica e dolorosa.
"Capisco" disse, sentendosi gli occhi lucidi, e André si allarmò un poco.
"Cecile! Cosa c'è? Perché piangi?"
"Perché non meriti di essere parte di questa catena di amore infelice."
"Cosa vorresti dire? Spiegati, Cecile. Non voglio che tu pianga." Ma Cecile
sembarava non riuscire a fermarsi, e disse:
"Tu ami Oscar che però ama Fersen. Fersen non può ricambiarla perché ama la
regina; e la regina ama Fersen, ma non può fare nulla proprio perché è la regina. Dio
mio! Perché nessuno è al suo posto? Perché tutti desiderano ciò che non possono
avere?"
Cecile era scossa dai singhiozzi e André, commosso, le cinse le spalle con un braccio.
Non disse niente, osservandola piangere: le ciocche brune che le uscivano dalla treccia si
appiccicavano al volto e il suo corpo tremava in un pianto sordo, che veniva dal profondo.
Nel giovane si insinuò il dubbio, cominciava a sentire chiara l'eco di sensazioni da lui
stesso provate, come due corde che vibrano all'unisono perché hanno la stessa nota.
Cecile rialzò la testa dal petto di André, asciugandosi le lacrime.
"Scusa. Non so
Non so cosa mi sia successo."
"Cecile" disse serio André scostandole i capelli da davanti agli occhi
"non sia mai che anche tu diventi un anello della
'catena dell'amore infelice'.
Non me lo perdonerei."
Cecile lo guardò con gli occhi spalancati, mentre André vagò sulla figura della
ragazza, per poi avvicinare le labbra alle sue.
( l'odore dell'erba e dei fiori era denso e saturava l'aria assieme al frinire delle
cicale )
Rimasero molto abbracciati a scambiarsi baci lenti e languidi, lasciando che tutto fluisse
per andar via, le tensioni, i dispiaceri, le paure. André sentiva Cecile morbida e
abbandonata, e si trovò senza volerlo a scivolare sotto i suoi poveri vestiti. Cecile si
lasciò sfuggire un gemito, mai avrebbe potuto sperare di trovarsi in una situazione del
genere. André però ebbe un ripensamento, e si staccò da lei.
"Basta, Cecile, basta. Rischio di andare troppo avanti
"
"Qual è il problema?" chiese lei sporgendosi verso André.
"Non sarebbe giusto nei tuoi confronti, ecco."
Cecile si rilassò ed assunse un'espressione tranquilla.
"André, ho già fatto." Lui la guardò, un po' incredulo.
"Come hai già fatto?"
"Qualche tempo fa, con mio cugino. Il peggio l'ho passato."
André rimase per un po' esterrefatto ad osservare la ragazza che con la massima calma gli
aveva appena detto di non essere più vergine, come se gli avesse raccontato di essersi
levata un dente. Ma non potè fare a meno di notare come il vestito, consumato e in
disordine, lasciasse ormai scoperto molto più di quanto si convenisse.
"Ascoltami, André. Ciò che faccio lo faccio perché lo voglio, forse per la prima
volta nella mia vita. Siamo uguali, io e te. Hai bisogno di questo tanto quanto me."
Stavolta fu Cecile a cominciare a baciare André, che finalmente si convinse a mettere da
parte le sue remore. Se la trovò davanti nuda quasi senza accorgersene, femmina fino nel
midollo, i seni rotondi piccoli pieni che stavano in una mano, il ventre tenero. Le fu
sopra, e lei gioì nel profondo, e con quella gioia si concesse a lui, facendo di se
stessa un piccolo animale dedito solo a dargli piacere. Quando si staccarono, stremati, il
sole era appena un po' più basso. Le capre continuavano a pascolare, le cicale a cantare;
e ciò che successe tra André e Cecile - e che si sarebbe ripetuto nei giorni a venire -
non sembrava essere altro che un elemento della natura circostante, come le rondini
nell'aria o i fiori debordanti nettare.
(quell'estate pareva colare loro tra le gambe, come un liquido vischioso e dolce, come
il miele, come i più segreti odori)
"André, è
Tutto a posto?" chiese Oscar all'improvviso, mentre suonava
il pianoforte. André, che era seduto in silenzio dall'altra parte della stanza, rispose:
"Certo, Oscar. Niente di storto" e aggiunse con noncuranza: "non più del
solito."
"Ah
bene. Perché mi dicono che stai via sempre più spesso, e non ho potuto
fare a meno di notarlo anch'io."
André si alzò, e camminò fino al pianoforte. Sorridendo, disse:
"Vado solo a distrarmi un po' cavalcando nei campi. Lo fai spesso anche tu, no?"
ed uscì dalla sala fischiettando.
"Oscar, Oscar, ti preoccupi per me, non hai idea di quello che faccio, non hai idea
di quello che ti faccio" mormorò André dopo essersi chiuso la porta alle
spalle. Se Oscar avesse almeno provato a stargli più vicino, a guardarlo con occhi
diversi da quelli dell'abitudine - il solito vecchio André - avrebbe sentito su di lui
profumi estranei. Ma non era così. André restava solo nella sua rivalsa muta, rivalsa
nei confronti di Fersen e , in fondo, anche di Oscar. Cecile gli dava conforto, amicizia,
voluttà, ma lui non poteva ricambiare il suo amore, non come lei avrebbe meritato. Per
quanto si sforzasse di cacciarla dai suoi pensieri, per quanto nei suoi confronti a volte
crescesse anche la rabbia, André non poteva dimenticare Oscar nemmeno per un attimo. Gli
unici momenti di oblìo li trovava sull'erba,in un concerto di gemiti e sospiri tra le
braccia di Cecile, che era così diversa da Oscar e così simile a lui; ma il fantasma di
Oscar era sempre in agguato, pronto a sostituirsi al corpo caldo della contadina.
"Esco, nonna."
"Anche oggi? André, finirò col vederti una volta al mese!" disse l'anziana
nutrice, ma André sellò ugualmente il cavallo e partì spedito attraverso i possedimenti
dei Jarjayes. Cecile però non era al solito posto. D'altronde, non era previsto che si
incontrassero, quel giorno, così André cavalcò fino alla fattoria, ed ebbe la fortuna
di trovare subito la ragazza, che era fuori a dare da mangiare alle galline.
"André! Come mai sei qui? Non è a casa ,Oscar?"
"Sì, è a casa" disse lui, e soggiunse: " ma io ho bisogno di te adesso."
Cecile si guardò attorno nervosa.
"Ringrazia Dio che mio cugino è nei campi con gli altri uomini. Lucien ti
odia."
"Non mi fa paura. E ora non è qui. Ti basta? Ti prego, Cecile
Monta a cavallo,
e vieni via per un po'. Ti riporto io stasera."
"Non c'è il tempo" disse Cecile scuotendo la testa "vieni nel
granaio."
"E se tua madre, o qualcun altro, ci scopre?"
"Non verranno nel granaio. Ed è sempre meglio che sparire un pomeriggio
intero."
Si presero quasi con violenza nella penombra fresca del granaio, in mezzo al fieno
nuovo e odoroso.
"E' qui? E' qui che vieni con tuo cugino?"
"Ogni tanto. A volte andiamo anche dietro alla stalla."
André carezzò ancora il corpo madido di sudore di Cecile, a cui tremavano leggermente le
mani.
"André" sospirò passando le dita tra i capelli di lui "come sei bello. E'
la prima cosa che ho pensato quando ti ho visto, da piccola. E la seconda è stata: com'è
fortunata madamigella Oscar ad averlo sempre accanto
Da allora mi sono sempre
chiesta perché non ti abbia mai ricambiato, André, davvero, mi sembra impossibile fare
altrimenti."
André sorrise amaro.
"Io non me lo chiedo più, ormai. Nel momento in cui si è innamorata, si è
innamorata di un altro; un altro che non può avere. E io passo la mia vita accanto a lei,
ad amarla senza nemmeno poterla sfiorare. Non sai quante volte mi sono trovato da solo con
lei, mi sarebbe bastato usare un po' di forza, e invece non ho mai fatto nulla, nulla di
ciò che qualsiasi altro uomo avrebbe considerato legittimo fare." Cecile lo
abbracciò e disse:
"Amore è toccare e farsi toccare, ma non è solo questo. Oppure io amerei Lucien.
No, André, tu prima o poi avrai Oscar perché è impossibile non accorgersi di te
Sei così dolce. Sei un uomo fuori dal comune e Oscar è una donna fuori dal comune, vi
incontrerete e vi amerete perché non può essere altrimenti."
André provò a guardare in faccia Cecile, e le chiese:
"Perché dici questo? Perché mi auguri una vita con Oscar, proprio ora che sono con
te?"
Stavolta fu il viso di Cecile ad essere solcato da un sorriso triste, da donna matura che
ha già visto abbastanza per capire la vita.
"Tu non le hai forse augurato, per amor suo, la felicità, qualsiasi cosa volesse
dire, foss'anche Fersen? Per me è lo stesso. Non mi importa di perderti se può farti
felice. Alla fine, si teme più di perdere ciò che non si ama."
André la strinse forte, con gli occhi gonfi di lacrime, mormorando:
"La mia cara Cecile. La mia cara, piccola Cecile. Ti ringrazierò mai
abbastanza?"
"Amami ancora. Fino alla fine dell'estate. E' l'unica richiesta che ti faccio."
"Siamo già in agosto pieno. Manca poco, Cecile."
"Lo so."
Si amarono di nuovo, con più dolcezza, lentamente, e quando André tornò a casa, al
tramonto, si chiese se fosse giusto finire così la storia con Cecile. Sapeva bene cosa si
provasse, a desiderare senza avere. Ma sapeva anche che continuare a stare con lei sarebbe
stato solo un bellissimo inganno a cui però nessuno dei due avrebbe creduto: si rendevano
conto entrambi che André Non amava Cecile allo stesso modo in cui lei amava lui.
"E' di umore sempre più malinconico, il mio André. Finirà con l'ammalarsi"
commentò nonna Grandier assieme al generale Jarjayes, che disse:
"Io non mi preoccuperei più di tanto. André è giovane, sono
sono periodi che
si passano." Oscar, lei era preoccupata, ma non disse nulla; pensava di non avere
semplicemente il diritto di intromettersi nella vita dell'amico.
(qualcuno avrebbe detto che le città antiche, d'autunno, sembrano perdere ogni
contatto con la realtà; ma quell'anno anche la campagna assunse l'aspetto di un sogno
soltanto ricordato)
"Questa è stata l'ultima volta, André. Guarda: le foglie cominciano a
cadere."disse Cecile, seminuda, abbandonata contro il tronco della quercia. Il vento
era tiepido, le ombre lunghe e lei cominciava ad avere freddo. Si rivestirono con calma,
mentre le capre belavano sommessamente.
(il fascino triste delle cose che finiscono presto)
"Ti ricorderò sempre" continuò Cecile "ma a questo punto è
inevitabile lasciarsi. Ci sono strade diverse davanti a noi che è giusto seguire. Il
mondo stesso sta cambiando. Mio padre, mio fratello, mio zio
vanno a delle riunioni,
in una chiesetta qui vicino, dove si discute della miseria del popolo e della
Francia
Lo stanno capendo tutti. Niente sarà più come prima."
"Cosa intendi dire?" chiese André. Cecile fece come per ridere, ma non era
dell'umore.
"André, la gente come me non è che carne da macello. I miei
dicono che il
governo non se ne cura, del popolo. Dicono che siamo in tanti a spaccarci la schiena per
pochi privilegiati, come se non esistessimo, come se fossimo delle bestie."
Cecile fissava nel vuoto, assorta, e André non sapeva cosa dire, allora la baciò
un'altra volta e restò a guardarla a lungo. Infine, disse:
"Addio, Cecile. Ci ritroveremo, e ricorderemo questi giorni come l'inizio della
felicità di entrambi."
"Voglio sperarlo. Lo voglio assolutamente", disse Cecile abbracciando André.
(ed era così triste così stanco pensare al futuro)
Quando fu cacciato da casa, già da tempo i
Lagonelle sapevano che Lucien costringeva Cecile a stare con lui, con le buone o con le
cattive. Ma che lei restasse incinta, quello fu troppo; e non valsero a nulla le accuse
che lui rivolgeva ad André Grandier.
"Io non ho mai visto nessun Grandier mettere le mani addosso a mia figlia come hai
sempre fatto tu!" ruggì Lagonelle padre; e anche suo fratello, il padre di Lucien,
era d'accordo. Quel figlio dava problemi; lavorava, ma dava problemi.
Così Lucien Lagonelle partì per Parigi in cerca di fortuna, e nessuno lo vide più.
Cecile tirò un sospiro di sollievo quando il cugino se ne andò. Il figlio che portava in
grembo, lo sapeva con certezza, era di André, ma non ne avrebbe mai fatto parola con
nessuno. Pazienza se nacque proprio con quegli occhi verdi che solo il padre poteva avere.
Forse la famiglia capì, forse fece finta di non farci caso, per il sollievo di aver
mandato via Lucien. Non importava se il piccolo Paul somigliava tremendamente a
quell'André che vedevano sempre alle riunioni nella chiesa. Non gli dissero mai nulla, e
lui morì senza sapere dell'esistenza del suo unico figlio, che intanto cresceva, solo
oggetto dell'amore sconfinato della madre. Era un bambino tranquillo, al massimo un po'
malinconico.
*Fine*
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