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Città nascoste

TDM#67-Mag 2000

 

Chi vola sul nido?

 

di Massimo Acanfora

Il nido è pieno. E intorno è tutto un volare di piume, di mamme e papà impegnati a trovare un buco libero per i propri piccoli. Questa è la situazione dei servizi per la prima infanzia, cioé per i bimbi da 0 a 3 anni in Italia, soprattutto nelle grandi città e nel meridione. Le cifre parlano da sé. Mentre nella fascia da 3 a 6 anni la scuola materna copre l'86 per cento del fabbisogno, l'offerta degli asili nido ne soddisfa solo l'8 per cento. Gli asili nido autorizzati in Italia sono in tutto 2180, di cui la maggior parte gestiti dai comuni.

A Milano e Roma, centinaia di bambini sono rimasti finora ogni anno in lista d'attesa. A Milano su 7600 iscritti alle graduatorie, 2400 sono restati fuori all'inizio dell'annata, e 1600 aspettano ancora, nonostante l'amministrazione abbia reperito 43 posti in convenzione in stutture private e aumentato la capienza delle proprie fino al 20 per cento. E meno male che la domanda potenziale, più di 20 mila pargoli, è rimasta tale. A Roma, dei 66 mila bambini "0-3", 11.463 hanno fatto domanda ma solo 4000 circa hanno trovato posto.

"La domanda è in crescita -spiega Marco Pietripaoli, esperto per l'infanzia del Sistema Imprese Sociali, consorzio milanese di cooperative sociali- ma soprattutto tende a diversificarsi per le esigenze e per gli orari. E' forte per tutti l'esigenza di permettere ai bambini di socializzare in luoghi meno angusti delle case private. La pedagogia del resto ha riconosciuto da tempo l'importanza educativa di un luogo diverso da quello familiare e più ricco di stimoli. L'introduzione massiccia della flessibilità nei luoghi di lavoro è un altro elemento chiave: le strutture, se possono, devono adattarsi e diventare altrettanto elastiche".

E' proprio la "flessibilità" di orari e formule il punto di forza dei nidi privati, come dimostra una ricerca poco conosciuta del settore Statistica del comune di Milano e, secondo l'opinione degli utenti, il punto più debole degli ottimi ma esigui asili pubblici, che scontano anche una certa rigidità sindacale sugli orari di lavoro.

E chi rimane fuori? Se le reti informali (nonni, zii, vicini di casa) o semi-informali (banche del tempo) non li assistono, i genitori lavoratori si rivolgono ai nidi privati, un lusso che non tutti però si possono permettere. Le rette a frequenza piena degli asili in regola con standard strutturali e gestionali non scendono mai, salvo poche eccezioni, sotto il milione di lire al mese.

Verrebbe da dire che aprire una struttura per l'infanzia è un affare. Al tempo. Gestire un nido è ben più complicato di mettere insieme due tavolini e un peluche. Tanto per rendere l'idea: un bambino costa al comune di Milano da 1,6 a 1,7 milioni di lire, mentre la retta media viaggia intorno alle 350 mila lire. Ma in una struttura "imprenditoriale" spese e ricavi devono almeno fare pari e patta.

La strada di Pietripaoli è ben segnata: "Chi apre un servizio privato per i più piccoli oggi -e la cooperativa sociale è sicuramente la forma più adatta- deve offrire, oltre al nido a tempo pieno, operatori di qualità e locali adeguati, anche una tipologia di servizi differenziata, come Ludoteche e Tempi per le famiglie, nonchè modalità innovative. Far partecipare e addirittura far diventare socie le famiglie stesse, ad esempio, dà la possibilità di condividere obiettivi e progettazione, e combattere l'isolamento dei nuclei familiari". Niente di più facile che all'interno di un servizio di questo tipo nasca una "banca del tempo" dove i genitori scambiano tra loro ore di cura dei bambini con altri servizi e completano così gli orari coperti dalla struttura.

Non fate i bambini: mettete su un asilo

Facciamo il nido. Se siete un gruppo di donne (o di uomini con un certo istinto paterno) potete provare ad aprire un servizio per la prima infanzia. Nella nostra finzione siamo in Lombardia. Prima di tutto bisogna aver chiaro che tipo di organizzazione si vuole strutturare: la forma più adatta dal punto di vista "imprenditoriale" è senz'altro la cooperativa sociale di tipo A. Ma nulla vieta di essere semplice associazione. In un caso e nell'altro ci si può far dare una mano da consorzi di cooperative, che spesso fanno da "incubatori" d'impresa, covando l'uovo del vostro nido o in linguaggio tecnico, curandone l'avvio.

Una struttura è necessaria, ma quale? Se pensate di non fare servizio mensa, di aprire un servizio per meno di 5 bambini e tener aperto per 5 ore al massimo evitate la pratica di "autorizzazione al funzionamento". Se invece volete una struttura a tutto campo dovete tener conto che dovrà soddisfare i requisiti stabiliti nel piano socio-assistenziale.

Per la ricerca di una strattura a costi non proibitivi potete informarvi se le pubbliche amministrazioni mettono a disposizione strutture scolastiche sottutilizzate, interpellare gli enti ecclesiali, le piccole fondazioni, i consigli di zona.

Sarà la Provincia ad autorizzare il funzionamento della struttura: dovrete aver gli impianti a norma, soddisfare le esigenze della legge 626 sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, requisiti di accessibilità, materiali e soprattutto spazi: il bagno per bambini, una cucina a norma, lo spazio esterno e così via. Tempi: 6-9 mesi.

La Asl uscirà a verificare la conformità a standard funzionali e igienici e sanitari. I vigili del fuoco faranno altrettanto. L'altro standard a cui porre attenzione è quello gestionale: 1 educatore (che lavora 7 ore al giorno) ogni 5 iscritti con meno di un anno e uno ogni otto per i più grandicelli. Un cuoco e un ausiliario ogni 15 bambini completano il quadro. Per 4 ore alla settimana dovrà esserci un pediatra. Uno di voi dovrà fare un corso come responsabile della sicurezza.

Se siete un'azienda potete scegliere di avere tra di voi un esperto di contabilità e amministrazione o di associarvi a un consorzio che le curi per conto vostro. Va bene, ma quanti soldi ci vogliono? Dipende dalla struttura, e dalla vostra decisione di far un nido tradizionale o pensare a servizi alternativi, come ludoteche, "Tempi" per le famiglie, i micro-nidi.

Una struttura per un nido di medie dimensioni, se non è in comodato gratuito o uso può costare 50 milioni di lire l'anno, un'educatrice a tempo pieno, lavoratrice dipendente una quarantina di milioni di lire l'anno, molto meno se con un contratto di lavoro parasubordinato. Poi ci sono arredi e impianti (da ammortizzare), materiali didattici, fornitori, consulenze esterne. A questo punto vorrete un prestito. Alcuni consorzi hanno una loro linea di finanziamento, Banca Etica e le Mag finanziano progetti di terzo settore. Quali le sovvenzioni a fondo perduto? Le leggi di riferimento sono la 285/97 per le attività per l'infanzia, la 16/92 per il finanziamento delle cooperative sociali (specie il primo anno di vita), e la 215/92, legge di finanziamento per l'imprenditoria femminile, oltre ai finanziamenti una tantum che Regione e Comune offrono talvolta per progetti specifici.

E alla fine chi ce la fa, senza chiedere rette stratosferiche (di solito da un milione di lire in su)?

Chi riesce ad abbattere alcuni costi in particolare quelli della struttura. Chi riesce a convenzionarsi almeno per una parte dei bambini con il Comune di riferimento. Chi vince un appalto per la gestione di un servizio pubblico. E soprattutto chi è bravo a differenziare i servizi e a renderli, nello spirito della nuova legge flessibili e adeguati alle esigenze delle famiglie.

Piccole leggi crescono

Gli asili nido sono i neonati tra i servizi per l'infanzia. Solo nel 1971 una legge, la 1044, ne ha regolato il funzionamento, delegando agli enti locali l'emanazione di norme d'attuazione. Un nuovo impulso è stato dato dalla legge Turco 285 del 1998, che prevede tra l'altro piani territoriali triennali a progetti di sostegno dell'innovazione e della sperimentazione di strutture, con la presenza di genitori e di nidi aperti cinque ore al giorno al massimo.

Il nuovo disegno di legge denominato "Norme per lo sviluppo e per la qualificazione del sistema di servizi per la prima infanzia", ha accorpato diverse proposte ed è ora fermo alla XII commissione Affari Sociali della Camera. Una legge all'insegna della diversificazione: dei tempi d'apertura, delle formule di frequenza ai nidi e della complementarietà dei servizi: oltre alle strutture previste dalla legge Turco, Regioni e Comuni agevoleranno le iniziative di famiglie riunite in associazione che organizzino servizi autogestiti. Inoltre, altra novità, i Comuni potranno prevedere l'attivazione di servizi educativi sia presso il domicilio delle famiglie che presso quello degli educatori. Le regioni dovranno garantire la partecipazione delle famiglie alle scelte educative e stabilire criteri per gli indicatori di qualità dei servizi per la prima infanzia. I Comuni saranno competenti ad autorizzare i servizi e all'accredito per accedere ai finanziamenti pubblici. 300 miliardi di lire da spendere nel periodo 2000-2002. Della proposta dà un parere positivo Giovanna Faenzi, dell'autorevole Istituto degli Innocenti di Firenze: "È una legge che prende atto di novità spontanee dei servizi, cerca di adeguarsi alle esigenze reali delle famiglie.

Apre a modelli finora senza riconoscimento come i nidi domiciliari. Poi prefigura un'area di sperimentalità con condizioni minime di standard di personale e ambiente e garanzie fissate dai sistemi di controllo di qualità". Ma la proposta di legge non è l'unico provvedimento allo studio. La "legge quadro" che dopo più di 50 anni di attesa regolerà l'assistenza istituirà buoni servizio da spendere nei servizi per la prima infanzia e soprattutto la possibilità di detrarre dalle tasse i costi sostenuti per la cura dei bambini. Un modo per far uscire dal "nero" servizi come il baby sitting.

A livello locale, in Lombardia la legge 23 del 1999 punta tutto sul principio di sussidiarietà, promuovendo la gestione di servizi da parte di associazioni di famiglie e banche del tempo e agevolando la ricerca di persone che accudiscano bambini a domicilio o l'apertura di nidi presso le imprese. 20 miliardi di lire, gestiti dalla Asl -di nomina regionale- che potrebbero cadere a pioggia su chi avrà presenterà progetti entro l'11.7.2000. Se era una legge "elettorale" ha funzionato.

Quando la retta ti va storta

Siete in attesa di un bambino? Ecco la trafila che vi aspetta.

A Milano i nidi pubblici sono 94, 16 i micro-nidi, strutture più piccole e agili e 12 i Tempi per le famiglie, luoghi dove genitori e bambini possono socializzare in uno spazio comune. Per sperare di far entrare il nascituro in una struttura comunale bisogna rispondere a precisi requisiti. E' imprescindibile, ad esempio, risiedere nella zona e lavorare entrambi. Assegnano punteggio anche particolari condizioni socio-economiche e territoriali, l'invalidità di un genitore o la disabilità del piccolo, la presenza di altri figli tra 0 e 6 anni e così via. A parità di punteggio viene preferito chi ha il reddito più basso. La domanda va presentata tra maggio e giugno. Ma quanto costa? La fascia più economica oggi costa 200 mila lire al mese (tre volte in più rispetto al '97), la più cara 900 mila. Cifra comunque minore delle rette (per lo più unificate) dei nidi privati. Nidi gratuiti? Ad esempio per famiglie (di tre persone) con meno di 19 milioni di lire di reddito lordo annuale. Le liste d'attesa durante l'anno "scorrono" e i bambini vengono inseriti pian piano. Sulle carenze del servizio punta il dito "Chiedo Asilo", associazione di genitori. A Milano -sostengono-, a parte la cronica mancanza di posti, lo sviluppo delle strutture alternative al nido è lento, nonostante i finanziamenti della legge 285 del '97. Il settore educazione ha peraltro usato solo 2 miliardi di lire, dei 20 assegnati a Milano perchè gli altri sono stati usati soprattutto per le situazioni di disagio, mentre la legge 285 punta soprattutto su prevenzione e "normalità". Inoltre lamentano che il criterio del reddito nella compilazione delle graduatorie risulti di difficile controllo, visto che è affidato solo all'autocertificazione. Il comune risponde che ha all'attivo il "piano di espansione" nidi che ha fruttato l'aumento della capienza delle strutture del 20 per cento e che i due miliardi di lire arrivati dalla 285 sono serviti a far salire a 12 i "Tempi per le famiglie", con l'obiettivo di aprirne uno per zona. Precisando che l'autocertificazione è un diritto.

Sempre a Milano una delibera promossa solo per il '99 da Ombretta Colli, ex assessore ai Servizi sociali, concedeva 1 milione di lire al mese per due anni a favore di 200 neogenitori o giovani sposi con un reddito sotto i 32 milioni di lire l'anno, uno dei due residente a Milano da almeno 15 anni: titolo preferenziale la rinuncia al nido pubblico. Un incentivo ambiguo che comunque non è stato necessario: i richiedenti sono stati solo 130. Informazioni per i nidi: tel. 02-29.50.42.17

A Roma c'è poco da giubilare: gli 8150 posti non sono sufficienti a coprire la domanda. Tuttavia l'assessorato alla "Politiche per la città delle bambine e dei bambini" sta sperimentando l'idea di usare strutture già esistenti e di stipulare a questo scopo convenzioni con un ministero e un'azienda ospedaliera, riservando una quota dei posti ai dipendenti di tali enti. 8 miliardi di lire sono stati invece investiti in strutture alternative, in via d'inaugurazione: "micro-nidi", piccole strutture affidate a privati sotto la supervisione dell'amministrazione e spazi-gioco "B.e" e "B.i", per fasce di 5 ore al giorno al massimo. Le graduatorie vengono formate, alla fine del mese di maggio, in base a una documentazione, stabilita dalla circoscrizione, che comprende tra l'altro l'ultima dichiarazione dei redditi e la dichiarazione del datore di lavoro di entrambi i genitori che attesti l'ubicazione del posto di lavoro e l'orario di servizio. Le rette sono differenziate per fasce di reddito ed orarie (tempo pieno o part-time): da 102.400 lire a un massimo di 360 mila lire. Info: tel. 06-67.10.40.70.

A Genova gli asili nido sono 32, più le strutture convenzionate. Un totale di 1275 posti che non esauriscono neanche in questo caso le graduatorie.

A decidere sull'inserimento è un comitato di gestione, composto da genitori, responsabile territoriale e da altre componenti presenti in ciascun nido e che ha il potere di aggiungere, ai criteri del reddito e del lavoro dei genitori, e agli altri stabiliti dal Comune e che danno un punteggio, fino a 6 criteri propri, che determineranno insieme agli altri la graduatoria.

Le rette sono divise in fasce: le famiglie che guadagnano più di 20 milioni di lire pro capite pagano 527 mila lire al mese, chi ha un reddito da 14 a 20 milioni di lire spende 365 mila lire al mese. E così a scendere fino alla retta minima di 137 mila lire e all'esenzione totale per redditi inferiori a 2,2 milioni di lire a testa l'anno. E' possibile anche frequentare part time. Info: tel. 010-55.77.355.

L'importante è partecipare

"L'infanzia riguarda tutti". Comincia così l'incontro con Franca Covini del Consorzio di cooperative Gino Mattarelli, il più grande in Italia. E' responsabile di Demetra, progetto finanziato dall'iniziativa comunitaria NOW, che ha come obiettivo la nascita di cooperative sociali in grado di offrire servizi per la prima infanzia innovativi, flessibili e con l'ampia e attiva partecipazione delle famiglie.

"Per adempiere questa 'mission' -spiega Franca Covini- abbiamo formato 24 agenti di sviluppo, donne con un elevato profilo profesionale, capaci di aiutare a decollare chi vuole aprire un servizio per la prima infanzia. E 116 donne disoccupate, preparate a far da operatrici in tali servizi".

Dov'è la novità? Le imprese sociali in questo progetto devono diventare veri laboratori di cittadinanza attiva, in cui famiglie e associazioni di famiglie partecipino realmente alla progettazione e alla gestione dei servizi, nidi, ludoteche, nidi condominiali e familiari, spazi gioco. Un esempio di partecipazione lo racconta la responsabile del Centro Infanzia "La nave" di Firenze, che vede nella sua compagine genitori che fanno a turno, in compresenza con gli operatori, nel condurre le attività educative. "Un successo -racconta-, visto che genitori ed educatori danno il meglio di sé. Il genitore porta dentro il servizio le sue competenze, come suonare uno strumento e speso riesce ad accettare meglio l'ansia del distacco dal figlio".

"Un'altra frontiera -prosegue Franca Covini- è quella dei nidi familiari, piccoli gruppi che vengono accolti in un ambiente con una buona abitabilità. Ma è importante che questi servizi siano in rete e la cooperativa che li gestisce fornisca costante supporto, consulenza e supervisione, per evitare i rischi del lavoro nero e dell'isolamento". La presenza nelle compagni sociali delle cooperative dei cosiddetti "portatori di interessi", operatori, famiglie, rappresentanti della comunità, è del resto la miglior verifica di qualità.

Franca Covini insiste sul concetto: "Demetra vuole ottenere una 'certificazione di buone prassi', una sorta di marchio: ovvero che la gestione dei suoi servizi venga ufficialmente riconosciuta come corretta e qualitativa. Un requisito indispensabile per accedere all'accreditamento e alle convenzioni con gli enti pubblici".

Un altro aspetto della filosofia "di rete" che gli agenti di sviluppo dovranno sperimentare è quello di poter usufruire delle risorse di tutte le cooperative federate: eccessi di liquidità, patrimonio immobiliare e mobiliare, conoscenze ed esperienze.

La flessibilità resta un punto focale nei servizi innovativi per l'infanzia: a "L'altro nido" Spazio-gioco della cooperativa Coesa di Milano hanno studiato addirittura delle tessere orarie da spendere in un periodo definito, per genitori con impegni orari diversificati: ad esempio 70 ore, da centellinare in 4 mesi, costano 470 mila lire.

Bimbi cercansi per casa vuota.

Germania e Olanda: domanda e offerta si incontrano.

L'agenzia Kinderbüro la inventa la sociologa Gisela Erler e il suo scopo è trovare soluzioni di custodia per i bambini i cui genitori siano impiegati di grandi aziende, con le quali l'agenzia stessa conclude accordi. La prima partnership è stata stipulata con la Bmw nel 1992. Kinderbüro mette in contatto domanda e offerta, propone attività di gruppo con i bambini e aiuta le famiglie a creare strutture per l'infanzia. In pochi anni ha creato centinaia di posti di lavoro.

In Olanda l'asilo è di casa: nel Paese è frequente il lavoro flessibile, specie tra le donne, che spesso lavorano part-time. Quando i figli vanno via di casa, molto prima dei coetanei italiani, capita che donne di 40-50 anni si trovino con camere vuote e tempo libero. E' così l'amministrazione ha l'illuminazione. Con un contributo permette a un'associazione che lavora sul territorio di stipendiare una persona che faccia da tramite tra domanda e offerta, tra donne ospitanti e famiglie richiedenti. Si occupa di fissare il prezzo, di formare le donne e di verificare la qualità degli ambienti. I micronidi hanno diversi vantaggi: sono situati spesso nel condominio o nell'isolato dove vivono le famiglie, hanno un costo irrisorio per l'amministrazione pubblica e le transazioni sono tutte esenti da tasse, in modo che non esista il "nero".

Tutti i colori del giardino

A Milano ormai il 13 per cento degli "implumi" da nido è straniero. Al "Giardino", ad esempio, nei lettini riposano bambini di tutti i colori, di ben 8 nazionalità.

"Questo è un nido privato pensato per bambini di famiglie in difficoltà -spiega la responsabile- dove accogliamo italiani e stranieri, anche senza permesso di soggiorno".

Già, anche perchè l'Avvocatura del Comune di Milano ha sentenziato che i bambini extracomunitari devono avere almeno un genitore con permesso di soggiorno. Niente permesso, niente asilo. Gli altri frequentano se ne hanno i requisiti i nidi pubblici. "I problemi dei bambini stranieri sono spesso legati al linguaggio, ma anche alle condizioni socio-economiche delle famiglie. Chi può paga 200 mila lire di retta, gli altri genitori danno una mano come possono". Il Giardino si sostiene anche grazie ai contributi della Croce Rossa e all'ospitalità della Fondazione Cassoni.

 

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