TDM#12-Nov
1995
I bambini
fantasma dei semafori
di Umberto
Di Maria
I genitori
sono a un migliaio di chilometri di distanza. Consapevoli e
spesso complici delle organizzazione alle quali i loro figli
sono stati affidati. In piazza della Repubblica o in Porta
Nuova, a Milano come in altre città della penisola, i
ragazzi ci sono arrivati percorrendo le autostrade dei
clandestini. Quelle che solcano l'Adriatico e congiungono la
Puglia all'Albania con i motoscafi. Per arrivare poi a
destinazione si sono affidati all'astuzia. "Basta
arrampicarsi sul tetto del treno", come dice uno di loro,
Victor, e nessun controllore ti verrà mai a cercare.
Ma l'organizzazione costa; per arrivare ai semafori milanesi
con i vestiti tagliati di proposito c'è chi ha pagato
anche un milione di lire. Le mille lire, ma più
spesso le cento, che riescono ad accattonare dagli
automobilisti fermi ai semafori servono per pagare chi li ha
portati qui, in mezzo all'Europa. Oppure per tornare in
Albania con un gruzzolo sufficiente per campare una famiglia
intera. Artur è quello di piazza Bolivar, Victor
insieme al fratello sta in piazza Piemonte, Claude e Sergio
in via Monte Ceneri e piazza Napoli. Poi tanti altri volti
senza nome. Sul loro numero la magistratura e la Polizia non
si sbilanciano. A maggio durante una retata ne sono stati
bloccati 35, il più grande sedici anni il più
piccolo otto. Per avere un'idea di quanti siano, "Terre di
mezzo" ha fatto il giro della circonvallazione milanese: ne
abbiamo contati 32 in una mattina. Tutti adolescenti senza
sorriso, diventati grandi abbastanza per riuscire a
sopravvivere grazie al rosso del semaforo. "Io non ho pagato
nulla - dice Victor, 16 anni, carnagione scura ma
biondissimo - conoscevo il capo del motoscafo". Il padre
è un agricoltore e la madre lavora alle poste di
Lushnja, una cittadina a un centinaio di chilometri a
sud-ovest di Tirana. E' arrivato a Milano una decina di
giorni fa. E' il più grande di cinque fratelli, le
più piccole sono femmine. L'italiano lo ha imparato
dalla televisione. In Albania le reti italiane si ricevono
benissimo. Di notte dorme in piazza Napoli; sulle panchine,
se c'è sereno, o sotto le macchine se piove. Guadagna
14-15 mila lire al giorno; almeno così dice. La
storia di Artur e di suo fratello in piazza Piemonte
è simile. Tredici anni lui e dodici il fratello:
anche loro dicono di guadagnare "14-15 mila lire". La
mattina alle sei si svegliano in piazza Brescia sotto un
cespuglio che li ripara dal sole ma non dalla pioggia. Il
supermercato di via Washington è la loro mensa.
"Cola, dolce, pane" questa la spesa di Artur. Ne abbiamo
visti entrare quattro al supermercato. Sono usciti con un
pollo arrosto, un litro di latte, una fetta di formaggio e
del pane da dividere dopo una giornata di lavoro. Ma, conti
alla mano, 14-15 mila lire non bastano, non rimane niente
per cui valga la pena restare a fare questa vita. Le
risposte di Claude e Sergio sembrano ricalcate con la carta
carbone da quelle dei loro compagni di sventura: "14-15 mila
... Tirana ... amico, motoscafo". Tutto coincide. Nulla
trapela. Nessuna organizzazione, nessun adulto, soli ma
solidali. Fantasmi. La notte per andare a dormire si
dividono in gruppetti. Alcuni li abbiamo seguiti fino ad una
casa abbandonata nelle stradine laterali di via Novara,
dietro piazzale Lotto. Una casa annerita dal fumo e umida
anche dall'esterno. Oppure si sdraiano sotto la sopraelavata
della tangeziale est che passa sopra via Corelli. Come
dirimpettai nella navata a fianco hanno i magrebini
sfrattati dal centro di prima accoglienza. Albanesi e
magrebini, si guardano senza salutarsi, nemici nella
sventura ognuno a difendere un posto dove dormire in santa
pace. Finché riescono a non farsi identificare la
loro permanenza in Italia è garantita. Rischiano al
massimo che la Polizia li fermi e che in attesa del
rimpatrio li destini ad una comunità alloggio
convenzionata con il Comune. "E' difficile identificarli -
spiega Patrizia Presutti, responsabile del Pronto intervento
minori del settore servizi sociali del Comune di Milano -
sono tutti senza passaporto. Stamattina la Polizia mi ha
segnalato un altro minore albanese. Era lo stesso già
fuggito quattro volte. Ogni volta dà
generalità diverse. Oggi veniva da 'Jugex', che
è la contrazione di ex-Jugoslavia". Dicono di essere
della Bosnia-Erzegovina perché sanno che in questo
caso hanno diritto al permesso di soggiorno per ragioni
umanitarie. Ma senza passaporto non si può chiarire
la provenienza e rimangono senza identità anagrafica:
unica destinazione le comunità. Sono dieci le
comunità alloggio convenzionate con il Comune di
Milano. In totale mettono a disposizione del pronto
intervento 65 posti letto per 365 giorni l'anno (che costano
dalle 120 alle 200 mila lire al giorno all'amministrazione
comunale). Ma non bastano; in soli sei mesi quest'anno i
minori albanesi segnalati e bloccati sono stati 149. Tra di
loro anche ragazze portate qui per prostituirsi a suon di
botte forse dalle stesse organizzazioni che sfruttano i
maschi ai semafori. "Scappano - racconta Alessandro Carbone,
psicologo dell'Asilo Mariuccia, una delle comunità
alloggio milanesi -. Gli adulti dell'organizzazione si fanno
vedere in giro e loro si volatilizzano. Usano le
comunità per mettersi in ordine, per fare una doccia,
prendere i vestiti nuovi e mangiare un po'. Hanno come un
compito da portare a termine, devono lavorare per tornare a
casa". Ma l'esperienza in comunità comunque permette
a questi ragazzi, di riprendersi i loro diritti di
adolescenti, compresa la spensieratezza: "Quando sono qui -
continua Carbone - scherzano, giocano con gli altri e fanno
i capricci, smettono di fare gli adulti come qualcuno gli ha
insegnato e si divertono". Il 35 per cento scappa dalla
comunità: "Quelli che scappano devono rendere conto a
qualcuno - spiega Carbone - quelli che restano si sentono
protetti".
Turno
dalle 7 alle 20 a bussare ai
finestrini
"Anch'io ...
cane". E intende dire che anche lui ha un cane. Lo accarezza
in un giardino mentre addenta una pezzo di focaccia. Il cane
di cui parla è quello da pastore che ha lasciato
nelle campagne di Poshnja in Albania, dove è nato.
Quell'animale, più di lui, vive con una famiglia di
fatto. A Marcovic, quindici anni compiuti a giugno, è
toccato invece venire in Italia, al semaforo in piazza
Piemonte dove tutti i giorni dalle 7 alle 20 continua a
bussare ai finestrini. Febbre, vento, caldo o nebbia non
cambiano le sue giornate. Fa questa vita da maggio. E' stato
uno dei primi ad arrivare. Sua madre e suo padre "... lavora
terra..." per campare una famiglia di cinque figli (tre
femmine e due maschi) dove il più grande è
lui. Si mette a posto i capelli ondulati e sta seduto,
calmo. Le mani grandi. Ciondolano le gambe dalla panchina.
La voglia di parlare non gli manca, si vede dagli occhi
neri, curiosi e attenti. Ma il suo italiano non è
sufficiente a far comprendere sensazioni e paure. "... amico
motoscafo..." è la spiegazione del suo arrivo. Un
viaggio che dice di non aver pagato. Ma è la versione
ufficiale: nessuno di questi ragazzi dirà mai che la
famiglia lo ha affittato, o che ha pagato l'"amico" per
portarlo qui. L'"amico", conosciuto dalla famiglia e stimato
nella zona, si è presentato un giorno in casa per
spiegare che in Italia si guadagna bene facendo lavorare i
ragazzi. Ma non ha spiegato in cosa consisteva il lavoro o
almeno Marcovic non lo aveva capito. Una volta qui non ha
battutto ciglio e si è messo ad elemosinare. Un
desiderio da bambino gli è rimasto: avere una
bicicletta. Per il resto non ha altre richieste. Preferisce
stare qui e dormire in una stanza di una casa abbandonata in
via Novara, fredda e sporca, da dividere con altri cinque,
piuttosto che tornare e vivere una vita che già
conosce e senza variazioni sul tema. Marcovic è un
ometto per l'attenzione che mette alla realtà.
Fidanzate? "No ... io sono piccolo ancora".
Noleggiati
o venduti. Dai genitori
Che a Milano
sia in atto una spartizione del territorio tra
organizzazioni criminali albanesi non ci sono dubbi. Fabio
Roja, magistrato milanese a capo del pool contro i
maltrattamenti, ha messo in programma a novembre tre retate.
Alcuni elementi di verità però sono già
venuti a galla: "Questi ragazzi sono venuti con
l'approvazione della famiglia - spiega Roja -. Abbiamo
informazioni sulla vendita dei minori da parte dei genitori.
I ragazzi vengono 'noleggiati' e la famiglia percepisce una
percentuale, o venduti per cifre che vanno dal milione fino
ai cinque milioni". Sul fronte delle indagini il pool non
ottiene una valida collaborazione dalle autorità
albanesi anche se l'ambasciata di Roma si è messa a
disposizione della magistratura. Le indagini in città
sono rallentate dalla lingua e dall'impossibilità di
appostamenti permanenti. I ragazzi infatti vengono spostati
spesso ed è difficile seguirne le tracce. A
sottolineare la gravità della situazione è
stato costituito un tavolo di lavoro in Prefettura al quale
collaborano la Procura presso la Pretura, la Procura
minorile, il Tribunale dei minori oltre a Polizia,
Carabinieri e Polizia municipale.
Quanto
rende tendere la mano? Alle volte anche uno
schiaffo
In Via Elba
il rosso per le macchine dura 18 secondi. La tecnica giusta
per tempi così ridotti è quella di passare in
mezzo alle due file. In questo modo il ragazzo albanese
riesce a risalire circa 15 metri di fila e a bussare a una
decina di macchine ad ogni semaforo rosso. Dalle 15 alle
19.30 ha guadagnato più o meno 33 mila lire
respirando un'aria satura di polvere e gas di scarico. In
una giornata sale e scende la fila di macchine più di
500 volte e senza accorgersene percorre 15 chilometri.
L'unica cosa che è riuscito a distrarlo è lo
skate-board di una ragazzo che avrà la sua
età. Ha fissato quella tavola su rotelle finche non
è scomparsa dalla sua visuale. Una signora gli ha
dato addirittura 5 mila lire e lo fa sorridere. Qualcuno
invece ha preferito tirargli uno schiaffo dal finestrino di
un furgone. Forse l'automobilista pensava che comunque nella
vita c'è sempre qualcosa per cui soffrire. Non si sa
perché. Gli automobilisti hanno anche delle tattiche
anti semaforisti. Una biondona con la sua Mini marrone si
ferma a circa dieci metri dal semaforo e quando il ragazzo
gli si avvicina accelera. Lui si era già sporto in
avanti e lo spigolo della macchina gli prende in pieno la
faccia. Niente scuse. Tende la mano al finestrino di un
furgone e da dentro il ragazzo al volante si mette le mani
in mezzo al cavallo alzandosi. Poi ci sono gli insulti:
quelli garbati "vai via", quelli più duri "togliti
dai coglioni", i soliti "siete in troppi". C'è chi fa
domande: "da dove vieni" ma in cambio non dà nulla.
In quattro ore e mezzo si è spostato dal semaforo per
andare alla toilette pubblica e per bere alla fontana. Una
pausa l'ha fatta per mangiare una manciata di castagne che
uno al volante di un Fiorino Fiat gli ha dato. Il resto
è lavoro.
Il prezzo
della libertà
L'organizzazione
è invisibile. Ma un segno della sua esistenza
è l'ordine. I ragazzi sono tutti ben distribuiti ai
semafori della città senza mai litigare o
schiacciarsi i piedi uno con l'altro. Nessuno di loro
dà informazioni e quello che si lasciano scappare
è uguale per tutti: città di provenienza,
14-15 mila lire di guadagno, sbarco in Italia sul motoscafo
di un amico. Anche i vestiti sono indicativi: attorno a
marzo, quando questi ragazzi sono comparsi in forza in
città, giravano scalzi (nonostante il freddo) e con
gli abiti a brandelli. Ma un occhio attento avrebbe
riconosciuto i tagli realizzati ad hoc con lamette da barba,
per dare un'immagine ancora più penosa di miseria.
Poi, dopo la prima retata, i ragazzi sono riapparsi, un po'
più in ordine, meno scalzi e laceri. Un tale lavoro
deve valere comunque la candela. Con 14-15 mila al giorno,
come dichiarano i ragazzi, non si riesce nemmeno a mangiare.
Ad alcuni ragazzi fermati durante le retate sono state
sequestrate delle buste di plastica (con un po' di
attenzione è facile identificarle nascoste da qualche
parte vicino) con dentro 80 mila lire, ed era solo
mezzogiorno. La rendita dell'accattonaggio può
arrivare a 200 mila lire al giorno per ragazzo. Molto
dipende dalla zona. Della somma guadagnata il 60 per cento
rimane all'organizzazione e il 40 per cento va alla
famiglia. Ogni ragazzo deve "fruttare" dai 12 ai 15 milioni.
E il tempo previsto per la permanenza in città non
supera i sette, otto mesi. L'esercito dei piccoli albanesi
ha delle regole ferree che nessuno di loro si permette di
infrangere: lavoro dalle 7 alle 20-22 e non parlare mai
dell'organizzazione, piuttosto fingere di non conoscere
l'italiano, altrimenti botte.
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