TDM#04-Mar
1995
Sogni da
marciapiede
di Umberto
Di Maria
MILANO -
Quando si pensa al "lavoro più vecchio del mondo" si
pensa soltanto alle donne. Eppure uno su quattro di quelli
che si vendono sulla strada è un uomo. Molti gli
extracomunitari. Quasi esclusivamente clandestini: disperati
tra i disperati, praticamente senza il permesso di esistere.
Eppure rappresentano una fetta di città, della nostra
città. Il più delle volte si preferisce non
vederla. Non gli rimane molto altro per vivere. La
prostituzione, da questo punto di vista, può anche
essere la scelta più onesta. La rabbia però
rimane e ne abbiamo incontrata tanta. E' uno dei tratti
più umani e riconoscibili, un po' come l'ulcera per i
tipi nervosi. I luoghi e le situazioni sono simili in molte
città. L'atmosfera è sempre quella. In via
Varsavia, a Milano, di fronte all'Ortomercato ci sono rumeni
e marocchini. Abitano poco lontano nelle baracche in via
Sacile o alle spalle del mercato ortofrutticolo di fianco al
campo nomadi. I vicini di casa non si possono scegliere. A
metà dicembre 1994 sono arrivati i vigili urbani a
sgombrare le casette in legno e plastica. Per qualche giorno
non si sono più visti. Poi sono tornati. In piazza
Trento e nelle vie adiacenti (via Palladio, via Trebbia) ci
sono italiani ed extracomunitari. E ancora nei cinema a luci
rosse come il Cielo in viale Premuda, l'Astor in corso
Buenos Aires o nei bagni delle stazioni ferroviarie
(Centrale, Lambrate e Rogoredo). I problemi arrivano quando
compromettono "l'ordine pubblico". Come in piazza Trento
dove il rumore delle macchine non finisce mai. Di giorno il
traffico della circovallazione e di notte il via vai dei
clienti illuminato dall'insegna dell'Europassistance (ironia
della sorte). Duecento tra abitanti e commercianti
nell'ottobre del 1993 hanno firmato una petizione inviata al
Questore (allora Achille Serra) e al sindaco Marco
Formentini per porre rimedio alla situazione. Un anno dopo
arrivano i risultati: pattuglie, controlli, fogli di via.
Poi tutto daccapo. Il mondo della prostituzione è una
macchina che macina 3 mila miliardi l'anno. Nel 1986 il
primo rapporto sulla prostituzione in Italia contava 300
mila prostitute (fonte Iresm); nel 1994 si stimavano in 26
mila le straniere venute a fare la vita nel Bel Paese. Gli
uomini non sono tanti, rappresentano una piccola fetta di
tutto questo mondo. Le une e gli altri non hanno più
paura di niente. La strada è una buona gavetta e
c'è chi ci si affeziona.
Mauro: no
grazie, non bevo
La notte non
è ancora arrivata. E' seduto sul marciapiede e legge
la "Gazzetta dello sport" illuminato dal lampione. Periferia
sud-est di Milano, via Varsavia di fronte l'Ortomercato. Una
sera alle 23. E' un "bello di notte", un prostituto. Va con
gli uomini e con chiunque lo paghi. E' un ragazzone, moro e
massiccio. Pantaloni blu, scarpe da ginnastica nere, polo
blu a fiori verdi. Al collo una collana d'oro. "Trentamila
lire" dice.
"Sono un
giornalista". Mauro (il nome è stato cambiato ndr.)
è rumeno ha 27 anni. E' in Italia da due anni. Viene
da Timisoara. Un giorno di febbraio del 1992 è
partito in pullman per la Francia lasciando la Romania al
suo destino post-Ceauscescu. Doveva essere un viaggio di
turismo ed è diventato un esilio. Ha lasciato la
madre (che guadagna l'equivalente di 80 mila lire al mese),
il fratello più piccolo, una fidanzata e il padre in
galera. Dietro di lui la povertà e davanti
l'incognito: "Sempre meglio della povertà" dice. E'
rimasto in Francia un anno poi è venuto in Italia.
"Almeno qui la lingua è simile alla mia". Si ritrova
in Sicilia a fare il manovale e si permette anche il lusso
di un tetto. Poi si trasferisce al Nord, a Milano. Manovale,
pulizie: tutto in nero. Poi la crisi e la fine del lavoro.
"Come sono gli italiani"? "Come tutti gli altri: buoni,
cattivi, furbi". "Le ragazze - continua - sono troppo
emancipate. Oggi sono con te domani con un altro. In Romania
non è così". E' un clandestino; un
extracomunitario con la pelle chiara. Vive in una capanna di
cartone e plastica. Lava i panni in un rivolo d'acqua.
Quando piove gli viene la depressione. La polizia spesso lo
ferma e gli chiede i documenti: "Non li ho" spiega. E'
riuscito a rimanere sempre sulla strada. Altri come lui
hanno il foglio di via ma anche loro non si sono mai tolti
dalla strada. "Sai chi è il sindaco di Milano?"
"Marco Formentini, quello della Lega". Ma non conosce
nient'altro. Oltre piazza del Duomo non è mai stato.
Per lui una città è come un'altra.
L'importante è sopravvivere e a Milano si può.
La mattina fa colazione in una delle parrocchie che offrono
pane e latte. Poi passa la giornata a cercare lavoro. Oltre
alla colazione riesce a spuntare un altro pasto sempre nelle
opere di carità. La notte sogna ma non si ricorda i
sogni. Ogni settimana chiama la madre a Timisoara. "Tutto
bene" le dice ma non trova lavoro. Lei sa che abita in un
normale appartamento, che cerca un'occupazione e che ogni
tanto la trova. Si vergogna e sorride. Tanto sua madre non
lo saprà mai. "Non ti conviene tornare in Romania"?
Gli chiedo. "Qui almeno ho un paio di jeans e le scarpe da
tennis" anche se li ha ricevuti in regalo dalle parrocchie.
Ma che gliene importa. I clienti sono persone qualsiasi.
"Giovani e vecchi, sposati e non. C'è chi si
affeziona". Un classico. Ci sono anche gli abituali. Una,
due anche tre volte alla settimana. Ma chi ha 90 mila lire
da spendere in sesso alla settimana? "Non lo so. Non glielo
chiedo che lavoro fanno". A volte non si scambiano una sola
parola. A volte non usano neanche il profilattico. Lavora
quel tanto che basta per guadagnare 100/150 mila lire alla
settimana. Questo non è il suo futuro. Ma non ha un
progetto. Domani colazione in parrocchia e poi in giro. Per
quanto tempo ancora tutto ciò? "Finché non
troverò lavoro". "Quello che faccio con gli uomini
non è sesso per me. Quando voglio divertirmi vado con
le puttane". "Quanto paghi"? "Trentamila lire". La
quadratura del cerchio. "...lo sai che è da due anni
che non bacio una ragazza"? "Posso offrirti una birra?" -
gli chiedo - "No grazie, non bevo alcoolici".
Ismail: che
cosa farai da grande? Il meccanico Dalle piramidi alla
povertà passando per Milano. Ismail ha 28 anni ma ne
dimostra 40. Pesante e con i gesti lenti. Si muove nella
penombra in via Sacile illuminato dal taglio della luce dei
lampioni. Di fianco al deposito delle cassette di legno per
la frutta. Le mani in tasca e lo sguardo accorto. Piove
fitto e fine e i suoi pantaloni sono appiccicati alla pelle.
I capelli bagnati e l'odore di acqua mista a sudore salgono
sulla macchina quando mi accosto. "Hai una sigaretta" mi
chiede e iniziamo a parlare. Da nove mesi fa questa vita.
Parla a mala pena l'italiano ma basta saper dire
"trentamila". E' la tariffa base. I clienti sono soprattutto
giovani italiani. "Giovani quanto?" "Venticinque,
trent'anni". All'incirca la sua età. Lui fa il
maschio. Preservativo: ogni tanto, quando l'avventore ce
l'ha. Non trova altro da fare perché è un
clandestino. Le alternative in questo caso sono tutte
criminali: furti, scippi, spaccio di droghe, contrabbando.
Tanto vale rischiare del proprio e così prostituirsi.
Almeno rimane il narcisismo di essere pagato e l'illusione
di essere scelto. Fuori piove e le sue domande iniziano ad
arrivare. "Quanto guadagni?" mi chiede. Quando gli dico che
sono un giornalista non fa una piega e continua a fumare la
sua sigaretta. Poi mi interroga sulla mia ragazza e sul
giubbotto più bello del suo. Mi dice che sono strano.
Forse pensa alla stranezza di essere lì con me senza
dover vendere nulla, neanche la propria storia. "Non
è giusto far sapere che accadono queste cose - mi
dice - perché non sono cose belle". Mi racconta che
vive insieme ad altri sei in un appartamento dall'altra
parte della città. Pagano 600 mila lire al mese. Poi
c'è il mangiare, il detersivo per la lavatrice; per
fortuna qualche vestito si recupera in parrocchia. Per
sbarcare il lunario ha tentato in vari modi: questo è
un modo come gli altri per lui. Però è stato
felice per un periodo: quando faceva il meccanico. Sempre
pagato in nero. A parlarne gli si accendono gli occhi come
ai bambini che da grandi vogliono fare il pompiere. Finisce
la sigaretta che segna il tempo che mi ha
concesso.
Said,
Sguardi che toccano e scappano L'allegria compresa nel
prezzo Le sale a luci rosse sono una fregatura. Le luci in
realtà al cinema Cielo non esistono. C'è solo
buio. L'unico punto illuminato è lo schermo. Una
volta che l'occhio si abitua riesce a scoprire la gente
seduta. Nel foyer - solo per nome identico a quello della
Scala - lavora Said. Non è una maschera ma un
prostituto (come chiamarlo sennò?). Mi avvicina:
"Ciao bello come stai? Vuoi fare qualcosa?" Said ha stampato
lo stesso sorriso dall'inizio alla fine del nostro
colloquio. Tra i frequentatori di questo foyer grottesco il
suo sorriso è efficace. Ogni tanto scompare nel nero
della sala in compagnia. Ma quando torna è sempre
sorridente. Gente allegra Dio l'aiuta. E di aiuto qui ce
n'è bisogno. Questa volta mi avvicino io. "Ciao posso
parlarti?" "Sei un poliziotto?" chiede. Mi ascolta al
secondo tentativo. Viene dall'Egitto, dal Cairo. A 20 anni
è sbarcato a Fiumicino con un volo diretto per la
speranza. Cercava un lavoro lontano dalla miseria. Ha fatto
il pizzaiolo ("ero bravo" dice) poi il cameriere in alcuni
ristoranti nel suo girovagare tra Roma e Milano. Lavorare da
clandestino vuol dire massimo sfruttamento e minimo
guadagno. Ad ogni errore, al primo problema dovere scappare,
cambiare città. Adesso ha 27 anni ed è ancora
un ragazzo. Fa questa vita da 4 anni. Capello riccio nero
tagliato ad hoc (come si conviene a chi deve fare
dell'immagine un prodotto), jeans aderente, giubbotto in
pelle nera, stivali, profumo. Tutto a punto per riscuotere
consensi e danari. Ci sediamo sulle poltrone che sbuffano
polvere. Said è divertito dall'incontro. "Non vado
solo con gli uomini - racconta - vado con tutti".
L'importante è che paghino. L'allegria è
compresa nel prezzo. Le donne non le incontra al cinema
però. Per questi approcci esistono altri luoghi e
altri orari come ad esempio alcuni caffè del centro.
Intorno a noi si muove muta una fetta di umanità in
cerca di sensazioni. Ragazzi giovani, persone di mezza
età, troppi gli anziani. Sguardi che toccano e
scappano. "I soldi che guadagno mi servono per vivere". E
per lui vivere in Italia vuol dire condividere un
appartamento in una traversa di corso Buenos Aires a Milano
con altri ragazzi che non sanno niente della sua vita
(così dice), dei suoi pomeriggi passati al cinema,
delle notti per strada. Arriva un nuovo avventore Said lo
guarda, si alza automaticamente e lo segue. "Ciao bello come
stai?". Scompare di nuovo.
Ahmed,
Appuntamento nei bagni delle stazioni ferroviarie Ahmed
viene dal Marocco dove neanche le donne si pagano per far
l'amore. E' un grave peccato. La parola prostituzione non
riesce neanche a pronunciarla per lui è più
facile viverla senza sapere che nome ha. Aspetta al bagno
delle stazioni ferroviarie. Così almeno sopravvive.
Non ha un prezzo: va ad offerta libera. Meno di ventimila
lire però non accetta. Va bene anche una stecca di
sigarette. Niente orari fissi. Quando lo incontro sono le 14
di un lunedì di gennaio e la stazione di Milano
Lambrate non è affollata. Perlustra i bagni da due
ore. Due ore di miasmi umani nel naso. Porte marroni
sfondate e infinite scritte sui muri piatrellati di beige.
Scendiamo i tre gradini della toilette e mi sento meglio. Un
po' d'aria. Parliamo al bar davanti ad una birra.
"Sono
arrivato pensando di trovare un lavoro. Ma qui tutto
è difficile". Mi guarda aspettando le domande. La sua
voglia di dire arrivare prima. "In Marocco la mia famiglia
ha tanta terra" spiega in un sufficiente italiano misto a
francese. "Coltivare la terra è duro e non c'è
futuro". E' venuto in Italia per interrompere il destino
contadino della sua stirpe disposto a far di tutto. In quel
"tutto" non era certo compresa questa attività.
"Posso fare il muratore, l'operaio ma senza il permesso di
soggiorno non vogliono farti lavorare". Alto e magro con i
capelli neri e ricci. Alcuni bianchi. La pelle olivastra.
Avrà 40 anni penso. Invece sono 30. In Italia abita
da due anni e mezzo. E' arrivato dalla Spagna dopo un giorno
e una notte in mare su una di quelle barchette che sembrano
gusci di noci. In prossimità della costa si è
tuffato insieme ad altri clandestini. Era estate per
fortuna. Costo del viaggio per la libertà:
l'equivalente di due milioni di lire. Una cifra che in
Marocco permette di vivere. Il confine più semplice
da attraversare è stato quello tra la Francia e
l'Italia. E' passato di notte seguendo la linea ferroviaria
da Mentone a Ventimiglia. Poi ha preso un treno per Milano e
qui è rimasto. Gli italiani non gli sono simpatici.
Quando ne parla dice che sono tutti omosessuali e le donne
delle poco di buono. La rabbia è in ogni suo sguardo.
Vive in una baracca di celophane e legno in un parco
cresciuto su una ex discarica. Mangia all'aperto. La mattina
si sveglia presto. Porta la mano alla guancia e geme. "Ho
mal di denti - spiega - devo bere qualcosa di forte". Riesce
a buttar giù due amari; uno dietro l'altro come se
fossero acqua. "Non bevi un po' troppo ?" domando. "Io non
ho paura di niente e l'alcool non può farmi che
bene". Sembra un animale in gabbia.
E' nervoso.
Batte le dita sul tavolo come se stesse schiacciando
formiche, straccia lo scontrino. Le mani si allungano sul
tavolo. Avrei tante cose da chiedergli ma è venuto il
momento di fermarmi. Il resto è solo suo.
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