TDM#27-Gen
1997
Vivere in
Comunità
La
comunità del castello di Albiano di Ivrea
di Umberto
Di Maria
"Siamo
venuti qui perché crediamo nell'ideale della
comunità. A parlarne con gli amici restavano solo
parole. Era diventata una frustrazione: volevamo fare
qualcosa e non ci riuscivamo". Mentre lo spiega Alberto fa
la fatica di chi cerca le sue ragioni in ciò che
dice. Ha ventisette anni e con sua moglie Laura e la figlia
Sara -cinque mesi- sono gli ultimi arrivati alla
"Comunità del castello di Albiano". Sono passati
dalle parole ai fatti; come già hanno fatto Mario e
Maria, Michele e Patrizia, Giacomo, Roberto, Giulio e tutti
quelli che in questa comunità di ispirazione
cattolica in provincia di Ivrea ci sono già, o sono
transitati. In 14, tra singoli e coppie, abitano gli
appartamenti del castello. Uno per ciascuno. Coltivano
l'orto, la vigna e curano il piccolo bosco da cui prendono
la legna. In quanto a frutta e verdura sono autosufficienti;
ma non basta. Alcuni lavorano fuori dal castello; altri come
lavoro hanno deciso di far andare avanti la comunità.
L'attività principale del centro è
l'accoglienza. Ogni anno circa 2000 giovani, durante i fine
settimana, passano di qua: per imparare cos'è il
volontariato internazionale o solo per dare una mano tutti
insieme a quelli della comunità. D'estate organizzano
campi di lavoro a tema. La mattina si lavora e il pomeriggio
si dialoga.
Parlare
della "Comunità del castello di Albiano" è
come aprire uno spiraglio sulle possibilità di una
vita vissuta fuori dagli schemi. E con un po' di coraggio.
Molte in Italia le esperienze simili. Simili nella ricerca
di un senso e di un quotidiano che non fa i conti solo col
denaro. Alberto e Laura abitavano in provincia di Novara.
Lui si è laureato in agraria l'anno scorso, lei
è un'educatrice professionale. "Per noi -spiega
Alberto- la comunità è la maniera per vivere
la fede in modo concreto. A me sembra che i valori cristiani
sono essenzialmente dei valori di comunità. Se
vengono vissuti da soli, come singolo o come famiglia, sono
difficili da mettere in pratica in una società
capitalistica dove il modello di riferimento è che ti
devi fare la bella famiglia, devi comprare la bella casa,
cerchi di guadagnare più soldi possibile". Venire
alla "Comunità del castello" per loro ha il sapore di
una sfida. "Io do una mano nell'orto, nella vigna e faccio
il pane. Però sto cercando lavoro per poter
partecipare economicamente alla comunità. Viviamo con
lo stipendio di Laura. Questa non è una
comunità ghetto in cui devi abbandonare i contatti
con l'esterno e vivere chiuso -continua Alberto- con Laura
ci siamo dati un anno di tempo per provare qui, comunque la
scelta della vita in comunità è definitiva per
noi". Mentre parliamo nella grande cucina al piano terra,
Mario e Maria lavano i piatti e rassettano la cucina.
Giacomo che oggi ha cucinato, esce e accarezza uno dei gatti
che sulla panchina si sta scaldando al sole. Per pranzo,
dopo la preghiera, c'erano spaghetti col pomodoro e una
trota salmonata con verza stufata come contorno. Jimmy, un
americano originario di Singapore, ha fatto la "apple pie",
una torta di mele americana. E' un ospite di passaggio.
Ritorna negli Stati Uniti, a San Francisco, dopo
un'esperienza di lavoro in Italia: "Sono venuto a salutarli
-racconta- prima di partire. Gli sono affezionato. Come
comunità è molto diversa da quella 'new age'
in cui ho vissuto in Scozia o quelle di frati in cui ho
soggiornato in Umbria e Toscana. Qui mi sento libero di
restare. Ma adesso ritorno in Usa perché sento il
bisogno della città". La "apple pie" di Jimmy
è la tipica torta del giorno del ringraziamento
americano. Mario coglie l'occasione per spiegare che anche
in Piemonte c'erano le feste del ringraziamento: "si
facevano nei paesi in occasione dei raccolti". Il piacere di
discutere c'è e anche il tempo per farlo. Alla
"Comunità del castello di Albiano" convivono quattro
generazioni. Tra i fondatori ci sono Mario e Maria, 64 e 60
anni, i più anziani. Vivono nell'ala Sud della
struttura. Sette anni fa sono arrivati sotto le torri del
castello e grazie al vescovo di Ivrea, Luigi Bettazzi, hanno
ottenuto in comodato d'uso per nove anni la struttura e il
terreno circostante. "Dal 1972 abbiamo iniziato a vivere in
comunità al Cisv, Comunità impegno servizio
volontario, di Torino da cui dipende anche il centro di
Albiano. Allora si viveva tutti insieme per politica o per
religione. Erano scelte radicali. Io ero un operaio della
Fiat, con degli incarichi nel sindacato. Maria faceva la
ragioniera. Abbiamo venduto tutto e impegnato i nostri
risparmi nella vita in comune". Ad Albiano sono arrivati con
Michele e Patrizia e Paolo e Mara. "Abbiamo voluto iniziare
questa nuova esperienza legata all'agricoltura, dove le
persone, le famiglie crescono e insieme sviluppano un
progetto -spiega Maria- l'idea che ci ha convinto è
l'esempio delle prime comunità cristiane del Vangelo
che erano un cuore solo e un'anima sola, che mettevano tutto
in comune. Per me quell'idea è ancora valida. E' una
vita che ha più senso, non è banale, chiusa.
Vivere in comunità vuol dire dare un significato
ampio alla tua vita: i tuoi problemi non ti appaiono
più così grandi e irrisolvibili, è come
se la comunità fosse già il 50 per cento della
soluzione".
La storia del
castello
Niente
principesse e storie ardite. Il castello di Albiano nasce
come "curtis" ovvero "corte estiva" del vescovo d'Ivrea. Le
origini del maniero in miniatura si perdono nei secoli. Di
certo Adriana Zarri, esperta di questioni
intellettual-religiose, che qui ha passato un lungo periodo
in solitudine alla fine degli anni '70, ha ritrovato,
nell'area perimetrale del castello, mattoni in terra cotta
di epoca romana con un incavo su un lato che ne permetteva
il trasporto a mano. Chiarite le lontane origini, il
castello sembra entrare in un lungo torpore storico e
uscirne, con documenti certi, intorno all'anno 1000. Il
vescovo di Ivrea era allora il feudatario di Albiano e
ancora oggi potrebbe fregiarsi del titolo di "Conte di
Albiano". La struttura aveva un ruolo difensivo ed era
circondata da due ordini di mura che oggi sono in parte
scomparse. Caduto nell'oblio medievale il castello rivive
nel 1518 quando il vescovo Bonifacio Ferrero lo fa
ricostruire. Le seicentesche invasioni francesi e spagnole
lo rimettono di nuovo in ginocchio. Oggi il castello ha
mantenuto le strutture gentili del 1600. Tre i piani: al
piano terra ci sono le cucine e le stalle, al primo piano i
saloni (oggi utilizzati per l'accoglienza) con il soffitto a
cassettoni decorati e dove gli ultimi restauri hanno
riportato alla luce affreschi del '600 all'ultimo piano gli
appartamenti. A Nord del castello corre il camminamento
della ronda e a Sud da una torre conica ci si affaccia
sull'anfiteatro creato dalla sella di Ivrea e dalle Alpi
Marittime. Nelle belle giornate il massiccio del Gran
Paradiso, il Monviso e il gruppo del Monte Rosa sembrano a
portata di mano. La "Comunità del castello di
Albiano" ha speso tempo e denaro per tenere in buone
condizioni la struttura. Durante la perlustrazione dei
sotterranei sono stati identificati alcuni condotti
interrati e ostruiti. Con tutta probabilità erano le
"uscite di sicurezza" del vescovo che assicuravano
l'incolumità e portavano al centro del paese di
Albiano, lontano dai pericoli incombenti sotto le mura del
castello.
Passano al
castello e tornano
In duemila
ogni anno passano al castello per una "revisione ai valori".
Tra i compiti che la comunità si è data
infatti c'è l'accoglienza. Gli incontri dei gruppi si
tengono al primo piano in quella che doveva essere la
biblioteca del vescovo e che rimane uno degli spazi
più grandi. Un tavolo lungo una ventina di metri e
una trentina di sedie sono tutto quel che occorre per stare
insieme a discutere o ad ascoltare. I letti, disposti in due
stanze del castello, danno da dormire a massimo venti
persone alla volta. A chiedere ospitalità sono
soprattutto giovani: scout, gruppi parrocchiali,
associazioni. Ma anche altre comunità. Ad esempio "La
cascina", comunità per tossicodipendenti di Milano,
da qualche anno passa al castello una o due settimana di
vacanza d'estate. Il "Servas" di Novara, associazione per
gli scambi di ospitalità, ha organizzato al castello
un incontro tra i soci. Essere cattolici o no per la
comunità non fa differenza. Se il gruppo lo richiede
loro intervengono raccontando la loro esperienza di
comunità o organizzando dei seminari a tema sul
"commercio equo e solidale" o sul "volontariato
internazionale". Altrimenti ospitano il gruppo dando loro un
letto e i pasti. Chi vuole può dare una mano alla
comunità aiutando nei lavori in cui due braccia in
più fanno la differenza: raccogliere la legna,
aiutare nell'orto e nei piccoli lavori di manutenzione. Non
c'è un prezzo per l'accoglienza, viene richiesta
un'offerta che per orientare un po' tutti si aggira intorno
alle 30 mila lire a persona per il fine settimana. A
proposito dell'accoglienza Mario e Maria dicono: "Oggi i
ragazzi hanno alle spalle un percorso diverso dal nostro
sono meno ideologizzati, meno politicizzati. Hanno bisogno
di scelte meno radicali, si spaventano un po' se solo gli
parliamo delle nostre e allora bisogna far loro proposte
articolate e non rigide che li aiutino a fare un cammino,
che non li faccia sentire senza ritorno. Il nostro è
un invito 'vieni e prova'. Quello che riscontriamo con i
giovani oggi è che hanno paura a scendere in campo,
c'è timore -continua Mario- bisogna far leva sui
valori. Noi, a chi ci chiede della nostra esperienza,
diciamo che questa società ti fa volare basso e tu
devi puntare in alto. A mettersi in gioco forse rinunci a
qualcosa ma per noi ne è valsa la pena". Oltre ai
gruppi la comunità svolge un ruolo di vera e propria
formazione del volontariato internazionale legato al Cisv di
Torino. Ogni anno circa 20 volontari passano da Albiano per
imparare a gestire un progetto di aiuto internazionale o a
capire come entrare in sintonia con culture diverse. I
volontari poi vengono inviati in Burundi, Senegal, Mali,
Burkina Faso e Brasile dove il Cisv ha progetti di sviluppo
a lungo termine. Infine la comunità organizza insieme
al Mir, Movimento internazionale della riconciliazione, dei
campi lavoro estivi. Durante la mattina il campista segue il
lavoro della comunità e nel pomeriggio partecipa agli
incontri a tema. "Terre di mezzo" nella guida ai campi
lavoro e al turismo responsabile "L'altro, il prossimo e
l'ambiente" pubblica tra gli appuntamenti organizzati dalla
"Comunità del castello di Albiano" e dal Mir.
I conti in
tasca del maniero
L'unica
regola è il calendario. Alla "Comunità del
castello" non ci sono leggi scritte ne carte dei diritti e
doveri. Eppure funziona. "Molto è lasciato alla
responsabilità di ognuno di noi" sottolinea Maria. Si
riuniscono una volta l'anno per fare il bilancio e il
programma dell'anno nuovo. Dal punto di vista economico si
decide quanto verrà investito e in che cosa e poi si
fa il consultivo delle spese sostenute. Nel 1995 la
"comunità" ha chiuso in attivo di tre milioni. I
costi totali sono stati circa 87 milioni e le risorse circa
90 milioni. Bilancio più che positivo se si pensa che
con 87 milioni di lire hanno vissuto per un anno 14 persone.
Il 25 per cento delle entrate è rappresentato
dall'accoglienza (ad Albiano calcolano di aver servito
qualcosa come 7 mila pasti in un anno). Mentre i costi
principali sono stati la manutenzione (18 milioni) e il
riscaldamento (11 milioni). La riunione annuale è
anche il momento per decidere a quale giornali abbonarsi o
quale iniziativa di solidarietà appoggiare. Nel 1996
la "Comunità del castello" ha aderito alla campagna
contro le mine promossa in Italia da Mani Tese. Le risorse
sulle quali contare, oltre che dall'accoglienza, vengono dai
versamenti mensili alla cassa comune che singoli e famiglie
fanno in modi diversi. Le famiglie, Mario e Maria, Michele e
Patrizia e Alberto e Laura, versano tutto lo stipendio (nel
caso di Mario e Maria la pensione) di chi lavora fuori.
Tengono per sé 200 mila lire a nucleo familiare e 50
mila a testa per le spese correnti e per i divertimenti. La
comunità si fa carico però di tutti i costi:
dalla scuola dei bambini, all'assicurazione e al bollo della
macchina, ai trasferimenti, le spese mediche. Ai singoli
invece viene chiesto di partecipare al bilancio con un
rimborso spese per il vitto e l'alloggio che si aggira
attorno alle 400/500 mila lire anche se ognuno poi decide in
base alle proprie disponibilità. In questo caso
però la comunità non si fa carico delle altre
spese al di fuori dei pasti e dell'appartamento. Anche i
ruoli sono decisi nella riunione annuale. In linea di
massima Mario e Maria si occupano dell'accoglienza (tengono
puliti i locali, preparano il materiale didattico, pensano
al riscaldamento degli ambienti) e della piccola bottega di
commercio equo e solidale che è aperta nei fine
settimana per i partecipanti ai gruppi. Michele lavora in
comunità seguendo i campi, l'orto, il frutteto e il
piccolo bosco e la manutenzione delle attrezzature aiutato
in questo periodo da Alberto. Patrizia, la moglie di
Michele, fa l'assistente sociale a Ivrea e all'interno della
comunità tiene i conti e redige il bilancio di fine
anno. Giulio che ha chiesto di restare per un periodo si
riflessione ha 40 anni e aiuta nei lavori di carpenteria.
Giacomo, 68 anni, segue la falegnameria. Roberto, 40 anni,
lavora fuori tutto il giorno ma dedica i fine settimana a
tutti i lavori necessari in comunità. Poi a dare una
mano c'è un obiettore della Caritas e Dario il figlio
più grande di Michele e Patrizia che adesso è
al militare. Ogni settimana la comunità convoca la
riunione di verifica dove si decide il da farsi settimana
per settimana e si fissano i turni in cucina, si programmano
i lavori per l'accoglienza. "L'aspetto economico è
quello su cui meno si discute -spiega Maria- è
più difficile a volte mettere insieme i caratteri, le
abitudini e le età. C'è chi è
brontolone, chi è più estroverso...ma il tempo
e il dialogo mettono insieme tutti -continua Maria-. Per noi
la vita di comunità è una tensione continua a
non farci prendere dalla gestione delle cose. Buona parte
della riunione del lunedì è dedicata alla
verifica dei valori, alla riflessione sul lavoro
sull'amicizia e la condivisione. Anche sulla
spiritualità che per noi è la motivazione di
fondo. Tra noi ci sono stati non praticanti, atei e
musulmani".
Il futuro
è un'ipotesi
Il futuro
della "Comunità del castello di Albiano" è
segnato. Nel 1998 scade il contratto di comodato d'uso tra
il Cisv, da cui dipende il centro, e la diocesi di Ivrea. La
presenza della comunità è, tra l'altro, legata
ad un benestare del vescovo, Luigi Bettazzi, di cui l'anno
prossimo dovrebbe scadere il mandato episcopale. Per evitare
qualsiasi problema alla comunità il vescovo ha
intenzione di rinnovare per altri undici anni il comodato
d'uso prima della scadenza naturale. Risolto il problema
formale la "Comunità del castello" ha in programma
l'ingresso di una nuova famiglia nei primi mesi di
quest'anno. Un nucleo di tre persone che si aggiunge ai tre
esistenti. Tuttavia di problemi sul tavolo ce ne sono.
Innanzitutto la riorganizzazione di alcune attività
in modo che possano diventare produttive. Ma il nodo che sta
per venire al pettine è legato alla presenza e al
ruolo di Mario e Maria, fondatori ora energici sessantenni.
"L'entusiasmo l'abbiamo -spiega Mario- ma facciamo fatica.
La nostra comunità non è ancora strutturata
per farsi carico degli anziani". L'altro aspetto è di
coppia: Mario e Maria sentono che il fiato si fa grosso e
che alcuni lavori diventano pesanti eppure vanno fatti lo
stesso per il bene della comunità. "Ci domandiamo se
sia il caso di riprendere una vita normale" dice Mario "un
po' ci servirebbe per ricaricarci, per fare quelle cose che
abbiamo un po' accantonate come la pittura e la scultura per
quanto mi riguarda". La comunità li ha invitati a
restare. Tutto si sistemerà. "Noi abbiamo dato la
nostra disponibilità fino al 1998" spiegano e non
nascondono la difficoltà di prendere questa decisione
"Ci preoccupa di tornare a una vita a due dopo 25 anni di
vita di comunità". Mario e Maria parlano piano,
sicuri. "Se fossimo in una congregazione religiosa non ci
sarebbero problemi, la congregazione si farebbe carico di
noi. Ma non è così". Per affrontare il futuro
delle famiglie dopo la comunità, la riunione annuale
del 1996 ha deciso che con il 5 per cento delle entrate si
costituisca un fondo al quale attingono i nuclei familiari
che lasciano la comunità. In base al numero delle
famiglie, chi decide di andarsene potrà prelevare una
percentuale del fondo. "Per il momento -racconta Maria- la
nostra giornata inizia ancora con la preghiera comune alle
9, il pranzo alle 12.30 e la cena alle 7.30. Continuano i
turni in cucina, raccogliamo le verdure nell'orto,
selezioniamo la frutta e le riserve nella dispensa, ci
dedichiamo all'accoglienza...tutto qua".
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