TDM#47-Set
1998
Quando la
carità è ridotta a uno
straccio
Abbiamo
censito 31 associazioni che ritirano roba usata. A chi
finisce?
Inchiesta di
Carlo Giorgi e Silvia Pochettino.
Tunisi:
bancarella di vestiti alla Medina: la giacca del signor
Rossi, quella che pensava di aver donato ai disabili,
è in vendita tra tuniche e stoffe locali. Come
è arrivata fin lì? Il fatto è che in
questi anni, il mercato internazionale dei vestiti usati
è cresciuto in modo esponenziale, anche grazie alla
raccolta di associazioni di volontariato. Che spesso non
esistono. La nostra inchiesta nasce da un volantino appeso a
un cancello: "Vi chiediamo un atto di solidarietà per
la nostra associazione", recita il foglio. Segue la
richiesta di indumenti smessi, scarpe, borse... Firmato:
Antmic, Associazione nazionale tubercolotici mutilati
invalidi civili. L'associazione, dice il volantino, ha un
centro di raccolta a Milano e la sede a Napoli. Strano: se
è di Napoli, non sarebbe più comodo
raccogliere i vestiti là? Il dubbio si è
insinuato. Così decidiamo di tenere gli occhi aperti.
E in breve la nostra collezione di volantini si arricchisce:
nelle portinerie di Milano, Torino, Roma, Genova, Bologna e
Firenze ne raccogliamo a decine. E scopriamo che l'Antmic
è solo una delle 31 associazioni che raccolgono
vestiti usati di porta in porta. A favore di chi? Ce
n'è per tutti i gusti: dalla sanità
all'ecologia, dagli invalidi al terzo mondo, dai ciechi ai
malati di tumore. Per vedere se qualcuno le conosce
verifichiamo i nomi delle associazioni negli elenchi
ufficiali del volontariato italiano. Quasi tutte non ci
sono. E perché raccoglie vestiti se non esiste? Lo
chiediamo a Vincenzo Tremanti, responsabile della raccolta
di Antmic su Milano. "Quello che fanno le associazioni non
ci interessa: noi siamo commercianti e siamo in regola".
Tremanti ha un piccolo pezzamificio che gestisce con la
famiglia: la mattina, a nome dell'Antmic, raccoglie i
vestiti di casa in casa, poi li seleziona e li invia a Prato
che, lo sanno anche i bambini, con 171 aziende del settore,
è la città italiana leader nel recupero dei
vestiti usati. In media, dalla vendita, Tremanti guadagna
300 lire al chilo. Ciascuna delle nostre associazioni ha il
proprio raccoglitore di fiducia che recupera i vestiti. Il
nome dell'associazione può valere milioni, a seconda
del "pedigree": l'Anpv, associazione privi della vista,
molto nota, chiede al raccoglitore anche 20 milioni all'anno
perché con un nome del genere si raccoglie parecchio.
Ma posto che è del tutto lecito raccogliere (gratis)
vestiti usati e poi rivenderli (o "macerarli") è
proprio necessario raccogliere a nome di associazioni
discutibili? "Se pensa che andando a mio nome qualcuno mi
dia due sacchetti di roba -si scalda Tremanti-, si sbaglia.
Le associazioni mi scrivono cosa fanno in beneficenza. Sono
tranquillo, non voglio sapere nient'altro". Intanto la
giacca del signor Rossi, suo malgrado, da Prato è
volata a Tunisi. Là c'è un'azienda che tratta
ogni anno 12 mila tonnellate di vestiti usati
italiani.
Il
volontariato "si vede"? Allora esiste. In caso contrario
state in campana. Un indicatore della falsità
può essere il nome dell'associazione, spesso
"improbabile": dareste, ad esempio, i vostri vestiti
all'Aici, associazione italiana combattenti interalleati?
Oppure all'Onu, che non è l'Organizzazione delle
Nazioni unite, come verrebbe da pensare, ma più
furbescamente una fantomatica "Organizzazione nazionale
umanitaria"? Ma fermarsi al nome non è sufficiente.
Se il volantino indica un numero di telefono, provate a
chiamare, anche se in genere risponde qualcuno che
tranquillizza sulle attività dell'associazione.
L'ideale è verificare di persona: il problema
è che la sede è quasi sempre in una
città diversa da dove sono raccolti i vestiti. La
"Croce Italia" di Bari raccoglie vestiti a Milano. Per un
milanese andare fino in Puglia diventa scomodo. Per non
parlare delle associazioni che aiutano (dicono) il terzo
mondo. Si può chiedere allora agli uffici comunali e
regionali del volontariato se le associazioni sono
conosciute. Ma anche questo non basta; infatti
un'associazione non ha l'obbligo di iscriversi ad albi
regionali o comunali per essere "vera". La legge dice che
può svolgere la propria attività comunque. La
prova del nove resta dunque la "visibilità". "Le
associazioni che hanno uno straccio di attività, un
bollettino spedito a tutti, le conosciamo -spiega Carlo
Giacobini redattore della 'Guida alle associazioni'-; fanno
parte del mondo del volontariato, sono visibili. Pensi ad
un'associazione e ti vengono in mente dei volti, dei nomi
noti. Invece le 31 associazioni della vostra lista non si sa
chi siano, non si vedono". Carlo Giacobini fa parte della
Uildm, Unione italiana lotta alla distrofia muscolare. Ma
anche alla Ledha, Lega dei diritti degli handicappati,
nessuno conosce le 31 associazioni di "volontariato" che
raccolgono vestiti usati. L'"Annuario del volontariato
sociale italiano" della Fivol, riporta solo due nomi della
nostra lista: Aph, Associazione progetto handicap, di
Bologna; e l'associazione "Noi e il cancro" di Padova. A
proposito, una verifica di persona in realtà
l'abbiamo fatta: un "nostro inviato", è andato a
Napoli, alla sede dell'Antmic. E ha trovato un domicilio
privato. Quello del presidente. Ha parlato al citofono
perché non l'hanno lasciato salire. Dicono che
è almeno un anno che non svolgono nessuna
attività.
Il
passepartout degli straccivendoli
"Siamo dei
mercanti, ma cosa crede! -si scalda il signor Marvuglia
della ditta Sone, materiale recuperabile-. Quello dei
vestiti usati è un grande mercato. Ho seguito un
conteiner inviato in Africa che è stato tutto
rivenduto ai locali. Anche la Caritas fa così.
Nessuno manda i vestiti gratis!" Marvuglia raccoglie vestiti
usati per la ditta Sone e per l'Omnic, Opera nazionale
mutilati e invalidi civili. L'impresa, a gestione familiare,
è una delle tante sorte in questi anni nel milanese.
Nessuna truffa: solo piccole aziende che raccolgono e
selezionano vestiti usati: quelli in buono stato sono
venduti a grossisti, mentre gli stracci di cotone sono
pagati bene dalle autofficine. Solo una parte del raccolto
viene mandata al macero. Lavoro vero, ma meno faticoso e
più redditizio se fatto con il pass-partout di
un'associazione (falsa) di volontariato. "Ho avuto fino a 60
dipendenti -racconta D'Angelo Pasquale, che raccoglie per
l'Anpv, associazione privi della vista e per l'Anprha,
associazione promotrice (!) ragazzi handicappati-; la mia
famiglia fa questo mestiere da 120 anni". Qualcuno oltre ai
dipendenti può contare sui "padroncini" che, con un
proprio furgone, raccolgono conto terzi. Poi la roba
è inviata soprattutto a Prato dove da sempre si
riciclano stoffe e vestiti. Oggi nel pratese si contano 171
grossisti. Da lì partono conteiner selezionati di
giacche, pantaloni e scarpe per i mercati dei Paesi in via
di sviluppo. "Ma non solo -osserva Edoardo Amerini, titolare
della Tesmapri, tra le maggiori aziende della zona-: l'usato
è anche un fatto di moda: vendiamo tra l'altro a
Parigi e Londra".
Occhio ai
nomi sul sacchetto
Questi i
nomi delle associazioni che compaiono sui volantini per la
raccolta: Croce Italia pubbl. assistenza, Uic (Unione
ciechi), Anpv (privi di vista), Union. mondiale giovani
cattolici, Org. somalo etiopica di soccorso e
riabilitazione, Fondaz. Strohmenger, Fondaz. V.Cardinale,
Confassinvalidi, Anprha (promotrice ragazzi hand.), Antmic
(tubercol. mutil. inval. civili), Unic (Unione inval.
civili), Aph (progetto hand.), Lasone/Sone (centro materiale
recuperabile), Italstracci, Uspa (Un sorriso per
l'ambiente), Crmfu (Centro riciclaggio), Asdn (raccolta
ecologica), Uih (Unione hand.), NTP, Omnic (Opera mutil. e
inval. civili), MC (Mutil. civili), Unione profughi inval.
mutil. civili, Anisea (inval. senili e anziani), Aricep
(inval. civ. e poliomelitici), Aicpi (combattenti per
l'indipendenza), Euro-invalidi, Ass. Noi e il cancro, Aici
(combattenti interalleati), Lebbrosi di Marituba, Mov.
Fraternità, Coop. Primavera, Onu (Org. nazionale
umanitaria).
L'Africa?
Mettiamoci una pezza
Bambini
neri, denutriti, handicappati. Cosa c'è di meglio per
impietosire le persone? Alcune associazioni della nostra
lista mostrano velleità pseudo-missionarie. Ma
risultano, a una verifica, organizzazioni fantasma. Le vie
di Torino sono tappezzate dai volantini dei "Lebbrosi di
Marituba", città dell'Amazzonia dove sorge un
ospedale per i malati del morbo di Hansen. I volantini danno
come riferimento la parrocchia Maria Madre della Chiesa di
Torino. Peccato che don Salvatore, il parroco, ci spieghi
che l'autorizzazione alla raccolta sia stata negata
più di dieci anni fa perché la roba non
arrivava mai in Brasile. A Milano e Torino raccoglie la
"Fondazione Vincenzo Cardinale", per gli handicappati della
Guinea Conakry. Riferimento: un fantomatico indirizzo
africano e un numero di telefono in disuso. Né la
Santa Sede, né la Curia di Torino, né il
Nunzio apostolico in Guinea la conoscono. Infine insolita la
storia della "Operazione Papua Nuova Guinea, fondazione ing.
Strohmenger". L'ingegner Sandro Strohmenger, 85 anni, esiste
davvero. "A 60 anni, nel '73 -ci racconta- decisi di far
qualcosa di buono. I frati cappuccini mi segnalarono le
necessità delle loro missioni in Papua e cominciai ad
aiutarli raccogliendo fondi". Da allora, come ci confermano
gli stessi cappuccini, ha costruito ospedali, scuole,
chiese. E allora dove sta l'inghippo? "Nel '75 un
pezzamificio mi ha proposto di raccogliere vestiti a mio
nome, promettendo una lira ogni 25 chili. Il contratto
è durato poco ma le raccolte non autorizzate
continuano anche oggi". L'ingegnere, suo malgrado, ha dovuto
spiegare la vicenda ai carabinieri.
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