TDM#48-Ott
1998
Il ghetto
di Roma: un popolo rinchiuso della città
santa
servizio di
Liliana Ubaldini
Il rumore
del traffico sul Lungotevere de' Cenci si attenua dopo pochi
passi. Piazza delle Cinque Scole è silenziosa a
quest'ora: si sente solo lo scroscio della fontana, al
centro, oltre il paravento di lamiere del cantiere che
occupa buona parte della piazza. C'è un edificio
demolito a metà, a sinistra, due muri perpendicolari
che racchiudono il vuoto: ma dietro il vuoto due finestre
sono illuminate e i panni stesi pendono dai davanzali. Qui
la piazza si restringe e si congiunge con Via del Portico
d'Ottavia, proprio davanti all'Isola Tiberina. Qui non sono
molti i turisti che, guida alla mano, si aggirano
intrufolandosi nei cortili che sanno di muffa e di cucina:
qui, anche d'estate, i marciapiedi e i gradini d'ingresso
degli edifici appartengono agli abitanti, che scendono dalle
loro case per incontrarsi e chiacchierare, magari portandosi
dietro le sedie del tinello. Ci sono, è vero,
ristoranti di buon nome specializzati nella cucina romana
tradizionale, però si capisce che queste strade sono
ancora di chi le abita, cosa rara al centro di Roma. Le
colonne del Portico d'Ottavia vegliano come sentinelle; a
pochi passi quattro villini liberty e antiche facciate
quattrocentesche che fronteggiano due edifici in severo
stile "piemontese": stratificazioni storiche e urbanistiche,
tipiche della città: eppure qui si ha l'impressione
di trovarsi in un luogo rimasto insensibile agli strappi
urbanistici dei secoli, come se le distruzioni e le
riedificazioni non ne avessero disperso le caratteristiche
sociali, le tradizioni, la memoria. La memoria: è un
viaggio nella memoria che si deve compiere per comprendere
la particolarità di un luogo che ha una storia
antica, tormentata e poco nota: perché qui sorgeva il
ghetto, il "recinto dei giudei", il quartiere-carcere degli
ebrei di Roma.
"GHETTO: dal
nome dell'isoletta veneziana dove, nel Cinquecento, vennero
relegati gli Ebrei, così chiamata perché ivi
era una fonderia (dialettale: ghèto, getto)"
[Vocabolario della lingua italiana Zingarelli, XI
edizione] A Roma il ghetto non esiste più dalla
fine dell'Ottocento.
A Roma da
sempre
A Roma gli
ebrei ci stanno da sempre. Con oltre duemila anni di
presenza ininterrotta nella città, la comunità
ebraica di Roma è la più antica d'Europa: i
primi insediamenti risalgono al periodo tra il II e il I
secolo a.C., ancor prima che la Giudea diventi una provincia
dell'Impero romano. Con la sconfitta di Gerusalemme e la
distruzione del Tempio da parte dei Romani, nel 70 d.C.,
giungono a Roma molti prigionieri di guerra ed esuli dalla
Giudea e la comunità ebraica della città
diventa la più numerosa dell'Impero: circa 50 mila
unità su una popolazione, all'epoca, di mezzo milione
di persone. La religione ebraica è una delle tante
all'interno del variegato mosaico culturale dell'Impero; ed
è quindi nel complesso ben tollerata. Ecco la prima
traccia del passato: costruito da Augusto nel 23 a.C. in
onore della sorella, il grande Portico d'Ottavia è un
segno urbanistico tanto rilevante che tutto il quartiere si
identifica con esso. Ora le sue lastre di marmo, lisce e
bianche, sono diventate i banconi del mercato del pesce
della città. Il rione fra il Tevere e il Teatro di
Marcello è un vivacissimo centro di commercio e
attività artigiane: e qui, dal Duecento, si sono
trasferiti dalla sponda opposta del fiume molti ebrei
romani. Non sono solo mercanti: copisti di codici religiosi
e filosofici, traduttori, scienziati e letterati
costituiscono una élite culturale per tutta la
città. A Papa Gregorio IX non sfugge questo fervore e
nel 1239 ordina la confisca dei testi sacri del Talmud,
ritenuti eretici rispetto alla dottrina cristiana. Il
pregiudizio antiebraico riprende vigore, tanto che durante
l'epidemia di peste del 1348 gli ebrei vengono accusati di
aver diffuso il contagio. L'età della Controriforma
porta nuovi problemi per le comunità ebraiche.
Cacciati dalla Spagna, dal Portogallo e dalla Sicilia, molti
ebrei affluiscono a Roma dove il Papato consente un
insediamento controllato degli esuli. L'arrivo di altre
comunità dall'estero genera conflitti fra i nuovi
arrivati e la comunità residente a Roma: ogni gruppo
stabilisce perciò di organizzare la comunità e
il culto in maniera autonoma, con la creazione di più
sinagoghe (chiamate Scuole, anzi "Scole", in dialetto
romano). Nel 1542 inizia anche a Roma l'attività
controriformistica del Sant'Uffizio che si concretizza in
primo luogo nel tentativo (fallito) di convertire gli
"eretici ebrei". Nel 1553, durante il Capodanno ebraico,
viene pubblicamente bruciato il Talmud a Campo de' Fiori.
Finisce
tutto in una bolla
"Poiché
è assurdo e sconveniente al massimo grado che gli
ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla
schiavitù eterna, possano, con la scusa di essere
...tollerati in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine
verso i cristiani da oltraggiarli per la loro
misericordia..." Con questa motivazione Papa Paolo IV
giustifica i provvedimenti contro gli ebrei stabiliti dalla
bolla "Cum nimis absurdum", emanata nel luglio del 1555. E'
la fine della libertà per gli ebrei romani: da quel
momento sono obbligati a risiedere in un quartiere separato,
un ghetto circondato da mura, proprio come è
già avvenuto a Venezia: un recinto, vigilato
all'esterno da guardie pagate dalla stessa comunità
ebraica; sono obbligati a vendere tutti i loro beni immobili
ai cristiani, a portare un segno distintivo giallo (simbolo
dell'infamia) e avere un'unica sinagoga; infine, le sole
attività economiche loro consentite sono la rivendita
di stracci e il prestito di denaro a un interesse
controllato: usurai dunque, per volontà del Papa. La
vita degli ebrei di Roma è così vincolata, per
tre secoli, alla clemenza o alla severità delle
disposizioni dei papi che si succedono sul trono dello Stato
Pontificio. Nel 1848, anno di grandi fermenti rivoluzionari
in tutta Europa, Pio IX acconsente ad abbattere i muri che
circondano il ghetto: gli ebrei sono comunque costretti
ancora a risiedervi, nonostante le condizioni di vita nei
vicoli siano ormai insopportabili. Nel 1870 le truppe
piemontesi entrano in città e segnano la fine del
potere temporale del Papa. Gli ebrei di Roma sono equiparati
a tutti gli altri cittadini: il ghetto non ha più
ragione di esistere. Non è facile trovare tracce del
ghetto "com'era": tutto è scomparso, i vicoli
fangosi, i cortili angusti, gli edifici fatiscenti. Si
è salvata la fontana circolare di Piazza
Giudìa, da cui gli abitanti del ghetto si
approvvigionavano di acqua; e si è salvata Via della
Reginella, inclusa in epoca successiva nell'area del ghetto:
più che una via, è un vicolo stretto su cui si
affacciano edifici un po' cadenti dai gradini sconnessi e
dai ballatoi puntellati, all'interno dei cortili: qui l'aria
popolare del centro storico di Roma è rimasta
intatta, e fra una vecchia bottega e un ponteggio per i
lavori di restauro, avviati negli ultimi anni dal Comune, si
può sentire ancora il suono dell'antico dialetto
romanesco, arricchito di termini mutuati dall'ebraico.
Tornando sul Lungotevere si incontra la chiesa di S.Gregorio
della Divina Pietà: sul portale della chiesa, un
cartiglio inciso in latino ed ebraico riprende un passo del
profeta Isaia che rimprovera il "popolo incredulo": qui gli
abitanti del ghetto erano obbligati a recarsi una volta alla
settimana per ascoltare le "prediche coatte" che dovevano,
nell'intenzione dei Papi, condurre gli ebrei alla
conversione; e quasi mai, a memoria di ebreo romano, questo
è avvenuto.
Dall'emancipazione
alle leggi razziali
E' l'epoca
di grandi cambiamenti per la nuova capitale del Regno
d'Italia: il nuovo piano regolatore di Roma prevede anche la
demolizione, fra il 1886 e il 1904, dell'intero ghetto.
Quattro nuovi, ordinatissimi isolati sostituiscono l'intrico
dei suoi vicoli e gli edifici pericolanti. Sorge la nuova,
grande sinagoga di Roma. Con gli altri abitanti della
città gli ebrei condividono il dialetto e molti usi e
tradizioni popolari. Gli ebrei di Roma sono romani, anzi
sono i veri "romani de Roma", quelli che più di tutti
possono vantare di aver sempre abitato nella città
eterna. E' dunque con enorme sorpresa e delusione che la
comunità ebraica romana, come tutte le
comunità d'Italia, accoglie l'emanazione delle leggi
razziali approvate il 10 novembre 1938 dal regime fascista,
in ossequio all'antisemitismo dell'alleato tedesco. Decreti
che stabiliscono i "criteri di appartenenza alla razza
ariana" e le discriminazioni che dovranno colpire le
"persone di razza ebraica": perdita di gran parte dei beni,
del diritto allo studio e al lavoro, divieto di contrarre
matrimoni "misti". Un nuovo ghetto dagli invisibili ma
invalicabili muri viene edificato intorno ai 48 mila
cittadini italiani di religione ebraica, senza che i
restanti milioni di italiani alzino voci in loro difesa. Nel
1938 gli ebrei a Roma sono circa 8 mila. La guerra,
l'armistizio dell'8 settembre 1943 e l'occupazione di Roma
da parte delle truppe tedesche apriranno per molti di loro
un capitolo tragico, il terribile epilogo di una storia di
oltre duemila anni.
16 ottobre
1943
La
"soluzione finale" per gli ebrei romani arriva il 24
settembre 1943 con l'ordine da Berlino di "trasferire in
Germania" e "liquidare" tutti gli ebrei "mediante un'azione
di sorpresa". Il telegramma riservatissimo è
indirizzato al tenente colonnello Herbert Kappler,
comandante delle SS a Roma. Nonostante il colpo delle leggi
razziali, gli ebrei a Roma non si aspettano quello che sta
per accadere: Roma è "città aperta", e poi
c'è il Papa, sotto l'ombra della cupola di San Pietro
i tedeschi non oserebbero ricorrere alla violenza. Le
notizie sul destino degli ebrei in Germania e nell'Europa
dell'Est sono ancora scarse e imprecise. Inoltre, la
richiesta fatta il 26 settembre da Kappler alla
comunità ebraica di consegnare 50 chili d'oro, pena
la deportazione di 200 persone, illude gli ebrei romani che
tutto quello che i tedeschi vogliono sia un riscatto in oro.
Oro che con enormi difficoltà la comunità
riesce a mettere insieme e consegnare due giorni dopo in Via
Tasso, nella certezza che i tedeschi saranno di parola e che
nessun atto di violenza verrà compiuto. Nelle stesse
ore le SS, con l'ausilio degli elenchi dei nominativi degli
ebrei forniti dall'Ufficio Demografia e Razza del Ministero
dell'Interno, stanno già organizzando il blitz del 16
ottobre. C'è una lapide sulla facciata della
Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte a Via del
Portico d'Ottavia, quasi di fronte alla Sinagoga. Ricorda
che "qui ebbe inizio la spietata caccia agli ebrei". Qui, in
un'alba di 56 anni fa, si radunarono i camion e i soldati
addetti alla "Judenoperation" nell'area del ghetto, dove
ancora abitavano molti ebrei romani. Il centro della storia
e della cultura ebraiche a Roma stava per vivere il suo
giorno più atroce. Alle 5,30 del mattino di sabato 16
ottobre, provvisti degli elenchi con i nomi e gli indirizzi
delle famiglie ebree, 300 soldati tedeschi iniziano
contemporaneamente la caccia per i quartieri di Roma.
L'azione è capillare: nessun ebreo deve sfuggire alla
deportazione. Uomini, donne, bambini, anziani ammalati,
perfino neonati: tutti vengono caricati a forza sui camion,
verso una destinazione sconosciuta. Alla fine di quel sabato
le SS registrano la cattura di 1022 ebrei romani. Due giorni
dopo i prigionieri vengono caricati su un convoglio composto
da 18 carri bestiame in partenza dalla Stazione Tiburtina.
Il 22 ottobre il treno arriva ad Auschwitz. Dei 1022 ebrei
catturati il 16 ottobre ne sono tornati solo 15, di cui una
sola donna. Nessun bambino è sopravvissuto. E'
difficile immaginare oggi queste strade quiete -con i
ristoranti, i negozi di tessuti, gli edifici scolastici-
all'alba di quel 16 ottobre: i comandi in tedesco, le urla,
i camion che partono pieni e tornano vuoti, lo sgomento e
l'impotenza degli altri cittadini romani.
Il ghetto
oggi: una storia che non finisce E' la domenica mattina un
altro buon momento per scendere dal Lungotevere e camminare
fra le strade alle spalle della Sinagoga. La domenica qui
non è un giorno festivo: è aperta la libreria
"Menorah" a Via del Tempio; è aperta la pizzeria "Zi'
Fenizia" che sforna innumerevoli varietà di pizza,
tutte rigorosamente "kosher", cioè conformi alle
regole alimentari prescritte dall'Antico Testamento;
è aperta la pasticceria tipica, che da generazioni
produce meraviglie gastronomiche della tradizione
giudaico-romanesca a base di pasta di mandorle, ricotta e
canditi. E proprio qui, di fronte alla pasticceria,
c'è una grande animazione, proprio come nelle sere
d'estate - gente che si incontra e si saluta e si ferma a
conversare. Qui, fra le attuali Piazza delle Cinque Scole,
Via del Portico d'Ottavia e Piazza Costaguti, sorgeva
l'antica Piazza Giudìa. Una piazza che dunque non
esiste più da cent'anni, ma che ancora oggi è
il luogo d'incontro più vivace degli abitanti del
quartiere: un luogo che non c'è nelle mappe della
città ma che sopravvive come luogo della memoria.
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