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Grandi religioni

TDM#11-Ott 1995

 

Islam, non solo paura

 

di Carlo Giorgi e Marcella Merlo

Dove abitano i musulmani?

Credere che i musulmani siano tutti arabi è come credere che i francesi abitino tutti a Parigi. La Umma, il popolo dei fedeli islamici, conta più di 1 miliardo di credenti. Solo 223 milioni di loro sono arabi; 1 su 5. Gli altri '4' hanno gli occhi a mandorla o la pelle nera. Il Paese con il maggior numero di musulmani è l'Indonesia, più di 170 milioni, seguito da Cina e Pakistan, intorno ai 110 milioni, poi India e Bangladesh, circa 100 milioni. Seguono Nigeria, Turchia, ex-Unione Sovietica. Solo al nono posto il primo paese 'arabo', l'Egitto, mentre l'Arabia Saudita è diciassettesima con i suoi -in confronto 'sparuti'- 18 milioni di fedeli. L'Islam è per sua natura universale, il Corano deve essere proposto a tutti: così il mondo arabo, paladino della fede del Profeta, è ormai solo una tra le componenti del ricco panorama islamico. Non per nulla Islam e mondo arabo sono rappresentati da organizzazioni diverse: il popolo musulmano si riunisce nell'Oci, Organizzazione della Conferenza Islamica con sede a Gedda, in Arabia Saudita; nel Congresso del mondo musulmano (promosso dal Pakistan) e nella Lega del mondo musulmano, con sede alla Mecca. Mentre il mondo arabo è riunito nella Lega Araba, che riunisce i 23 Paesi di cultura araba (penisola arabica, Magreb e Medio Oriente); tra gli stati fondatori della lega, nel '45, troviamo anche il Libano, all'epoca abitato da un popolazione in maggioranza cristiana. Nei Paesi arabi non mancano consistenti minoranze non musulmane: in Egitto ci sono almeno 6 milioni di cristiani circa il 10 per cento della popolazione, in maggiornanza copti; in Libano il 40 per cento è cristiano, in Siria più dell'8 per cento, in Giordania 4 per cento, in Irak il 3.

Pregare Allah a Roma

I cupoloni della Città Santa sono due. Con buona pace dei nostri pregiudizi, in cima al secondo svetta una mezza luna. La più grande moschea d'Europa si trova a Roma dietro i Parioli, proprio sotto il parco di Villa Ada. Orario di visita: 9-12 tutte le mattine, escluso venerdì, giorno della preghiera, e domenica. Se arrivate in ritardo rimanete fuori dal cancello, come è successo a me la prima volta; e i giardinieri indaffarati tra le palme e il prato all'inglese del tempio non pensano certo ad aprirvi. Ci sono voluti 22 anni per costruire la moschea di Allah il Clemente, il Misericordioso. E 50 milioni di dollari. Il 70 per cento della spesa, 35 milioni, lo ha sostenuto l'Arabia Saudita; secondo finanziatore l'Irak, con meno di 7 milioni. Altri 21 Paesi hanno coperto il resto. Mentre Siria e Iran, forse in polemica, non hanno versato un soldo. Oneri e onori: guarda caso il responsabile delle finanze della Moschea è l'ambasciatore saudita a Roma mentre l'imam, la guida spirituale, è un suddito marocchino. Il secondo giorno arrivo puntuale. Varcato il cancello scopro che qui non si prega soltanto: sotto la moschea ci sono gli uffici diplomatici e amministrativi del Centro Islamico e Culturale di Roma, addirittura un piccolo museo d'arte "made in Marocco". Dentro, un volantino conciliante mi informa, tra l'altro, che "L'Islam è un messaggio universale fedele all'unico Dio (non si obbliga nessuno a seguirlo)". Fanatismo, addio.

Quadri, ceramiche e manoscritti su pergamena di pelle di gazzella: Corani del basso medioevo ma anche un Vangelo andaluso dell'undicesimo secolo, ovviamente in arabo. Un ragazzo in giacca blu fa da guida. Finito il turismo, salgo alla moschea.

Seduto di fianco al portone d'entrata, Corano nel palmo, c'è Samir, il 'muezzin'. Sudanese, alto e con la barba riccia, sarà lui ad urlare che Allah è grande dai 39 metri e venti centimetri del minareto di Roma, non appena agibile. Adesso, più umilmente, comunica la notizia al microfono, da terra; e nei giorni feriali, il suo indice puntato ammonisce i visitatori di entrare scalzi. Sistemo le mie scarpe sul tappeto di fronte alla porta e gli domando spiegazioni riguardo all'architettura del tempio: moquette ovunque, tanta luce, forme semplici e imponenti. Mentre Samir e io parliamo, una signora con cappello di paglia entra decisa nella moschea di Allah, il Paziente e il Misericordioso: scarpe saldamente allacciate ai piedi. Il mezzin la vede con la coda dell'occhio, la insegue e la fa uscire. Poi la lezione continua. "E quelle terrazze ai lati -faccio io- a che servono?" "Sono per le donne, -illustra Samir- loro pregano là ...", "Ah! ho visto qualcosa di simile nella Sinagoga di Venezia ", interviene l'incauta, sopraggiunta alle nostre spalle, priva di scarpe ma anche di cappello e con il ventaglio a mille. Samir tenta un sorriso e io cerco di cambiare discorso. "Quella porta sulla parete di fondo a cosa serve?" "Là prega l'imam -chiarisce il muezzin- in direzione della Mecca. Alla preghiera del venerdì prima parla ai fedeli, come minimo mezz'ora, poi si mette a pregare ..." "Noi cattolici la Santa Messa la facciamo di domenica, ma celebriamo l'Eucarestia che è il corpo di Gesù." Questa volta è stata fulminea; finito di parlare, riprende ad azionare il ventaglio. Detto in piena moschea, in faccia al muezzin, fa una certa impressione. Sembra quasi un atto di coraggio. Samir si mette a ridere, ma non lascia passare tanta audacia. "Non dire così", ammonisce.

E quella di rimando: "Gesù è Dio".

Lui: "No".

Lei: "Sì".

Lui: "No".

Lei: "E' la seconda persona della Trinità, e c'è anche lo Spirito Santo ...". Si scatena una bagarre teologica a colpi di sacre scritture. Mentre assisto, a bordo ring, scopro che il Corano dà della storia di Gesù un altro finale. La lancetta sulle 12 fischia la fine del match. La signora saluta e torna a casa.

"Inshallah, a rivederci".

L'equivoco in agguato

In Senegal guidava un camion carico di arachidi. In Italia vende "Terre di mezzo". "Appena ho un po' di soldi torno a casa e compro un'auto per fare il taxista". Gora Ngom ha 31 anni e una moglie di 22 che vive a Tuba, la città santa dei muridi, la confraternita islamica senegalese. Gora, perché sei musulmano? "Perché credo in Maometto e seguo quello che ha insegnato: essere fratelli, aiutare chi è malato, non fare male a nessuno. Poi credo in Dio - Allah - e credo che ha creato tutto lui senza l'aiuto di nessuno. Se Dio vuole qualcosa questa cosa avviene, altrimenti nessuno può far nulla". In Senegal, prima di cominciare a lavorare, ha frequentato per quattro anni la scuola araba per conoscere il Corano. "Quando sei piccolo non sei obbligato a pregare ma al venerdi è normale andare tutti insieme in moschea: uomini, donne, bambini. Quando sei grande invece sei obbligato, ma se non vuoi andarci tuo padre non può portarti con la forza". Anche qui in Italia -gli facciamo notare- non sono tutti praticanti. E poi ci sono gli atei che non credono in Dio. "Ah, davvero non credono in Dio? - Gora è sorpreso - Ogni tanto chi compra Terre di mezzo si ferma a parlare. Qualcuno mi ha detto infatti che non crede in Dio, ma pensavo che scherzasse..." Quando sei arrivato in Italia cosa ti ha colpito di più? "Vedere uomini e donne al bar a bere. In Senegal una donna che beve al bar è una fuori, una delinquente. All'inizio avevo paura ad entrare nei bar perché pensavo che fossero tutti ubriachi. Poi ho capito che qui è diverso e che un bicchiere - o anche due - non fa niente se sei abituato". Gora non beve alcolici e non mangia il maiale. Non ti attira nemmeno un panino col salame? "No, non mi viene voglia di assaggiarlo. E poi se lo mangio magari mi fa male perché non sono abituato". Altra differenza col Senegal: le donne in minigonna. "Non puoi evitare di guardarle. Ti passano avanti, dietro, a destra e a sinistra; tu guardi e fai peccato. E' più bello che le donne si coprano le gambe e si mettano i pantaloni o una gonna che arriva sotto il ginocchio. Noi siamo abituati così dalla nostra religione". Gora ricorda che all'inizio lo hanno colpito anche le coppie che si baciano per strada. "Da noi queste cose si fanno in casa". Sulla strada, in Senegal, si prega. "Tolgo la polvere dal posto in cui mi voglio inginocchiare e appoggio davanti a me lo zainetto o un pezzo di legno così la gente mi vede e passa dietro. Nel camion avevo sempre con me una tanica d'acqua per fare le abluzioni prima della preghiera. Ma se non hai l'acqua puoi entrare in una casa qualsiasi: chi ci abita ti mette a disposizione acqua e tappetino". "No, qui in Italia non prego per strada perché non sono pulito, non ho l'acqua per fare l'abluzione e non posso cambiarmi i vestiti se sono sporchi". I musulmani pregano cinque volte al giorno. Se non riesce a tornare a casa per fare le orazioni nelle ore stabilite Gora "recupera" nella preghiera che recita prima di andare a dormire. "Anche quando lavori per un padrone che ti paga ad ore non puoi metterti a pregare. Il padrone ti paga per sessanta minuti e se interrompi il lavoro per dieci minuti fai un furto. Il lavoro non è più importante della preghiera, ma se lavori per un altro devi rispettare le sue esigenze. Inoltre il lavoro ti dà i soldi per aiutare gli altri". La preghiera resta fondamentale. Gora racconta che Ahmadu Bamba (il maestro spirituale dei muridi) mentre veniva portato in esilio su una nave francese voleva pregare ma non glielo permettevano. "Lui allora ha messo il tappetino sul mare e ha pregato lì sopra, poi è tornato a bordo lasciando tutti esterefatti. Un'altra volta lo hanno rinchiuso insieme a un leone, ma la bestia invece di divorarlo si è stesa ai suoi piedi e lui ci parlava". Anche noi abbiamo un santo così, San Francesco. Lo conosci Gora? "Sì, mi pare di averlo visto in televisione: vive nella foresta, sta con gli animali e non lo mangiano". No, Gora, ti confondi!

Quello è Tarzan ed è un telefilm americano.

 

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