TDM#68-Mag
2000
Cosa va
storto, alla lettera
I detenuti
redattori del giornale del carcere di San Vittore
(...) Non
vogliamo tornare sui fatti di Sassari: pensiamo sia
sbagliato parlare di un problema partendo da un episodio
drammatico (...).
La cosa che
temiamo di più, è l'oblio che tra qualche
giorno si stenderà sul "pianeta carcere", salvo altri
fatti gravi che non ci auguriamo in nessun caso. La nostra
paura è essere dimenticati.
La nostra
paura è che quello che ci sta più a cuore
(ritornara a far parte, dopo aver espiato la giusta pena,
della comunità ed avere una vita normale), diventi
sempre più difficile da ottenere.
Vorremmo qui
evidenziare tre punti che vorremmo fossero oggetto di
discussione, anche tra una settimana o tra un mese,
perché sono problemi che abbiamo da tanto tempo e
cominciano ad apparire insormontabili: il rapporto con la
Magistratura di sorveglianza, il lavoro, la
responsabilità di chi trasgredisce quando sta fruendo
di benefici.
Il primo
punto è il rapporto con la Magistratura di
sorveglianza: negli ultimi anni, a Milano, si è
creata una situazione di stallo a proposito di tutte -o
quasi- le iniziative che dovrebbero mirare al nostro
reinserimento. Sappiamo che gli organici sono scarni, ma
quotidianamente ci vediamo rifiutare tutte le proposte
avanzate, in una misura che ci sembra superiore al
ragionevole. Ci sembra che il lavoro che facciamo
all'interno dell'istituto non venga minimamente osservato e,
quando preso in considerazione, diventi un dato di fatto,
una cosa scontata. Un concetto che contraddice di fatto
l'intenzione risocializzante del carcere. Spesso le
risposte, quando arrivano, sono negative. Ci sentiamo
abbandonati. Ci sentiamo rifiutati. Le misure alternative
alla pena hanno subito un drastico ridimensionamento (...).
È
possibile avere più attenzione e dialogo da parte dei
nostri magistrati?
Secondo
argomento: il lavoro. Il Governo precedente aveva quasi
varato una legge che avrebbe creato nuovi strumenti sul
piano della formazione e del lavoro, per consentire una
più agile sinergia tra imprenditori privati, aziende
pubbliche e il mondo del carcere. A fine marzo, l'onorevole
Smuraglia (...), ha parlato davanti a tanti detenuti dei
contenuti della proposta di legge da lui presentata in tema
di lavoro. Era solo propaganda elettorale? L'esperienza ci
dice che tanto più un proposito è buono, tanto
prima i fatti seguono. Noi temiamo che le proposte
costruttive naufraghino alla cadenza delle contingenze
politiche, mentre siamo certi che restino i provvedimenti
restrittivi nati sotto l'emergenza di turno.
Terzo e
ultimo punto: che cosa rimane della legge Gozzini? Esiste ma
non è applicata. (...). Non si applica, che è
ancora meglio che abolirla, perché in caso di
abolizione un minimo di discussione avrebbe spazio in un
Paese civile. Molto meglio non metterla in atto, non
rischiare l'incidente, che purtroppo (anche se raramente)
accade. Come nei casi di mancato rientro dai permessi premio
che tanto hanno fatto parlare e scrivere. E qui arriviamo ad
una ricetta che è quasi una proposta: vorremmo che le
conseguenze delle trasgressioni commesse durante il periodo
di fruizione dei benefici fossero individuali e non, in fin
dei conti, collettive. Che la colpa di uno di noi non ricada
suglia altri, insomma. (...)
Non parlate
di noi solo quando c'è un'emergenza. Non parlate di
carcere solo quando succede un fattaccio. La stragrande
maggioranza di noi vuole pagare il suo debito e ricostruire
un rapporto con il mondo di quelli che non hanno
sbagliato.
Seguono
400 firme.
|