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Reportage

TDM#68-Mag 2000

 

Diplomazia e Mani Tese

 

Reportage di Marina Ponti

 

New York; mercoledì 12 aprile 2000.

Cammino sotto un cielo azzurro limpidissimo in questa fredda giornata di primavera. Sono sulla first Avenue, alla mia destra c'è l'East River, pieno di chiatte che trascinano carichi di merce. Oltre il fiume vedo Brookyn, un'enorme insegna luminosa della Pepsi Cola e capisco di essere quasi arrivata. Ora infatti non vedo più il fiume, perché si è intromesso un enorme palazzo: il Palazzo di Vetro. Inizia una fila di bandiere, che sono poi tutte le bandiere che hanno un seggio alle Nazioni Unite. Sventolano l'una contro l'altra, sembra proprio che in questo momento tutti gli Stati siano in fila, una rigorosa fila in ordine alfabetico che annulla per qualche minuto i delicati rapporti di forza e potere.

Esibisco il pass ed entro.

All'ingresso mi danno il "Journal", uno strumento essenziale che ogni giorno pubblica l'elenco di tutte le riunioni che si svolgono al'Onu, spiegando dove saranno, da chi saranno presiedute e se si tratterà di incontri aperti o chiusi. Quest'ultimo dettaglio ricopre una particolare importanza, soprattutto se non si rappresenta un Governo, ma un'organizzazione della società civile; ed è questo il mio caso. Cerco le indicazioni sulla sala in cui si terrà il mio incontro: "Preparatory Comitee for the Special Session of the General Assembly on the Implementation of the outcome of the World Summit for Social Developement". Si tratta di un incontro per preparare l'Assemblea Generale dell'Onu che si tiene dal 26 al 30 giugno a Ginevra.

Sono passati 5 anni dal Summit Mondiale per lo Sviluppo Sociale di Copenaghen dove i governi di tutto il mondo si impegnarono contro povertà, disoccupazione ed esclusione sociale (vedi box con gli impegni sottoscritti). La sessione di giugno a Ginevra vuole fare il punto dello stato delle cose: dove siamo arrivati in fatto di sviluppo sociale? I governi hanno realizzato ciò che avevano promesso? Ulteriori iniziative per raggiungere gli obiettivi di Copenaghen potranno essere presentati proprio a Ginevra. L'incontro dove mi sto recando adesso, come altri tre che si sono tenuti negli ultimi anni, ha il compito di definire ogni sfumatura della Sessione di Ginevra. Un compito piuttosto ambizioso, anche se il ritardo "accademico" con cui le delegazioni raggiungono le loro "postazioni" non lo darebbe a vedere.

Raggiungo la sala, che come la maggior parte delle sale per conferenze (tranne il Consiglio di Sicurezza e la Sala dell'Assemblea Generale), si trova in un buio seminterrato. È grande, con diverse file di tavoli a semicerchio. Ogni tavolo porta una targa con il nome del Paese cui è stato assegnato, il tutto ancora una volta in rigoroso ordine alfabetico.

L'arredamento, poltroncine in pelle o similpelle tipiche degli anni '50 e '60, è di uno sfarzo che non appartiene più a questa grande organizzazione. Trasmette una sensazione demodé, come se i vedi attori e i veri processi decisionali fossero altrove. Forse a Washington, nelle sale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario; o forse a Ginevra all'interno dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. tutti luoghi in cui la mia presenza, in veste di rappresentante della società civile, non sarebbe stata possibile. A fianco della porta c'è una specie di finestra che si affaccia su una piccola stanzetta interna. Questo "buco" è molto importante perché è da qui che vengono distribuiti i documenti che man mano sono oggetto delle negoziazioni. Mi affaccio e pronuncio le parole magiche, che non sono altro che una lunga fila di lettere e numeri, la lingua segreta degli addetti ai lavori; e subito mi viene consegnato un pacchetto di documenti. Finalmente mi siedo, in fondo alla sala, dove sono state lasciate lcune postazioni alla società civile. Apro i documenti.

Il nostro compito è dunque quello di incontrare i rappresentanti dei diversi Paesi e di convincerli a sposare le nostre proposte in vista dell'incontro di Ginevra. Naturalmente non è una cosa facile, in quanto i governi non sentono come prioritario il punto di vista della società civile; diciamo che ci sono gruppi di pressione che hanno ben altra forza! ...Quasi sempre, va detto, ci ascoltano, sorridono, anche se si vede chiaramente che ci giudicano ingenui a portare avanti delle rivendicazioni che appartengono ad un mondo senz'altro più bello, più giusto e più perfetto, ma anche molto lontano dalla realtà. Troppo lontano. Dopo averci ascoltati pensano alla potenziale reazione del loro ministro delle Finanze o del Tesoro alla nostra proposta (che sia la cancellazione del debito, la democratizzazione della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale, ecc...) ed il gioco è già perso in partenza. Inoltre, mentre i rappresentanti dei governi hanno diritto di parola ad ogni momento dello svolgimento delle sedute plenarie, i rappresentanti della società civile possono parlare solo in orari stabiliti in partenza (un'ora alla settimana, di solito dalle 12 alle 13, così se una delegazione vuole anticipare il suo pranzo e andare via è libera di farlo...). In altre parole, noi abbiamo diritto alla parola in una specie di piccolo recinto, anche se i nostri interventi restano agli atti ed alcune delegazioni ci ascoltano davvero.

Il modo più efficace di far pressione resta dunque quello definito in gergo "face to face", cioé l'incontro di persona, faccia a faccia, in cui nei pochi minuti di attenzione a disposizione si condensano i principali contenuti delle nostre posizioni.

Qual'è l'impatto? Beh, su alcuni temi è molto piccolo perché l'ombra del ministro delle Finanze è troppo forte; ma alcune volte si può parlare di risultati concreti, come nel caso della richiesta di preparare uno studio di fattibilità su una tassa sulle transizioni valutarie (una sorta di Tobin tax), proposta che noi abbiamo portato avanti in tutti i comitati preparatori e che è ancora parte del documento, sopravvissuta a stento agli attacchi degli Stati Uniti, del Giappone e dell'Unuine Europea... lmeno fino ad oggi... a Ginevra chissà!

Le 10 promesse Anti-Povertà

La povertà non è una maledizione. E neanche una condizione inevitabile. È la diretta conseguenza del modo in cui le società organizzano la distribuzione dei beni e delle oportunità tra i loro membri e tra le nazioni. Il nostro pianeta possiede risorse sufficienti per poter garantire a tutti i suoi abitanti il necessario per una vita decorosa. Su questo punto, a Copenaghen 5 anni fa, si sono trovati d'accordo 122 Capi di Stato e di Governo. Riconoscendo anche di non potendo raggiungere da soli questo obiettivo ma solo con il contributo delle associazioni della società civile. Ecco i dieci impegni che i Governi hanno sottoscritto a Copenaghen. Impegni nobili ma, va detto, non giuridicamente vincolanti in quanto semplici obblighi morali:

 

1) Ci impegniamo a creare un ambiente economico, politico, sociale, culturale e legale che permetta a tutte le persone di raggiungere lo sviluppo sociale. 2) Ci impegniamo a sradicare la povertà nel mondo, attraverso azioni efficaci a livello nazionale e attraverso la cooperazione internazionale, imperativi etici, sociali, politici ed economici del genere umano. 3) Ci impegniamo a promuovere la piena occupazione come una priorità fondamentale delle nostre politiche sociali ed economiche, e a far sì che tutti gli uomini e le donne raggiungano la sicurezza economica attraverso un impiego produttivo liberamente scelto. 4) Ci impegniamo a promuovere società stabili, sicure e giuste fondate sulla protezione di tutti i diritti umani, sulla tolleranza, sulla solidarietà, sulla sicurezza e sulla partecipazione di tutte le persone, inclusi gli svantaggiati e i gruppi vulnerabili.

5) Ci impegniamo a promuovere il pieno rispetto della dignità umana e a raggiungere l'uguaglianza e l'equità tra donne e uomini, e a rilanciare la partecipazione e il ruolo delle donne nella vita politica, civile, sociale e culturale e nello sviluppo.

6) Ci impegniamo a promuovere e a raggiungere l'accesso universale ad un'istruzione primaria di qualità. 7) Ci impegniamo ad accelerare lo sviluppo economico e sociale dell'Africa e dei Paesi meno avanzati.8) Ci impegniamo ad assicurare che i programmi di aggiustamento strutturale includano obiettivi di sviluppo sociale, in particolare lo sradicamento della povertà, la promozione del pieno impiego, e il rafforzamento dell'integrazione sociale.

9) Ci impegniamo ad aumentare in maniera significativa e/o utilizzando le risorse in maniera più efficace le risorse allocate per raggiungere gli obiettivi del vertice attraverso azioni nazionali e regionali e attraverso la cooperazione internazionale.

10) Ci impegniamo a migliorare il quadro di cooperazione internazionale e regionale per lo sviluppo sociale, attraverso le Nazioni Unite e le altre istituzioni multilaterali.

Attenti a quei 122

Tenerli d'occhio. Nel senso dei Governi. È questo il motivo per cui cinque anni fa, alla chiusura del Vertice di Copenaghen un gruppo di associazioni fa nascere "Social Watch". Gli impegni presi nel corso del Vertice "non volevano essere uno scambio di buone intenzioni tra diplomatici ma veri e propri obblicgi assunti dai (122, ndr) capi di stato eletti e stipendiati dal popolo", spiegano quelli di "Social Watch". Così è nata l'idea di mantenere, anche tramite azioni come quella di Marina, l'attenzione sullo stato di realizzazione degli impegni. Far nascere un punto d'incontro tra chi si occupa di sviluppo sociale e di discriminazione in genere. Raccogliere informazioni e diffonderle. Nella rete sono finite associazioni di tutti i Paesi: da Action delle Filippine a Women for chanfe dello Zambia, per intenderci. Per l'Italia partecipano Acli, Arci, Mani Tese e Movimondo.

"Social Watch" pubblica ogni anno un rapporto sullo stato della povertà e del progresso sull'adempimento degli impegni di Copenaghen. Nel rapporto del '99 anche una scheda sulla situazione locale di 32 Paesi. Nota dolente: "Social Watch" sottolinea che l'Italia è tra i Paesi che fanno ancora pochi sforzi per attuare gli impegni del vertice; in particolare ci meritiamo l'insufficienza per quanto riguarda gli aiuti ai Paesi poveri (che col tempo sono diminuiti) e le spese per gli armamenti (aumentate). Info: www.socialwatch.org..

 

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