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Reportage

TDM#67-Mag 2000

 

In viaggio in Kurdistan

 

Reportage di Giovanni Grandi e Daniele Tramonti

 

Capodanno a primavera

Si parte il 19 marzo per Diyarbakir, città principale del sud-est della Turchia, a maggioranza curda. Scopo del viaggio è essere presenti al Newroz (il capodanno curdo) che cade il 21 Marzo. Quest'anno la manifestazione è particolarmente importante perché per la prima volta il governo turco ha dato l'autorizzazione ai festeggiamenti nelle principali città del Kurdistan. La gente che incontriamo ci dice che si festeggerà finalmente un Newroz di pace. La nostra presenza servirà a scoraggiare eventuali violenze sulla popolazione civile e a sostenere questo piccolo segno di distensione concesso dal governo e raccolto dal popolo curdo. 20 marzo. Siamo arrivati a Dyiarbachir ieri notte. Abbiamo poco tempo: domani mattina si terrà il Newroz, ma a dieci chilometri dalla città, per evitare eventuali scontri dovuti all'arrivo - si dice - di oltre 150 mila persone. Ci dicono che la polizia in quest'area è abituata a reprimere le manifestazioni, non a vegliare sulla sicurezza della gente. Ci aspettano appuntamenti con altre delegazioni europee provenienti da vari paesi: Francia, Germania, Belgio. Anche la delegazione italiana sarà a Dyiarbakir questa notte; l'appuntamento più importante è con Hadep, il partito politico che ufficialmente ha organizzato i festeggiamenti e "contrattato" con i rappresentanti del governo turco tempi e modalità di svolgimento. La sede del partito ricorda l'ufficio di collocamento di un paesino qualunque della Sicilia. Ci sono decine di uomini e donne in attesa di qualcosa di molto importante che noi italiani non riusciamo a cogliere fino in fondo. Ci accolgono tutti con abbracci e strette di mano, con la forza di chi non sa parlare la stessa lingua ma vuole farsi capire e ci riesce benissimo. Uno dei rappresentanti di Hadep ci riceve con altre venti persone in una stanza. Ci spiega che questo Newroz dovrà avere un'eco di pace in Turchia e che da domani in poi l'obiettivo della gente sarà di lavorare per la democratizzazione della Turchia con mezzi pacifici. È stato invitato alla festa anche il governatore della regione e parteciperanno degli artisti turchi. Ci lasciamo con un appuntamento per le sette di domani mattina. Usciamo dalla sede di Hadep in compagnia di quattro ragazzi curdi, che gentilmente ci aiutano negli incontri per la traduzione dal turco all'inglese. Sono le otto di sera, ci invitano a casa di uno di loro, per farci conoscere la famiglia e mangiare insieme qualche cosa. Prima in autobus e poi a piedi entriamo in uno dei quartieri popolari della città costruiti per raccogliere le migliaia di profughi provenienti dai villaggi distrutti dalla guerra. C'è ancora luce e la gente passeggia per le strade sterrate. Attorno ai palazzoni c'è tensione mista a euforia. In attesa della festa, qualcuno sta preparando i tradizionali fuochi del Newroz che verranno accesi qualche ora prima della mezzanotte.

L'ora delle botte

L'ora della libertà scocca domani, oggi o in un giorno qualunque, e lo dimostrano gli agenti che da due giorni ci seguono a vista e con i quali dobbiamo condividere la passeggiata e l'invito a cena dei giovani curdi. Rimaniamo solo una mezz'ora nella famiglia che ci ospita, poi chiediamo di essere indirizzati verso l'albergo. I ragazzi ci accompagnano alla fermata dell'autobus; mentre aspettiamo, ecco che all'improvviso ci ritroviamo circondati da moto, auto e pulmini della polizia. Scendono dai mezzi una trentina di poliziotti quasi tutti in borghese, cominciano a interrogarci e a perquisire i nostri zaini. La stessa sorte tocca ai nostri quattro amici. Ci caricano tutti su un furgone e ci portano alla questura, dove veniamo uno alla volta incappucciati con gli abiti che indossiamo. Tenendoci per il collo o per i capelli, ci trascinano a ginocchia piegate e schiena curva per una scalinata e un corridoio fino ad arrivare alla stanza dell'interrogatorio. Chi sei? Come ti chiami? Cosa fai qui? Sei un missionario? Non sai che la Turchia è un paese bello, senza problemi? Le nostre risposte rispetto alle loro domande e ai ceffoni che arrivano sulle nostre teste sembrano insignificanti. Come se stessero parlando con un asino dal quale non si pretende parola. Finito l'interrogatorio ci vogliono portare all'albergo. Noi insistiamo a voler uscire con i ragazzi nostri amici. La riposta è ovvia: "Non sono cose che vi riguardano, qui si fa quello che diciamo noi". Ci aspetta un'interminabile notte insonne alla ricerca di una soluzione per aiutare i ragazzi ancora prigionieri nella questura: telefoniamo al console italiano ad Ismir, a un avvocato che li possa assistere ma rimaniamo impotenti con l'ordine della polizia di non uscire dalla stanza fino a domattina.

Speriamo e preghiamo, in attesa della luce della mattina del Newroz, ma come prima cosa vogliamo informarci sulla situazione dei nostri amici. Andiamo all'appuntamento ad Hadep disposti anche a rinunciare a monitorare la festa per correre in questura con un avvocato. Fortunatamente i ragazzi sono stati rilasciati durante la notte senza subire altre violenze.

Saliamo sul primo taxi sgangherato e con la musica a palla corriamo al luogo della festa. Lungo il tragitto veniamo fermati come tutti dai poliziotti in divisa. Passiamo a piedi due controlli, uno della polizia e uno del servizio d'ordine di Hadep, che evidentemente ci tiene a far sì che nessuno sia armato e che tutto vada per il meglio. Arriva gente da tutte le parti del sud-est con i mezzi più disparati: chi con il proprio trattore, chi con pullman o auto, chi a piedi dai villaggi vicini. Il luogo del Newroz è circondato dalle forze dell'ordine turche ma la gente non è preoccupata, continua a ballare, cantare e a suonare senza sosta fino al termine di quelle sei ore di libertà. Sembra di assistere ad una scena grottesca di un film di Kusturica, dove in un carcere gigantesco oltre 150 mila persone festeggiano le uniche sei ore d'aria di un intero anno. A fronte di questa concessione da parte del governo di Ankara - questa e' la nostra impressione - le organizzazioni della società civile curda hanno risposto in modo maturo e responsabile.

Obiettori a vita

A Istanbul incontriamo la giornalista Nadire Mater, autrice de "Il libro di Mehmet", voce di 42 ex militari che hanno combattuto nella guerra tra esercito turco e Pkk negli ultimi 15 anni. Vorremmo far pubblicare il libro in Italia, in modo da sostenere Nadire e la sua casa editrice. Entrambe sono state denunciate dal governo e stanno sostenendo un processo: rischiano 13 anni di carcere per aver infangato il "buon nome" delle forze armate. Il prossimo 5 maggio ci sarà l'udienza successiva, e forse definitiva. Nadire è serena, non teme le conseguenze legali del suo lavoro: il libro ha venduto più di quindicimila copie solo in Turchia e Nadire sa di essere appoggiata dalla gente e da numerosi gruppi per i diritti umani in tutto il mondo. "Non sono io sotto accusa - dice semplicemente- ma le migliaia di giovani militari che ogni anno vengono obbligati a combattere in una guerra che non vogliono e di cui non comprendono il significato".

Lo Iami (Iniziativa antimilitarista di Istambul) è invece un gruppo di ragazzi e ragazze che si dichiarano obiettori di coscienza e rifiutano ogni forma di violenza. Siamo incontatto con Ugur Yorulmaz, un giovane turco responsabile dello Iami. E' stato richiamato alle armi, ma si prepara, il prossimo 15 maggio, a dichiarare pubblicamente la sua obiezione di coscienza e di rifiuto al servizio militare, consegnandosi alle autorità turche e rifiutando quindi l'arruolamento nelle forze armate. In Turchia non è riconosciuto il diritto all'obiezione di coscienza e chi obietta viene considerato disertore, mentre il fatto di rendere pubblico tale atto fa incorrere in una condanna supplementare, con l'accusa di allontanare le persone dal servizio militare.

Fine pena mai

La pena è il carcere: a vita. Osman Murat Ulke, obiettore, è stato incarcerato a più riprese. Ogni volta che rinnovava il rifiuto di prestare servizio militare veniva ripreso e il periodo di detenzione è stato sempre più lungo.

Ugur e i suoi stanno lanciando una "Campagna per la pace, l'antimilitarismo, l'obiezione di coscienza e per una cultura non-violenta". Il progetto consiste in due appuntamenti: il primo è la "Festa dell'Obiezione di Coscienza'" che si terrà a Istanbul il prossimo 15 maggio. Ci sarà un concerto rock con gruppi antimilitaristi, mostre fotografiche sulla guerra, dibattiti e la dichiarazione pubblica di obiezione di coscienza di Ugur. Seguirà un'azione su vasta scala contro l'obbligo del servizio militare con lo slogan: "Libertà per l'Obiezione di Coscienza"."Per ottenere il massimo risultato -spiega Ugur- abbiamo bisogno di persone che condividano con noi questo giorno di festa, per far capire al governo che il problema non è solo 'affare turco'. E raccogliere fondi per le spese di organizzazione di questa campagna". L'appello pressante di Ugur parla alla società civile italiana ed internazionale, in particolare agli obiettori e a quanti si riconoscono nei valori di pace e antimilitarismo. Per questo suo gesto anche Ugur rischia di finire in carcere. Ed è anche per sostenere il suo coraggio e la sua coerenza che ci uniamo al suo appello.


* L'associazione "Papa Giovanni XXIII" non è nuova alle missioni di pace: basti ricordare le esperienze in zone di guerra di "Operazione Colomba", dalla Croazia al Kosovo, dalla Sierra Leone al Chiapas: azioni accomunate dalla condivisione della vita quotidiana degli abitanti e dal monitorggio dei diritti umani. Il "Progetto Turchia", nasce con l'intento di sostenere le persone che subiscono violazioni dei diritti e offrire la propria presenza in situazioni a rischio, come processi, manifestazioni, incontri pubblici, raccogliendo testimonianze e informazioni per denunciare nelle sedi opportune le violazioni accertate. La prima fase, partita nell'agosto 1999, ha visto i volontari prendere contatto con gli obiettori di coscienza turchi, gli attivisti in difesa dei diritti umani e Nadire Mater, giornalista, autrice di un libro-intervista a 42 ex-combattenti di 15 anni di guerra, attualmente sotto processo. La seconda missione, che il reportage racconta, ha portato una delgazione a Dyiarbakir, in occasione del "Newroz", il capodanno curdo, festività per la prima volta riconosciuta dal governo turco. Info: tel. 0541-75.14.98.

 

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