TDM#63-Gen
2000
Extra che
scrivono in italiano: nasce la letteratura
dell'immigrazione? Alighieri detto Alì
di Chiara
Gorla
"Saudade di
vento del paese mio, di quando io era piccolina che sedeva
nel campo di granturco e il vento caldo soffiava le orecchia
mia. Io felice, pensava che era la voce del sole". Ana de
Jesus viene dal Brasile e fa la colf. Ma è nata in
Italia, dalla penna di Christiana de Caldas Brito,
brasiliana pure lei con una storia di immigrazione alle
spalle e dentro la passione per la scrittura. Miscela
esplosiva per un'espressione letteraria originale: quella
scritta in italiano da un autore immigrato. Sono circa un
centinaio gli stranieri che nello Stivale hanno pubblicato
racconti e poesie in italiano. E il premio Montale 1997, il
maggior riconoscimento letterario per la poesia italiana,
l'ha vinto Gezim Hajdari, un poeta albanese. E anche se non
si tratta sempre di capolavori, c'è chi parla ormai
di "letteratura della migrazione" in italiano. Storie di
nostalgia e speranza di chi ha lasciato tutto e ricomincia
da zero. Per bisogno o per scelta. . Negli scritti di donne
e uomini conosciamo in presa diretta un volto inedito
dell'immigrazione, le loro storie e lo sguardo sull'Italia e
gli italiani. A scommettere su di loro sono case editrici
piccole e specializzate. Oppure riviste che si occupano solo
di letteratura d'immigrazione come "Caffé", a Roma. E
nelle mani di questi autori "in erba" la lingua si modella
sulle esigenze del racconto, strumento duttile dai
risultati, a volte, sorprendenti. Come nel caso di
Christiana de Caldas Brito che al suo personaggio Ana fa
parlare un misto di italiano e portoghese: l'unica lingua
che poteva raccontare la fatica di un percorso di
integrazione. Dietro la scelta di scrivere in italiano
c'è il desiderio di farsi leggere dai "madrelingua",
di raccontare agli spettatori della migrazione le vite dei
protagonisti. "Scrivere in italiano significa riflettere a
voce alta per gli italiani' - mi spiega Martha Elvira
Patiño, messicana, autrice di racconti.- Ma anche
scavalcare la diversità e favorire la mia
integrazione". Tra gli autori, almeno la metà sono
donne: spesso hanno una laurea in tasca, sono in Italia da
molti anni e, in alcuni casi, hanno sposato un italiano. Ma
conoscere la lingua da tempo non salvaguarda dalla
difficoltà di avere a che fare con le lettere doppie,
i congiuntivi e i pronomi personali. "In questi casi viene
in soccorso il correttore ortografico del computer, - mi
confida Christiana - e la pazienza di marito e figli".
Autori per lo più autodidatti, che l'italiano l'hanno
imparato sul campo. Come Yousef Wakkas, siriano, che oltre a
una lingua completamente diversa dall'arabo, ha dovuto
imparare a scrivere da sinistra verso destra. Per Wakkas
l'esperienza della scrittura in italiano ha avuto un
significato ancora più intenso: recluso nel carcere
di Busto Arsizio partecipa nel 1995 al concorso letterario
per stranieri Eks&Tra e vince il primo premio. In un
colloquio con la curatrice del concorso, Roberta Sangiorgi,
Wakkas commenta così la sua vittoria "Sentii come se
avessi acquistato una nuova identità che contrastava
e dirimeva quella precedente".
La mia
Africa a Varese
A Varese il
vento d'inverno porta la neve e penetra nelle ossa. Gertrude
ed io ci infiliamo in un bar: davanti a una tazza di
tè fumante si può parlare meglio. Gertrude
Sokeng ha 26 anni e viene dal Cameroun. Qui studia medicina
e agli studi si mantiene con qualche lavoretto, anche come
collaboratrice domestica, quando serve. "Ma così il
tempo per scrivere e leggere finisce per essere poco.
Però sono queste le mie grandi passioni". Gertrude
sorride. Si toglie il cappello e si aggiusta i capelli
corvini. "Scrivere in italiano è un'occasione per
spiegare qualcosa di più di noi. Degli immigrati
voglio dire. La diffidenza è ancora tanta. Te ne
accorgi per esempio quando cerchi casa. Difficilmente
qualcuno è disposto ad affittartene una". Parla un
italiano perfetto. L'ha imparato a Perugia,
all'università per stranieri. "Quando scrivo devo
fare attenzione però alle interferenze con il
francese. Per esempio mi è capitato di scrivere
'dolente', ma volevo dire 'dolorante'". Nell'edizione 1999
del concorso Eks&Tra Gertrude vince il quinto premio. Il
suo racconto parla di Fatima, una donna di Casablanca
immigrata in Italia. "Non c'è una ragione precisa per
cui ho scelto una protagonista marocchina. Il bando di
concorso richiedeva una storia di immigrazione e Fatima
appartiene a una delle comunità di extracomunitari
più numerose in Italia. Il pregiudizio e
l'emarginazione nei loro confronti rappresentano problemi
che ho provato anch'io sulla mia pelle. Si dice marocchino e
si pensa a traffici illeciti. Ma io non scrivo solo di
esperienze di immigrazione. Scrivo soprattutto storie
ambientate in Africa". Non ci torna da tre anni. Forse
però l'estate prossima è la volta buona. E
dopo la laurea spera di andare a fare il medico in Cameroun.
"Mi manca tanto. Il primo racconto africano l'ho scritto in
francese, e poi l'ho tradotto. Adesso invece scrivo tutto in
italiano. Ormai mi viene spontaneo".
Scrivo
dunque non sono: l'identità culturale in pagina "Sono
passati vent'anni da quando mi vergognavo del mio nome.
L'appello a scuola era un vero tormento... Niente era facile
se il tuo nome era uno scioglilingua". Sono i ricordi di
scuola di Fitahianamalala Rakotobe Andriamaro, di origine
malgascia. E' l'autrice di "Chiamatemi Mina" (Parole oltre i
confini, Fara ed. Rimini) un racconto di poche pagine in cui
si concentra il tema dell'identità culturale: la
sostituzione del proprio nome con uno più semplice,
Mina, per non sentire e non far sentire troppo la
diversità. E dopo un'esperienza di migrazione ci si
può anche accorgere di non appartenere più
né alla cultura del Paese ospitante, né a
quella del Paese d'origine. Lo dice bene Gabriella
Ghermandi, ne "Il telefono del quartiere", racconto
vincitore dell'ultima edizione di Eks&Tra:
"...costringevo [il vecchio Zeggu] ad accompagnarmi
nel mio folle pellegrinaggio, alla ricerca della mia vecchia
vita che in qualche modo pretendevo fosse conservata intatta
in qualche angolo d'Etiopia".
Primo
l'elefante
E'
all'inizio degli anni '90 che compaiono i primi scritti in
lingua italiana di autori immigrati: si tratta di
autobiografie scritte a "quattro mani" da un immigrato con
l'aiuto di un giornalista che traduce le esperienze in
italiano. Al centro c'è il racconto del viaggio, la
precarietà della vita degli immigrati nel nostro
Paese come per esempio in "Io, venditore di elefanti" di Pap
Khouma e Oreste Pivetta, (Garzanti, 1990) e "La promessa di
Hamadì" di Saidou Moussa Ba e Alessandro Micheletti
(De Agostini Scolastica, 1991). Negli anni successivi i
contenuti si diversificano, e l'italiano, senza più
mediatori madrelingua, si piega all'uso di ogni autore. Un
passo decisivo per la conoscenza e la pubblicazione di
questi lavori è il concorso letterario riservato a
stranieri promosso per la prima volta nel 1995
dall'associazione Eks&Tra e dalla provincia di Mantova.
Gli scritti dei vincitori e dei finalisti vengono raccolti
nella prima antologia di "letteratura immigrata": Le voci
dell'arcobaleno (Fara editore, Rimini ).
Piccoli e
neri
La
letteratura della migrazione occupa pochissimo spazio sui
banconi delle librerie. E anche i testi pubblicati dalle
maggiori case editrici all'inizio degli anni '90 sono ormai
fuori commercio. A pubblicare sono le case editrici
più piccole, come la Fara Editore di Rimini (tel.:
0541-37.45.48) che ogni anno dal 1995 esce con le antologie
del concorso Eks&Tra; o la Lilith di Roma (tel.:
06-44.24.23.12). Un contributo importante lo offre la
rivista "Caffè" (tel.: 06-68.76.897). Da febbraio,
parte a Bologna un'iniziativa analoga: il progetto Narrasud
( tel.: 051-50.25.73). Per una bibliografia sul tema,
Archivio dell'immigrazione, tel.: 06-53.71.265).
Specchiarsi
tra le righe
Le penne
immigrate parlano anche di noi. E qualche volta raccontano
di come siamo fatti. "Certi amici miei, vedendo tutti i
comfort riservati ai cani che vivono nelle famiglie, dicono
che in Italia è meglio nascere cane che
extracomunitario". Sono le parole di un personaggio di
Martha Elvira Patiño e Pilar Saravia, le autrici
sudamericane di un racconto per Eks&Tra. La cura
riservata agli animali domestici ha colpito anche Ana de
Jesus, la protagonista brasiliana di un monologo di
Christiana de Caldas Brito: "Bambini mia non mangiano bene.
Io quando venuda comprato latina carne al supermercato per
mandare a mie figli. Pensava che era carne per bambini
perché foto di cagnolino bello per divertire
bambini". Paul Bakolo Ngoi, zairese invece scrive: "Per
Laila l'Italia non era più l'America che si
attendeva. Niente di tutto quello che aveva visto alla
televisione assomigliava a questo condominio [la casa di
Laila in Italia, ndr]. Il suo sogno era svanito, anzi,
le era crollato addosso". (Da "Le voci dell'arcobaleno",
Fara editore).
Per capirne
di più: "La letteratura italiana della migrazione" di
Armando Gnisci suggerisce percorsi di lettura. Bella la
raccolta di testi di Christiana de Caldas Brito: "Amanda,
Olinda, Azzurra e le altre". Entrambi di Lilith edizioni,
Roma. 16 mila lire ciascuno (tel.06-44.24.23.12).
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