Storia

CUS TRIESTE

Sezione KARATE

Questa piccola dispensa è dedicata al praticante che, digiuno di qualsiasi Arte Marziale, per la prima volta si avvicina al Karate. Lo scopo è di fornire una base teorica per un successivo approfondimento e condurre il praticante ad un giusto approccio con ciò che si accinge ad iniziare. Parimenti potrà essere utile al praticante non eccessivamente esperto il quale troverà materia di ripasso.

BREVI CENNI SULLA STORIA DEL KARATE.-

L'origine del Karate risale a circa 1400 anni fa. Il monaco buddista Bodhidharma, proveniente dall'India, ideò per i suoi allievi alcuni metodi di addestramento fisico al fine di creare in loro quella resistenza e quella forza fisica necessarie a mantenere la rigida disciplina che era parte della loro religione. Inoltre era necessario un sistema di difesa personale ai monaci che dovevano viaggiare senza armi lungo vie infestate di bande di briganti. Il metodo prese il nome dal monastero cinese di Shao – lin . Tale arte marziale fu pio importata ad Okinawa, isola dell'arcipelago giapponese delle Ryukyu, ove venne usata dai popolani contro i soprusi dell'aristocrazia che aveva proibito l'uso delle armi. Il Karate inizialmente significava "mano cinese", poi, per motivi nazionalistici, mutato in "mano vuota " da Kara (vuoto) Te (mano). Il primo a codificare le tecniche fu il maestro Gichin Funakoshi , professore presso l'università di Okinawa, che nel 1936, a seguito del grande interesse suscitato nel corso di una dimostrazione a Tokyo, alla presenza dell'imperatore, fondò la scuola Shotokan (Shoto soprannome di Funakoshi) e (kan –casa). Nello stesso periodo furono fondate anche le scuole Shitorju (maestro Mabuni) e Goju- rju (maestro Miyagi ) che, con lo Shotokan costituirono i primi nuclei di Karate, da cui poi dovevano nascere tutti gli altri stili in seno alla J.K.A. (Japan Karate Association).

PRINCIPI BASILARI DEL KARATE.-

Ma in che cosa consiste questa particolare forma di lotta? Due sono i filoni di modi di combattimento: il corpo a corpo (ovvero avversari ravvicinati come nel Judo e nella lotta libera) ed il confronto a distanza (come nella boxe). Nel Karate si ha un connubio di questi due modi. Esistono tecniche in cui gli avversari si possono colpire partendo da una distanza di alcuni metri (es. yoko tobi geri = calcio laterale volante) e tecniche ravvicinate di corpo a corpo (es. empi uchi = percossa con il gomito). Tsuki (pugno), Uchi (percossa), Keri (calcio) e Uke (parata) sono le tecniche fondamentali. L'eccezionale potenza di determinate tecniche di Karate non è frutto di allenamenti particolari tesi alla formazione di calli o addirittura alla modifica della struttura ossea di alcuni arti, è semplicemente il risultato dell'applicazione coordinata di alcuni elementari principi fisici e psicologici.

PRINCIPI FISICI:

Forma, equilibrio e centro di gravità. Una forma corretta è indispensabile nel Karate; tutte le parti del corpo devono armonizzarsi per creare l'equilibrio necessario a sostenere il colpo di un pugno o di un calcio. Si deve trovare il giusto compromesso nelle posizioni tra baricentro basso (potenza maggiore / lentezza) e baricentro relativamente alto (minor potenza / velocità). Uso appropriato delle anche e del Tanden (basso addome posto alcuni centimetri sotto all'ombelico) ove viene collocato il centro di gravità. Il Tanden ha due funzioni principali: 1) Contraendo i muscoli dell'addome si ottiene un sostegno al corpo in ogni tecnica; 2) Una adeguata rotazione delle anche, al momento di sferrare un pugno od un calcio, sommerà alla potenza del colpo anche la forza centrifuga generata dalla rotazione. Sfruttamento dell'Ikite (forza di reazione). Un noto principio di fisica dice che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Nel Karate si sfrutta ciò sommando alla rotazione delle anche il "caricamento" dell'arto che non colpisce. Quando un braccio viene lanciato in avanti per un pugno o una parata, l'altro si muove all'indietro con uguale potenza e velocità, determinando una forza di reazione che va' ad aggiungersi al colpo inferto. Il Kime (potenza e velocità). Oltre alle cause sopra elencate, ci sono altri modi che aumentano la potenza di un colpo. Quando si colpisce, al momento dell'impatto, tutti i muscoli del corpo si devono contrarre velocemente e violentemente, indirizzando la potenza ottenuta nel punto d'impatto stesso. Nel Karate questo è il Kime. Inizialmente il praticante dovrà lanciare la tecnica in scioltezza ricercando la massima velocità e, quindi, produrre la violenta e rapida contrazione all'impatto.

PRINCIPI PSICOLOGICI:

Mizu no kokoro (La mente come l'acqua). Come l'acqua calma di uno stagno riflette senza alcuna alterazione ogni immagine che vi si specchia, così la mente del karateka non deve essere in alcuna maniera turbata da pensieri, in modo da poter reagire istintivamente ad ogni situazione. Solo quando le tecniche saranno bagaglio dell'istinto, quando non si dovrà pensare a come difendersi e contrattaccare eliminando paura e rabbia, solo allora il vostro Karate potrà essere efficace.

Tsuki no kokoro (La mente come la luna). Come la luna illumina uniformemente tutto ciò che rientra nel suo raggio, così il karateka deve avere visione globale del suo avversario senza concentrarsi su alcuna parte specifica del corpo. Questo gli consentirà di agire incoscientemente ad ogni attacco o di avvertire immediatamente ogni possibile varco nella guardia dell'avversario.

KIME E KIAI.-

Un paragrafo a parte merita la coordinazione fra concentrazione mentale e fisica.

Kime vuol dire la capacità di concentrare tutte le energie fisiche e mentali in un solo istante su di uno specifico bersaglio. A ciò si giunge maturando la tecnica, attraverso una serie di ripetizioni continue di attacchi, di parate, di combinazioni, affinché queste nascano automaticamente dall'inconscio, e nel contempo migliorando la propria concentrazione mentale. Quest'ultimo elemento è indispensabile nel Karate e per ottenerlo bisogna abituarsi a dare il massimo in ogni occasione, con umiltà e costanza.

Kiai è l'unione di due parole, Ki = spirito / energia e Ai = unione. Eseguire il Kiai significa che alla massima concentrazione mentale dovremmo unire la massima velocità di esecuzione della tecnica con la massima contrazione muscolare Kime da esprimere al momento dell'impatto. Fisicamente il suono gutturale Kiai sarà la risultanza della violenta uscita di parte dell'aria susseguente alla contrazione del Tanden . Riassumendo potremmo quindi definire che il Kiai è la capacità del karateka di esprimere energie "spremendole" dalla propria volontà e dal proprio spirito, oltre che dai muscoli.

ALLENAMENTO NEL KARATE.-

Non ci si aspetti nell'allenamento dei buoni risultati in breve tempo. L'allenamento del Karate può estendersi per tutta la vita, iniziando idealmente negli anni della scuola, sebbene non esista nessuna età limite. Nello studio di qualsiasi attività vi è poco da guadagnare da un allenamento lasciato al caso, e ciò particolarmente in un'arte marziale come il Karate dove si richiede costanza e regolarità. Molti si allenano con foga all'inizio ma perdono il loro entusiasmo entro la fine del primo anno. Chiaramente si ricava pochissimo da questo allenamento sporadico; altresì un duro allenamento prima che il corpo sia preparato adeguatamente può portare danno a chi lo attua. Per queste ragioni bisogna allenarsi sistematicamente senza divenire impazienti, avanzando regolarmente un passo alla volta e aumentando gradualmente l'applicazione della forza ed il numero degli esercizi praticati. Un discorso a parte si deve fare sulla stanchezza fisica generata dall'allenamento. Praticando il Karate ci si può stancare molto, ma è importante superare il punto critico nel quale ci si fermerebbe, perdendo tutto il lavoro svolto. Una volta resosi conto di ciò, il praticante dovrebbe raddoppiare gli sforzi e andare avanti con rinnovato sforzo spirituale. Il karateka attinge dallo spirito e dalla volontà quando non riesce ad attingere dal fisico; nell'allenamento ci si misura ogni minuto con noi stessi, cercando di superare un limite ogni volta più alto, di andare oltre i propri limiti. Nel praticare i Kata si devono tenere in mente tre punti cardinali:

  1. L'impiego massimo e minimo della forza;
  2. La decontrazione e la contrazione del corpo;
  3. I movimenti veloci e lenti delle tecniche.

Malgrado ci siano coloro che nel praticare il Karate usano la loro forza in modo eccessivo od indiscriminato, l'impiego di molta forza nei movimenti veloci non indica un rapido progresso nell'apprendimento e l'uso della forza in movimenti veloci continuati non significa abilità. Nell'eseguire un Kata si deve imparare ad adoperare la forza solo là dove è richiesta, ci si deve muovere velocemente quando è necessario e rallentare quando è corretto rallentare. I fattori più importanti per regolare in modo giusto la forza e la velocità sono appunto questi tre punti. Per applicare il grado di forza, la decontrazione e la contrazione del corpo ed i movimenti lenti o veloci di una tecnica in modo corretto è necessario comprendere completamente ogni aspetto del Kata ed il significato di ogni tecnica in esso contenuta. Solo quando uno avrà appreso in modo profondo il significato di questi tre fattori, potrà eseguire il Kata in modo corretto.

    Maurizio Bencic   

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