Direzione
Artistica
Wanda Nazzari
Ufficio Stampa
Rita Atzeri
consulenza
scientifica
Mariolina Cosseddu
Organizzazione
Stefano Grassi
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STANZE
2001
progetto
espositivo multimediale
Centro
Culturale Man Ray:
Cagliari,
28 settembre - 17 dicembre 2001
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19
ottobre - 29 ottobre 2001 |
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GIULIA SALE
titolo:
Estate
2001
Installazione fotografica: stampa su carta, MDF
dimensione: 21 x 21 cm (ciascun elemento)
Le
installazioni di Giulia Sale si vanno via via raffreddando. Sempre
più minimali, fanno dell'incomunicabilità la loro
inequivocabile cifra contenutistica e formale, quest'ultima ottenuta
attraverso un uso sapiente di fotografie variamente manipolate
e digitalizzate. In Estate 2001, in linea con la sua rarefatta
ricerca visiva che si muove per via di "sottrazione",
propone una serie di scatti rubati alla quotidianità o,
meglio, alla quotidianità vissuta nel momento dell'eccezionalità,
quello della vacanza. In quaranta pannelli di piccolo formato
estrapola brani di vita vissuta all'ombra di variopinti ombrelloni,
su arenili arroventati, tra asciugamani, borse frigo stracolme,
secchielli e palette, costumi da bagno di ogni foggia e colore.
Microstorie estive di ordinaria normalità che, tuttavia,
non documentano e non cronachizzano la realtà, bensì
la negano, dopo averla ridotta a mera decorazione e in forma di
calcomanie decisamente kitsch. In quel processo sottrattivo anzidetto,
l'artista scontorna figure e oggetti privandoli di quel contesto
che le renderebbe reali o, per lo meno, probabili. Manca l'azzurro
rassicurante del mare e del cielo, la sabbia è ridotta
a un'esigua e insufficiente base, manca lo spazio insomma o, meglio,
c'è il vuoto, il nulla, e la microstoria che necessita
del contesto per vivere, diventa un nonsenso. Del resto l'ambiguità
è tutta nel termine: vacanza è in primo luogo assenza.
L'atmosfera, se non la poetica pirandelliana, più volte
evocata per le sue opere è quanto mai presente in Estate
2001: i personaggi agiscono come vittime inconsapevoli di un perfido
teatrino allestito dall'artista, fluttuano come ectoplasmi privi
di quel hic et nunc che li renderebbe reali, ma non diverranno
mai personaggi perché, appunto, non sanno di avere un autore.
L'indifferenza e la casualità con le quali Giulia Sale
sceglie di raffrontarsi con la realtà contingente e con
la sua vacuità si pone, pertanto, come una sorta di rapporto
atarassico fatto di sdegnoso distacco, eppure, come una novella
Medusa, il suo voyeurismo pietrifica.
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GIANFRANCO
SETZU
titolo:
Conversazione silenziosa
Installazione fotografica: legno, pannolenci, plotteraggio
ad alta risoluzione, luminarie
Dimensione: 300 x 100 cm (ciascun elemento)
Gianfranco
Setzu si muove in un universo talmente alienante e cupo da lasciare
esterrefatti. Tuttavia, grazie a un filtro sottile di lucida ironia,
la sua opera sembra offrire anche la possibilità di una
lettura catartica ed esorcizzante, un'apparente via di fuga, per
quanto insidiosa e per niente rassicurante. Conversazione silenziosa
è l'ossimoro che dà il titolo alla sua installazione,
nella quale l'impossibilità del comunicare diventa allo
stesso tempo impossibilità di vivere e impossibilità
di morire. Grandi immagini fotografiche digitalizzate e stampate
col plotter propongono un dittico con un ragazzo e una ragazza
apatici e afasici, chiusi in un dolore trattenuto ma vistosamente
marchiati dai diversi tentativi di suicidio, quasi illustrassero
un agghiacciante "piccolo manuale del suicidio mancato".
Vere e proprie icone del disagio, esposte alla venerazione e alla
pietas popolare, sono segnate da intermittenti lucine rosse che
disegnano improbabili aureole intorno ai personaggi. Ridondanti
di attributi iconografici indicanti il martirio, i due protagonisti,
al posto della canonica palma, sono attaccati a una flebo che
centellina un fluido verdastro, venefico quanto l'humour nero
di cui è intrisa l'opera di Setzu. Le immagini accuratissime,
asettiche, frutto di un maniacale intervento manipolativo, rendono
perfettamente il senso di questo limbo dell'impossibile: una sorta
di sospensione temporale, una realtà anestetizzata nella
quale, "dissacrata" la sacralità della morte,
nonostante tutto invocata e in ogni modo cercata, rimane l'inutilità
del gesto. Eppure, anche se esorcizzata attraverso l'irrisione
delle sue più temute ancelle, malattia e sofferenza, la
morte incombe e continua a far paura sbattendoci in faccia la
nostra immensa fragilità. Setzu fa sua la poetica del corpo
violato e del suo disfacimento, vuoto simulacro di immanente precarietà
che da Francis Bacon fino alle ultime esperienze di Damien Hirst
percorre, come un inquietante e macabro filo rosso, l'esperienza
estetica contemporanea.
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